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Autore: Il Pavone e la Piantana    30/10/2014    7 recensioni
Junior e Willow sono i figli di una nuova Panem, nata sulle ceneri dei caduti e sulle cicatrici di una libertà pagata con il sangue. Sono i figli della rinascita e del dolore, della promessa di un nuovo futuro e dei fantasmi del passato, spesso talmente oscuri da adombrare perfino il giallo brillante della speranza.
«Credevo fosse normale...» Dico, in un sussurro. Mi sembra brutto dirlo a voce troppo alta, come se lo rendesse più reale.
«Ma è normale. Esattamente come te». Risponde, fredda, con un'espressione seria sul viso. Perché io sono come lei, sono il figlio di eroi di guerra che portano sulle loro spalle i dolori del passato, rendendo le nostre vite più difficili di quelle di chiunque altro.
[…]
Mi allungo nell'erba, strofinando lente le braccia lungo i fianchi, fingendo di essere di nuovo una bambina che disegna con il proprio calore una ghiandaia nella neve fresca. Ma non c'è neve da raccogliere, qui. Solo cocci, gusci vuoti di conchiglie e un listello di legno che ormai suona solo note stonate.

{Fa parte della serie Colors. || Fanfiction fortemente psicologica che tratta in modo esplicito alcune patologie psichiche}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Cresta-Odair, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Colors.'
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XI.




La cena scorre in un'inusuale calma piatta.
La tavola è un mare senza onde, dove i patti boccheggiano lenti.
I piccoli mostri dormono di sopra, sfinite dalla lotta nel prato e con la zuppa.
Rye siede, cupo come un temporale in agosto, al fianco di zia Annie, fissando le sue posate, quasi volesse imboccarla.
O ucciderci tutti armato di forchetta, quando si tratta di mio fratello non si può mai sapere.
«Junior?» Zia Johanna lo chiede a me, tra un boccone di carne e l'altro.
Per quanto ne so potrebbe essere annegato. O a fare chissà cosa con una bionda che sculetta.
Preferisco quasi la tesi dell'annegamento.
«Ha detto che aveva da fare.»
La mia carne mi guarda dal piatto con occhi imploranti. Troppo imploranti.
Mi sembra di vederla saltare e correre felice nei prati.
L'esofago mi si annoda stretto, trascinando la gola con sé.
L'immagine del mio piatto che muggisce, con tanto di parrucca bionda, disperde nel vento gli ultimi residui del mio appetito.
«Sarà con Shelley.»
Sono fiera della nonchalance con cui lo dico, scostando la mia Shelley alla piastra verso il centro del tavolo.
«Shelley è sparita all'orizzonte due anni fa, se può interessarti.» Zia Jo sogghigna, addentando con gusto pezzi di carne anche dal mio piatto.
Chi? A me? No, è ovvio che non mi interessa.
Cerco con lo sguardo una corda, un laccio, un rotolo di nastro adesivo. Va bene qualsiasi cosa, basta che mi trattenga ancorata alla sedia, impedendomi di esibirmi in una patetica danza della gioia.
Non farti illusioni. Il mare è pieno di bionde prosperose. Cioè pesci, volevo dire pesci.
«Ce ne sarà un'altra.» Pilucco l'insalata, scartando i pomodori. Poi i cetrioli. Poi l'insalata stessa. «Ce n'è sempre un'altra.»
Me ne rendevo conto perfino da bambina, di come le ragazze gli stessero attorno, appiccicose e svenevoli.
Mosche sul miele, attirate dalla fama del padre, dai suoi occhi, dalla linea delle spalle. Avrei dovuto sguinzagliare i denti di Rye, qualche volta.
Zia Johanna si stringe nelle spalle, masticando un altro pezzo dei miei avanzi.
«Ma nessuna va bene per lui, mocciosa.» Lo dice con una tale sicurezza, indicandomi con i rebbi sporchi di sangue, che sono tentata di crederle.
Sì, ho decisamente un problema d'umore.
«Se non somigliasse così tanto a Peeta,» sposta la forchetta verso Rye, che sta sbranando la sua bistecca senza tagliarla «direi che è figlio di qualcun altro.»
Mio fratello stringe gli occhi in un due fessure, torvo, mostrandole i denti, e io tossisco acqua e cetrioli, strozzandomi dal ridere.
Perché ha ragione. La zia Johanna ha - quasi - sempre ragione.
Sparecchiamo ridacchiando, e la zia sembra così di buon umore che mi chiedo se non abbia fatto un altro giro con la bottiglia.
Dovrà farsi trapiantare il fegato come lo zio Haymitch, se continua così.
«Katniss ha telefonato, prima.» Insapona i piatti velocemente, schizzandomi di detersivo.
«Perché non me l'hai passata?» Asciugo le stoviglie con un canovaccio bucherellato, urtando il suo gomito. Zia Jo si stringe nelle spalle.
«Non volevo disturbare i piccioncini.» Ghigna, con la solita aria da gatto che ha mangiato la foglia, iniziando a sciacquare le posate.
Eh?
«Quando ti ci metti sei più tarda di tua madre, mocciosa.» Alza gli occhi al cielo, scostandosi una ciocca di capelli dal viso con l'avambraccio.
Io non sono tarda!
Faccio scontrare un po' troppo rumorosamente due bicchieri fra loro, fregando un piede sul pavimento della cucina.
«E comunque voleva solo dire che sono arrivati, la visita di Peeta è prevista per domani.» Mi dà un colpo con l'anca, strizzando un occhio «Quindi non mettermi il broncio. Non attacca, con meAh-ah.
No, non è divertente.

«È lui che mi tratta male, non sono io che metto il broncio.» Borbotto, impilando i piatti spaiati.
Vengono tutti da servizi diversi e sono tutti irrimediabilmente sbeccati, come se fossero stati troppo a lungo sepolti nella sabbia.
C'è un solo modo giusto, di incastrarli, e io non ricordo mai qual è.
Il giallo sopra il rosso che va sul blu. No, il rosso sotto il giallo, poi il blu e il verde. No, il beige sotto l'azzurro e il rosso.
È un rompicapo scheggiato e rumoroso, sul quale potrei trascorrere giorni.
Johanna mi sposta di peso, sbuffando, e ristabilisce l'ordine corretto - rosso, blu, giallo, arcobaleno, acquamarina, beige e infine viola - senza neppure badare ai colori.
Siede con i gomiti sul tavolo, studiandomi asciugare le forchette e farle scivolare nel cassetto.
«Credi davvero che Junior ti tratti male, Willow?» Mi domanda all'improvviso, seria, incrociando le braccia al petto e reclinando la schiena sulla spalliera.
Ho bisogno di riflettere per qualche istante, prima di rispondere.
Nego piano, sedendomi di fronte a lei.
Non lo fa, non sul serio.
Però mi respinge, questo sì.
Mi tiene a distanza, chiuso nel suo cerchio tracciato nella sabbia, impedendomi di avvicinarmi quanto vorrei.
Zia Johanna annuisce, sovrappensiero, ascoltando la mia risposta.
Si guarda un attimo alle spalle, prima di riprendere a parlare.
«Quando si è abituati a essere soli, mocciosa, non è facile lasciar entrare qualcuno.» Tamburella le unghie sul legno e non mi guarda. Deglutisce. Non capisco se parli di sé stessa, di Junior o di entrambi, ma si sente da come respira, quanto questo discorso debba costarle caro. «Io ce l'ho messa tutta. Come tuo padre e tua madre e Annie. Ma alcune cose, bambina, alcuni segni...» Respira profondamente, premendo i palmi sul tavolo per frenarne il tremito. Qualcosa nel mio petto si dibatte come un pesce preso all'amo, sbattendo la coda e le pinne contro il mio sterno. È doloroso, e fa venire voglia di piangere. «Non è come sembra, d'accordo? Spesso non vediamo quello che abbiamo sotto gli occhi, Will.» Deve fermarsi per schiarirsi la voce arrochita, prima che si spezzi, collassando su sé stessa. «Lo capirai quando sarai più grande.»
Credo di non sapere fino in fondo cosa abbia voluto dirmi, ma il pesce nel mio petto continua a combattere furiosamente contro la lenza.
«Posso abbracciati, zia?»
Le chiedo il permesso, timidamente, anche se non lo faccio mai. Ho l'impressione di camminare su una sottile lastra di ghiaccio, in precario equilibrio, dove le parole di Johanna hanno gettato una manciata di sale.
Devo essere leggera, delicata come ali di farfalla, per far sì che non si incrini, facendoci precipitare nell'acqua gelata.
Lei si stringe nelle spalle, come se non le importasse, e io la stringo pianissimo, perché anche Johanna, in questo momento, è legno gonfio d'acqua, esposto troppo a lungo alle intemperie. E non è un posto adatto al legno, questo. L'acqua salata lo gonfia e lo fa marcire, la sabbia lo corrode, privandolo dei suoi colori.
«Hai preso il meglio di tuo padre e il peggio da tua madre, mocciosa.» Risolleva le testa, sfuggendo alle mie braccia «Sono contenta di averti insegnato ad usare le posate.»
So che vorrebbe sogghignare. Ma i suoi occhi scuri sorridono così tanto che non sarebbe credibile, in nessun caso.

La luce del mattino, già alta, tende le sue dita luminose negli strati lanuginosi che separano il sonno dalla veglia.
Mi aggrappo all'ultimo lembo di illusione, inseguendo per mare un delfino dagli occhi verdi e dal dorso dorato.
Spalanco gli occhi sul nuovo giorno con il sapore di sale sulle labbra e una sensazione di liquida felicità che mi scorre lungo i nervi.
Johanna canticchia, friggendo minuscole uova pallide, e sembra che sorrida perfino Annie, pettinando fra le dita i riccioli dorati di Rye.
«Dove sono le gemelle?» Zia Johanna ride del mio tono preoccupato, spingendomi un piatto colmo di uova sotto il naso.
«Le ho legate ad un'incudine e le ho gettate in mare.»
Magari.
Non devo avere un'espressione sufficientemente affranta, perché Rye borbotta qualcosa sulle sorelle maggiori incoscienti e Johanna mi comunica con tono piatto che le ha spedite a infilarsi il costume, quindi a breve torneranno ad appestarci con la loro graziosa presenza.
«Oggi le portate al mare.» Delibera, mettendo di forza una forchetta fra le dita di Rye, sporco di rosso d'uovo fino agli slip.
«Io e quale esercito?» Johanna mi guarda in tralice, continuando a combattere con la forchetta di Rye, che precipita casualmente sul pavimento a intervalli di un minuto. «No, sul serio zia. Chi vuoi che mi aiuti? La zia Annie?» Mi volto verso la diretta interessata, scusandomi con gli occhi. Non da segni di avermi sentito.
Pettina i capelli di Rye, lasciandosi sporcare di rosso d'uovo, lanciando occhiate furtive alla finestra. Zia Annie aspetta sempre qualcuno.
Finnick, Junior, la marea.
Mi chiedo se riesca a distinguerli o se siano solo un flusso confuso, legato da un filo contorto, che scorre e si avvolge su sé stesso nell'infinità sempre identica della sua interminabile attesa.
Annie aspetta e l'attesa la consuma, dall'interno e in superficie.
Sembra sgretolata, come un mucchio di conchiglie calpestate, confuse tra i granelli di sabbia.
«Il tuo caro Junior, se ci degnasse della sua presenza.»
Mi esibisco nella mia migliore imitazione dello sguardo truce di mia madre e zia Johanna ridacchia, blaterando di genetica e della storia che si ripete sempre.
La marea torna sempre.
Le gemelle si spintonano per le scale, ridendo.
«Ci porti a nuotare, Willow? Ci porti?» Mallow mi atterra sui piedi - quando mai - afferrandomi i capelli fra le manine appiccicose.
E ora dovrò rilavarli, grande!
«Aspettiamo Junior?» La sollevo fra le braccia, caricandomela sulle ginocchia.
Le sue ossa da uccellino mi bucano i femori, però la cosa sembra calmarla.
«Prendi anche me, Will?» Lily spalanca le braccia, guardandomi implorante.
È un passerotto implume, in bilico sul ciglio del nido, pronto a spiegare le ali.
Sospiro, sistemandone una su ogni ginocchio.
Giocano con i miei capelli e con i loro, premendo le testoline sulle mie clavicole.
Sono così tenere e silenziose, nel loro profumo infantile, che vorrei fermare il tempo, congelandole in questa posizione.
Non sembrano neanche loro, da quanto stanno buone.
Bacio le loro teste, una alla volta, sorridendo del solletico dei loro capelli ricci sulle mie labbra.
Lily mi sussurra un «ti voglio bene» all'orecchio, con l'aria di chi sta confessando un grande segreto, e Mallow le fa la linguaccia.
Aspettiamo Junior per un tempo che sembra infinito. Lily si addormenta fra i miei capelli, lasciandomi una larga macchia umida sulla maglietta, e Mallow da segni di impazienza tanto a lungo che zia Jo propone di sedarla.
«Non vuoi chiamarlo?» La butto lì, con noncuranza, pensando a quanto a lungo dovrò insaponarmi i capelli per ripulirli dall'uovo e dalla bava di Lily.
«Già fatto.» Johanna si infila un prendisole con lo stesso entusiasmo di un condannato, guardando il telefono «Non risponde, lo stronzo.» Piega furiosamente teli da mare, scaraventandoli sul fondo di una borsa di paglia intrecciata. «Muoviamo il culo, mi sono rotta le palle di aspettare sua maestà.»
Johanna snocciola maledizioni per tutto il tragitto fino alla spiaggia, sgranandole come perle lungo un filo.
Ha un repertorio coloritissimo, che spazia da «dovevo affogarlo da piccolo» a «sia maledetto il giorno in cui ho promesso di tenerli d'occhio» a improperi così volgari da essere irripetibili perfino dalla bocca mordace di Rye.
Mi affanno a coprire le orecchie innocenti delle gemelle meglio che posso, ma ovviamente Mallow ha un radar per le parolacce e «cazzo, cazzo, cazzo!» diventa il suo nuovo ritornello preferito. Lo ripete in ogni sfumatura vocale, arrivando perfino a cantarlo.
Annie ridacchia, una risata opaca, strozzata, cosa che non fa che darle ulteriormente corda.
Quando propongo di andare a fare una nuotata è perché ho seriamente intenzione di simulare un incidente in mare.
"Non ce la posso fare." Sospiro, esasperata, quando le gemelle tentano l'ennesimo attacco alle mie gambe, facendomi sbattere l'osso sacro sul fondale.
Il dolore si fa strada fino alla base del collo, percorrendomi la spina dorsale come una scossa elettrica.
Trattengo il fiato e stringo i denti, aspettando che passi.
Non lo fa.
È il panico: Lily mi getta le braccia al collo, scusandosi fra le lacrime; Mallow urla alternativamente «Non sono stata io!» e «Cazzo, cazzo, cazzo!» al volume del segnalatore di una nave in fase d'attracco.
Io rimango immobile, cercando di non piangere per il dolore e sforzandomi di rassicurarle.
Alla fine arriva addirittura Rye in mio soccorso. Sbuffando e grugnendo, ma arriva.
Trascina le gemelle fuori dall'acqua - non prima di aver promesso solennemente che non morirò - e torna addirittura indietro, provando stoicamente a ricondurmi in braccio fino alla spiaggia.
Fa un po' troppi commenti su quanto sia pesante, ma la sua premura è commovente.
Ed esilarante.
Morirei dal ridere, se il sedere non mi facesse così male.
A metà del tragitto, però, mi sento in forma abbastanza da camminare sulle mie gambe.
Rye commenta con un «Mi stava venendo un'ernia.» e inizio davvero a chiedermi se non stia diventando un maialino come Daisy.
Sul mio sedere si allarga un poetico ematoma gigante, viola scuro, che sancisce il grande patto di non bagno, che le gemelle, rose dal senso di colpa, accettano senza battere ciglio.
Rientriamo per pranzo tardissimo e le gemelle dondolano le teste sui piatti, faticando a tenere gli occhi aperti.
Zia Johanna mi solleva dall'ingrato compito di lavarle e riesco addirittura a convincere Rye ad aiutarmi a preparare la cena, lamentando fitte al fondoschiena.
Recito in modo patetico ma, credo più per non ascoltare le mie sceneggiate, si presta alle mie direttive: riesce a condire il sugo con lo zucchero e la frutta col sale. La sua espressione mortificata, quando gli dico che la sua cucina somiglia a quella della mamma, sarebbe da immortalare per i posteri.
«Che c'è zia Annie? Vuoi qualcosa da mangiare?» Il tono turbato di Rye mi spinge a voltarmi.
Annie è immobile, sulla soglia della cucina. Fuori posto, uno sfregio azzurro su un paesaggio innevato.
Si guarda intorno, sperduta, aspettando che i muri la riassorbano, nascondendola fra le maglie allentate della sua rete.
«L'hanno preso.» Sussurra, rivolta alla porta «Aspetto che torni a prendermi, ma la marea non arriva mai.»
Un brivido risale dal mio ombelico fino al viso, paralizzandomi. Rye mi stringe un gomito fino a farmi male.
«Va tutto bene, Annie.» Zia Johanna le mette un braccio intorno alle spalle, senza poggiarlo davvero intorno alle sue ossa di vetro. «Andiamo ad aspettare Finnick vicino alla porta.»
Annie nega così forte che devo aggrapparmi al lavabo per non cadere.
L'intero mondo si scuote e aspetto di vederla sbriciolarsi e crollare.
«Aveva promesso, aveva promesso di tornarmi a prendere.» Le dita di Rye aprono crepe sul mio braccio. Dalle crepe filtrano ombre oscure.
Ci inghiottiranno. Il mare ci inghiottirà tutti.
«Anche Finnick aveva promesso.» Zia Annie mi fissa con i suoi occhi sfocati, e io mi sento precipitare dentro me stessa. Non parlava del suo amore perduto, ammesso che riesca ancora a riconoscere la differenza.
Parlava di Junior.
Parla di Junior.
«La marea torna sempre.»
Lo strofinaccio scivola dalle mie dita, toccando il pavimento alle mie spalle.
Mi precipito fuori dalla cucina, scartando la zia Johanna per non travolgerla.
Lo spettro delle dita di Rye sul mio braccio viene coperto dalla mano, reale e ghiacciata, di Johanna.
Apre e chiude la bocca. E mi lascia andare.
«L'hanno preso.»
No.
Le mie gambe mi guidano, veloci, con i piedi che a stento toccano il suolo.
I polmoni mi ardono nel petto e il cuore galoppa contro i miei timpani.
«La marea torna sempre.»
No. Io so dov'è.
Non vedo le mie ginocchia tanto i miei occhi faticano ad adattarsi al buio, ma le piante dei miei piedi conoscono ogni granello di sabbia, masso, fosso ed erbaccia.
So dov'è.
Il mio cuore lo conosce esattamente come i miei piedi conoscono la strada per arrivarci.
Io vedo te.
Abbandono le scarpe incespicando e saltellando per sfilarle senza fermarmi.
I granelli tiepidi accolgono le mie piante, infilandosi fra le dita.
E lo vedo, più vicino di quanto mi aspettassi.
Io vedo te.
Lo vedo, chino sulla sabbia, con la luna riflessa fra i capelli, battere qualcosa sul bagnasciuga.
Cling. Cling. Cling.
Lo vedo e devo fermarmi.
Devo bloccarmi e sbattere le palpebre un paio di volte, mentre una folata di vento gonfia la mia gonna e spettina i miei capelli, perché, col cuore che mi balza dritto in gola per poi precipitare nella sabbia, intuisco cosa stia facendo.
Sta bucando conchiglie.




Note di fine capitolo:
Buonsalveh!
Ricordiamo che su Colors Fanfic troverete tutte le storie che appartengono a questa serie, nonché il dodicesimo capitolo in anteprima di Aquamarine.
Grazie come sempre a tutti coloro che ci seguono e ci supportano...siete cuorih ♥


Ringraziamenti:
Come per ogni nostra fanfiction, non possiamo esimerci dal ringraziare tutte le persone che ci sono state vicine nella stesura della storia, quelle persone che, in qualche modo, hanno contribuito a rendere Aqua la storia che è, quindi i nostri ringraziamenti più sentiti vanno a:
radioactive che non solo ha creato per noi questo fantastico banner – e non ci stancheremo mai di dire che è una grafica nata – ma che ci ha promptate, aiutate, ispirate e che è la persona che più ci ha aiutate e spronate a scrivere Aqua. Questa fanfiction è anche sua;
_eco che ci ha fatto immaginare un incontro tra JJ e Will;
gabryweasley che ci ha seguite sin dall’inizio, amando Aqua tanto quanto noi. Che ci chiedeva di passarle i pezzi e li leggeva dicendoci sempre cosa ne pensasse.
Se amiamo tanto Aquamarine è anche merito loro ♥ Grazie per tutto, vi amiamo! ♥


Veniteh a fare le bolleh d'Assenzioh con noi nel gruppoh Facebook gestito dalla nostra meravigliosah famiglia disfunzionale ♥ A Panda piace fare le bolle d'assenzio [EFPfanfic]
Abbiamo apertoh anche una pagina Facebook dedicatah a questa serie, doveh potreteh farci qualsiasi domanda su questa raccoltah, seguire tutti gli aggiornamentih, salutareh Finnickinoh che ballah nella p0rn Narnia e devolvere zolletteh alla sua causah ♥ Vi aspettiamoh numerosih ♥ Colors.

   
 
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