Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: Night_    29/10/2014    1 recensioni
Takeshi era un guerriero. Un distruttore senza patria e senza scrupoli. Quelle sillabe... quel nome le apparve a dimensioni piccole piccole nella sua testa, fra tantissimi altri scritti più grandi, in modo quasi ingombrante.
Eppure, anche se era così minuscolo, era il primo che i suoi occhi della mente leggevano all'istante – brillava.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il mio cuore è fatto di carta: scrivici quanto vuoi.

A Song.

 

 

 

 

 

 

 

L'impagabile sensazione

 

 

 

 

 

 

 

“Ti amo”.
Stavolta, poteva considerare la sua azione come un modo per schiarirsi le idee e non solo dare le spalle ad ogni cosa. Mentre sentiva quella parola* rimbombargli nelle orecchie e nella testa, correva in quella fitta foresta che circondava tutta la residenza Akawa e che quasi la opprimeva, la nascondeva. Correva, con i rami che picchiavano le gambe e sfrecciavano sulle parigine – salvava il viso per miracolo.
La testa, Dio se era nel pallone più totale. Offuscata.
Ti amo”.
E cos'era successo, dopo? Lei l'aveva guardato dritto dritto negli occhi, incosciente – senza parole. Boccheggiava, chiudeva e apriva le labbra, ma la voce era andata a nascondersi impaurita.
… impaurita? No. Non era impaurita. Ciò che sentiva ricolmarle il cuore era una strana sensazione, provata mai nei suoi sedici anni di vita, una percezione che le dava un nodo al gola – che la faceva sorridere. Mentre percorreva una strada senza meta, sollevava lo sguardo per incontrare quei raggi che illuminavano, fieri, che facevano capolino dalle chiome verde acceso di tutti quegli alberi.
Era davvero bello, lì – una natura che urlava di essere lì. «Ehi, dove stai fuggendo! Ehi!».
E quasi cadde, quando quella voce la colpì in pieno proprio dove non doveva – povero cuore massacrato – e la sorprendeva ancora una volta. Cavolo. Cavolo. Cavolo!
Non era pronta a guardare nessuno, figuriamoci il diretto interessato! E anche lui, non si sentiva in imbarazzo a rivolerle parole due minuti dopo averle detto--- … ah.
Ah.
«La smetti di... fuggire ogni... volta?», ansimava leggermente, mentre scostava con entrambe le mani i rami che gli finivano davanti. Aveva il viso un po' rosso – ma mai quanto la bella mezzosangue. Lei che era rossa. Lei sì che si confondeva col fiocco della divisa; cercava anche di nasconderlo, con il viso girato di profilo e le labbra storte in una smorfia di disappunto. Dannazione. Quella bellissima sensazione, la sentiva già come un vecchio ricordo, un qualcosa che le era passato davanti per mostrarsi in tutta la sua bellezza.
Yuki aveva capito, tutto qui.
«... pensi di rivolgermi la parola?», disse il moro, la schiena dritta e il palmo della mano destra sulla fronte. «Yuki. Non fare la bambina».
«Sparisci». Takeshi sussultò – oh. Riconosceva quel tono di voce gelido, capiva che quella era solo la punta della freddezza che poteva dimostrare: era parsimoniosa? No, certo che no... doveva esserci qualcos'altro che la spingeva ad essere ancora un po' “gentile”.
E poi--- “sparisci”.
Si morse il labbro inferiore, freneticamente, guardando un punto impreciso di Yuki stessa. «Non è molto carino sentirselo dire... dopo... una dichiaraz---».
«Vuoi che ti spedisca a casa tua a calci in cu--».
«Yuki Akawa, qual è il tuo problema con me?». Takeshi l'aveva interrotta, con lo sguardo, con la voce – con sé stesso. Doveva ascoltarlo. Ma lei stringeva i pugni e non era un buon segno. Li stringeva, perché se apriva le mani desiderava solo strozzarlo – prendere la sua gola fra le dita.
«Sei TU! Tu e le tue menzogne! Dovrei ucciderti qui, sul posto, ora! Tu, le tue dichiarazioni finte e i tuoi biglietti della malora!».
«Di cosa stai parlando?! Sei ammattita!».
«Ah, quindi il famigerato gentlemen fa il codardo e non ammette le proprie azioni! Il biglietto, punto!».
La verità era che non riuscivano ad incontrarsi; quasi fossero dei bradipi impigriti dalla vita, non avevano nessuna intenzione di percorrere quel tratto di strada che avrebbe fatto inesoraiblmenete incrociare le loro vite, le loro scelte.
Preferivano starsene così: con i pugni chiusi e l'anima a soqquadro.
«Immagino sia stato esilarante invitarmi lì! Immagino che non avessi niente di meglio da fare!». Urlava lei, urlava perché nel bosco non c'era nessuno. Ma le sue urla da sole non bastavano a spaventare quello sciocco umano che si era divertito così tanto a deriderla, a farle credere il meglioE lui non si capacitava di cosa stesse sentendo, non riusciva nemmeno a capire di cosa quella pazza isterica lo stesse accusando; biglietto? Quale biglietto? Quale invito?
Eppure, di tanto in tanto, l'aveva scorta, quell'adorabile e imbarazzante affinità – fra di loro, fra i loro sorrisi.
«E poi... per quale motivo, eh? Perché? Per farmi vedere come sei bravo a baciare? Non avevi di ché disturbarti. Me lo sentivo da sola. Oh, Takeshi, quanto ti odio!». 
Odio.
Amore.
Amicizia.
C'era qualcosa di importante, fra quelle cose? In quel momento – era palese un no.
«Idiota! Ti ho detto che non l'ho scritto io! E per l'amor di Dio, mi ha baciato lei!».
«E chi diavolo l'avrebbe scritto, allora?! Adesso vengo lì e ti stacco---».
E se Takeshi avesse detto un'altra cretinata delle sue, davvero che avrebbe usato le mani.
Davvero. Per questo, quando sentì quella voce – si sentì morire un po' dentro, subito dopo.
«Sono stato io».

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Ed eccolo lì, che si ergeva in tutta la sua imponenza – quel grande punto di domanda, accompagnato dal “perché”.
La voce era giunta alle sue spalle, passi felpati sull'erba e su vecchie foglie rimaste a marcire, sorprendendola, scuotendola all'interno. Takeshi fissava – a qualche metro di distanza da lei – con lo sguardo allibito e, allo stesso tempo, vagamente consapevole.
Lo sguardo di chi pensava: «Quindi era come pensavo». E rabbia.
Tanta rabbia.
Dalla prima volta che aveva incrociato il suo essere per strada, aveva capito che sarebbe stato un rapporto di odio e competizione, di rivalità insostenibile, di dolore e di paragoni – di sconfitte e vincite. I suoi capelli biondi vennero mossi appena dalla brezza pre estiva.
«Sono stato io, Yuki», ripeté.
«Tu... », boccheggiò, la mezzosangue, con le mani accaldate e aperte, con le palpebre che si chiudevano e aprivano in continuazione. Sentiva gli occhi dolerle. «Tetsuya... cosa vuol dire?».
Il vampiro chiuse gli occhi meccanicamente, inspirando dalle narici ed espirando dalla bocca pallida. «Che ho scritto io quel biglietto».
«E io, l'ho portato lì e poi baciato nel momento in cui sei arrivata».
Uno shock dopo l'altro. Ecco, un'altra apparizione dal nulla, proprio mentre Yuki e Takeshi cominciavano a capirci qualcosa – Hokori fece qualche passo per uscire da un gruppetto di alberi vicini l'un l'altro.
Yuki si rese conto che il suo livello di distrazione – in quel momento – era davvero alto, se non si era resa conto della presenza di quella ragazza; Yuki si rese conto di volerla uccidere nei modi più cruenti che i suoi poteri le permettevano; Yuki si rese conto che il suo migliore amico le aveva fatto un torto doloroso, molto doloroso.
«Perché?». Fu Takeshi a parlare, ad anticipare l'albina – lei lo guardò. Malinconica, dispiaciuta. Era sta un po'... affrettata, fra le tante cose. «Spero abbiate buoni motivi».
Hokori avanzò di altri centimetri, accorciando con cautela la distanza fra lei e i due ragazzi. Guardava le proprie punte dei piedi, così come Tetsuya. Quell'umana, era preoccupata della loro reazione? Ah, effettivamente, era più che giusto.
«Io sono una cacciatrice di creature sovrannaturali», spezzò il silenzio, guardandoli. «Una principiante, sia chiaro».
«Una... cacciatrice di creature sovrannaturali?», disse Takeshi in un sussurro esterrefatto. “Cacciatrice”.
Il resto della frase gli era chiara, ma una cacciatrice... ?
«Significa che mi sono allenata da quando avevo dieci anni nell'uccisione di creature non-umane ritenute pericolose», spiegò. La voce era apatica e, in lontananza, solo il sommesso rumore della macchine dava un po' di realtà a quella situazione fuori dal comune.
Silenziosamente, Takeshi non si capacitava di cosa stava vivendo.
Una vampiro, una cacciatrice di creature sovrannaturali, una mezzosangue e poi c'era lui, un semplicissimo umano dal bel viso.
E ora, perché si trovava lì? Giusto.
Perché si era innamorato di quella mezzosangue, si ricordava il giorno in cui l'aveva incontrata come se fosse ieri; la sua camminata fiera e composta, i suoi capelli liberi e fulgidi, i suoi occhi ornati da ciglia nerissime, il suo raro e vero sorriso fare capolino dalle solite espressioni imbronciate. Il suo modo di prendersi cura di Sayumi e come la proteggeva, con occhiatacce, con abbracci possessivi – e buffi. La sua voce alta e viva. «Sei qui per me?».
«Più o meno, Akawa».
Era strano come l'albina non avesse pensato nemmeno per un'istante che si trattasse di Tetsuya. Sembrava completamente certa che lui fosse inoffensivo o... che lei fosse ritenuta un pericolo.
«Cosa significa?», incalzò Yuki, i pugni stretti – di nuovo... ma per un'altra ragione e un altro ragazzo. Hokori una cacciatrice... talmente giovane e già le sue mani erano state macchiate di sangue. L'interessata sollevò lo sguardo da loro per spostarlo in quello sfuggente di Tetsuya, rivolgendogli un sorriso sornione.
«La tua famiglia, Akawa, la tua famiglia. Mi hanno contattata e... chiesto un piccolo favore», stava tergiversando o cosa? «proprio su di te. Ti hanno scoperta, Akawa: hanno scoperto di te e questo ragazzo». E indicò Takeshi con il mento.
La famiglia di Yuki avrebbe- ma non aveva senso, soprattutto perché tra i due – sfortunatamente – non c'era nulla. Niente che potesse considerarsi... decente.
«Di cosa stai parlando?», chiese Takeshi, puntando gli occhi scuri e gravi sul vampiro biondo – non accennava una parola, una mossa. Era come una statua di sale.
Si comportava sempre così, quel tizio, come uno specchio neanche in grado di riflettere. E Hokori sospirò, nel suo solito modo di fare teatrale, battendo le palpebre come se non si capacitasse di ciò che avesse davanti. «Quello che ho detto... la famiglia della tua cara albina mezzosangue ha scoperto i sentimenti che provate l'un l'altra. In che lingua devo dirvelo?».
Silenzio.
E tanto per cambiare, shock.
Sentimenti che provavano l'un per l'altra?
Assurdo. Proprio poco fa, lei gli aveva urlato di odiarlo – quella ragazza si stava sbagliando, decisamente.
«Guarda che---», e Takeshi si fermò. Oh, accidenti. Yuki era, se possibile, addirittura più rossa di prima: stava avviandosi per il porpora. Oh, accidenti!
Stringeva le labbra in una linea stretta e impenetrabile e teneva gli occhi spalancati ma distanti, non osava incontrare lo sguardo di nessuno – se non quello di Hokori. La guardò, corrucciò la fronte scarlatta. La maledì col pensiero.
«... e-eccola, la mentecatta più grande del mondo. Mi dispiace che tu sia salita al primo posto e abbia spodestato Take--- Katugawa, peccato... ».
«Yuki». Era arrivata a tre infarti? Ah, no, quattro! Quello era il quarto: Tetsuya che riprendeva l'uso della parola e la usava per chiamare il suo nome. “Yuki” - con un tono che nemmeno riconosceva. Lo stesso tono apatico delle macchine da guerra.
«Yamashita è stata chiamata qui dalla tua famiglia per tenerti d'occhio. Per... ». Tetsuya guardò il moro.
«... per lui?», sussurrò, la voce spezzata, Yuki. Aprì le labbra e puntò anche lei lo sguardo sull'umano. Chiuse gli occhi, li strizzò, sperando che quando li avrebbe riaperti – tutto un sogno, svanito come nebbia e fumo. «Vi ripeto che non c'è niente. Niente».
«Fatto stà», Hokori alzò le spalle. «che gli Akawa mi hanno chiamata. Nella fattispecie, tuo padre».
Quello là?, pensò l'albina, sgranando ancora una volta i grandi occhi oro. Suo padre aveva deciso di interferire nella sua vita, in tutti gli ambiti, all'improvviso? Senza darle nemmeno un qualche tipo di avviso, niente di niente, aveva semplicemente agito.
«E non hanno chiamato solo me», aggiunse la cacciatrice. «Anche... ».
Allora, Yuki si concentrò su Hokori e sulla direzione delle sue occhiate. Si sentì gli occhi pieni di lacrime. Si sentì tradita; quella persona che l'aveva rassicurata, che le aveva detto molte, troppe volte, quanto fosse coraggiosa, quanto dovesse credere in sé stessa; la persona che considerava parte di sé: l'aveva tradita.
Tetsuya Tanigawa l'aveva tradita.
«Dovevamo, io e lui, come dire... allontanarvi. Non dovevate più provare niente. Non dovevate vedervi, sentirvi. Tornare alle vostre vite, separatamente».
Yuki strinse i pugni e chinò il viso in avanti. Sentiva Hokori, era certa che lei la stesse osservando, e chissà, se la rideva anche! Era divertente, immaginava l'albina, mentre le unghie si conficcavano nei palmi bianchi.
Dannazi--, e i pensieri della mezzosangue sentirono un forte tonfo. O meglio, le sue orecchie.
Il tonfo di qualcosa di particolarmente forte che colpisce qualcos'altro, un viso forse – un colpo abbastanza violento da spingere via. Alzò di scatto il viso, in tempo per vedere Tetsuya indietreggiare contro un tronco per un pugno.
Takeshi agitava la mano destra, le nocche leggermente arrossate. «E voi vi siete immischiati nelle nostre vite. Avete obbedito come bravi cani quali siete e siete venuti qui, ad allontanare due persone che, fino a prova contraria, non avevano niente contro di voi. Non vi è importato di niente. L'importante era portare a termine la vostra missione, vero?». Un respiro. Lungo e pregno di pesanti sensazioni.
«Andate al Diavolo».

 

 

 

 

***


 

 

 

Avevano parlato.
Avevano parlato per forse un'ora, se non di più. Era stato un discorso lungo, doloroso e gremito di verità che l'albina stentava a voler credere. Tetsuya era restato immobile ai piedi di un albero, seduto, quasi fosse in punizione – la guancia solo leggermente rosea: Hokori spiegava e Yuki e Takeshi ascoltavano.
La cacciatrice riusciva a mantenere un tono fermo per puro miracolo – a volte, si incrinava. E Yuki vedeva le espressioni spaesate e incredule, a tratti indurite, dell'umano dagli occhi scuri; era certa – ormai conosceva i suoi pensieri – che Takeshi fosse quasi spaventato dal modo di fare di... quelle persone. Lo leggeva proprio nei suoi occhi, il sperare in un: «E' tutto uno scherzo!».
E invece, seguirono solo sguardi cupi e colpevoli.
«Perché ci hai detto tutto questo?», aveva chiesto Yuki, piano. Hokori aveva socchiuso le palpebre, sospirando – o sbuffando, non si capiva molto.
«Volevo... volevo fare qualcosa per rimediare», disse. «Non dovevo fare ciò che ho fatto. Mi dispiace, a tutti e due... mi dispiace di averti baciato, Takeshi-kun».
La mezzosangue aveva sorriso, un esplosione di rara dolcezza e comprensività.
Poi – poi aveva guardato Tetsuya.
Adesso lei riusciva a spiegarsi tanto.
Adesso, poteva aggiustare tutto.

 

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Night_