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Autore: The Writer Of The Stars    28/10/2014    5 recensioni
Questa è una storia come tante. é una storia che parla di adolescenti,come se ne conoscono tanti. Loro però sono solo un po' più sfortunati. Ma questo non significhi che non abbiano voglia di vivere al meglio. Comincia tutto così. In un aula canto di un liceo come tanti, dove un gruppo di ragazzi si incontrano, si conoscono e capiscono di avere in comune molto più di ciò che pensano. Sarà un professore un po' fuori dal comune a spingere i ragazzi a vivere la loro vita al meglio, a non farsi sconfiggere dalle avversità, ad unirli sotto un'unica passione. La musica. Bulma è cresciuta da sola, con una madre che non la vuole e non l'ha mai voluta.Vegeta è stato abbandonato dalla madre e non ha più tracce del padre. Goku vive in un orfanotrofio e Chichi vive in precarie condizioni economiche con suo padre. Sarà la forza dell'amore, dell'amicizia e la voglia di farsi valere che spingerà un gruppo di sfigati canterini a mostrare il loro vero valore. E a farli diventare qualcuno.
Questa è la mia prima long, ambientata in un universo alternativo. Spero che vi piaccia e conto di aggiornare regolarmente. Buona lettura!
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Vegeta non mi aveva mai detto “ti amo.” E non che mi aspettassi il contrario, sia chiaro. Sapevo benissimo quanto introverso e poco incline al lasciarsi trasportare dai sentimenti fosse, perciò non avevo mai richiesto una dichiarazione strappalacrime da parte sua. Un po’ perché sinceramente detesto le dichiarazioni troppo melense, stile soap opera, come quelle che invece una fan di “Beautiful” come Chichi adora. E un po’, perché non volevo forzarlo a fare qualcosa che non volesse, non volevo farlo sentire a disagio o in imbarazzo. Mi bastava averlo al mio fianco, sentire che era con me. Bastava. Certo, a volte il mio piccolo cuoricino da diciassettenne innamorata reclamava qualche parolina dolce, che puntualmente non arrivava. Ma poi, ogni volta che Vegeta mi baciava, sentivo risuonare quel “Ti amo!” nel mio cuore, forte, come la montagna riflette l’eco della voce. Sapevo che mi amava, anche se non lo diceva. E mi bastava, sul serio. Ero convinta che non avrebbe mai fatto una dichiarazione d’amore davanti a tutti, intesa come il classico, “Ti amo.”. Eppure, mi sorprese, facendomi capire che non c’è dichiarazione più bella di “Ti starò accanto.”
 

Erano all’incirca le 23.45 di un freddo giovedì di fine febbraio. Quella sera avevo terminato più tardi del solito il mio turno al bar, avendo avuto un incredibile boom di clienti. Vegeta in realtà non apprezzava troppo il fatto che lavorassi al Dragon Bar. Non gli andava proprio a genio il concetto che lavorassi fino a tardi, e soprattutto, non apprezzava il fatto che la maggior parte della clientela fosse di sesso maschile. Vegeta era geloso. Non lo avrebbe mai ammesso, ma quella smorfietta infastidita, il nasino arricciato e il lampo di rabbia ad attraversare i suoi occhi di pece,  ogni qualvolta gli raccontassi di quanto i clienti del locale apprezzassero la mia presenza, non mi erano mai sfuggiti. Era gelosissimo. Un altro punto a confermare ciò che già sapevo; Vegeta mi amava.

Comunque, ero appena uscita dal locale, e mi stavo dirigendo verso casa. Camminavo con passo svelto, stretta al mio cappotto, il capello di lana ben calcato in testa e la sciarpa ad avvolgermi il collo. Infreddolita, sfregavo le mani tra di loro, nel tentativo di riscaldarle, maledicendomi per aver dimenticato i guanti e per non aver accettato la proposta di Vegeta. Quel pomeriggio infatti, Vegeta si era offerto, sempre con la sua immancabile e indescrivibile gentilezza, di riaccompagnarmi a casa, una volta terminato il turno di lavoro. Seppur commossa da quella dimostrazione d’amore, ero stata costretta a rifiutare, prevedendo che quella sera il locale avrebbe chiuso più tardi del solito e non volendolo quindi costringere a restare in piedi per me.
Un po’ per il freddo, un po’ per la voglia di rientrare in casa al più presto, in pochi minuti ero arrivata di fronte al portone del mio palazzo. Estraendo le chiavi dalla tasca del cappotto, aprii il portone d’ingresso, che emise un inquietante e cigolante rumore di benvenuto. Cercai a tentoni l’interruttore della luce, e quando lo trovai, scoprii senza sorpresa che la lampadina era fulminata. Perfetto. Immersa nell’oscurità, iniziai a salire le scale, percorrendo le rampe lentamente, senza far rumore. Ero quasi arrivata all’ultima rampa di scale, quando un fascio di luce nel buio, attirò la mia attenzione. Mi avvicinai cautamente e mi stupii non poco nel rendermi conto che la luce proveniva da uno degli appartamenti, la cui porta era aperta. E per poco non mi venne un colpo, nello scoprire che la porta in questione, era quella del mio appartamento. Tremante, presi un profondo respiro, entrando poi in casa. Il salotto riversava in condizioni pietose: sedie rovesciate, cassetti aperti, oggetti in terra. Ancora sconvolta, sentii poi dei rumori provenire da una delle due camere da letto. Corsi verso di essa, e spalancando la porta, rimasi pietrificata. Apriva e chiudeva i cassetti con frenesia, evidentemente alla ricerca di qualcosa, buttava gli abiti nell’armadio in terra, il letto sfatto e le finestre spalancate: mia madre era tornata. Non appena avvertì una presenza alle sue spalle, si voltò di scatto, incontrando i miei occhi sconcertati e vuoti. Ringhiò rabbiosa, venendomi poi in contro, gli occhi colmi d’odio. Non l’avevo mai vista così. “Dove sono?!” urlò, prendendomi per il colletto del cappotto. Io rimasi immobile, fissandola sconcertata. Non sentendomi rispondere, mi strattonò ancora più violentemente, gridando: “Dove cazzo sono?!” finalmente, trovai la forza di reagire, chiedendo con un filo di voce: “M – ma di che parli?” “I soldi, dove sono i soldi!?!” cercai di allontanarla da me, spingendola via. “Lasciami!” gridai, riuscendo a liberarmi. Ma lei non si arrese. “Dammi immediatamente i soldi!!” ringhiò. “Ma di quali soldi stai parlando?! E poi che ci fai qui!?” chiesi ancora sconcertata. “Dammi tutti i soldi che hai! Mi servono!” rispose. Senza battere ciglio, chiesi con voce ferma, riscoprendo una freddezza che mai avrei creduto di mostrare. “Ti ho chiesto: che cosa ci fai qui …” lei strinse i pugni. “Non devo certo dare spiegazioni a te! Questa è casa mia, posso fare ciò che voglio!”  “Casa tua?! Casa tua?! Con quale coraggio ti presenti qui, dopo essere sparita per mesi, dopo avermi abbandonato, lasciandomi da sola e con un intero affitto da pagare, affermando che questa è casa tua?! Dove sei stata tutto questo tempo, che fine avevi fatto?!” urlai, infuriata. Lei ghignò leggermente: “Non devo certo rispondere a te delle mie azioni …” strinsi i pugni, sentendo gli occhi inumidirsi. “Sono tua figlia, tua figlia! Anche se non te ne è mai fregato niente di me, ma io sono tua figlia!” urlai, iniziando a piangere. Lacrime di rabbia, non di tristezza. Senza battere ciglio, riprese. “Ti ho detto di darmi i soldi. Li voglio ora.” “Perché, perché dovrei darteli?!” sbottai. “Perché sono tua madre, e devi fare ciò che ti dico!” ricominciò anche lei ad urlare ora. Restai per un attimo allibita. Per la prima volta, dalla mia nascita, aveva ammesso di essere mia madre. “Ah, adesso sei mia madre?! Ti sei ricordata di avere una figlia!? Dov’eri allora il giorno del mio compleanno, di ogni anno!? Dov’eri quando ti cercavo per farti gli auguri per la festa della mamma?! Dov’eri quando di notte fuori c’era il temporale, ed io piangevo dalla paura?! Dov’eri quando mi stavano per sfrattare dall’appartamento, quando ho rischiato di dover andare a vivere per strada?! Eh, dov’eri?!” gridai, fregandomi delle lacrime che continuavano a scendere imperterrite sul mio viso. Non un minimo cambiamento nella sua espressione. Freddamente, mi rispose. “I soldi. Adesso.”  “Cosa cazzo devi farci con i soldi?!” urlai, disperata. “Non sono affari che ti riguardano!” rispose lei, perdendo la calma. “Si che mi riguardano! Ci devi comprare la roba, non è così?!” dissi sprezzante. Lei strinse i pugni, senza rispondere. “Come immaginavo …” pronunciai poi in un sussurro, sconfitta e delusa. Abbassai lo sguardo, per poi rialzarlo poco dopo. “Vattene.” Dissi, la voce ferma. “Vattene, e non tornare mai più.” Ripetei, lo sguardo glaciale. Senza dire una parola, lei si avvicinò a me. Poi, in un attimo, uno schiaffo fortissimo mi colpì, facendomi girare la testa. Sentii una calda sostanza bagnarmi le labbra, dove portai due dita, scoprendole impregnate di sangue. Guardai per un attimo mia madre negli occhi. Poi, senza dire niente, lei se ne andò, sbattendo la porta. L’ultima cosa che udii, fu il portone d’ingresso sbattere violentemente. Poi, solo lacrime.


Estrassi il cellulare dalla tasca, scoprendo le mani tremare. In un attimo, composi il su numero, e portandomi l’apparecchio vicino all’orecchio, aspettai. Dopo alcuni squilli, finalmente la chiamata si aprì. “Bulma!”lo  sentii subito pronunciare. Io non risposi, incapace di pronunciare una sola parola. In un attimo, mi lasciai sfuggire anche un singhiozzo, che risuonò prepotentemente per la cornetta del telefono. “Bulma! Bulma, che succede?! Bulma, rispondi!” esclamò lui, preoccupato. “Vegeta …” sussurrai dopo pochi attimi. “Piccola, che succede?” chiese lui, ancora allarmato. Presi un profondo respiro. “Vegeta … ho rivisto mia madre.”
 

La mattina dopo, entrai a scuola senza fiatare. La sera prima, nonostante Vegeta avesse più volte insistito nel voler venire da me per sincerarsi delle mie condizioni, ero riuscita a convincerlo a rimanere a casa. Appena entrai a scuola però, mi venne subito incontro, preoccupato. “Bulma!” esclamò, affiancandosi a me. Camminavo per i corridoi come un fantasma, senza dire niente, tenendo lo sguardo basso. “Bulma …” mi richiamò più dolcemente, prendendomi il viso tra le mani, e alzandolo verso di lui. Sgranò gli occhi, esclamando poi: “Chi ti ha fatto questo?” chiese, preoccupato, riferendosi al grande livido troneggiante sul mio viso di porcellana. Non risposi, volgendo lo sguardo altrove. Tanto conosceva già la risposta. “Piccola, dimmi che cosa ti ha fatto …” ripeté con dolcezza, sebbene nascondendo una certa ansia. Io scossi la testa, correndo poi via per i corridoi. Vegeta, rimase immobile.
 

Per tutta la mattina, non aprii bocca. Rimasi chiusa in un ostinato mutismo, sempre con lo sguardo basso e spento. L’incontro con mia madre mi aveva sconvolto, più di quanto avrei ma creduto. Così, senza rendermene conto, arrivarono le due. L’ora del Glee Club. Camminando lentamente, entrai in aula canto, dove, sotto l’occhio preoccupato di tutti, presi posto senza fiatare. Il professor Dawson parlava, ma le sue parole mi arrivavano come un eco lontano, un fruscio indistinto. Vegeta continuava a fissarmi preoccupato, senza sapere cosa fare. Poi, gli venne in mente un’idea. “Allora ragazzi, qualcuno di voi vorrebbe cominciare con qualche brano? Avete in mente una canzone adatta alle vostre emozioni, volete esprimere qualcosa …” “Professore.” Tutti, eccetto me, voltarono lo sguardo verso Vegeta. “Vegeta. Dimmi pure.” Esclamò sorpreso il nostro insegnante. Vegeta infatti, non si era mai proposto di sua spontanea volontà di esibirsi nell’aula canto. “Vorrei cantare una canzone.” Pronunciò, la voce ferma. Il professore annuì.  “Fantastico, Vegeta. Prego, vieni pure.” Lo guardai distrattamente alzarsi e dirigersi al centro dell’aula. Poi, dopo aver confabulato con i musicisti, mi guardò, iniziando a cantare. (http://www.youtube.com/watch?v=-LrKcBEuZLs canzone)

Vegeta:
Oh, why you look so sad?
Tears are in your eyes
Come on and come to me now

Don't be ashamed to cry
Let me see you through
'cause I've seen the dark side too


Guardai Vegeta, sgranando gli occhi. Lui continuava a fissarmi negli occhi, cantando quella meravigliosa canzone. E in quel momento, capii che non stava solo cantando, ma stava parlando con me.

Vegeta:
When the night falls on you
You don't know what to do
Nothing you confess
Could make me love you less
I'll stand by you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you


Quella canzone era perfetta. Vegeta stava dicendo tutto quello che mai mi sarei aspettata di sentir dire. Ti starò accanto, diceva. E capii, che quella era la dichiarazione più grande che Vegeta avrebbe mai potuto farmi.

Vegeta:
So if you're mad, get mad
Don't hold it all inside
Come on and talk to me now
Hey, what you got to hide?
I get angry too
Well I'm a lot like you


Tutti quanti continuavano a fissarci, ora me, ora Vegeta, con sguardo intenerito e allo stesso tempo sorpreso. Vegeta intanto continuava a cantare, e avvicinandosi  prese una delle sedie, sedendosi di fronte a me. Io abbassai lo sguardo, arrossendo, cercando di evitare i suoi occhi. Ma proprio in coincidenza con la canzone, a quel “Hey, cos’hai da nascondere?” lui mi prese il mento tra le dita, sollevandomi dolcemente  il viso. Mi scontrai con i suoi profondi occhi neri e con un lievissimo sorriso incoraggiante, a rafforzare ancora maggiormente quell’inaspettata “dichiarazione”. Era un sorriso appena accennato il suo, ma per me era il più bello al mondo.

Vegeta:
When you're standing at the crossroads
And don't know which path to choose
Let me come along
'cause even if you're wrong
I'll stand by you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you
Take me in, into your darkest hour
And I'll never desert you
I'll stand by you


Vegeta aveva capito tutto. Aveva capito quanto in quel momento avessi bisogno de sentirlo al mio fianco, e ora eccolo lì, a cantarmi una meravigliosa canzone che non poteva essere più perfetta di così. Non si stava dichiarando con il classico “Ti amo”, ma mi stava dedicando una canzone. Si stava dichiarando dicendo “Ti starò accanto” e Dio solo sa quanto mi sentii felice.

Vegeta:
And when...
When the night falls on you, baby
You're feeling all alone
You won't be on your own
I'll stand by you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you
Take me in, into your darkest hour
And I'll never desert you
I'll stand by you


Vegeta continuava a fissarmi negli occhi, cantando. E anche io continuavo a guardarlo, le iridi azzurre oscurate da un velo di lacrime che cercavo di trattenere. Era tutto perfetto. La canzone, le parole, l’atmosfera, Vegeta, era tutto così incredibile, che mi sembrava impossibile di non essere ancora scoppiata a piangere.

Vegeta:
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you


 E non appena Vegeta terminò di cantare, scoppiai davvero in lacrime. Singhiozzando, mi gettai tra le sue braccia, nascondendo il viso contro il suo caldo maglione di lana, a coprirgli il petto muscoloso. Lui mi strinse a sé, affondando il viso tra i miei capelli e posandomi un delicato bacio sulla chioma azzurra. E mentre continuavo a piangere, lo sentii sussurrare al mio orecchio: “Ti starò accanto, piccola. Te lo prometto. Ti starò accanto.”
 

Nota Autrice:
salve a tutti! Mi scuso immensamente per questo mio ritardo, ma purtroppo tra scuola, danza, tennis, musical, coro della chiesa, oratorio e quanto altro, il tempo per scrivere è proprio ridotto ai minimi termini … mi scuso inoltre per non aver risposto alle vostre recensioni, ma purtroppo non ne ho avuto tempo … :( vi ringrazio immensamente in questo spazietto perciò, ringraziandovi ulteriormente per la vostra comprensione ed il vostro sostegno. Non so cosa farei senza di voi! ;) Bene, la fisioterapia mi aspetta, perciò vi lascio a questo capitolo, ringraziandovi già da ora per l’attenzione! ;) aspetto recensioni,mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate!  ;) al prossimo capitolo!
Saluti
TWOTS P.S: ah, ho inserito come sempre un link per la canzone cantata da Vegeta ... è una traduzione, che vi consiglio di leggere poichè assolutamente perfetta per il momento raccontato, ed inoltre è davvero una splendida canzone ... personalmente la adoro ... ;)
   
 
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