Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL
Segui la storia  |       
Autore: KH4    28/10/2014    3 recensioni
Un titolo semplice per una raccolta di quattro one-shot con le coppie AstralxYuna e VectorxYuna come protagoniste, di cui una quinta che decreterà il finale con la coppia da voi più amata.
N.b: Gender Bender/ Triangolo/ OOC.
 
1)Love. (Keyshipping.)
2)Disdain. (Negativeshipping.)
3)Fear. (Keyshipping.)
4)Madness. (Negativeshipping.)
5)Kindness. (Negativeshipping.)
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Asutoraru /Astral, Bekuta/Vector, Yuma/Yuma
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: Gender Bender, Triangolo
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Kindness.
/Sickness./
 
 
Ho sognato di ferirti non so quante volte. Di odiarti, di farti cadere,
ma solo per l’amarmi non hai mai rivolto il tuo sorriso altrove.
E’ allora che l’ho capito.
 Tu sei più folle di me.
 


Il Karma vigeva al mondo col peso di una legge morale legata al destino d’ogni essere vivente. Causa ed effetto. Probabilmente il legame con meno possibilità di sciogliersi oltre a quello che legava la vita alla morte.
Vector aveva sempre avuto una forte propensione a sfidare l’impossibile senza pensare alle conseguenze, ma arriva un momento nella vita, dove le rispettive parti devono controbilanciarsi, che alle azioni compiute ne susseguano altre a lenire gli effetti delle prime. Da fedele discepolo di una filosofia che proclama la personale superiorità a qualsiasi altro organismo cellulare come massima espressione della vanità, al Manipolatore non sarebbe bastato morire una terza volta o perire in una gara di testate contro un Dio addirittura più squilibrato di lui, per convertirsi a un comportamento di ironia sferzante meno velenosa. Ma una pioggia torrenziale e un febbrone da cavallo lo avevano costretto a letto senza che nessuno dei suoi compagni si chiedesse se stesse per morire – di nuovo –, il che era un inizio.
 
Sì, pur avendo condiviso una vita passata e una causa bellica con tanto di dominio alieno da salvare, agli altri ex-Imperatori era premuto di più abbandonare la loro villa con la stessa velocità con cui si decideva l’evacuazione del pianeta e trascorrere quella bellissima giornata di sole accecante nel nuovo Luna Park di Heartland City, anziché dar prova della loro amicizia in ricordo dei loro trascorsi da Bariani.
 
Dannati bastardi…Aspetta solo che riesca ad alzarmi! – Perfino meditare vendetta ne affaticava le tempie urlanti di martellii incessanti.
 
Il rantolare della sua gola incrinava la silenziosa penombra della stanza con suono tagliente e doloroso, preda di un incendio che nemmeno l’intera caraffa d’acqua lasciatagli sul comodino per pura pietà aveva saputo attenuare. Respirava affaticato, nascosto sotto una montagna di coperte con la pelle ad ardere di gelidi brividi; il muoversi in cerca di una posizione che gli garantisse almeno un’ora di sonno decente scatenava l’indolenzimento di ciascun osso prossimo allo sbriciolamento collettivo, una condizione a cui non era mai giunto neppure stuzzicando l’indole irascibile di Mizael.
 
Divertendosi a sperimentare quanti più piani la sua mente ordisse a danni altrui, aveva rischiato il linciaggio un centinaio di volte, tutte occasioni valide per smorzare la routine e impedire che il corpo si impigrisse. Niente che fosse di così nocivo per la sua salute e che gli impedisse di cimentarsi in un nuovo colpo il giorno successivo; adesso, invece, dal collo in su, era un pulsare ininterrotto, un bollire che al minimo sollevamento scatenava uno spaventoso vorticare che lo calpestava senza remora alcuna. Anche tenere gli occhi chiusi, proibiti a venire a contatto con la benché minima forma di luce, non gli dava sufficiente sollievo.
 
Se soltanto ne avesse avuta la forza, avrebbe strisciato fino al bagno per morire annegato in una vasca piena di ghiaccio, anche se il pensiero di dar soddisfazione a quegli infami traditori gli stava già dando del pazzo.
 
- Rei, mi senti? Rei? –
E adesso chi diavolo rompe? –
 
Era tutto un ondeggiare sfuocato intorno a lui e il tempo che impiegò ad aprire un solo occhio equivalse a un’eternità.
La semi-oscurità velata di chiazze soffuse non fu mai tanto accecante o, con tutta probabilità, il suo subconscio era vittima di allucinazioni che stavano distorcendo la realtà che conosceva con tanto di inganni uditivi - come se l’orchestra a saltare a piedi uniti sul suo cervello non fosse già un tormento degno di essere spedito nelle recondite viscere della Terra a calci nel sedere! -.  Forse stava veramente per tirare le cuoia – e di ciò, l’Universo intero avrebbe gioito piangendo stelle -, ma non si sarebbe mai immaginato che gli angeli – o i demoni, nel suo caso – avessero la stessa voce di Yuna.
 
- Sono già morto? – Chiedere non costava nulla, anche se, per una volta, avrebbe preferito rimetterci la pelle a modo suo.
- Non ancora, altrimenti non sarei qui. -
 
Il tocco di una mano fresca gli accarezzò la fronte umida, scostandone i ciuffi mandarini fino ad appoggiarvisi con delicatezza. L’annacquarsi delle lucidissime iridi ametiste già allargatesi esponenzialmente culminò con un guizzo di brillante felicitazione nel constatare che non tutti i neuroni avevano optato per il suicidio collettivo: Yuna era veramente al suo capezzale, il timbro di voce tenuto basso appositamente per non acuire i rimbombi che l’emicrania elargiva in dosi abbondanti e la mano a toccarne le guance congestionate di un morbido rosso.
 
- Santo cielo, Rei: sei davvero bollente. Come hai fatto a conciarti in questo modo? –
- Pioggia…Ombrello…Mi dai della vodka? – Udì un lieve rumore scrosciante vicino a sé, ma senza capire bene di cosa si trattasse.
- Sei stato sotto l’acquazzone di ieri senza ombrello? – Strizzando per bene un panno zuppo d’acqua – perché si trattava di un panno -, la corvina glielo depose sulla fronte, ignorando quello che, con tutta probabilità, doveva essere un farfugliamento – Che ti è saltato in mente? –
- Voglio la vodka… - Piagnucolò il ragazzo, chiudendosi come un riccio fra le coperte.
 
Parlare con un sordo-muto sarebbe stato più redditizio e non c’erano dubbi sul fatto che quel pomeriggio, già travagliato per la situazione attuale, si sarebbe costellato di difficoltà apocalittiche per quell’anima pia quale era la duellante, sacrificatisi nonostante avesse a suo vantaggio una buona ragione per trovarsi da tutt’altra parte. La rabbia non era scemata del tutto dal suo umore, aveva pensato bene di piantarsi in un punto strategico che concedesse al germe instillato di crescere rigoglioso, soprattutto in virtù della continua assenza di scuse da parte del malato.
Fu solo per il sentirlo tossire violentemente che mise da parte ogni pensiero inerente alla loro ultima uscita e aprì la borsa rovistando al suo interno. Con la gola ridotta a della carta vetrata, la sensazione di aver inghiottito una frusta di spine doveva rappresentare un'immagine abbastanza dolorosa perché ogni alito d’ossigeno pungesse di un bruciore esplosivo.
 
Un forte e penetrante profumo di menta mista a erbe aromatiche oltrepassò la coltre di stoffe ammucchiate, librandosi con alone invisibile; la testa arruffata di Rei sgusciò fuori dal suo nascondiglio con lo stesso timore che permeava il musino di un coniglietto quando si apprestava a scoprire il bosco intorno alla sua tana. Yuna reggeva nella mano una scatolina di plastica azzurra poco più grande di una palla da tennis.
 
- E’ un unguento che serve a liberare i bronchi. Lo prepara Obaa-chan con le sue mani -, spiegò lei – Ora, dovresti… -
 
Avvampò nel giro di tre secondi fino alla punta dei capelli e senza scorgere il luccichio sinistro balenato negli occhi di Vector non appena gli era apparso chiaro come quel medicinale dovesse essere utilizzato. Convivendo con il proprio istinto di conservazione sensibilmente provato dal troppo stare con il ragazzo, aveva smesso di udirne i segnali di pericolo, che si trattasse di un’esigua manciata di ore o di una giornata dove l’impensabile diventava fattibile unicamente perché così lui decideva. Mal che andava, tornava a casa con le gambe distrutte o chiedendosi se la vocazione di lui a ridurre ai minimi storici la tempra delle sue vittime non nascondesse un fine collegato all’antica perversione di quand’era un Bariano; il fatto che stavolta il suo inconscio avesse scampanellato fino a renderla sorda avrebbe dovuto pur significare qualcosa, ma Yuna non era mai stata particolarmente portata per recepire i messaggi al volo.
 
Le coperte erano volate velocemente all’indietro, scostate con gesto elegante quanto bastava perché il suo cervello realizzasse – dopo attimi interminabili - che il ragazzo, dalla vita in su, era nudo.
 
- Vedi qualcosa che ti piace? – Oltre che l’egocentrismo innato, a rendere Vector un insopprimibile narcisista, era il possedere un fisico che gli permettesse di esserlo: di esile candore all’apparenza, ma asciutto e muscoloso se visto con nulla addosso. Con quel leggero velo di sudore datogli dalla febbre, poi, sembrava baciato dal sole.
- N-Non dire sciocchezze! – Yuna accucciò la testa fra le spalle, le guance imporporate da un vistoso rossore e le labbra a tremare di balbettii silenti.
 
C’era mancato poco che morisse soffocata sulla sedia o che stringesse la scatola fino a farne colare il gelatinoso contenuto fra le dita. La sua non sarà stata la mente più brillante di tutta Heartland City, vero, tuttavia, che Rei fosse affascinante era qualcosa che non aveva più potuto negarsi da molto; l’alternarsi di quei tratti bambineschi alle espressioni di maliziosa maturità che facevano capolino di tanto in tanto, le gettava addosso un’inspiegabile voglia di guardarlo a sottecchi pur, coscientemente, fosse contraria. Non c’era nulla di sbagliato, considerando la natura del loro legame, più profondo del comune essere amici, ma da lì a concepire che fosse anche…Sensuale
 
- Oh, andiamo, Yuni-chan: lasci molto a desiderare come bugiarda e poi ti devi anche abituare -, la canzonò il ragazzo - Sai, non dico di cimentarci in quello, ma niente ci vieta di coccolarci un po’. Milioni di donne ucciderebbero per toccarmi. –
- Che, però, non vedo qui a massacrarsi per prendersi cura di te -, notò lei, incrociando le braccia.
- Perché ti sono fedele e non c’è giorno in cui non mi appelli al nostro grande amore per resistere alle tentazioni -, declamò teatralmente lui, con tanto di dito indice ben in vista - Insomma, hai idea di cosa significhi andare in giro con questo viso? Tutti mi guardano come se volessero mangiarmi! Togli Merag, quella brutta megera… - La lingua gli si impastò di biascichii  borbottanti, segno che il momento di lucidità mentale era terminato - Tutto il giorno attaccata al fratello…Io lo so che quei due ci danno dentro con l’incesto e che coinvolgerebbero Dourbe, se non fosse impegnato con Mizael e i suoi lunghi capelli da bionda mestruata…Arito e Girag manco ci provano essere interessanti, mi stupirei se avessero un cervello grande quanto i loro muscoli... -
- Fortuna che non sono qui a sentirti. – Non che lei fosse stata felice di essere l’unica testimone di quel farfugliamento delirante – Su, adesso fa il bravo: stenditi. –
- Non vedi l’ora di mettermi le mani addosso, eh, Yuni-chan? –
- La vuoi smettere?!? Guarda che sono ancora arrabbiata con te! –
 
E intanto, la sua voce rimaneva flebile quanto un sussurro spifferato all’orecchio. Pur essendo animata da quell’emozione che mai in battaglia era riuscita a prendere il sopravvento sul suo spirito, inconsciamente agiva perché l’emicrania in circolo non intensificasse la sua attività; a volte nemmeno se ne accorgeva, tanto l’adorare i suoi amici la spingeva a piccolezze che denotavano quel suo tenerci senza distinzioni o limiti, ma non aveva dimenticato lo sdegno lanciatole da Rei l’altro giorno, a prescindere dalle attuali complicanze da lui indotte e che vedevano le sue povere guance aumentare di tonalità ustionante a ogni nuova frecciata.
 
Da parte sua, il ragazzo non avvertiva su di sé l’urgenza di scusarsi per qualcosa che nemmeno lo aveva toccato laddove avrebbe dovuto provare un qualche rimorso, specialmente, se a punire il suo proverbiale talento a distruggere tutto quello che toccava, ci stava già pensando la febbre. La lingua aveva conservato l’affilatezza di un tempo, la stessa precisione di infliggere ferite perfette sia nella forma che nel peso e benché attualmente non fosse nulla di più che l’ombra sbiadita di quel se stesso, che aveva perseverato nel comportarsi come se non vi fosse niente di pari importanza alla sua persona, offendere Astral davanti a Yuna aveva testimoniato al Mondo intero quanto fosse impossibile cambiare radicalmente o anche soltanto pensare di poter estirpare tutto il male che, un’esistenza secolare quale era stato lui, aveva accumulato per tempo indefinito.
 
Certo, ritrovarsi cinque secondi dopo con del tè ghiacciato a colargli dai capelli gli aveva dato la vaga sensazione di aver combinato una colossale cavolata, eppure lei era lì, a prendersi cura di lui con generosità immeritata, visto il soggetto, e, in tutta franchezza, non aveva alcuna intenzione di rovinare quell’idillio nemmeno se gli si fosse presentata l’occasione di decapitare Nash con la certezza di non vederselo più fra i piedi e lasciarne la testa fuori dalla stanza di Merag.
Le sue mani erano davvero piccole in confronto alle sue, morbide e lisce, pelle intiepidita appositamente perché il contatto col torace scoperto non fosse di brutale freddezza. Delicate nel loro accarezzarlo con premurosità, attente al dolore fisico che un solo ansito gli procurava; perfino il tastare delle sue stesse dita, impegnate insieme al palmo a compiere movimenti concentrici antiorari, non sfuggiva allo sguardo vigile degli occhi vermigli. Poteva ammiccarle in tutti i modi, passarsi la lingua sulle labbra umide o proporle giochini implicanti l’incastrarsi a vicenda per il solo ridere della sua goffaggine, ma in quel momento a stento riconobbe la buffa creaturina che perdeva tutta la sua sicurezza quando si trattava di “Vita di coppia”, senza essere minimamente capace di comprendere i suoi pensieri, di guardarle dentro l’anima come invece lei faceva nei suoi confronti. Era concentrata su di lui, totalmente, a farlo sentire bene…Protetto.
 
- Ecco. Con questo e una maglietta addosso, vedrai che riposerai decentemente. – Guardatasi in giro, la ragazza adocchiò, riposta malamente sulla sedia vicino alla scrivania, quella che aveva tutta l’aria di essere una felpa.
- Da quando sei una provetta infermiera? – Era una novità che la corvina avesse una specializzazione diversa dai duelli e dalle corse perdifiato per arrivare all’ultimo minuto a scuola. E, oltretutto, che le riuscisse senza tirarsi addosso qualche cataclisma.
- Sopravvivenza personale -, gli rispose - Sono nata con un mese d’anticipo e da piccola, se mi ammalavo, dovevo addirittura andare in ospedale, ma non era niente a quello che mi faceva Onee-san quando tornavo a casa coperta di lividi: era lei a curarmi e il più delle volte ci andava pesante perché voleva che imparassi a fare attenzione. Purtroppo non sono cambiata poi così tanto, visto che non mi riesce di fare un corridoio intero senza inciampare nei piedi. – Ci rise sopra sommessamente, con quei ricordi non troppo lontani ad addolcirle la voce - Ascolta, te la senti di mangiare qualcosa? – Gli domandò una volta che lo ebbe aiutato a mettersi la maglietta - Del riso o delle mele sbucciate, giusto per mandare giù l’antibiotico a stomaco pieno. –
 
Vector non seppe se fu la domanda posta con innocua gentilezza o la sua psiche smembrata dalla febbre, ma il senso di colpa insinuatosi abusivamente nella sua testa lo frustrò con schiocco maggiormente acuto. Come poteva essere tanto dolce con lui, che non si era sprecato a sbeffeggiare i riguardi rivoltigli? Non che la trasparenza del cuore di Yuna non gli fosse mai stata nota, ma proprio perché si trattava di lei che rischiava di farsi abbindolare dalla propria coscienza e soccombere a tutti i suoi rimproveri. Urgeva correre ai ripari.
 
- Sai cucinare? –
- Solo quello che ti ho elencato, è l’unica cosa che accomuni me e Onee-san. Allora, cosa preferisci?-




Per la prima volta da quand’era arrivata, Yuna si chiese finalmente che cosa avesse fatto di male per meritarsi un pomeriggio tanto indimenticabile. Neppure avrebbe dovuto esserci, in quella grande villa dalle persiani tirate, circondata da un rigoglioso verde lussureggiante che teneva ben rinfrescata l’aria, ma le volte che la ragazza si avvaleva del proprio raziocinio erano di un’unicità perfettamente contabile sulle dita; l’idea di prepararsi con maggiore scrupolosità, magari con uno scudo antisommossa per la propria difesa personale o con una mazza da baseball, giusto per scongiurare improvvisi assalti, avrebbero dovuto sfiorarla solo per il conoscere bene l’artefice di tanta esasperazione; invece niente, aveva tirato dritto, finendo così per appellarsi a ogni grammo di buon cuore che stava consumando a velocità spropositata.
 
Invano erano serviti gli innumerevoli tentativi di spiegarle quanto la sua intenzione di sacrificare una giornata all’insegna del divertimento in uno dei parchi più belli di Heartland City, per una testa bacata che non si era meritata altro che la giusta punizione per l’aver tirato troppo la corda, fosse, oltre che insensata, troppo misericordiosa.
 
In principio, si era intestardita di tenergli il muso e l’offesa a carico di quell’amico prezioso che ormai non vedeva da più di due anni aveva reso ancor più fattibile la decisione di infischiarsene; Astral le mancava, non più terribilmente come i primi mesi, ma abbastanza perché a volte passasse qualche notte a guardare il cielo stellato con la Chiave dell’Imperatore stretta al petto. Nutriva fiducia nella promessa di riabbracciarlo, anche se fossero occorsi anni e anni, ma spesso a tanta felicità si accompagnava un senso di vuoto che la estraniava da chi lei era accanto ed erano stati quei sospiri nostalgici a spingere Rei laddove sapeva di non poter infierire. Aveva perso il conto di quante volte gli avesse detto che tanta gelosia nei confronti del Numero Originale era semplicemente insensata, ma quella volta il ragazzo si era lasciato andare a insinuazioni troppo pesanti e lei gli aveva risposto con una lavata a base di tè al limone.
 
Quel giorno avrebbe potuto trascorrerlo avvolta da un clima che ne avrebbe dissipato l’astio accollatosi alla sua schiena, lasciandosi ammorbidire dalle giostre colorate e dallo stuzzicante profumo di dolciumi delle tante bancarelle, tornare a casa talmente distrutta da crollare sul letto senza togliersi le scarpe…
Invece era bastato sapere dell’improvviso malanno del ragazzo per incrinare l’euforia di trascorrere quelle ultime ore estive all’insegna del divertimento sfrenato. Il pensiero che fosse solo le aveva ricordato quanta tristezza potesse sortire non avere nessuno con cui parlare o dividere un sentimento, arrovellandole lo stomaco con nodo indigeribile, pura preoccupazione che alla fine aveva chiesto scusa a tutti i suoi amici per ritrovarsi davanti alla porta della magione con la coscienza arresa al suo stesso spirito di solidarietà.

Arrivata anche a toccarne la pelle di una zona per lei ancora off limits – e senza una dovuta preparazione psicologica al riguardo -, si era lasciata stupidamente convincere che non potesse esserci  null’altro di potenzialmente mortale per la sua salute. Quello era stato il suo secondo errore, giacché il primo consisteva unicamente nell’essersi fatta impietosire come al suo solito. Mai avrebbe creduto di finire vittima di atrocità ben peggiori di quelle passate quando combatteva contro i Bariani, ma in fondo se l’era cercata, scegliendo di rifarsi a quel suo inguaribile buonismo, sconosciuto al fatto che un Vector intasato da febbre e ridotto allo stadio larvale di un bambino capace soltanto di lagnarsi senza che la sua megalomania ne fosse influenzata, accrescesse il desiderio di affrontarne la folle versione demoniaca pronta allo sterminio totale. Almeno lì, si aveva un’idea di cosa aspettarsi e non si correva il rischio di rovesciare un piatto di riso appena cotto sulla moquette rossa.
 
- S…S-Scusami …? – Sperò di aver sentito male – pregò di aver sentito male -, anche se era alquanto improbabile che avesse perso l’udito di punto in bianco, travisando così quell’innocua parolina lanciatale addosso con innocente sfacciataggine.
- Imboccami! – Il ragazzo squittì con vocina allegra, un sorriso bambinesco a far capolino sulle guance arrossate e i capelli arruffati a portare quella richiesta con la stessa innocenza di un cerbiatto appena nato. Mancava solo che si mettesse a scodinzolare.
- Scherzi, vero? – Seppur impossibile, il rossore di Yuna raggiunse una tonalità abbagliante, pronta a prendere fuoco alla minima scintilla.
 
Seriamente, cosa aveva fatto di male per meritarsi un pomeriggio del genere?
 
- Ti prego, Yuni-chan! Mi fanno tanto male le braccia, riesco giusto a muovere la bocca! - Pigolò lui, tenero e supplichevole.
- Risparmiati la sceneggiata del povero cucciolo bastonato. Non ci casco più. –
- Ma sei la mia ragazza! Hai il sacro compito di prenderti cura del tuo innamorato, se malato! –
- Questo lo so, ma non ricordo fossero comprese certe…Certe…C-Certe cose! –
- Sei cattivaaa… – Nuovamente, Rei si appallottolò amareggiato fra le coperte, mugugnando parole incomprensibili.
 
Anche chiamandolo con quel nome ispirante dolcezza, a volte Yuna dimenticava che il Rei da lei conosciuto prima di tanti travagli, in parte, non fosse stato nulla di più che un’illusione. Un tempo era esistito, quel cuore nobile e generoso, degno di un principe, ma tanti secoli di costretta abnegazione a un’oscurità abbietta ne avevano consumato l’essenza troppo in profondità perché potesse recuperare l’antica innocenza; rinascere gli aveva permesso di attingere a un carattere ridimensionato a quegli estremi opposti, una via di mezzo fra la sua presunta bontà e l’indiscutibile – ma pur sempre ridotta – cattiveria e purché ciò lo facesse sentire definitivamente in pace con se stesso, a lei andava più che bene.
 
Non era cambiato nulla di quell’affetto divenuto amore, arrivato tanto vicino a tramutarsi in polvere fra le sue mani, ma che i suoi ritmi fossero molto più lenti di quelli delle altre persone non era un segreto: doveva ancora abituarsi a certi comportamenti, a domare l’imbarazzo che Rei non perdeva mai l’occasione di aizzare con qualche effusione lanciata a tradimento o, in quel caso specifico, con capricci che facessero leva sulla sua smisurata condiscendenza. Il comune atto di baciarsi le era costato litri di saliva e un’indiscutibile dose di Kattobingu andati sprecati quando, in pieno pubblico, lui l’aveva baciata senza alcun preavviso dichiarando apertamente che era Roba sua. Poteva provarci quanto voleva, a resistere almeno un po’ a quegli occhi penetranti che l’avevano ingannata e presa in giro, ma come riusciva a porre una distanza minima di dieci passi, lui, soltanto con uno, disfaceva le sue difese.
 
Era tutto molto più facile quando si comportava ancora da sociopatico violento. – Sospirò sconfitta, cogliendo, di positivo, il fatto che nessuno a lei noto sarebbe mai venuta a conoscenza di cotanto imbarazzo –  E va bene. Però, solo un paio di bocconi. -
 
Nemmeno aveva riempito il cucchiaio, che il malato era già balzato fuori dal suo rifugio con la bocca spalancata.  




Ovviamente, se la disgraziata duellante pensava di aver toccato il fondo, acconsentendo di imboccare Rei, si era sbagliata di grosso.
Ovviamente, erano stati i suoi vestiti a rimetterci.
E sempre ovviamente, Vector avrebbe dovuto vergognarsi fino al midollo per quel vile approfittarsi.
 
Mangiare pur essendo conscio che lo stomaco avrebbe restituito il tutto sotto forma di frattaglie collose era stato un piccolo prezzo da pagare per godere dell’ennesima vittoria, seppur la cosa in sé non fosse stata propriamente calcolata, ma l’opportunità di essere al centro di tutte le attenzioni di Yuna, senza doverla dividere con scomode presenze che ogni volta gli impedivano perfino di abbracciarla, meritava rischi di onerosità anche estrema.
Purtroppo per lui, farsi trattare come un cucciolo era servito unicamente a fargli tirare la zappa in testa, e questo perché il Karma ripagava sempre chi pensava di farla franca. Abitare insieme ad altri sei ragazzi – fra cui una ragazza -, in una villa grande a sufficienza da garantire a ciascuno la propria privacy, era sempre stato un invito alla sua bastardaggine per mantenersi in allenamento; dopo l’ultima incursione senza permesso, Merag aveva preso l’abitudine di chiudere a chiave la porta della sua stanza, cementando qualsiasi buco che concedesse a qualunque verme strisciante – lui, in particolare – di infiltrarsi e combinare casini.
 
Già da allora il Karma aveva cominciato a complottare contro di lui senza che se ne rendesse conto.
 
- Potevi dirmelo che ti veniva da vomitare, non ti avrei fatto mangiare. –
- Scusa…Mi è venuto all’improvviso… - Non era un granché come giustificazione, ma almeno non aveva dovuto sforzarsi a inscenare toni strascicati o finte vampate di calore per convincere la ragazza. L’emicrania era tornata all’attacco.
 
Certamente, Yuna non aveva pensato di portarsi un cambio, in quanto un attacco intestinale diretto ai suoi abiti era impensabile, e con la stanza di Merag a prova di fusione nucleare, le alternative a sua disposizione per non essere costretta ad andare in giro in biancheria intima, si erano ridotte a una sola.

Lì il Karma aveva cominciato a farsi sentire.
 
Dopo un quarto d’ora passato davanti al cassettone di Rei, aperto con la punta delle dita giusto per sbirciare dentro ed evitare il rischio di incappare in brutte sorprese, la mora aveva agguantato un unico indumento senza pensare se potesse servirle qualcos’altro, sparendo per un’altra manciata di minuti in bagno. Al suo ritorno, l’ex-Imperatore aveva finalmente preso atto che il Karma o qualunque altra stupidaggine d’invenzione umana aliena, lo voleva definitivamente morto.
Yuna faticava a rimanere ferma sulla seggiola: la maglia indossata le era grande, fatta di un tessuto morbido che si gonfiava in pieghe ricadenti verso il basso. A stento conteneva l’imbarazzo, strofinando impacciatamente le gambe nude con la testa ad affondare nelle spalle scoperte, le labbra corrucciate e le iridi scarlatte a vorticare in ogni direzione.
 
- Vuoi farmi morire? – Biascicò il ragazzo.
- Come? –
- Tu…Sei crudele… –, uggiolò affannato - Nascondermi tanta grazia e poi farmela vedere senza toccare...Adesso voglio fare sesso… -
- E hai anche il coraggio di dirmelo con tanta tranquillità?!?! Scordatelo!!! – Bordò, la poveretta si spinse con la sedia fino alla parete opposta.
- Quante storie…Tu almeno hai avuto il piacere di testare personalmente la mercanzia, non dovresti essere così restia -, borbottò mogio - Ah, tra parentesi: guarda che se anche ti allontani, lo vedo comunque lo scollo a V… -
- E tu voltati! – Più cercava di coprirsi con quella maglietta, più quella ce la metteva tutta per scivolarle giù dalle gambe – Che situazione… -
- Non lo dire a me… – Vector non sapeva se gioire o meno per l’aver scoperto che la sua ragazza vantava una certa fisicità o piangere per non avere la forza di sollevare nemmeno la testa.
 
Insomma, quale fottutissimo Dio poteva essersi concesso il lusso di creare tanta carineria incantevole e lasciarne trasparire il potenziale seducente con altrettanta spudorata innocenza?
Era a dir poco inconcepibile, di un’amorevolezza oltre la decenza umana, con quella maglia nera più grande di due taglie che le sfiorava metà coscia con l’orlo. E lui ce l’aveva a portata di tiro!
 
A forza di maledire e di maledirsi, i tamburi che saltellavano sul suo cervello si trasformarono in trapani. Perché accidenti quella dannata medicina non faceva effetto?!? Che qualcuno da lassù si stesse veramente adoperando per impedirgli di saltare addosso alla ragazza? Poteva essere, sì, e aveva già una mezza idea su chi volgere tutti i suoi sospetti. Astral avrebbe fatto meglio a guardarsi le spalle.
 
- Ti senti ancora tanto male? – La mano di Yuna tornò ad adagiarsi sulla sua fronte, come se gli ultimi dieci secondi non fossero esistiti.
- Mi rimbomba la testa -, mugugnò.
- E’ perché ti sei agitato, devi dare tempo alla medicina di entrare in circolo. –
- Colpa tua –, borbottò imbronciato.
- Sì, come preferisci. Vuoi dell’acqua? –
- No. Cantami una ninna nanna. –
- Adesso non ricominciare con i capricci -, lo rimbeccò lei.
- Allora, vieni qui sotto come. Ho tanto freddo. –
- Il massimo che avrai da me è una coperta. – Figurarsi, se, dopo quanto le aveva detto, avrebbe messo piede lì dentro.
- E il mio bacino della buonanotte? –
- Ma tu non ti arrendi mai? –
- Non l’hai fatto tu con me, non vedo perché io debba farlo con te. –
 
Doveva sempre avere l’ultima parola, in tutte le circostanze, giuste o sbagliate che fossero, e con la giornata avviatasi verso la fine, combattere contro tanta innata cocciutaggine non aveva senso. Poteva aspettare che la lavatrice finisse di pulirle gli abiti, buttarli nell’asciugatore e così liberarsi della scomoda quanto imbarazzante inadeguatezza che lo stare a gambe scoperte stava sortendo, oppure azzardare una seconda incursione nei cassetti di Rei e tentare di recuperare un paio di pantaloni. Qualsiasi cosa le permettesse di uscire da quelle mura con un minimo di indennità mentale scampata miracolosamente a quel delirio senza fine.
 
Ma non sarebbe cambiato niente. Ci era già dentro da molto prima che decidesse di venire lì, dal giorno esatto in cui lo aveva conosciuto, ignara dell’Inferno che le avrebbe fatto passare, e ancora non aveva idea di cosa si trattasse. Sapeva soltanto di non potersene liberare, le impediva di porre un velo fra il suo sguardo e quello di Rei, di essere immune alla sua voce, alle sue suppliche, ai suoi baci, a ogni dettaglio che faceva di lui quella persona a cui lei soltanto era concesso il privilegio di chiamarlo col nome usato per ingannarla. A lui non riusciva di provare quel sentimento, quell’amore, senza ferirlo un po’, era fatto così; doveva, per forza di cose, tastarlo periodicamente, metterlo alla prova, per accertarsi che non si trattasse di un fantoccio riempito di bugie. Superficialità e arroganza erano maschere di fragile piacere col quale si era intestardito a riempire il vuoto dentro di sé senza nemmeno chiedersi se ciò lo avrebbe spinto anche a negarsi quel che invece avrebbe potuto guarirne le ultime ferite. La cosa assurda, era che lei lo lasciava fare. Interveniva alla fine, quand’era sicura che non avesse più forze per tenerla fuori da qualsiasi sua convinzione implicante l’auto-distruggersi.
 
Pretendere di capire cosa passasse per la sua mente non era mai stata una priorità; soltanto, aveva immaginato che a quel perfido bambino capriccioso non fosse mai stata rivolta una sola briciola di tenerezza. Non una carezza, qualcuno che lo facesse sentire amato, protetto; dei genitori che gli dessero il bentornato a casa, che lo curassero quand’era malato, che lo coccolassero o lo viziassero. Una simile mancanza non le era estranea, avendo vissuto per anni col timore che Tou-san e Kaa-chan fossero morti, ma come era accorsa in aiuto di persone ora diventati parte integranti della sua famiglia, desiderava che anche Rei si sentisse altrettanto felice. Il problema era coglierne in contropiede l’ego megalomane e c’era soltanto un modo per riuscirci: ripagarne l’orgoglio pungente con la stessa moneta.
 
- Che combini? -
 
Non stette lì a chiedergli di farle spazio o a pensare quanto quel suo contrattacco le avrebbe accorciato la vita - se ci rifletteva sopra rischiava di tornare al punto di partenza -: si infilò sotto quell’antro soffice e caldo che subito giovò alle sue gambe gelate e ai piedi intirizziti, stringendo con la sua mano quella del ragazzo.
 
- Se ti avvicini, giuro che ti prendo a calci -, sottolineò - Fa la nanna, adesso. –
 
Seppe quasi di ordine materno e il piccolo bacio che Rei ricevette sulla fronte lo ammutolì senza che il pompare martellante alla testa lo infastidisse.
Improvvisamente, era distrutto, le mani arrosate come se avesse scavato nella pietra a mani nude e un indolenzimento generale a permearne i muscoli disidratati. Aveva corso? No, solo lottato con un materasso che, a detta sua, era stato riempito di chiodi e contro delle coperte a ingabbiarne gli arti in cerca della giusta posizione. Sentirsi costretto in uno spazio ne incanalava lo spirito in una rabbia che tutto faceva apparire maledettamente piccolo e opprimente, compresso, in confronto alle sue esigenze di libertà che ancora consideravano l’Universo come sola forma di spazio accettabile.
 
Non avrebbe mai immaginato di desiderare l’esatto contrario, averlo a portata di mano e rischiare un danno permanente ai gioielli di famiglia solo per poterlo stringere a sé.
 
- E-Ehi! Che credi di fare?!? – Yuna era già balzata a bordo del letto quando, a impedirle la caduta rovinosa, fu lo stesso braccio da cui aveva cercato di allontanarsi.
- Lo sapevo. Sei gelida -, costatò atono - Se non ci penso io a te, finisce che mi diventi un cubetto di ghiaccio. Pazza. –
- N-Non sono io quella che ha bisogno di cure… -, balbettò corrucciata lei.
- Lo sarai, se continui ad andare in giro mezza nuda. –
- Come se l’avessi voluto. Ti devo ricordare cos’è successo ai miei vestiti? - Si permetteva pure di farle la ramanzina, il signorino!
 
Yuna cercò di nascondere la testa, di un colore fumante che avrebbe accecato chiunque.
Era bloccata, letteralmente, e l’avere le gambe e le braccia di Rei attorcigliati addosso, in una morsa che giusto le concedeva la corretta circolazione sanguigna, non l’aiutò a sentirsi meglio, quando, a coronare il tutto, il furbastro si concesse la libertà di appoggiare la propria testa sul suo torace.

- Tu…Tu guarda questo…! – Si morse il labbro tirandolo all’inverosimile, lasciandolo andare sospirante dopo dieci secondi abbondanti.
 
Con tutte le occasioni sfumate per gonfiargli le orecchie di urla e lasciarlo agonizzante al suo destino, non aveva più la forza di alterarsi dignitosamente. Nemmeno se lo scrollò di dosso, sentendone il respiro pesante aver trovato un po’ di tranquillità nel suo abbraccio.
 
- Sei proprio dispettoso -, mormorò dolcemente, ritrovandosi capace di carezzarne la chioma color mandarino che le solleticava il naso.
 
Ma Rei già non la sentiva più. Lasciatosi cullare dal morbido contatto, ci era sprofondato dentro senza alcuna resistenza, lento, con l’eco di quella frase a rassicurarlo da ogni sorta di incubo impronunciabile. 

Pace. Si era ritrovato a chiederla senza esserne cosciente, frustrato dal suo riflesso sporco che non era mai stato capace di coltivare qualcosa che non fosse malato o avvelenato dall’ossessione. A che serviva vivere da comune essere umano, se, camminando, gli sembrava che gli altri ne guardassero soltanto i fili spezzati ancora attaccati al suo corpo? Rotto. Ecco come si percepiva d’innanzi a occhi altrui, cosa vedeva in chi faceva parte della sua rinnovata esistenza: un’immagine distorta da cui traspariva ancora una flebile scintilla di malignità purosangue. Aveva fatto del male, molto, e a sua volta gliene era stato fatto, ma non perciò voleva essere trattato come una tragedia, riparato da ciò che aveva commesso; era stato lui a colpire chiunque gli fosse d’intralcio, opera sua. L’ha fatto intenzionalmente, con gusto maniacale, senza rimorsi, mentre lei…L’aveva semplicemente accettato.
 
E per questo, si era scoperto di amarla sinceramente e di non avere poi tutto quell’ardore nel volerla trascinare giù con lui negli Inferi, pur di vincere.




- Cosa stai guardando, Rio? –
 
Arito si avvicinò all’amica, incuriosito dalla protratta immobilità di lei davanti alla finestra del salone. Da almeno una buona mezz’ora, la ragazza non faceva che guardare oltre la grande vetrata con le braccia conserte e le iridi screziate di rosa concentrate su qualcosa che, nella sua totale e indiscutibile idiozia, era riuscita ad attirarne l’attenzione. 
L’Indomito Pugile, aggregatosi, non poté che esprimere il proprio stupore aggrottando la fronte e le sopracciglia. Il cielo era coperto da un manto grigio scuro gonfio di pioggia pronta a essere lanciata su Heartland City. Vento e rombi di fulmini nascosti fra le nuvole ne annunciavano il funesto arrivo, momento che Vector attendeva impazientemente col piede destro a tamburellare sull’erba.
 
- Che fa, quell’idiota? Vuole ancora ammalarsi? – Arito si grattò la chioma marrone, inclinando la testa.
Uomini… - Rio sospirò, scoccando un’occhiata delusa al compagno.

Il leggere dietro le righe era un ragionamento troppo complicato per il castano, nonostante si vantasse di avere dalla sua un’infinita gamma di stratagemmi per conquistare il gentil sesso, ma era risaputo che nelle faccende sentimentali le donne avesse molto più tatto e intuito nel captare la presenza di un qualche sotterfugio.
L’ex-Bariano dai capelli arancioni aveva decisamente in mente qualcosa per starsene a torso scoperto in giardino e a Rio non occorreva spremere le meningi in inutili ragionamenti per capire che l’insultare la pigrizia della pioggia avesse a che fare con Yuna. Trovare i suoi vestiti in lavanderia aveva dato il via a un terzo grado spietato e senza esclusione di domande specifiche, conclusosi con un resoconto dettagliato da cui l’antica Imperatrice del Ghiaccio aveva estrapolato un risultato ora più vicino ad assomigliare a un campanello d’allarme.
 
Quel bastardo se ne era approfittato.
 
Doveva solo ringraziare quella maledetta buona stella che splendeva sulla sua capoccia se nessuno di loro era entrato a vedere come stava, dopo essere tornati dal Luna Park; la faccenda era rimasta segreta per pietà di quella poverella vistasi costretta ad attraversare un firmamento di vergognosa agonia dal climax crescente, ma se quel maniaco pensava di ripetere l’atto con tanto di scena madre perfezionata per la propria gioia personale, si sbagliava di grosso, non fintanto che c’era lei decisa a vestire i panni della prode paladina.
 
Forse era il caso che per un po’ di tempo, la cara Yuna fosse andata a stare altrove, magari in un luogo tranquillo e isolato.
Chissà se c’era vita in un buco nero…




Note di fine capitolo:
E siamo giunti alla fine! La Negative ha trionfato, sebbene, forse, questa sia più una Positive, considerato il taglio alla follia omicida di Vector, ma considerato quanto abbia reso adorabile qui il caro Rei/Vector, ho voluto mantenere il nome della coppia sancita all’inizio di questo progetto. E’ stata una faticaccia, sotto tutti i punti di vista, e ammetto che inizialmente avevo intenzione di concludere con un Bad Ending, ma alla fine ho finito per scrivere questo capitoletto che fa presagire che, anche da umano, Vector è e rimarrà comunque una bestia. E Yuma in versione femminile penso di averlo torturato più che a sufficienza (o forse no, ih ih…). Mi spiace di avervi fatto aspettare tanto, non era mia intenzione prolungarmi a tal punto, ma per le solite motivazioni, io finisco sempre per arrivare più tardi di quanto prometta. Non so come ringraziare tutte le persone carinissime che mi hanno recensito e seguito con entusiasmo, mi avete reso felicissima, sul serio e spero di aver fatto altrettanto con questa mini-raccolta. Non mi dispiacerebbe scrivere ancora su questo random, forse lo farò, ma se qualcuno volesse vedere qualcosa di specifico, può sempre avanzare una richiesta, mi farebbe piacere accontentare qualcuno di voi ^^. Un bacione a tutti quanti e grazie di cuore ancora una volta!
 
 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL / Vai alla pagina dell'autore: KH4