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Autore: GretaCrazyWriter    28/10/2014    4 recensioni
Mia prima storia Malec. Parla di Magnus e Alec, le stesse persone che conosciamo, ma l'universo non è più quello creato dalla Clare.
E' una Malec!Sherlock (e intendo la serie tv), con Magnus come Sherlock ed Alec come John.
In pratica, è la rivisitazione della serie tv in versione Malec (con qualche piccolo - o grande - accorgimento per adattarlo alla Malec).
Può essere letta da chiunque, ovviamente.
Spero che vi piaccia.
Genere: Angst, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Uno studio in rosa
Capitolo 5
 
 
Alec camminava per il marciapiede (era appena entrato in una strada affollata), ignorando le persone che gli passavano a fianco, perso tra i propri pensieri. Non poteva togliersi dalla testa le parole di Donovan, perché anche se razionalmente non riusciva a crederci, non potevano fare a meno di farlo dubitare della propria sicurezza. In fondo, lui che ne sapeva di Magnus? L’aveva anche ammesso, parlando con Donovan: l’aveva appena incontrato, non poteva sapere cosa si celasse dietro quella mente geniale.
Stava passando davanti ad una cabina telefonica vecchio stile quando sentì uno squillo. All’inizio, credette si trattasse del proprio cellulare, e fece per prenderlo, quando si rese conto che proveniva proprio dalla cabina telefonica a fianco a sé. Si bloccò. C’era qualcosa che non andava, e solo dopo un attimo capì cosa: le cabine telefoniche non squillano a caso. Non gli ci volle molto per decidere cosa fare. La curiosità vinse contro tutte le altre emozioni contrastanti, e lui, un po’ a fatica per via del bastone, entrò nel piccolo abitacolo, per poi alzare la cornetta.
«Pronto?» chiese.
Ci fu un attimo di silenzio, poi una voce del tutto sconosciuta parlò. «C’è una telecamera di sicurezza sull’edificio alla sua sinistra. Riesce a vederla?» Alec, smarrito, spostò lo sguardo dove gli era stato indicato e, in alto, nascosta dietro vari cartelloni troppo vicini, nelle pieghe del muro, la vide. 
Si riscosse velocemente dallo stupore. «Chi è?» domandò.
L’uomo – perché dalla voce doveva essere un uomo – dall’altra parte della linea non rispose. «Vede la telecamera, dottor Lightwood
Alec respirò profondamente, valutando le proprie opzioni. Avrebbe potuto appendere, o mollare la cornetta lì, ma in qualche modo seppe che non avrebbe funzionato per liberarsi del suo interlocutore. «Sì.» disse con tono restio, puntando gli occhi sul’apparecchio che aveva precedentemente notato. «La vedo.»
La voce continuò. «Guardi: c’è unì’altra telecamera sull’edificio di fronte a lei, riesce a vederla?» Alec deglutì, spostando lo sguardo e posandolo sulla seconda telecamera. «E ancora una.» proseguì l’altro senza attendere risposta. «Sull’edificio alla sua destra.» Di nuovo, Alec spostò lo sguardo e la vide. Nel frattempo una macchina aveva parcheggiato lungo il marciapiede. Era nera e lucida, ed un uomo vestito di scuro ne uscì. Non ebbe nemmeno il tempo di dire o chiedere niente che l’altro uomo al di là del telefono disse: «Entri nella macchina, dottor Lightwood. Normalmente potrei minacciarla.» Una pausa. «Ma confido che lei capisca in che situazione si trovi.» E con questo gli appese. Il tizio vestito di scuro lanciò un’occhiata ad Alec, poi gli aprì la portiera dell’auto con un gesto elegante.
Alec ripose con calma il telefono al proprio posto, per cercare di prendere tempo. Si sentiva la gola secca. Avrebbe voluto scappare, ma c’era qualcosa di intrinsecamente minaccioso nella voce che gli aveva appena parlato. Sapeva, intuiva, che non poteva fuggire. Prese un respiro profondo, buttò fuori tutta l’aria che aveva trattenuto, ed entrò nella macchina.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Dentro, c’era una donna sulla trentina, dai lunghi capelli biondo chiaro e la carnagione che alla luce della città fuori sembrava quasi di un colore azzurrato. Gli rivolse uno sguardo obliquo mentre si sedeva a fianco a lei e con voce tranquilla disse: «Si metta comodo. Sarà un lungo viaggio.»
Ci volle quasi mezz’ora prima di arrivare a destinazione. Era un complesso di edifici abbandonati, tra cui un grande parcheggio coperto, di quelli ormai usati come magazzini, vicino al quale parcheggiò l’auto che portava Alec. Quest’ultimo scese lentamente, osservando l’uomo che, in piedi al centro dello spazio chiuso, ricambiava il suo sguardo. Non poteva avere molti anni più di lui, ma era difficile dirlo con esattezza. Aveva capelli brizzolati e occhi di un verde tenue, la pelle di un colorito olivastro. Indossava un completo nero elegante, e si appoggiava con un braccio sullo schienale di una sedia in legno.
Gli sorrise, alzandosi e facendo un cenno con la mano verso la sedia. «Si sieda, Alexander.»
Lui si rifiutò di obbedire e gli si avvicinò, cercando di non mostrare il timore che sentiva strisciare in lui. «Sa,» fece. «Ho un cellulare. Avrebbe potuto chiamarmi con quello e dirmi di venire qui. Non che non sia stato un trucco ingegnoso, questo.» Lui stesso percepiva l’acidità del proprio tono.
«Quando si tenta di non essere notati da Magnus Bane…» disse l’uomo misterioso. «… si impara ad essere discreti. Ecco perché ci troviamo qui.» Inclinò il capo, osservandolo. «La gamba deve farle male. Si sieda.» disse, indicando di nuovo la sedia con un gesto elegante che ad Alec ricordò qualcosa di già visto. Ma non ricordava cosa.
«Non voglio sedermi.» ribatté con voce dura.
L’altro rise. «Non sembra molto spaventoso.» disse, divertito.
Alec serrò la mascella. «Nemmeno lei lo sembra.»
«Sì…» disse l’altro, smettendo di ridacchiare e fissandolo con un sorriso canzonatorio. «Il coraggio del soldato. “Coraggio” è il sinonimo più gentile di “stupidità”, non crede?» Fece una pausa, e non stava più sorridendo. «Com’è legato a Magnus Bane?» chiese.
«Non siamo legati.» disse Alec, sorpreso della piega che avevano preso gli eventi. «Ci siamo conosciuti ieri.»
«E da ieri è andato a vivere con lui e ora risolvete casi insieme. Crede che per il fine settimana sarete già una felice coppietta?»
Alec dovette inclinare il capo all’indietro per fissarlo, ora che gli si era avvicinato. «Lei chi è?» chiese.
«Una parte interessata.» fu la risposta.
«Interessata a Magnus? Perché? Immagino che non siate amici…»
«Lo conosce.» disse l’altro con semplicità. «Quanti amici crede che abbia?» Attese un attimo prima di proseguire, come aspettandosi che Alec parlasse, ma quando non lo fece, proseguì. «Sono la cosa di più simile ad un amico che Magnus Bane potrà mai avere.»
«E cioè?»
«Un nemico.» L’uomo lo fissò negli occhi per qualche istante, come soppesando le proprie parole.
Alec si sentiva un groppo in gola. In che diavolo di situazione si era cacciato?  «Un nemico?» chiese.
«Nella sua testa è sicuramente così.» Fece un leggero sorriso. «Se dovesse chiedere a lui, probabilmente direbbe che sono il suo acerrimo nemico. Gli piace un sacco fare il drammatico.»
«Beh,» disse Alec sarcastico. «Sicuramente lei è superiore.» Proprio in quel momento, la suoneria del proprio cellulare partì. Dopo un attimo di esitazione, lo afferrò, aprendo il nuovo messaggio.
 
BAKER STREET. VIENI IMMEDIATAMENTE, SE PUOI. MB
 
Si chiese cosa avesse di tanto urgente Magnus. Aveva forse scoperto qualcosa sui suicidi?
«Ha intenzione di portare avanti il suo rapporto con Magnus Bane?» chiese l’uomo davanti a lui, interrompendo i suoi pensieri.
Rinfilò il telefono in tasca e tornò a guardarlo. «Magari mi sbaglio,» disse. «Ma credo che non siano affari suoi.»
«Potrebbero esserlo.» L’altro inclinò il capo, ed estrasse dalla tasca interna della propria giacca un taccuino, aprendolo. «Se decidesse di trasferirsi davvero al 221B di Baker Street sarei felice di donarle regolarmente una cospicua somma di denaro regolarmente, per facilitarle le cose.»
«Perché?»
«Perché lei non è un uomo ricco.» Il tono era quello arrogante di chi era perfettamente sicuro di sé e del proprio successo.
«In cambio di cosa?» chiese Alec esitante.
«Informazioni.» rispose l’uomo. Scosse la testa davanti all’espressione di Alec. «Nulla di indiscreto, nulla che la farebbe sentire a disagio. Mi dica solo cosa ha in mente.»
Deglutì. «Perché?» ripeté. Non ci vedeva chiaro in quella faccenda, e non gli piaceva.
«Mi preoccupo per lui. Costantemente. Tuttavia,» continuò. «preferirei per varie ragioni che la mia preoccupazione restasse confidenziale. Noi due abbiamo quella che si potrebbe definire…» Si guardò intorno quasi in cerca di ispirazione. «una relazione complicata.»
Il cellulare di Alec squillò di nuovo, interrompendolo, e l’uomo gli fece un cenno, come invitandolo a rispondere.
 
SE NON TI E’ POSSIBILE, VIENI LO STESSO. MB
 
Alzò lo sguardo dallo schermo, e finalmente rispose. «No.» disse secco.
«Non le ho ancora detto la cifra.»
«Non si disturbi.» lo interruppe Alec, gelido.
«Lei è molto leale.» Sembrava divertito, e ciò non fece che irritare l’altro. «E in così breve tempo.»
«Non lo sono.» rispose lui. «Semplicemente non mi interessa.»
L’uomo gli rivolse uno sguardo che turbò Alec. Non gli piaceva. Estrasse di nuovo il taccuino, e lo aprì ad una delle prime pagine. Erano ricoperte da una calligrafia elegante e ordinata. «Qui c’è scritto “problemi di fiducia”.» disse. «E lei, tra tutti, ha deciso di fidarsi di Magnus Bane
Quelle parole richiamarono in Alec qualcosa di già sentito… “Stia alla larga da Magnus Bane.”, aveva detto Donovan. «Chi dice che mi fido di lui?» chiese. Ma proprio mentre lo diceva, seppe di star mentendo. La verità era che, per qualche strano motivo, si fidava di Magnus.
«Non sembra uno che faccia amicizia facilmente.»
Alec lo interruppe bruscamente. «Abbiamo finito?»
L’altro lo guardò intensamente. «Me lo dica lei.» disse, lentamente.
Lui non rispose. Si limitò a fare un cenno di saluto e a voltarsi per andarsene. Non era nemmeno a metà strada quando l’uomo lo fermò. «Immagino che l’abbiano già avvertita di stare alla larga da lui. Ma a giudicare dalla sua mano sinistra, vedo che non ha intenzione di farlo.»
Alec si bloccò e si voltò, provando un vago senso di stupore. «La mia… cosa
«Me la faccia vedere.» Gli si avvicinò prendendogliela senza attendere risposta. Alec si irrigidì, ma non si ritrasse. «Notevole.» annuì tra sé dopo un po’ l’uomo, lasciandogliela andare. «Molte persone vagano per questa città,» disse. «non vedendo altro che strade, auto e negozi. Quando lei cammina con Magnus Bane vede il campo di battaglia. E lei lo ha già visto, non è vero?»
«Cos’ha che non va la mia mano?» chiese Alec, accigliandosi.
Lui fece un sorrisetto. «Lei ha un tremore alla mano sinistra.» spiegò. «La sua terapeuta ritiene che si tratti di una sindrome post-traumatica da stress. Crede che lei sia tormentato dal ricordo della sua vita militare. Beh, la licenzi. La verità è l’esatto contrario. In questo momento è sotto stress, e la sua mano non trema per niente. Lei non è tormentato dalla guerra, dottor Lightwood. A lei manca la guerra. Bentornato.» E con queste parole, si voltò, incamminandosi verso la strada affollata. «E’ tempo di decidere da che fronte stare, Alec.» disse, poi sparì dalla sua vista.
 
 
 
***
 
 
 
Per tornare a casa – era strano come si fosse già abituato a definire Baker Street “casa” – Alec dovette prendere un taxi. Non ci mise tanto quanto aveva pensato, ma fu comunque troppo tempo. Tempo che avrebbe preferito non impiegare a spremersi le meningi fino a farsi venire l’emicrania per capire chi diavolo fosse l’individuo con cui aveva appena parlato.
Lei non è tormentato dalla guerra. A lei manca la guerra. Bentornato.
Quelle parole continuavano a perseguitarlo, tanto che all’ultimo minuto chiese al tassista di dirigersi verso il suo vecchio appartamento. Arrivato lì, non ci mise molto a trovare ciò che cercava. Da un cassetto della scrivania tirò fuori un revolver ancora carico. Se lo infilò nella tasca del giubbotto, poi rientrò nel taxi.
 
 
 
***
 
 
 
Quando Alec rientrò, trovò Magnus steso sul divano a fissare il soffitto con sguardo perso. Si era tolto la giacca, ed ora indossava solo una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti e jeans scuri.
«Ho bisogno di fumare.» disse come saluto. «Ma purtroppo di questi tempi, a Londra, è impossibile permettersi il vizio del fumo. Una vera sfortuna per il cervello.»
«Una vera fortuna per i polmoni.» ribatté Alec, avvicinandoglisi.
«Oh, i polmoni!» sbuffò Magnus, e rotolò a pancia in giù, per fissare il coinquilino con i suoi occhi felini. «Respirare è noioso.» Si risistemò come prima, e unì le mani davanti al viso, chiudendo gli occhi.
Alec si rese conto solo dopo qualche minuto di silenzio che lo stava ancora fissando, e distolse lo sguardo arrossendo.  «Perché mi ha chiamato?» chiese. «Deve essere importante.»
Lui parve ridestarsi all’improvviso. «Oh, sì, certo.» disse, aprendo di scatto gli occhi. «Può prestarmi la penna?»
«La… penna
«Non trovo la mia.» spiegò, senza accennare ad alzarsi, ma inclinando il capo per guardarlo di traverso. «L’ho cercata, ma non la trovo.»
«Poteva chiedere a Tessa.» disse Alec debolmente.
«E’ di sotto.» rispose lui.  «Ho provato ad urlare, ma non è venuta.»
«Io ero dall’altra parte di Londra!» sbottò Alec.
«Non fa niente,» Magnus scrollò le spalle. «Non avevo fretta. E mi serve anche il cellulare. Non uso il mio, potrebbero riconoscerlo.»
Alec scosse la testa, già esasperato. Estrasse dalla tasca una penna ed il cellulare, e glieli porse. Lui li afferrò, senza accennare a ringraziarlo.
«E’ solo a questo che devo il viaggio? Il suo viaggio?» mormorò Magnus tra sé.
L’altro si voltò verso di lui, perplesso. «Il “suo” viaggio? Il viaggio di chi?» chiese.
«La sua valigia, ovvio.» rispose lui. «L’ho trovata.»
Alec prese un profondo respiro, tentando di calmarsi. Il suo perenne tono ovvio iniziava ad urtargli i nervi in un modo impossibile. «Okay,» disse. «Ha trovato la valigia. E allora?»
«E’ inutile.» Magnus continuò con i propri ragionamenti ad alta voce, ignorandolo. «Non c’è altro modo. Dobbiamo rischiare.» Si rivolse ad Alec. «Sulla mia scrivania c’è un numero. Voglio che lei mandi un messaggio.» Gli restituì il cellulare che Alec prese con stizza
«Mi ha fatto venire qui,» disse. «per farmi mandare un messaggio
«Un messaggio,» annuì l’altro. «Il numero è sulla scrivania.»
Alec scosse la testa, e non rispose, mentre i pensieri tornavano allo strano uomo che aveva incontrato.
«Che c’è?» chiese Magnus.
«Ho appena conosciuto un suo amico.» disse lentamente.
«Un amico?» Il tono era incuriosito. «Un nemico.» lo corresse. «Quale?» Lo chiese con così tanta nonchalance da scioccare l’altro. Come se nella vita quotidiana fosse normalissimo avere più di un nemico, o anche semplicemente averne uno. Ma ormai Alec aveva capito che in Magnus Bane non c’era nulla di quotidiano.
«Beh,» fece. «Il suo acerrimo nemico, a quanto dice. Le persone normali hanno un acerrimo nemico?»
Magnus si voltò finalmente verso di lui e senza rispondergli chiese: «Le ha offerto del denaro per spiarmi?»
«Sì.»
«Ha accettato?»
«No.» disse Alec, aspettandosi per lo meno un “grazie”, che però non arrivò.
«Peccato,» disse Magnus, non sembrando né deluso né soddisfatto. «Potevamo dividerlo. Ci pensi meglio, la prossima volta.»
«Chi è?» chiese l’altro.
«L’uomo più pericoloso che lei abbia mai conosciuto. E… ora non è un mio problema.» Il suo tono divenne perentorio. «Sulla scrivania… il numero!»
Alec sospirò, rassegnato, ed afferrò il foglietto, cominciando a digitare il numero. Quando l’occhio gli cadde sul nome scarabocchiato sulla carta, però, si bloccò. «Jennifer Wilson.» disse, stupito. «Non era…? Aspetti.» Alzò lo sguardo sull’altro, ancora steso sul divano. «Non è la donna che è morta?»
«Sì, non è importante,» fece lui sbrigativo. «Digiti il numero.»
Alec riprese a digitare, sapendo che non avrebbe ottenuto delle risposte finché non avesse scritto quel maledetto messaggio. «Sta digitando?» chiese Magnus, senza guardarlo.
«Sì.»
«Ha finito?»
«Un attimo!» sbottò lui.
Magnus continuò imperterrito. «Digiti queste esatte parole: “Cosa è successo a Lauriston Gardens? Devo aver perso i sensi. Northumberland Street 22. Vieni, per favore.”» Si alzò di colpo, mentre Alec scriveva il messaggio, e si diresse con uno scatto verso un angolo della stanza. «Digiti e invii. Velocemente!» Afferrò un piccolo trolley rosa, trascinandolo verso la scrivania. Lo aprì proprio mentre Alec premeva l’invio.
Alec lo fissò per un attimo. «Quella è… la valigia della donna vestita di rosa.» disse, atono.
«Sì, lo è.» Magnus vi si sedette accanto. Poi alzò lo sguardo e colse l’espressione sul viso dell’altro. «Forse dovrei precisare che non l’ho uccisa io.» disse.
«Non l’ho mai pensato.» ribatté Alec, e non mentiva.
«Perché no?» Magnus sembrò quasi stupito.  «A fronte del messaggio appena spedito e del fatto che io abbia la valigia sembrerebbe la spiegazione più logica.»
Alec scosse piano la testa. «Di solito ritengono che l’assassino sia lei?» chiese. Sentì un pizzico di tristezza, pensando che quella mente geniale rimanesse così incompresa.
«Di solito, sì.» rispose Magnus. Salì con agilità sulla sedia, accovacciandovisi sopra, come un gatto.
«Okay…» Alec aggirò la valigia, sedendosi sulla poltrona davanti a Magnus. «Quindi?» incitò l’altro a spiegare.
«L’assassino deve averla portata in auto a Lsuriston Gardens. Se la valigia era nell’auto,può averla tenuta solo per sbaglio. Nessuno potrebbe girare con una valigia del genere senza attirare l’attenzione. In particolare un uomo, il che è statisticamente più probabile. Perciò ovviamente ha avuto l’impulso di sbarazzarsene. E non gli ci saranno voluti più di dieci minuti per rendersi conto dell’errore. Ho cercato in ogni vicolo a cinque minuti da Lauriston Gardens abbastanza grande da tenere un’auto e dove si potesse scaricare un oggetto voluminoso senza essere visti. Ci è voluta meno di un’ora per trovare il cassonetto giusto.»
«Tutto questo perché ha capito che la valigia doveva essere rosa?» chiese Alec incredulo.
«Beh, era ovvio che fosse rosa.»
«Perché non ci ho pensato?» disse Alec tra sé. Magnus faceva sempre sembrare tutto così dannatamente semplice…
«Perché è un idiota.» rispose lui. «Oh, non si offenda,» aggiunse, notando la sua occhiataccia. «Lo siete praticamente tutti.» Indicò la valigia.  «Ora osservi.» disse. «Vede cosa manca?» E, senza attendere risposta: «Il telefono. Dov’è il suo telefono? Non sul corpo, non sulla valigia. Sappiamo che l’aveva. Quello è il numero.» Fece un cenno verso la scrivania. «Ha appena spedito un messaggio. Aveva parecchi amanti, ed era prudente. Non lasciava mai il telefono a casa.»
«Perché ho appena spedito quel messaggio?» chiese Alec, dopo qualche attimo di silenzio.
«La domanda è,» disse Magnus, mettendosi seduto e fissandolo intensamente. «Dove si trova il suo telefono adesso?»
«Beh, potrebbe averlo perso…» tentò Alec.
«Certo. Oppure?»
Finalmente Alec capì dove volesse arrivare. «L’assassino…» mormorò. «Crede che il cellulare lo abbia l’assassino?»
Magnus annuì soddisfatto. «Forse,» disse. «se l’è dimenticato in macchina quando ha preso la valigia.»
«Magari lo ha preso per qualche motivo.» propose Alec.
«In ogni caso, l’assassino ha il cellulare.»
«Scusi…» lo interruppe Alec spalancando gli occhi. «Cosa diavolo stiamo facendo? Ho appena mandato un SMS ad un assassino? Perché?»
In quel momento, il suo telefono squillò. Lo sguardo  di entrambi si posò su di esso.
«Poche ore dalla sua ultima vittima,» disse Magnus. «ed ora riceve un SMS che poteva mandargli solo lei. Se qualcuno avesse trovato il telefono, avrebbe ignorato l’SMS. Ma l’assassino sarebbe andato nel panico.» Si alzò di scatto, iniziando a percorrere avanti ed indietro il salotto. Afferrò la giacca nera e se la infilò.
«Ne ha parlato con la polizia?» chiese Alec alzandosi a sua volta.
«Sono morte quattro persone,» rispose l’altro sbrigativo. «Non c’è tempo.»
«Allora perché sta parlando con me?»
«Tessa ha preso il mio teschio.» rispose Magnus.
«Quindi in pratica io sostituisco un teschio?» chiese Alec, non sapendo se ridere o arrabbiarsi. Perfetto, pensò. Ora il mio scopo nella vita è prendere le veci di un teschio.
«Si rilassi, sta andando benone.» Si infilò il giubbotto, e lo guardò con insistenza. «Beh?» disse.
«Beh cosa?» fece Alec, perplesso.
«Beh, potrebbe starsene semplicemente lì seduto a vedere la televisione.»
Alec si voltò di scatto verso di lui, sorpreso. «Vuole che venga con lei?»
«Mi piace la compagnia quando esco,» spiegò Magnus, scrollando le spalle. «E riesco a pensare meglio ad alta voce. Il teschio attira solo l’attenzione, quindi…» Si lego la sciarpa al collo. «Ci sono problemi?»
«Sì,» disse Alec, esitante. «Il sergente Donovan… ha detto che ti avrebbe eccitato tutto questo, che ti sarebbe piaciuto.»
Magnus fece un sorriso felino. «Ed io ho detto “pericoloso”,» disse. «Ed eccoti qui.»






ANGOLO AUTRICE:
Quindi... mi scuso in anticipo per il ritardo nell'aggioornamento, ma non sono riuscita a pubblicare prima.
Uhm... cos'abbiamo in questo capitolo? Magnus che vuole la penna di Alec, ovvio. Okay, tralasciando le mie fantasie erotiche sui Malec, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio chi mette tra le seguite/preferite/ricordate. Ringrazio specialmente _ F i r e _ che mi aiutasempre molto con i dettagli di questa storia.
Per darvi tempo di recensire questasettimana aggiornerò domenica, poi riprendo con gli aggiornamenti regolari il sabato.
Alla prossima


Greta
  
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