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Autore: Tomi Dark angel    29/10/2014    4 recensioni
Tratto dalla storia:
Sequel di: "How To Train Your Sherlock"
Tratto dalla storia: "Questa è Londra, il segreto meglio custodito di questa parte di… be’… nulla. Sì, forse non sarà il massimo della bellezza, ma questo mucchio di rocce e palazzi riserva un bel po’ di sorprese. La maggior parte della gente di solito ha passatempi come leggere o sferruzzare caldi maglioni invernali. Noi invece, preferiamo fare una cosa che ci piace chiamare… CORSE DI DRAGHI!!!"
Johnlock, con accenni di Mystrade. Dedicato a chi impara, cresce e vive leggendo, figlio di innumerevoli mondi e personaggi che, ad ogni parola accarezzata dagli occhi di chi legge, sbocciano tangibili intorno all'anima del lettore per trascinarlo in avventure mozzafiato che egli saprà custodire in eterno nella purezza del proprio cuore.
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Ero solo come un cane… e ti devo così tanto. Un ultimo miracolo, Sherlock, per me: NON… ESSERE… MORTO. Per me, soltanto smettila, basta con questa farsa.”
 
Non è facile ricordarsi che il mondo ruota intorno a un’asse fissa, appena inclinata, che gestisce un moto continuo e uniforme mai immobile, mai mutato. Ci sono momenti nella vita in cui quello stesso moto pare fermarsi, trattenere il respiro, come bestia tramortita ormai immobile e in attesa dell’ultimo ansito prima di morire.
John Watson si sente esattamente così, anche adesso che si libra leggero sul dorso di Irene Adler, oltre le nuvole, lungo una scia nebulosa di scuro zucchero filato. Fa freddo, le nubi sono grigie come vedova vestita a lutto per commemorare l’intramontabile perdita della sua stella più bella, del suo domani, di suo marito. John si chiede se dovrebbe vestirsi anche lui così, ma non spera di sopravvivere abbastanza a lungo da potersi cambiare d’abito.
Vuole raggiungerlo e dirgli che è uno stupido.
Vuole raggiungerlo e dirgli che gli dispiace.
Vuole raggiungerlo semplicemente perché senza Sherlock, il suo posto non è più lì.
Irene accelera, vira appena di lato piegando un’ala scarlatta, che nella semioscurità della cappa di nubi sottostante si rifrange in migliaia di scintille lattiginose, vermiglie, che danzano come rosse odalische su un suolo di fragili nuvole. Al loro fianco, vi sono Noah e Molly.
Il drago vola stringendola tra le braccia, esibendo ancora la sua più fragile forma umanoide. Ora che ci pensa, John non lo ha mai visto in forma completa da quando è cresciuto, ma forse è meglio così: ricorda la terribile mole di Sherlock quando davanti ai suoi occhi raggiunse in un istante la sua completa stazza di drago. Era gigantesco, grande come due, forse tre metropoli messe insieme, e le sue ali oscuravano il sole anche da ripiegate.
Però era bello. Era il suo Sherlock, la sua anima.
John stringe gli occhi, pensando alle troppe cose non dette. Gli ha mai detto di amarlo davvero, senza riserve, senza esitazioni? Gli ha mai detto quanto si fidi di lui? Gli ha mai detto che la sua morte per John sarebbe significata la decaduta totale, inarrestabile, verso un abisso troppo vicino alla morte, troppo vicino al suicidio?
Sherlock queste cose non le ha mai sapute. E John non gliele ha mai detto perché fino alla fine ha pensato di avere un’eternità dalla sua parte, un domani che per loro non sarebbe mai giunto. Ha guardato la luce troppe volte, abituandosi al suo calore, all’abbraccio della sua gentilezza, e quando alla fine è rimasto al buio si è sentito cieco, paralizzato, non più avvezzo al gelo e alla solitudine.
Ha urlato.
Ha pianto.
Ma la luce non è più tornata.
John è così assorbito dai suoi stessi pensieri che non si accorge di un dettaglio: Noah si è fermato e adesso si guarda intorno allarmato. Dilata le narici, annusa l’aria interessato, irrigidisce le ali. Qualcosa non và, e poco a poco lo avverte anche Irene: un odore troppo noto, troppo fuori luogo. Non può essere lui.
-Noah?- chiama Molly mentre il suo drago retrocede preoccupato, gli occhi sbarrati, le mani strette su di lei come ultima barriera disperata da erigere prima dell’apocalisse. Come Irene, ha le narici dilatate per carpire qualsiasi odore fuori posto.
È allora che scoppia l’inferno, così veloce che John non concepisce nemmeno l’accaduto.
Uno spostamento d’aria, qualcosa che emerge dalle nubi veloce più della luce, più del suono, più di qualsiasi creatura mai esistita o rimasta in vita. Un proiettile gigantesco sfiora Irene all’ala destra, prima di sparire di nuovo. Lei vacilla, tenta di sottrarsi all’abbraccio soffocante di nubi che, circondandola e quasi accecandola, la rendono un facile bersaglio. Dovrebbe scendere di quota, ma niente le dà la certezza che sotto di loro non ci sia il nemico vero e proprio, in attesa di una mossa falsa.
Troppo rischioso.
Perciò, Irene e Noah fanno l’unica scelta che rimane: si tuffano a capofitto in un rettilineo fulmineo, che taglia il vento e fa bruciare le ali. Le grosse vele variopinte si chiudono sui loro corpi, nascondendo John e Molly alla vista mentre la barriera del suono vacilla, ma non permette loro di oltrepassarla.
Loro non sono Sherlock. Loro non possiedono la sua velocità, la sua grazia, la sua possente scioltezza. Non sono Furie Buie. E il loro aguzzino sembra saperlo.
Improvvisamente, una massa imponente di scaglie buca le nubi al loro fianco. Noah spalanca le ali e si ferma, catturando il vento in un’arrestata disperata che fa schioccare dolorosamente i suoi muscoli troppo tesi, troppo forzati. Digrigna i denti, stringe Molly fino a farle male, ma la cosa che li attacca non riesce a sfiorarli.
Irene e John sono meno fortunati. Qualcosa le graffia l’ala, facendola ruggire di dolore. Gocce argentate di sangue piovono dall’alto, bagnando i quattro lunghi tagli trasversali che germogliano sulle membrane alari troppo fragili, troppo morbide per poter resistere a un dolore tanto grande.
Irene strilla ancora, cerca disperata di mantenere la quota. Ma la disperazione non basta. Qualcosa emerge nuovamente dalle nubi, afferra John per un braccio e lo fa sparire. Lui non ha neanche il tempo di gridare, di reagire, di invocare aiuto; forse in realtà, non ha mai voluto farlo. Forse può ancora raggiungere Sherlock in tempo, rivederlo.
Fa che possa chiedergli perdono.
L’ala di Irene perde troppo sangue, fa troppo male. Improvvisamente, i muscoli vengono a mancare, sembrano spezzarsi tutti insieme e cedono. Lei precipita con un ruggito disperato, le zampe tese verso il cielo, gli occhi sbarrati ricolmi di disperazione non sua. Ha perso John. Ha fallito l’ultimo compito affidatole da Sherlock, le sue ultime volontà di re.
“Proteggetelo. Qualunque cosa accada, proteggetelo.”
E lei non lo ha fatto. Si è lasciata ferire, tramortire, uccidere da un nemico che non ha nemmeno visto.
Fallimento.
Qualcuno grida il suo nome, tenta di raggiungerla, ma è troppo lento. Noah non riesce ad accostarsi all’acqua semplicemente perché qualcosa lo afferra per la coda e lo fa sparire, trascinandolo via come bambola di pezza. È un aguzzino invisibile, troppo veloce, troppo astuto, che conosce la zona meglio di loro. E questo sembrano saperlo tutti.
Irene lo sa quando si schianta in acqua, sfondando di schiena i ghiacciai sottostanti.
Noah lo sa mentre stringe disperato il suo unico e più prezioso tesoro nel vano tentativo di proteggerlo da ferini artigli troppo spessi per essere spezzati.
John lo sa mentre si abbandona ferito all’oblio, sorridendo gentile all’abbraccio del silenzio che potrebbe ricondurlo da Sherlock, a casa, lontano da quell’incubo e dal dolore soffocante che poco a poco gli lacera ampi brandelli d’anima.
 
-Che cosa stai facendo?-
Voci. Sussurri indistinti, lontani, come echi di passati scomparsi e mai tornati. Voci remote di ricordi, suoni di passi e di respiri ormai estinti. Qualcuno ride da qualche parte; un bambino singhiozza sofferente; una donna scherza spensierata. Sono tutti pezzi unici, rari, di vite vissute. John forse rientra in uno di quei ricordi. Forse. Non lo sa.
-Dove sono?-
Avanza nell’oblio, cerca di orientarsi laddove soltanto voci lo assordano, lo confondono, lo spingono a premersi le mani sulle orecchie. Cade in ginocchio, stringe gli occhi come un bambino mentre un uomo singhiozza disperato, quasi gridando al mondo il suo dolore. È un pianto possente, che sa di troppe lacrime trattenute. John lo conosce bene. Per quanto ha pianto lui in quel modo, nelle ultime ore?
-Basta… ti prego!-
John urla, tenta invano di sovrastare il pianto soverchiante che lo stordisce sempre di più, in un avanzare inarrestabile verso la follia. Quella non è la morte così come l’ha desiderata. Lì non c’è Sherlock, il suo Sherlock. Ora lui è solo e al buio, fragile come un bambino, senza il suo drago. L’inferno forse è fatto così.
Ma forse… non tutti i desideri espressi sono destinati a svanire in pallida polvere di nulla. Alcuni si avverano, spiccano il volo, abbracciano d’incantevole pietà chi disperato prega ancora che qualcosa avvenga. John Watson è una di quelle fortunate persone.
Due mani calde di fuoco covato s’appoggiano sulle sue, premute sulle orecchie. Un profumo dolce di spezie e vaniglia lo sfiora mentre il calore familiare di un corpo gentile preme sulla sua schiena.
Improvvisamente, pianti e urla s’arrestano, soffocati da un palese senso di stupore che blocca il tempo, congelando gli attimi in quei tocchi sottili di dita intrecciate.
John tenta di girarsi, ma le mani evanescenti di Sherlock Holmes lo trattengono, ancora premute ai lati della sua testa. Allentano appena la presa per consentirgli di ascoltare, e quando quella voce tanto calda gli sfiora l’orecchio in un tocco d’angelo celestiale, John sente il corpo reagire, risvegliarsi come bambino appena venuto alla luce. La pelle si ricopre di brividi, sul suo viso sboccia un sorriso, i muscoli si rilassano. Va tutto bene.
-Non voltarti.- dice Sherlock prima di lasciarlo andare. Si fida ciecamente di lui, spera che John ubbidisca e lo stia a sentire.
E John semplicemente lo fa.
-Perché?-
-Perché, piccolo idiota, non dovrei nemmeno essere qui. Mi sono introdotto nella tua testa vuota attraverso il contatto che col tempo abbiamo stabilito inconsciamente come coppia. Sappi che se non arredi questo posto, lo faccio io con teschi e bersagli a cui sparare in caso di noia.-
John sorride di un sorriso triste mentre calde lacrime affiorano agli angoli degli occhi come piccole gemme in sboccio. Riascoltare quella voce è come bere da una fonte fresca e purissima dopo troppo tempo trascorso in disidratazione. È una voce che sa di ricordi sussurrati, di momenti paradisiaci che non torneranno più, se non nella sua testa. Non può nemmeno guardarlo in faccia, ormai. Gli è proibito da un fato che sembra avercela con lui.
-Non dovevo lasciarti morire.-
Sherlock sbuffa. -Non mi hai ucciso tu, John. Quindi, ti prego, non essere più stupido del solito. Questo posto già è abbastanza deprimente.-
Si interrompe per brevi attimi, quasi trattenendo il respiro mentre un pensiero si fa spazio in lui. –Hai mai visto la galassia, John?- domanda all’improvviso.
John scrolla il capo tristemente mentre Sherlock si volta per aderire la schiena alla sua. Fa scivolare la mano artigliata in quella così morbida dell’umano, lo stringe di un calore confortante che tuttavia John non proverà mai più da sveglio. Vorrebbe morire lì e subito soltanto per potersi voltare a guardarlo in faccia, soltanto per potergli dire le troppe cose non dette che ha trattenuto troppo a lungo a causa della sua stessa stupidità.
-Guarda.-
John sente il fruscio di un movimento, intravede il braccio squamato d’arcobaleno del suo drago stendersi in un gesto ampio, imperioso, che fa vibrare il buio.
Dapprima è una semplice scintilla nel buio, come fugace punto luce nell’oscurità. Zampilla, poi si estingue.
-Ma che…-
-Zitto e guarda, John, o potrei ripensarci.-
Il punto luce si accende di nuovo, ma stavolta non è solo. Al suo fianco ne germoglia un altro, poi un altro ancora, finché intorno a loro non cominciano a splendere centinaia di migliaia di lucciole guizzanti. L’oscurità si rischiara poco a poco, come dipinta ad ampie pennellate da invisibile mano d’artista. Un reticolo di colori nebulosi, coagulati in pallide nuvole soffici, distorte come pezzi d’argilla in procinto di modellazione, sboccia poco a poco, spiegandosi in ali sempre più grosse, sempre più immense. John si trova a poggiare i piedi su un’invisibile superficie di cielo colorato d’oro, azzurro, verde e viola intenso. È un intreccio di colori costruiti attraverso una ragnatela di stelle fitte e molto vicine tra loro, uno spettacolo senza precedenti che lo lascia senza fiato.
Ha davanti la grandezza dell’universo.
Ha davanti la costruzione minuziosa di una nebulosa vera, di quelle che si vedono soltanto sui libri o in televisione.
E Sherlock l’ha costruita per lui, nella sua testa, con facilità disarmante.
-Ti presento la nebulosa di Orione.-
John spalanca gli occhi e la bocca, stende una mano per stuzzicare ammirato una propaggine di universo verde acqua. Quella reagisce modellandosi al suo tocco, stiracchiandosi a suo indirizzo così come farebbe normalissima nuvola. È un mondo nuovo, che illumina il viso di John di tanti colori diversi, più di un arcobaleno o di un’aurora boreale.
-Ma tu non odiavi queste cose?- Sorride.
-Zitto, o cancello tutto.-
-No, ora mi spieghi da quando ti interessano le nebulose.-
Sherlock sembra ponderare una risposta, forse in cerca di una scusa plausibile, ma sa che John carpirebbe qualsiasi menzogna. Alla fine, capitola con un sospiro.
-Da quando piacciono a te.-
Il sorriso di John si allarga mentre altre lacrime ormai inarrestabili sgorgano dagli occhi. Singhiozza piano, senza tuttavia smettere il sorriso radioso che gli illumina lo sguardo e il viso improvvisamente ringiovanito, come di vecchio tornato bambino. Sherlock ha questo effetto su di lui: lo riporta all’infanzia, lo abbraccia di una serenità puerile che con la sua morte sembra invece sparita per sempre.
-Non ti ho mai dato niente, Sherlock.- mormora all’improvviso. –Hai sempre meritato molto di più, e invece io… AHIA!!!-
Sherlock gli ha stretto la mano così forte da fargli scrocchiare tutte le dita.
-Tu finisci la frase e ti spezzo il polso.-
John sbuffa, ben sapendo che Sherlock non lo farà. Avverte la sua stretta attenuarsi, la nebulosa intorno a loro tremolare in tutti i suoi colori sgargianti, che sfumano in vortici di materia e stelle coagulate.
-Sai… prima di morire ho incontrato una vecchia amica.- Sherlock tentenna, ripensando alle sue parole. John se lo immagina con gli occhi splendenti levati al cielo, laddove iridi chiare come specchi possono racchiudere e rifrangere i colori dell’intero universo in migliaia di diverse sfaccettature. –Ok, forse non era proprio un’amica. Non ci ho mai parlato molto con la Morte.-
John trasale, ma non apre bocca.
-E’ una creatura piuttosto intelligente, sai? Forse è per questo che non mi ha mai irritato. Sappi soltanto che conosceva la Vita meglio di chiunque altro, e la trattava come una sorella. Disse che alla fine, essa non ci ha mai trattato in maniera equa. È vero. C’è chi ha avuto tutto o chi niente. Io ad esempio… ero partito con un niente di fatto. Persi mia madre, la mia famiglia, la mia gente. Mi spezzarono le ali, e il peso della vita cominciò a trascinarmi giù, laddove una rete d’acciaio lanciata da uno stupido umano semplicemente finì il lavoro.-
Sherlock si interrompe, respira a fondo prima di continuare: -Ero praticamente già morto. La Morte aveva ragione. Sua sorella non ci ha mai trattati equamente. Ci fa a pezzi, ci straccia come carta troppo fragile, poi semplicemente ci volta le spalle. Funziona così, e noi dobbiamo farcelo bastare. Però … credo di aver capito adesso. C’è un motivo per cui Morte e Vita sono nient’altro che due facce di una stessa medaglia. La Morte è soltanto un traguardo finale che dovremo tagliare tutti, prima o poi. Ma la Vita? Lei ci addestra, John. Tutto qui. Ci dona una possibilità, ci aiuta a scegliere come andare avanti e in che modo arrivare dall’altra parte. Quando moriamo, scegliamo noi come andarcene. Possiamo spirare a testa alta come degli eroi, oppure no. La Vita ci insegna questo, anche se nel peggiore dei modi. Quando ti conobbi… io stavo morendo, ma a testa bassa. Non credevo nell’esistenza degli eroi, e se anche fossero esistiti allora… non sarei stato uno di loro. Questo, finché non incontrai il tuo sguardo.-
La nebulosa vibra di fragilità, poco a poco comincia a sfumare. Con un brivido di terrore, John capisce che sta per svegliarsi.
-Eri un soldato, John. Eri già un eroe che andava avanti, che combatteva fino alla fine semplicemente grazie alla consapevolezza che anche l’ombra più nera dovrà passare. Credevi nel nuovo giorno, nel sole, nelle storie che parlano di eroi e draghi da uccidere. Io ero il drago… ma tu, piccolo umano, mi hai trasformato in un eroe. Bizzarro come si possano cambiare certe favolette per bambini, no?-
John avverte il sorriso nelle sue parole, singhiozza forte quando sente la sua stretta svanire. Vorrebbe trattenerlo, vorrebbe morire con lui semplicemente per potergli stare accanto. Questa è un’ombra che nessun eroe può sconfiggere. Il drago della solitudine non si può abbattere, non se si avvale dell’assenza di Sherlock, dell’unica cosa che conta.
-La mia bilancia di vita sei stato tu, John. Il mio allenatore più grande. Grazie a te, ho abbracciato la Morte come una vecchia amica e sono andato via a testa alta. Grazie, John Watson. Grazie di cuore, grazie per avermi insegnato che gli eroi esistono davvero. Grazie per avermi insegnato cos’è la Vita.-
L’universo sfuma, la voce di Sherlock si allontana come eco indistinta, inafferrabile, remota. John ha paura di restare solo e al buio.
-Non lasciarmi!- grida con tutte le sue forze. Cerca di voltarsi, ma improvvisamente Sherlock lo abbraccia. Affonda il viso nell’incavo del suo collo, intreccia le mani artigliate davanti al fragile petto pulsante di vita umana. È caldo, profuma di pulito.
-Ci vedremo ancora, John.- mormora. –La mia è una promessa… ma, fino ad allora, sii il soldato che ho sempre amato. Combatti, e ricorda anche al mondo che gli eroi esistono davvero.-
John si accascia tra le sue braccia, singhiozzando forte. Non parla più, non ne ha più la forza. Quando Sherlock svanisce e lui si sveglia, sente che in qualche modo il loro è stato un addio definitivo, intriso ancora una volta di troppe cose taciute.
 
-Grida? Perché accidenti grida?-
Qualcuno parla, una mano lo sfiora all’altezza della spalla. John si dimena nella semi incoscienza, gridando sconclusionato tutta la sua bruciante solitudine. Avverte l’assenza di Sherlock, le sue ultime parole, la sensazione che forse non lo vedrà mai più.
E improvvisamente, anche quelle voci perdono un senso, perché nessuna delle due s’accosta anche solo lontanamente al timbro familiare della metà ormai squarciata del suo animo.
-Che gli hai fatto?-
-Proprio niente! Non l’ho nemmeno toccato, guarda!-
-Non dire stupidaggini! Gli sei stato vicino per…-
-Non è colpa mia se questo qui ha deciso di esercitarsi per diventare un futuro tenore! A proposito, credo che abbia ottime possibilità…-
-SHERLOCK!!!-
John sbarra gli occhi all’improvviso, si dimena, tenta invano di afferrare il ricordo di una serenità scomparsa. Ansima forte, il capo rovesciato all’indietro, lo sguardo spiritato… gli occhi fissi in due iridi chiarissime, inconfondibili, come fatte di purissimo cristallo sfaccettato. Quel taglio singolare, quelle sopracciglia regali, quella pelle di un candore madreperlaceo. John conosce a menadito quel volto. E sa che LUI non dovrebbe essere lì. Sherlock Holmes è morto. Eppure, contemporaneamente, adesso è lì dinanzi a lui, e lo fissa stranito come farebbe un perfetto sconosciuto.
-Sherlock?-
 
Angolo dell’autrice:
Tre volte. Ho dovuto riscrivere il capitolo tre maledettissime volte perché il mio pc ha ritenuto intelligente cancellare tutto ripetutamente! *Lancia pc dalla finestra*
Sher: o magari è successo perché non hai ritenuto saggio salvare?
Zitto o ti ammazzo di nuovo!
Sher: non è colpa mia se sei stu… NO, IL VIOLINO NO!!!
Ehm… dicevamo? Ah, sì        ! Spazio ai ringraziamenti!
Sonia_0911: tranquilla, ti capisco benissimo. Hai tanto da fare, ma il capitolo è sempre qui e non scappa. Fai con calma! Anzi, grazie mille per la pazienza delle tue recensioni che non manchi mai di lasciare! Eheh, credo che si cominci a capire cosa abbia spinto Sherlock a insistere per mandare i suoi amici a nord, giusto? Ma forse c’è bisogno di qualche altro chiarimento. Pazienza, arriveranno. Grazie del commento e a prestissimo!
Kcolrehs_41175: Sherlock mancava anche a me, ma come vedi forse non è sparito del tutto! C’è speranza, anche se non sarà esattamente come la immagini! Eheh, grazie per la fiducia, per i commenti e per avermi seguito fin qui. Le tue recensioni aiutano il continuo di questa storia, quindi grazie di cuore e a presto!

Tomi Dark Angel
  
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