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Autore: Elissa_Bane    27/10/2014    0 recensioni
John ha trovato una compagna, Giulia. Se ne andrà dal 221 B solo quando sarà certo di aver lasciato Sherlock in buone mani. Ed è così che conosce Cecilia, troppo giovane per il dolore che ha già sopportato. Cecilia, che è in grado di competere con Sherlock. Cecilia, che ha cicatrici ricamate addosso.
Attenzione: Mary nella storia non è presente, non è mai nemmeno esistita. Tutti i fatti si svolgono dopo la 2x03
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Deduction Is Easy, Life Is Not.'
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Cercatevi una stanza

Capitolo 5

Un incubo e una torta

Cecilia- una settimana dopo

Francesca! Urla la mia mente, sebbene la bocca nemmeno si apra.

È bella come la ricordo, nel fiore dei suoi sedici anni. Alta, lascia i capelli sciolti e ondulati sulle spalle che le incorniciano il viso chiaro, su cui spiccano distintamente gli occhioni verdi e le labbra rosee. Indossa un abito corto, celeste come il cielo e le sue ballerine preferite, rosse. Risplende come una fiamma nella squallida stanzetta di pietra dove ci troviamo. Mi manca. Mi manca così tanto. Le vorrei parlare, vorrei farmi stringere come quando da piccola veniva a rimboccarmi le coperte perché Marta non aveva tempo. Vorrei poterle parlare della donna che sono diventata grazie a lei. Vorrei farle capire quanto ho sofferto perché non ero come lei. Vorrei che, come quando ero piccola, giocasse con me a “indovina” anche se sapeva che ero io a vincere.

Voglio toccarla. Non chiedo altro, solo che mi stringa la mano come quando avevo un incubo.

Provo ad avvicinarmi, ma non ci riesco. L’acqua entra, invade la stanza, si alza, lambisce gambe, stomaco, petto, cuore. Entra nella bocca, nel naso e nelle vene.

-Attenta- mormora, smettendo di sorridere. Mentre un’onda la sommerge, mi lancio tra i flutti. Ma le mie mani stringono unicamente l’acqua. Se n’è andata.

E io sono di nuovo sola.

 

§§§

 

Sento il suo respiro ancora prima di essere completamente sveglia. Di malavoglia lascio che le palpebre si sollevino. Lui è lì da ore, seduto sulla poltrona che uso per leggere, che mi guarda.

-Di cosa parlano i tuoi incubi?

-Vado a farmi un caffè.- Un caffè molto forte, se ha intenzione di farmi domande di questo genere. In cucina fingo di aver dimenticato la domanda di poco prima e mentre preparo il caffè parliamo di musica. Andando in sala per prendere una vestaglia (che ho abbandonato sul divano l’altra sera) lui mi prende per un polso.

-L’incubo.-dice.

-Niente d’importante.

-Menti. Parte dell’incubo è tua sorella- Sherlock, ti prego basta. Non parlarne. Non tenermi il polso. Non starmi così vicino. Per favore. Mi lascia andare e con un pizzico di cattiveria mi siedo sulla sua poltrona. È in difficoltà: l’unico altro posto dove sedersi è la sedia, contro il muro. O il tappeto ai miei piedi. Ma, invece di sedersi, non si muove. Attende una mia risposta, mentre un raggio di luce scivola sul pavimento, aspirando a raggiungerlo.

-Parla.- È un ordine, ma nasconde una domanda molto semplice: “Ti fiderai di me?”. Peccato che la risposta non sia altrettanto facile. Estraniandomi dal mondo entro nel mio Mind Palace e apro la stanza a lui dedicata. Articoli di giornale, conversazioni con Giulia e John o con lui, il nostro primo incontro nove giorni fa. Soppeso tutto, quando una voce, sentita ancora stanotte rimbomba nella mente Fidati, non sono tutti cattivi a questo mondo, mi dice mia sorella. Sospirando torno cosciente del fatto che Sherlock ancora attende una risposta. Ma non sono ancora pronta a fidarmi del tutto, a mostrarmi completamente.

Perdonami Fra, perdonami Sherlock, ma ancora non ce la faccio a mostrare i miei sentimenti.

-Quando Francesca è morta avevo dodici anni. Non è caduta nel Tamigi, ma qualcuno l’ha spinta. Io ero lì ma ho cancellato il volto di quella persona. Provando a salvarla ho fallito.- dico.

-Non ti ho chiesto questo, ma degli incubi.

-Io e lei, in una stanza di pietra. Mi dice di fare attenzione e un’onda la sommerge. Cerco di salvarla ma c'è troppa acqua. Ecco, Sherlock, perdo di nuovo ogni notte mia sorella- Annuisce come se lo sapesse, e probabilmente e così.

-Non dormire ti fa male- lo rimprovero, notando che ha passato la notte sveglio.

-Non ho bisogno di dormire- ribatte sorridendomi.

-Come ti ho già detto, sei umano: devi dormire.

-Non mi va.- Un bambino capriccioso, ecco cos'è. Ma ho promesso di proteggerlo e mantenere i suoi parametri vitali nella norma mi pare un buon inizio. Lo guardo, determinata a non cedere.

-Vai a dormire almeno un paio d’ore.

Lo vedo indeciso: infastidito del mio ordine, ma comunque stanco per la notte in bianco.

-Se vai a dormire ti faccio una torta- la tattica finale, la mia ultima chance.

-Una torta?- Rettifico, un bambino capriccioso e goloso.

-Una torta- annuisco e sorrido al marmocchio.

-Allora…vado-.

-Ti sveglio io quando è pronta- va a chiudersi in camera e, seduta sulla poltrona, ascolto il rumore di abiti che cadono a terra. Poco dopo il silenzio è sovrano della casa. Cucinando il tempo passa in fretta e, messa la torta a raffreddare sul tavolo, vado a svegliarlo. Busso. Ancora e ancora, ma senza risposta. Decido di entrare e la scena che mi si para davanti agli occhi ha un non so che di…irreale. Steso a petto nudo sul letto, i capelli neri contro il cuscino candido, la luce del tardo mattino che gli gocciola sul torace: è così simile ad Amore quando Psiche lo vide per la prima volta. Troppo simile. Esco velocemente dalla camera e corro al piano di sopra. Tela, tintura e disegno ciò che ho visto. E ora che è reale, che posso toccare il colore ancora fresco, respiro meglio.

Tu dipingi ogni volta che ti si presenta davanti agli occhi una situazione che scatena emozioni nuove o temute, mi ricorda Giulia.

Costringo il mio corpo a voltarsi verso la porta, da dove Sherlock, vigile e attento sin da quando sono entrata nella sua camera, mi fissa con gli occhi scintillanti. Poi guarda la tela, poi di nuovo me.

-La torta è pronta?- Grazie a Dio ha capito che almeno per questa volta gli conviene stare in silenzio.

-Giù, sul tavolo- mormoro, lasciandomi cadere a terra cerco di pensare.

Damn’it.

 

  
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