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Autore: Melabanana_    30/10/2014    4 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Buongiorno :) Avevo molti dubbi su questo capitolo, perché temevo potesse risultare pesante (soprattutto la parte centrale, che è molto densa), e ci tengo a ringraziare Ursy che ancora una volta ha fatto il beta-reading per me cvc
Vi auguro una buona lettura!



La mia testa era un campo di battaglia: un momento prima urla e scoppi rendevano tutto confuso, subito dopo calò un silenzio spettrale. Avvertivo un fastidioso ronzio nelle orecchie e il sangue pulsava nelle vene ingrossate. Non sentivo quasi i miei stessi pensieri, mi sembrava di non averne. 
Ero seduto su uno dei letti dell’infermeria, ma non ricordavo come e quando ci fossi arrivato; solo un attimo prima ero seduto nell’ufficio (o meglio ciò che ne restava) di Gazel. Dovevo avere qualche scheggia infilata nelle mani, perché i palmi mi bruciavano da impazzire. Avevano smesso di sanguinare da poco. Mi lasciai andare all’indietro e sbattei la nuca contro lo schienale del letto.
Non appena chiusi gli occhi, dietro le palpebre comparvero Toda ed il suo petto squarciato, l’assassino dai capelli argentei, il corpo di Gazel steso e inerme come fosse morto: nemmeno nel sonno avrei dimenticato quelle immagini, sarebbero tornate sempre insieme agli altri incubi, con il maestro Jordaan e Shinobu e Genda e Sakuma.
Aspettai le lacrime, ma non arrivarono: il pianto che non riusciva ad uscire si trasformò in un peso asfissiante. 
Aprii di nuovo gli occhi senza sapere quanto tempo fosse passato.
Sentivo delle voci provenire dal corridoio, passi affrettati, persone che si urlavano contro; sembrava proprio che l’edificio si fosse nuovamente popolato, ma io non avevo voglia di vedere nessuno. Chiusi di nuovo gli occhi, sperando in un oblio che cancellasse la sofferenza.
 
xxx
 
Erano stati Diam e Maki a trascinarmi di peso verso l’infermeria: la ragazza si era accorta delle ferite sulle mie mani e aveva insistito per portarmi via. Dovevo essere del tutto fuori di me, perché non ricordavo assolutamente che fosse successo e quando Diam me lo disse nella mia testa non scattò nulla. Nulla. Come se io non fossi stato veramente lì in quel momento. Forse non volevo esserlo.
Diam non mi chiese se stavo bene, cosa molto apprezzata perché la risposta era più che evidente.
-Hanno portato il tuo amico in ospedale. Ha perso davvero un sacco di sangue, ma grazie a Maki non è in pericolo di vita- mi disse. Non c’era bisogno di chiedere per sapere che parlava di Gazel, e il mio primo, istintivo sollievo fu quasi subito soffocato dalla rabbia e dall’odio verso la crudeltà del nemico e verso la mia impotenza.
-Vorrei che morissero- sibilai. –Vorrei ucciderli con le mie stesse mani.
Diam mi lanciò uno sguardo cupo e vagamente ironico.
-Vorrei che non l’avessi detto- rispose. –Non dopo quello che hai detto a me quella volta.
Il discorso che gli avevo fatto su quanto fosse inutile e dannosa la vendetta tornò a ronzarmi nelle orecchie. Mi suonava estraneo, come se non fossero state parole mie.
-Mi dispiace- sussurrai. –Devo sembrarti piuttosto ipocrita.
Diam mi guardò di nuovo, stavolta completamente indecifrabile, poi distolse il volto e sospirò.
-Non credo che tu abbia capito quello che volevo dire. Non ti stavo rimproverando- disse.
–È solo che… non è passato così tanto tempo, no? Il fatto che in un mese, a stento, siano successe talmente tante cose da spingerti a dire una cosa così brutta… è un pensiero orribile, Reize.
Il muro al quale eravamo appoggiati era attraversato da una lunga crepa, e Diam diede un calcio ad una parte dell’intonaco di gesso che si era staccato e frantumato cadendo a terra.
-Il pensiero che abbiano spinto una persona così dolce a dire una cosa del genere mi fa vomitare- aggiunse in un sussurro. Rimasi in silenzio e lo osservai mentre si accaniva contro i pezzi dell’intonaco, riducendoli in briciole sotto le scarpe sporche di polvere bianca, finché parve non bastargli più. Diam sollevò il braccio e stava per dare un pugno al muro quando una mano si strinse attorno al suo polso e lo bloccò; sia io che lui fissammo sorpresi Hitomiko, che ricambiò con uno sguardo grave e severo.
-Prendersela con i vostri dintorni non aiuterà nessuno, ma potreste venire con me e raccontarci cosa è successo. Siete gli unici dei presenti a non esservi presentati nel mio ufficio- disse. Non riuscivo a credere che riuscisse a mantenere un tono così freddo anche in un momento come quello.
-Gli unici… a parte Gazel, immagino- non riuscii a fermarmi ed io stesso mi stupii del veleno nella mia voce. L’espressione di Hitomiko si modificò leggermente.
-Sì, naturalmente- rispose, mettendo da parte il tono di rimprovero, più comprensiva. Continuai a guardarla torvo e lei cedette un altro po’: fece un sospiro, lasciò il polso di Diam e si passò una mano sul volto pallido.
-Midorikawa- mormorò, la sua voce più dolce. –Mi dispiace. Le Inazuma Agency sono luoghi protetti e non sarebbe dovuto succedere nulla di tutto questo. Ma è successo.- Si tolse la mano dal viso e guardò dritto negli occhi. –È successo, e ci serve il vostro aiuto per capire esattamente come. Per poter rimediare almeno a quello a cui è possibile rimediare. D’accordo?
Diam annuì, tese la mano verso la mia e la strinse appena, per poi lasciarla subito. Mi girai verso di lui e lo fissai per un po’, poi tornai a guardare Hitomiko e le feci un debole cenno di assenso. Hitomiko sospirò di nuovo, ci diede le spalle e si avviò verso il proprio ufficio. Noi ci limitavamo a seguirla senza dire una parola. Passando davanti alla mensa riuscii a cogliere delle voci familiari e rallentai per ascoltare.
-Ho chiesto a Maki cosa è successo, ma lei non ha voluto dirmi niente- stava dicendo Reina. Suonava esasperata, frustrata ed insicura, non l’avevo mai sentita usare quel tono.
-Lasciala stare per un po’. Se è come ci ha detto Tsunami, deve essere esausta… si è occupata delle ferite di metà dei presenti- disse qualcun altro, forse Kidou.
-Ha salvato tutti quelli che poteva- mormorò Reina, cupa. –Ma vorrei che mi parlasse. Vorrei che si lasciasse consolare. Odio questa situazione, non so cosa fare quando è triste.
La persona che le rispose aveva un tono stanco e rassegnato. Avrei riconosciuto quella voce ovunque, non avevo bisogno di guardare dentro per vedere chi fosse. Hiroto.
-Magari non vogliono essere confortati. Cose come “è colpa tua” o “non è colpa tua”… a volte non vuoi sentirtelo dire. Le parole di conforto possono anche avere l’effetto opposto- disse, poi tacque.
Era proprio così; non volevo il conforto di nessuno. Hiroto sembrava capirmi benissimo, al punto che controllai a stento l’impulso di entrare nella stanza e abbracciarlo. In un angolo remoto della mia mente mi chiesi se non parlasse per esperienza, ma non potevo rifletterci adesso.
Reina si morse il labbro: non aveva niente da replicare. Immaginai che la conversazione fosse finita e andai avanti facendo finta di non sapere che parlavano di me.
 
Le domande che Seijurou ci fece erano tutte di circostanza –chi erano, come erano entrati, cosa avevano fatto. Dal momento che quando eravamo stati attaccati eravamo sparpagliati su più piani, ognuno di noi raccontò il suo pezzettino di storia da un punto di vista diverso e solo allora mi resi conto pienamente che tutti avevano sperimentato un proprio inferno. Eravamo tutti scossi e più volte Hitomiko fu costretta quasi a tirarci le parole di bocca. Heat rischiò di vomitare di nuovo sul tappeto dell’ufficio. Clara parlava in un tono quasi inaudibile, tremando come una foglia. Io stesso persi più volte il filo del discorso e dovetti ricominciare daccapo: avevo ancora una gran confusione in testa, forse dovuta allo shock, ed ero continuamente distratto dalle immagini di sangue e morte che mi comparivano davanti agli occhi.
-Basta- disse Maki ad un certo punto, scuotendo il capo. Era pallida e debole, la sua voce timida e flebile; bastava un’occhiata a capire che era stremata. L’attacco aveva messo a dura prova le sue capacità fisiche e mentali, spingendola ad usare i suoi poteri in un caso di estrema emergenza.
–Non ce la faccio più. Non capisco più niente. Vi prego, fatemi andare via, vi prego, voglio soltanto dormire- proseguì, implorante, spostando lo sguardo da Seijurou a Hitomiko.
L’uomo chiuse per un attimo gli occhi, sospirò, poi assentì.
-Hai ragione. Perdonami, agente Sumeragi. Perdonatemi tutti- dichiarò, fece una pausa. -Avete tutto il diritto di riposare, siete esausti e noi vi stiamo tormentando.
-Vi state facendo prendere dal panico, immagino- aggiunse Nepper sottovoce. Se Seijurou l’aveva sentito, non ne diede cenno. Fece girare tra le sue mani grassocce e rugose una tazza di ceramica lucida, da cui usciva un leggero aroma di tè verde, e si rivolse a sua figlia.
-Hitomiko, mandali nelle loro stanze. Per oggi li abbiamo trattenuti abbastanza- ordinò.
La donna si alzò, raggiunse la porta e l’aprì senza dire nulla. Piano piano, uno alla volta, ci tirammo su dalle sedie di legno e la seguimmo su per le scale. Diam mi passò oltre e mi precedette in camera, ma stranamente ne uscì pochi secondi dopo, lasciando aperta la porta; quando mi avvicinai, lui mi mise una mano sulla spalla e mi lanciò uno sguardo significativo che non capii subito.
Poi Diam mi superò, entrò nella stanza di Maki insieme a lei ed io mi girai verso la mia stanza.
Rimasi pietrificato.
Kazemaru era seduto sul mio letto, con i capelli legati in una disordinata coda di cavallo, e le braccia incrociate al petto come se avesse freddo. Quando mi vide scattò in piedi, nervoso, e mi squadrò da capo a piedi mordendosi il labbro, indeciso se avvicinarsi o meno. Sembrava che ora volesse parlarmi. Non ero sicuro di avere la forza di ascoltarlo, ma chiusi ugualmente la porta alle mie spalle e tornai a guardarlo. Kazemaru, forse incoraggiato dal mio movimento, fece un passo avanti e, sotto la luce al neon del lampadario, notai che i suoi occhi erano cerchiati di rosso. Probabilmente aveva pianto. Fece un altro passo, pareva sul punto di chiedere qualcosa: vidi quasi le parole ‘come stai’ formarsi sulle sue labbra, ma poi ci rinunciò e richiuse la bocca prima di rovinare tutto con una domanda tanto scontata e stupida.
Continuai a guardarlo senza accennare movimenti. Non sapevo esattamente cosa fare, né come comportarmi. Cosa pensava Kazemaru di me? Nonostante mi mostrassi sempre spavaldo, non ero in grado di salvare nessuno, nemmeno me stesso, e se non avevo la forza per proteggere il mio partner tanto valeva cederlo a qualcun altro…
Il mio stesso pensiero mi colpì come uno schiaffo.
Gli occhi di Kazemaru mi scrutavano e la sua attenzione, che pure avevo desiderato tanto, mi era insostenibile. Ho paura, pensai, voglio che se ne vada.
Quando Kazemaru fece per muovere un altro passo in avanti, arretrai di scatto e sbattei la schiena contro la porta, sentendomi in trappola. A quel punto non mi restava che gridare.
-Non avvicinarti- esclamai. –Ti prego, vai via. Non voglio parlare ora.
Lo sguardo di Kazemaru, sorpreso e compassionevole in un primo momento, si fece di colpo risoluto.
-No- ribatté con fermezza.
-Vai via!- Scossi il capo con tanta violenza da farmi girare la testa e dovetti appoggiarmi alla porta per non cadere in avanti. Kazemaru ignorò le mie parole e si avvicinò fino a potermi avvolgere le braccia attorno alla schiena e a poggiare il mento sulla mia spalla.
-Non vado da nessuna parte- disse. -Se non resto adesso, non valgo nulla come partner, come amico, o quello che vuoi...!
Mi strinse di più a sé ed io annaspai come se mi stesse soffocando. Cercai d’istinto di allontanarlo, infilando le dita nella sua felpa, artigliandomi ai suoi vestiti per strapparlo via da me.
-Lasciami! Lasciami, io… io sto bene- dissi, disperato. –Sto bene, devo solo dormire, starò bene. Lasciami, Kazemaru, per favore, lasciami.
Kazemaru resistette per un po’, poi si lasciò spingere e mi prese il volto tra le mani.
-Midorikawa, guardami- disse, con un tono così sofferente che obbedii subito. I miei occhi incontrarono i suoi. Il suo viso era paonazzo e striato di lacrime.
-Questo è proprio ciò che odio di te, lo sai?- la sua voce si spezzò sulla parola ‘odio’.
-Se sono preoccupato per te, è proprio perché non stai bene! E un po’ di sonno non migliorerà nulla, lo sai meglio di me. Ti stai solo sforzando di essere forte come al solito. Tu non mi lasci mai vedere il tuo dolore, Midorikawa. Io non ho la tua empatia, non riesco a capire cosa provi se non me lo dici-. Si fermò e prese un respiro profondo, come preparandosi psicologicamente a ciò che doveva venire. A quello che stava per dirmi.
-Avevi ragione, Midorikawa, sono stato un pessimo amico. Ti ho lasciato da solo, non mi sono accorto che soffrivi… Non ci sono stato per te e, quando ho capito quanto ci fossimo allontanati, sono entrato nel panico… Midorikawa, io ero terrorizzato dai tuoi sogni, più di quanto probabilmente lo fossi tu- confessò, aggrottando la fronte, corrucciato.
Lo guardai confuso.
-Cosa…- la domanda mi morì in gola prima di riuscire a formularla tutta.
Kazemaru si morse l’interno della guancia.
-Per me sei sempre stato un amico e un fratello, prima che un partner- disse.
-Ma poi sono arrivati quei sogni e d’un tratto ho visto un lato di te che non conoscevo... Ho capito che stavi cambiando, ma era già troppo tardi, io e te ci eravamo allontanati! Tu non mi parlavi più come prima, e non sapevo cosa fare... E poi ho scoperto che ti confidavi con Hiroto e che stavate insieme, e che tu mi avevi mentito, e… E mi sono spaventato.
I suoi occhi si riempirono di lacrime.
-Ho avvertito Hitomiko perché speravo di poterti tenere sotto il mio controllo. L’ho fatto per egoismo e, quando tu ti sei rivoltato contro di me, capire quanto davvero ci fossimo allontanati mi ha spaventato. Sono stato egoista, ti ho urlato delle cose orribili…
-Ma avevi ragione, no?- sbottai. –Sono stato io a mentirti, a mettere distanza tra noi…
Kazemaru scosse il capo. -Solo perché una cosa è vera, non significa che sia giusto dirla. E in quel momento volevo solo difendermi dalle tue accuse, volevo ferirti come tu stavi ferendo me, ma me ne sono pentito subito- disse, la voce piena di amarezza. -Avrei voluto riappacificarmi subito con te, ma ogni minuto che passava, la riconciliazione sembrava sempre più lontana. Continuavo ad esitare perché avevo paura dell’odio che mi avevi gettato addosso. Sono stato io a scatenare in te quella reazione. Mi dispiace davvero tanto, Midorikawa. E, ti giuro, ho detto di no a Endou. Non ho intenzione di cambiare partner, se tu non sei d’accordo. Io… Io non sono per niente disposto a perderti…!
Un suono roco, simile ad un rantolo, mi proruppe dalle labbra, percepii la sensazione di bagnato sulle guance e sotto il naso e la gola iniziò a bruciarmi. Le lacrime erano arrivate senza nessun preavviso e il pianto a lungo represso esplose con una violenza tale da minacciare di soffocarmi. Dalla mia gola cominciarono a uscire lamenti strozzati, che mi impedivano di parlare. Kazemaru mi guardò sorpreso, poi allarmato. Iniziò ad asciugarmi le lacrime con le maniche della sua felpa, mentre farfugliava parole di conforto che faticavo a comprendere.
Quando ritrovai la voce, singhiozzai:- Mi dispiace.. Io… mi dispiace…
-Sssh, sssh, è tutto okay, è tutto okay- mi ripeteva Kazemaru. –Respira, Midorikawa, respira.
-No, no, tu devi ascoltarmi- insistetti. –Non sapevo che pensassi questo… Non avevo capito nulla...
I sentimenti che per tanto tempo avevo ignorato premevano per uscire, come se una molla fosse saltata.
–Pensavo… credevo che tu non avessi più bisogno di me… Credevo che mi avresti abbandonato perché non sono abbastanza forte…
Kazemaru mi guardò confuso. –Ma di che parli?
Esalai un respiro tremulo e un singhiozzo più forte degli altri mi fece balzare il cuore in petto.
-I-io… non ero nessuno, non avevo niente, e voi mi avete amato lo stesso, ma io ero convinto di non meritarmelo… Credevo di dovermi guadagnare quell’affetto... Dovevo proteggerti per ricambiare, in qualche modo… Ma se non hai più bisogno di me, non mi resterà nulla... Io non ho nient’altro da darti…
Erano cose che avevo pensato fin da quando ero bambino. Ero stato amato, ma avevo sempre percepito una sorta di lontananza dalla “mia” famiglia, perché sapevo che non era davvero mia. Ora capivo anche il perché della mia solitudine. Perché a volte mi sentivo tanto solo da soffocare. Quei pensieri c’erano sempre stati, nascosti nelle zone d’ombra della mia mente.
Ah, pensai, adesso capisco. Perché soffrissi tanto, perché non riuscissi a parlare con Kazemaru… ora mi era tutto chiaro: non riuscivo a perdonare me stesso.
-Hai sempre pensato queste cose?- bisbigliò Kazemaru. Nel suo volto c’era la mia stessa, sofferta consapevolezza. Dalla sua espressione intuii che finalmente aveva capito anche lui. -Dall’inizio? L’hai sempre pensato?
Mi lasciai scivolare contro la porta, privo di energie.
Kazemaru si inginocchiò davanti a me e mi abbracciò di nuovo.
-Sei proprio uno stupido- singhiozzò. –Non hai mai avuto bisogno di dimostrarmi niente! Ti ho sempre amato per quello che sei, Midorikawa... E continuerò ad amarti, indipendentemente da chi sceglierai di diventare…
Affondai il viso nella sua spalla e strinsi le dita nella sua maglia.
-Sono stanco di vedere la gente morire- mormorai. -Sono così stanco, e così arrabbiato, e ho paura... Devo diventare più forte...
-Sì... Sì, ti capisco- disse Kazemaru. -Ma non devi più combattere da solo, Midorikawa. Quando sei stanco, ci sono qui io a proteggerti... Non è questo che vuol dire essere partner?
Mi accarezzò i capelli dolcemente, stringendomi a sé come una cosa preziosa.
–Non soffrire da solo... Io combatterò sempre al tuo fianco- continuò, con la voce carica d'emozione. -
Dopo questo, mi abbandonai totalmente contro di lui e piansi ancora, sempre più forte, finché la stanchezza non ebbe la meglio, e mi addormentai tra le sue braccia come un bambino.
 
xxx
 
La mattina dopo, mi svegliai nel letto insieme a Kazemaru. Probabilmente mi aveva sollevato e messo lì, poi era rimasto al mio fianco tutta la notte. Aprire gli occhi e trovarlo lì davanti a me, con le dita tanto strette alle mie che quasi non le sentivo più, mi strappò un sorriso genuino. Nonostante gli eventi del giorno prima mi turbassero ancora, sapere di poter contare di nuovo su Kazemaru mi procurava un senso di pace che non provavo da tempo.
Mentre lo osservavo, lui aprì gli occhi lentamente, mi mise a fuoco e fece un sorriso fiacco.
-Ehi- sussurrò. Non dissi nulla, chiusi le palpebre e le riaprii e lo guardai. Lui diede una stretta alle mie dita prima di lasciarla, si tirò su e cercò a tentoni il proprio telefono.
-Ah, sono le nove e mezza- bofonchiò. Passarono un paio di secondi, poi parve metabolizzare ciò che aveva appena detto e i suoi occhi si spalancarono di stupore.
-Le nove e mezza?! Cavolo, ci hanno fatto dormire tantissimo. Non succedeva da… da… boh? Non ricordo che ci abbiano mai fatti alzare tanto tardi- esclamò. –Be', tu sei un caso a parte. Una volta hai dormito per quasi due giorni interi.
Scoppiai in una debole risata, la mia voce era ancora roca e raschiata e il suono che mi uscì sembrò più un colpo di tosse.
-Andiamo?- proposi.
Lui si liberò delle coperte e mi guardò mentre si legava i capelli in una specie di chignon.
-Hai fame?- chiese. Mi posai una mano sullo stomaco e realizzai improvvisamente che non mangiavo da circa otto ore; il senso di nausea permanente, tuttavia, si opponeva allo stimolo della fame.
-Onestamente no, ma non credo che il digiuno faccia bene…
-Giusto. Mangerai, anche se dovessi costringerti- convenne lui infilandosi le scarpe. Poi si alzò in piedi e mi tirò fuori dall’armadio degli indumenti puliti, compresa una delle sue grandi felpe che adoravo ed ero solito rubarmi dai suoi cassetti. Mi cambiai con un certo sollievo, gettai da parte i vestiti laceri e sporchi di polvere di gesso (mi ripromisi di buttarli via: non credevo che li avrei mai più usati) e restai seduto sul bordo del letto finché Kazemaru non mi tese nuovamente la mano.
-Andiamo- disse, con decisione, ed io non esitai a seguirlo.
Scendemmo in mensa così, tenendoci mano per mano come due bambini.
-Devo presumere che vi siate riappacificati?- esclamò Diam appena entrammo nella stanza.
Osservai i lunghi tavoli di metallo e lo individuai immediatamente: era vestito di verde prato, in netto contrasto con l’abituccio viola brillante di Maki, che gli era seduta a fianco.
Più in là c’erano anche Endou, Kidou, Gouenji e, con mia grande sorpresa, Shirou Fubuki.
-Aw, che carini. Questa volta vi siete mossi in coppia, vedo- commentò quest'ultimo. Si girò verso di me e mi sorrise, piegandosi in avanti sul tavolo per poggiarsi sui gomiti. –Sarai contento, ora che non hai più quell’aria da bimbo sperduto- aggiunse.
Arrossii, ma invece di negare dissi soltanto:- Sei ancora qui.
Fubuki alzò gli occhi al cielo. –E dove vuoi che vada? Se metto il naso fuori di qui, rischio di morire ammazzato e la prospettiva non mi attira per nulla...
-Fubuki ci aiuta con le indagini. Lui e suo fratello sono sotto la nostra custodia- affermò Gouenji, visibilmente tranquillo. Fubuki scrollò le spalle.
-Ora che so che Atsuya sta bene, devo concentrarmi solo su come prendere a calci quei tizi- disse con voce tagliente.
-Mettiti in fila- ribatté Diam. –C’è molta gente che vuole prenderli a calci in questa stanza.
Fubuki fece schioccare la lingua contro il palato, seccato, e non replicò.
Endou si alzò dal tavolo e ci venne incontro. I suoi occhi si soffermarono prima su Kazemaru, poi su di me, infine la sua espressione tesa si sciolse in un grande sorriso.
-Sono davvero, davvero felice che abbiate fatto pace- dichiarò. –E, Midorikawa… mi dispiace per la storia dei partner. Avrei dovuto chiederti prima se eri d’accordo, mi spiace, ero così preso dalla cosa che non ci ho proprio pensato.
-Non importa, è acqua passata- risposi, sincero. Ora che mi ero chiarito con Kazemaru, anche la sensazione di fastidio che provavo nei confronti di Endou era svanita. Non avevo più alcun motivo di essere geloso o arrabbiato con lui.
Endou si portò una mano alla nuca e fece una risatina imbarazzata.
-Ah, sono stato un vero stupido. Non c’è da meravigliarsi che Hiroto mi abbia fatto una bella lavata di capo…
Quando menzionò Hiroto, ricordai che non lo vedevo da parecchie ore. Credevo che mi sarebbe venuto a cercare, invece sembrava sparito, il che era un po’ deludente visto che, in quel momento più che mai, avevo bisogno del suo conforto.
Stranamente Endou parve intuire i miei pensieri.
-Voleva lasciarti un po' di tempo con Ichirouta- si affrettò a spiegare. -Poi oggi voleva correre subito da te, ma Seijurou e Hitomiko gli hanno chiesto fermamente di restare con loro… ad occuparsi di alcune cose.
-Cosa?- chiesi immediatamente, curioso.
-Le Spy Eleven sono qui- intervenne Kidou, che era in piedi dall’altra parte della stanza, poco distante da Fubuki e Gouenji. –Sono finalmente arrivate tutte e ora sono al completo. Erano già tutte presenti dal ministro, ieri mattina, ma ora stanno venendo qui. Il ministro era furibondo quando ha sentito dell’attacco alla nostra sede… chiaramente era tutto architettato.
-La lettera, la minaccia al ministro… Garshield ha organizzato tutto per poter entrare qui dentro. Ha distratto le Spy Eleven con uno specchietto per allodole e intanto le sue spie sono venute a cercare ciò che volevano- continuò Gouenji, serio. –E devono averlo trovato, perché a detta di Burn mancano parecchi fascicoli dall’archivio di Gazel.
Improvvisamente qualcosa scattò nella mia mente, permettendomi di fare il collegamento che ancora mi mancava.
-Era Gazel… era lui l’obiettivo, dal principio. Sapevano che c’era una persona da noi capace di conservare tutti i nostri dati e impedire a loro l’accesso. Quando Gazel li ha intercettati, lo hanno preso di mira…- mormorai. Ripercorsi con la mente i ricordi del giorno precedente: come avevamo potuto non pensarci? Avevano fatto in modo che nessuno potesse intervenire, in un modo o nell’altro, e avevano mirato dritti all’archivio.
-Lo sapevo- bofonchiai, amaro. –È colpa mia. Non avrei dovuto lasciare Gazel da solo. Avrei dovuto restare dov’ero, e magari saremmo riusciti a fare qualcosa…
-O forse saresti morto anche tu- Kazemaru mi interruppe e strinse la presa sulla mia mano per attirare la mia attenzione su di lui. –Hai fatto solo ciò che Gazel ti aveva chiesto. Non è colpa tua, chiunque avrebbe fatto lo stesso… Comunque ora è inutile pensare a come sarebbe potuta andare, giusto? Forse Gazel non sta proprio benissimo, ma ce la farà, e vedrai che quando tornerà sarà ancora più agguerrito di prima.
-Già, non è decisamente il tipo che si fa sconfiggere così. È troppo testardo per cadere senza lottare, in questo è uguale a Haruyan- commentò Maki. Era la prima volta che interveniva nella conversazione. Aveva ancora un aspetto malaticcio, la sua voce normalmente squillante era ridotta ad un sussurro e notai che aveva il viso gonfio e le nocche livide: anche lei doveva aver pianto molto. La guardai dritta negli occhi ed annuii lentamente.
-Hai ragione- dissi. Maki mi fece il più piccolo dei sorrisi.
In quel momento le porte della mensa si aprirono ed entrarono Reina, Zell, Hiroto, Burn e qualcuno che non riconobbi subito: solo quando si girò e posò i grandi occhi rossi su di me, infatti, capii che si trattava di una delle persone che avevo visto alla mia unica seduta psichiatrica, specificamente della ragazza che aveva passato tutto il tempo a fissarsi le punte dei capelli o le unghie delle mani. Quella mattina i lunghi capelli biondi erano legati in una treccia che gli scendeva sulla schiena e indossava alti stivaletti, una gilet di pelle su una camicia bianca e jeans neri stretti, così stretti che finalmente realizzai una cosa importante: non era una ragazza.
Una considerazione piuttosto imbarazzante, che per fortuna avevo notato prima di fare brutte figure.
Il ragazzo biondo stava parlando, o forse litigando, animatamente con Burn e i due sembravano molto in confidenza, come se si conoscessero da tempo; Hiroto, che pure li trattava in modo molto familiare, cercava di mettere pace tra loro, ma li abbandonò a loro stessi non appena si accorse della mia presenza. I nostri sguardi si incrociarono attraverso la stanza e lui lasciò letteralmente tutto per corrermi in contro e abbracciarmi, sollevandomi quasi da terra per l’impeto. Kazemaru mi lasciò velocemente la mano e fece un passo indietro mentre Hiroto mi stringeva forte a sé.
-Come stai?- mi chiese, sussurrando al mio orecchio. Si capiva che stava sulle spine, ma non osava essere troppo invadente. Mi appoggiai contro di lui e decisi di essere sincero.
-Male, ma mi riprenderò- risposi. Lui sospirò, non proprio rilassato, ma leggermente più sollevato, poi si staccò quel tanto che bastava per darmi un bacio sulla guancia e uno sulla fronte. Non provò a fare di più, perché la stanza era piena di gente ed era imbarazzato, ma continuò a tenermi stretto a sé ancora per qualche minuto prima che il biondo parlasse e interrompesse il nostro momento.
-Uhm, c’è qualcosa che dovrei sapere?- esclamò. –Da quando Hiroto ha un ragazzo, per esempio?
-Ma che ti frega? Tanto evidentemente non ci ritieni abbastanza importanti- lo rimbeccò Burn.
Il biondo lo fulminò con lo sguardo.
-Non fare l'idiota- disse, secco. –Ti ripeto, per l’ennesima volta, che non ho avuto altra scelta. Chang Soo mi ha ordinato di non informare nessuno della mia presenza in città, e così ho fatto. Non potevo certo pretendere che facesse un’eccezione per il tuo brutto muso.- Sbuffò ed incrociò le braccia al petto mentre Burn arrossiva violentemente.
-Be', almeno avresti dovuto farla per Gazel- brontolò. Pronunciò quel nome con amarezza. Realizzai in quel momento che Burn doveva essere uno dei più colpiti dall’incidente di Gazel e, in effetti, non aveva un aspetto sereno. Sotto i suoi occhi risaltavano occhiaie livide e profonde e teneva i pugni stretti, rigidi, lungo i fianchi. Era probabile che anche lui si sentisse in colpa per l’accaduto.
Le sue parole di risentimento parvero avere effetto sul biondo, la cui espressione si addolcì un poco.
-Avrei voluto, davvero. Mi siete mancati, che tu ci creda o no- disse. –E poi quando finalmente riesco ad arrivare qui, scopro che Gazel è in ospedale! Non vedevo l’ora di abbracciarlo.
-Non so se te l’avrebbe permesso- osservò Endou.
Il biondo scrollò le spalle. –A me lo avrebbe permesso- ribatté. –Ma comunque lui non c’è ora, e dovrò aspettare che ritorni…- Tacque e per alcuni minuti calò il silenzio. Tutti pensavamo al perché Gazel non ci fosse, naturalmente. Il biondo decise di non dilungarsi troppo in quell’atmosfera cupa.
-Ma tornando a Hiroto- esclamò infatti, cambiando efficacemente argomento –posso almeno sapere chi è il fortunato?- Attraversò la stanza con passo sicuro, elegante, si fermò davanti a me e mi tese la mano.
-Piacere di conoscerti, io sono Afuro Terumi. In genere le persone mi chiamano Aphrodi- si presentò. Aveva un sorriso luminoso ed incoraggiante. Mi staccai da Hiroto e strinsi la sua mano.
-Io sono Midorikawa- dissi. –Midorikawa Ryuuji.
-E in genere solo io e un altro paio di amici lo chiamiamo Reize- aggiunse Diam allegro. Alzai gli occhi al cielo e scossi il capo. Nel frattempo, Afuro studiò il mio volto abbastanza a lungo da riconoscermi a sua volta e si illuminò.
-Ehi, tu eri dalla psicologa! O meglio, sei scappato- esclamò, poi rise. –Hai fatto benissimo, tra parentesi. Avrei dovuto farlo anche io. Dieci sedute, una più cretina dell’altra.
-Wow, finalmente si sono accorti che sei folle?- commentò Burn, con un piccolo ghigno sarcastico.
Afuro si mise le mani sui fianchi e lo guardò con aria di sufficienza.
-Oh, Nagumo, a volte invidio i tuoi semplici percorsi mentali- cinguettò. –No, sono semplicemente preoccupati del fatto che il mio potere generi in me una sorta di narcisismo cronico, il che è ridicolo, perché non sono convinto di essere perfetto. Che io lo sia è un dato di fatto.
Burn sbuffò, mentre Endou e Hiroto scoppiarono a ridere alle sue parole. Afuro si girò verso di me e mi sorrise di nuovo e decisi che mi piaceva (e se era anche amico di Hiroto e Gazel, quello non poteva che essere un punto a suo favore).
-Io sono nell’Agency coreana, comunque. Gazel, Nagumo, Hiroto e Endou ed io veniamo dallo stesso centro di addestramento- mi spiegò.
-Capisco- risposi. Quello era un argomento che destava la mia curiosità: il nostro gruppo si era formato sotto l’ala di Seijurou unendo persone provenienti da varie periferie di Tokyo e mi sarebbe piaciuto molto sapere qualcosa sulle esperienza degli altri. Kazemaru ed io venivamo da Tokorozawa e, a quanto sapevo, anche Reina e Maki si erano addestrate nei dintorni di Sapporo. Non conoscevo dettagli su Gouenji, mentre Kidou era stato trasferito da Ehime dopo l’incidente con Kageyama. Infine, c’era il gruppo di Hiroto, Gazel, Nagumo e Endou, proprio nei dintorni di Tokyo. Era quello ad interessarmi maggiormente, e mi riservai di chiedere qualche dettaglio ad Afuro in seguito.
-Chang Soo è di là con gli altri grandi capi- affermò Afuro, parlando con Endou.
Il castano rise. –Scommetto che non è cambiato nemmeno un po’- esclamò.
-No. Stesso cervello, stessi capelli e stesse battutine argute- replicò Afuro, e annuì con convinzione. Spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro e si rivolse a Hiroto.
-A tal proposito… odio dover interrompere i piccioncini, ma dovremmo tornare di là. Tua sorella ci ha dato solo cinque minuti, ne sono passati otto e lei diventa piuttosto antipatica quando è impaziente- disse, guardandoci fisso. Arrossii per come ci aveva chiamati.
Hiroto gettò una rapida occhiata al proprio orologio da polso.
-Mi sa che hai ragione- bofonchiò. Esitò un momento, poi mi prese il viso tra le mani e mi diede un veloce bacio all’angolo della bocca. –Devo andare...
-Non posso venire con te?- lo interruppi immediatamente, aggrappandomi alla sua maglia per impedirgli di allontanarsi, con l’espressione più dolce che riuscii a fare per convincerlo. Non che ce ne fosse un gran bisogno. Hiroto non aspettava altro che glielo chiedessi. Il suo viso si illuminò di un largo sorriso e strinse una mano intorno al mio braccio.
-Nessuno ha specificato che non potevo portare persone- osservò.
-In effetti no- convenne Afuro.
-Ehi! Voglio venire anch’io!- intervenne Diam, saltando su dal suo posto. –Sono curioso, devo ammetterlo. Voglio vedere un po’ come sono questi “grandi capi”-- Mimò le virgolette con le dita.
-Posso venire anche io, allora?- si aggiunse Kazemaru. Hiroto annuì ad entrambi.
-Ma sì, mia sorella si lamenterà, ma chi se ne importa. Ci sono problemi ben maggiori. Dai, andiamo- disse, tranquillo.
 

La sala conferenze era piena di persone delle più disparate nazionalità e, se vuota appariva enorme, adesso al contrario sembrava infinitamente piccola e insufficiente.
Intravidi Natsumi Raimon e suo padre in un gruppo di ragazzi dalla pelle color terra, mentre le sue amiche, Aki Kino e Haruna Otonashi, erano vicine agli americani, quasi tutti biondi e con indosso i colori della propria bandiera. Più in là, seduti con Hitomiko, riconobbi Desarm e Fideo Ardena con i suoi più stretti subordinati, Zanardi e Maseratti; Edgar Valtinas era subito a fianco, e stava parlando con un ragazzo alto e magro con i rasta, scuro di pelle, ed un omaccione dai capelli lunghi, ricci e nerissimi con indosso una camicia a righe azzurre e bianche. Fudou era l’unico a starsene in disparte, prevedibilmente, ed il mio cuore affondò un po’ quando notai che non c’erano altri membri della sua squadra.
-Ah, ecco, Chang Soo è laggiù- bisbigliò Afuro. Seguii il suo sguardo e vidi un uomo alto, di corporatura agile e spigolosa; indossava una tuta di un rosso vibrante e aveva tratti fortemente orientali che contrastavano in modo stridente con la pettinatura afro. A fianco a lui, un ragazzo dai capelli violacei si stava appoggiando sulla spalla di un biondino, che lo respingeva seccamente, mentre il terzo, che aveva un corpo largo come quello di un lottatore di sumo e i capelli legati in una treccia alta, li osservava sconfortato. Dovevano essere compagni di Afuro, perché il biondo li raggiunse non appena li vide, facendosi largo nella folla.
In quel momento, Hitomiko alzò lo sguardo dal tavolo e ci notò. Aggrottò la fronte, forse contrariata dal fatto che Hiroto avesse portato anche noi lì, ma non fece nessun commento; si alzò in piedi e si voltò verso Seijurou, il quale (solo ora lo notavo) era seduto su una poltrona con una specie di microfono in mano.
-Bene- esclamò il padre di Hiroto. La sua voce rimbombò nel microfono, si diffuse al di sopra del vociare e tutti tacquero per ascoltare cos’aveva da dire.
-Signori, vi ringrazio di aver risposto alla chiamata e di essere giunti fin qua. Il viaggio per molti di voi deve essere stato lungo e faticoso e apprezzo molto le vostre intenzioni. Avrei voluto accogliervi in circostanze più… gradevoli, ma gli avvenimenti di ieri ci premono ad affrontare la questione, per quanto spinosa possa essere, senza ulteriori preamboli. Vi pregherei quindi di prendere posto e cominciamo la riunione- continuò Seijurou, serio.
Nessuno ebbe nulla da ridire e le persone cominciarono a spostarsi e prendere posto, in silenzio; Hitomiko si alzò e andò a sedersi in prima fila, mentre le Spy Eleven si allinearono dietro al lungo tavolo da conferenze, occupando le poltrone disposte ai due lati di Seijurou. Afuro ci fece un cenno e Hiroto e Nagumo andarono a sedersi vicino a lui, mentre io, Diam e Kazemaru preferimmo restare in piedi vicino alla porta, in disparte.
Dopo un paio di minuti, necessari per l’assestamento, nella stanza c’era il silenzio più totale.
Desarm si alzò e dichiarò il proprio nome e distretto. -Saginuma Osamu, Hokkaido- disse, a voce alta, e seguendo il suo esempio gli altri procedettero a presentarsi uno alla volta.
-Fideo Ardena, Italia.
-Edgar Valtinas, Regno Unito.
-Mark Kruger, Stati Uniti d’America.
-Mac Roniejo, Brasile.
-Teres Tolue, Argentina.
-Choi Chang Soo, Corea.
-Rococo Urupa, Africa centrale.
-Raimon Souichirou, Europa centro-orientale.
-Fudou Akiou, Ehime.
-Kira Seijurou, Tokyo- concluse la nostra Spy Eleven. Tossì per schiarirsi la voce, si portò nuovamente il microfono alle labbra e fece il suo annuncio:
– Che la prima riunione per organizzare il piano contro Garshield Bayhan cominci.



 
**Angolo dell'Autrice**
È una bella e rara sensazione riuscire ad aggiornare due volte in poco tempo~
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Anche se i toni della storia si fanno sempre più cupi, una cosa buona c'è: finalmente Kazemaru e Midorikawa si sono riavvicinati. Mi sono impegnata molto nella parte centrale del capitolo perché volevo che, oltre ai sentimenti di Midorikawa, passassero anche quelli di Kazemaru. Kazemaru e Midorikawa in questa fic sono più che amici, sono praticamente una famiglia, e Midorikawa sente un bisogno ossessivo di proteggerlo. Quello di voler dimostrare a tutti i costi il proprio valore è un tratto caratteristico di Midorikawa, in questa storia, ed è probabilmente una conseguenza della sua amnesia: sente il bisogno di definire la persona che è, per rimediare al fatto di non sapere chi è stato in passato. 
Sono stata molto felice di poter finalmente introdurre Afuro, che sarà un personaggio importante anche nello spin-off su Gazel. Penso che comincerò a postarlo in contemporanea al prossimo capitolo di Spy Eleven.
Bacioni,
       Roby

P.s. Consigli musicali! Battle Scars dei Paradise Fears per la parte di Kazemaru e Midorikawa ;)
   
 
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