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Autore: Nykyo    31/10/2014    3 recensioni
Talia e il piccolo Derek si godono il fresco sotto l’ombra di un ancora foltissimo Nemeton, in un placido pomeriggio primaverile, quando uno Stiles adulto, zuppo come un pulcino e parecchio spaesato, sbuca all’improvviso dal nulla. Derek gli gattona incontro, evitandogli di finire immediatamente sbranato, ma Talia, una volta rinfoderati zanne e artigli, ha comunque da porgli parecchie domande. La prima delle quali è senz’altro: perché Stiles odora come se un Derek ormai adulto passasse il tempo a rotolarglisi addosso?
Genere: Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Talia Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'odore della luna.'
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Even through the darkest phase
Be it thick or thin
Always someone marches brave
Here beneath my skin
 
Constant craving
Has always been
(Costant caving – K.D. Lang)
 
«A-Ah! Sì! Sono dentro.» La voce di Stiles era salita di almeno un tono per l’esultanza. «Batti il cinque!»
Derek non fece nulla per impedirgli di compiere una piroetta sulla sedia girevole su cui era appollaiato e di fronteggiarlo con un braccio alzato e il palmo della mano destra proteso, semplicemente si limitò a non rispondere al gesto, rimanendo immobile e a braccia conserte. E a folgorare Stiles con lo sguardo, come al solito. Perché Stiles se lo meritava. Come al solito.
Cosa si era messo in testa che fossero: migliori amici? Complici in chissà quale eccitantissimo crimine? Ok, Stiles era riuscito a entrare nel portatile di Peter e lui no, ma quel dettaglio non aveva nulla a che fare con la sua irritazione. Derek era seccato per il semplice motivo che Stiles perdeva tempo in cazzate inutili, tutto lì. Gli fece cenno di tornare a voltarsi verso il computer e di darsi una mossa e intanto si guardò intorno come se si aspettasse che suo zio potesse sbucare da sotto il letto da un momento all’altro.
«Oook, ragazzone.» Stiles non era proprio capace di tacere. Perfino mentre tornava a chinarsi sul notebook aggiunse: «Ok. Agli ordini. Però è meglio che mentre mi do da fare per ficcare il naso nel computer di tuo zio tu stia un po’ zitto, perché se continui a essere così loquace corri il rischio di distrarmi. Sul serio, smettila di chiacchierare, hai già detto almeno tre parole di fila nell’ultima mezz’ora, a malapena riesco a inserirmi nel discorso…»
Derek storse le labbra in una smorfia, anche se gli seccava ammettere che era un ghigno un po’ infantile e che era anche inutile, visto che Stiles non lo stava guardando perché era di nuovo tutto preso dal suo ruolo di hacker.
«Spicciati.» Derek avrebbe preferito suonare un po’ meno infastidito, ma proprio non ci riusciva. Stiles, quando ci si metteva, ossia in continuazione, era… oh! Insopportabile.
«E sono quattro. Wow, vuoi proprio travolgermi con il tuo eloquio.»
Derek gli rifilò uno scappellotto senza nemmeno pensare, e la sua sola risposta allo squittio indignato che ne conseguì fu: «Sbrigati. E se ti azzardi a dire “e cinque” la prossima volta farà male sul serio».
«Ti posso assicurare che anche questo…»
Stiles chinò il capo giusto in tempo e Derek ringhiò, colpendo l’aria e trattenendo a malapena l’istinto di sfoderare se non altro gli artigli. «Datti una mossa! Ora!» ripeté, anche se non aveva grandi speranze di essere ascoltato.
Per non cedere alla tentazione di reagire di nuovo in modo incontrollato voltò a sua volta le spalle e fece qualche passo nella direzione opposta a quella della scrivania a cui Stiles era seduto.
Per fortuna di entrambi Stiles scelse di non replicare ulteriormente. Derek lo sentì battere velocissimo sui tasti del portatile, all’evidente ricerca di quello che occorreva scovare.
Malgrado la mancanza di nuove battutine ironiche e il fatto che Stiles pareva essere finalmente concentrato solo su ciò che gli era stato chiesto di fare, Derek era nervoso e si sentiva a disagio. Per prima cosa non riusciva a convincersi che Peter avesse davvero lasciato il suo computer così tanto accessibile e incustodito da consentirgli di prenderlo – per così dire – in prestito. No, la cosa non lo convinceva nemmeno un po’. E anche se si fosse sbagliato, il pensiero di essere stato costretto a rubare il portatile di quello che avrebbe dovuto essere solo un parente – per di più uno dei pochi che gli erano rimasti – lo faceva sentire di un umore ancora peggiore del solito. L’intera situazione lo stomacava e lo rendeva più che mai guardingo e irascibile.
Potendo avrebbe se non altro fatto a meno di ricorrere all’aiuto di Stiles. Invece arrangiarsi da solo non era stato possibile. In compenso, Stiles era stato molto, molto entusiasta all’idea di aiutarlo e anche abbastanza svelto nel riuscire a intrufolarsi nel computer, o almeno così era parso a Derek.
Derek non ne era poi tanto stupito. Anche a voler lasciar perdere i sospetti sul fatto che Peter non intendesse affatto nascondere né il portatile né il suo contenuto, cose da piccolo, fottuto genietto senza speranza come quella erano proprio da Stiles. Era da lui divertirsi un mondo mentre giocava a fare l’hacker, e comportarsi come se Derek gli avesse portato un computer rubato in cui ficcare il naso non perché c’era in ballo qualcosa di molto serio, ma solo per dargli un giocattolo con cui divertirsi. Oh, era da Stiles eccome.
Derek avrebbe voluto anche pensare che era da sfigati, ma non riusciva a non provare nemmeno un briciolo di ammirazione per il fatto che, come sempre, Stiles poteva essere un emerito coglione logorroico, ma si stava dimostrando intelligente. Inoltre a lui non pareva comunque di essere nella posizione più adatta per sindacare sul serio su quanto patetica fosse l’esistenza di qualcun altro. Anzi, gli toccava ammettere che Stiles aveva avuto cose ben peggiori di cui lamentarsi che non il fatto di essere un nerd eccitato all’idea di ficcanasare nei portatili altrui e che, malgrado tutto, si era sempre ripreso con una tenacia e una capacità di recupero davvero invidiabili.
Peccato che a Derek non fosse mai piaciuto granché ritrovarsi ad ammirarlo. Ogni volta che gli succedeva il suo impulso primario era quello di opporre resistenza. Un po’ perché, nonostante il passare del tempo, Stiles gli risultava ancora indecifrabile e aveva sempre la capacità innata di farlo sentire stupido, o esasperato, o entrambe le cose insieme, e un po’ perché un altro tipo di istinto, meno umano, più legato al suo lato animalesco, lo spingeva in un senso diametralmente opposto.
A volte Derek aveva l’impressione che, se solo avesse provato ad avvicinarsi davvero a Stiles, raggiungerlo sarebbe stato molto più facile del previsto e allontanarsi di nuovo sarebbe risultato impossibile.
Sarebbe bastato anche solo quello per farlo sentire teso e irrequieto. In più, ogni santa volta, Derek doveva fare i conti con la faccenda dell’odore.
Era da un bel pezzo che non gli capitava di essere costretto a passare così tanto tempo nella camera di Stiles e per di più gomito a gomito con lui. Il fatto che Stiles fosse presente, com’era logico, amplificava l’effetto di trovarsi in una stanza che già di per sé era satura del suo odore.
Derek ricordava di non essersi sentito così tanto scombussolato quando era stato lì con il padre di Stiles e gli Argent, fermo davanti a una scacchiera di cui lui, per ragioni mai chiarite, era stato incoronato re. Doveva ammettere che, molto probabilmente, il motivo per cui in quel frangente i suoi pensieri non avevano preso una piega ridicola riguardo all’odore di Stiles era stata l’ansia di tutt’altro tipo che aveva pervaso tutti. Ma ora la vita e la salute mentale di Stiles non erano più in pericolo – non immediato, se non altro, anche se Derek aveva smesso da tempo di credere che ciascuno di loro potesse mai essere davvero al sicuro lì a Beacon Hills – e il suo cervello e il suo olfatto avevano ripreso a giocargli stupidissimi scherzi.
Era molto meglio se si manteneva a distanza da Stiles e, soprattutto, dal suo collo nudo. Derek non sapeva perché, ma quello era il punto del corpo di Stiles che più desiderava annusare da vicino. Ne era attratto in modo insensato e se ne rendeva anche conto, ma non c’era nulla da fare.
Il guaio era che, dopo aver fatto caso al suo collo per troppe volte di fila, a un certo punto Derek aveva iniziato a notare anche altri dettagli, come le mani di Stiles o quel suo assurdo naso all’insù.
Nessuno di loro aveva a che fare con l’odore, però, anche se lui odiava ammetterlo. Che Stiles avesse gli occhi come quelli di uno stupidissimo cucciolo non significava che non fosse un rompipalle da competizione e una spina nel culo e, quando ci si metteva, anche un accidenti di saputello sputasentenze.
Derek era disposto ad accettare l’idea di aver bisogno di lui per hackerare un computer, o per ideare un piano di battaglia, o per qualcuna delle solite faccende pratiche legate a mostri orribili e disgrazie incombenti che lui, Scott, Stiles e gli altri finivano sempre con l’affrontare tutti insieme, ma non aveva la minima intenzione di considerare altri tipi di bisogno.
Stiles aveva anche dei pregi, naturalmente, e con il tempo si era guadagnato un posto importante in quello che Derek considerava il suo branco, ma certe cose rimanevano prive di senso. Derek continuava a pensare che il suo odore avesse su di lui un effetto eccessivo.
In ogni caso sperava che Stiles si spicciasse e che lo liberasse dalla tortura di dover vagare senza meta per la stanza, senza sapere come trovare tregua a quell’assalto olfattivo costante e compatto. Andare a sedersi sul letto era impensabile e appollaiarsi sulla prima sedia libera, in un angolo in disparte, gli avrebbe solo riportato alla memoria tutta la faccenda ridicolissima delle magliette e di Miguel. Miguel! Stiles era davvero un idiota!
«Oh. Mio. Dio. Derek, vieni a vedere, presto!  È… Wow!» Il tono di Stiles, trillante di entusiasmo, lo fece scattare come una molla.
Derek lo raggiunse praticamente in un solo passo, quasi un balzo. Si chinò su di lui e sul portatile, cercando di rimanere impassibile e di non dimostrare sollievo al pensiero che ce l’avevano fatta e che, di conseguenza, avrebbe potuto uscire di lì molto presto, o almeno così sperava.
Sotto i suoi occhi ansiosi, anziché le fotografie o la trascrizione del grimorio che stavano cercando  – ammesso che il grimorio in questione esistesse e che fosse davvero di una qualche utilità contro la maledizione di una Gorgone – comparve la schermata di un videogame di ambientazione fantasy.
«Stai scherzando?» Più che un ringhio fu addirittura un ruggito. Derek aveva di nuovo voglia di afferrare Stiles per la nuca e di sbattergli la fronte contro la prima superficie dura a disposizione, ossia contro la tastiera del portatile o, solo per non distruggere il computer, sul ripiano della scrivania. Non riusciva a decidere se trovava più demenziale Stiles o Peter che alla sua età perdeva tempo con simili cazzate.
«È la versione delux con gli avatar personalizzabili, deve essergli costata un occhio della testa, guarda, guarda! Oh, l’estensione per forgiare armi personalizzate è una figata! Devi lasciarmelo scaricare. Scommetto che capisco come togliere la protezione, è davvero una figata immensa. Io non potrei mai permettermelo. Volevo fare un lavoretto dopo la scuola, almeno fino al diploma, ma no, lupi mannari impazziti, lucertoloni paralizzanti, sacrifici umani e poi… poi… n-non, ah, non…» Se il viso di Stiles non si fosse rabbuiato di colpo, molto probabilmente Derek l’avrebbe davvero preso a pugni. Invece provò un’ondata di puro sollievo, inattesa e un po’ imbarazzante, quando, dopo un paio di secondi di silenzio denso come catrame, Stiles risollevò lo sguardo verso lo schermo del notebook e riprese a blaterare. «Lo voglio! Devi lasciarmelo scaricare. Guarda che grafica! Hai idea di quanto costa? È una totale, enorme figata!»
Derek sbuffò, anche solo per scacciare il curioso senso di calore che aveva appena provato nel notare che Stiles si era ripreso così in fretta dall’evidente sofferenza causata dai brutti ricordi.
«Spicciati, e quando avrai finito copia pure quello che ti pare» gli concesse e poi però grugnì: «Ma se non ti dai una mossa…»
Stiles anziché apparire spaventato ridacchiò e scosse la testa. «Lo so, lo so, se non mi sbrigo mi squarcerai la gola. Con i denti. Lo so, capo, ok. Messaggio ricevuto. Mi rimetto al lavoro. Ma dovresti imparare a prenderti un po’ meno sul serio, eh, Miguel. Anche se non può venirti un’ulcera non vuol dire che…»
Il pugno risuonò come un piccolo tuono in miniatura e fece sussultare la scrivania. Stiles invece non fece una piega. «Ehi, ragazzone, vacci piano, ok? I mobili di camera mia non si rigenerano mica.»
Derek odiava l’idea di aver perso la pazienza in un modo così evidente e patetico, ma proprio non ce l’aveva più fatta a trattenersi e anzi, si meravigliava di non aver colpito direttamente Stiles. Forse averlo tanto a portata di naso lo stava facendo sragionare più di quanto le chiacchiere insensate di Stiles non facessero già di per sé. O forse era l’ansia di avere finalmente sotto gli occhi il grimorio. In ogni caso Derek era davvero a corto di pazienza e di autocontrollo. Riconosceva a Stiles diversi pregi, se proprio ci era costretto, ma quando lo doveva gestire da solo, faccia a faccia, non sapeva mai cosa aspettarsi e come fare per non ammattire. E Stiles sembrava sguazzare nel brodo della sua frustrazione.
«Non…» Fu costretto a sibilarlo tra i denti, «chiamarmi in quel modo.»
Stiles compì di nuovo un mezzo giro sulla sedia solo per fronteggiarlo. Se non altro non si poteva dire che fosse un vigliacco o un fifone facile da terrorizzare. Non c’era da meravigliarsene, con tutto ciò che Stiles aveva passato, ma Derek sapeva bene che Stiles era sempre stato così, anche prima di affrontare prove che avrebbero ridotto a un ammasso di gelatina sfatta e tremante persone molto meno indifese e più robuste di lui.
«Non chiamarmi così, ok?» gli disse, e fu il primo a stupirsi di aver usato un tonto tanto più gentile e accomodante.
«Vuoi dire Miguel?» A quanto pareva Stiles, oltre che per nulla impressionato, temerario e incosciente, era anche incapace di cogliere al volo il momento adatto per smetterla di fare il cretino.
Derek sollevò gli occhi al cielo e annuì.
«Non vuoi che ti chiami Miguel?» Stiles pareva divertito. Derek annuì di nuovo, incupendo l’espressione e lo sguardo e chiedendosi perché diavolo aveva dato una chance di piantarla a un simile imbecille patentato.
Ancora una volta Stiles non parve fare troppo caso a tutto il suo disappunto. «Oh, beh, se è così importante eviterò di farlo, ma credo che sia buffo, sì, è buffo, perché ogni tanto ti si corruga tutta la fronte, sai? E fai quella faccia, che sembra… sembra un temporale in arrivo, ed è la faccia che avevi la volta che ti sei provato le mie magliette. La stessa, identica. A dire il vero è una faccia che fai più spesso e… non è proprio l’espressione da pazzo assassino, quella la fai comunque in continuazione, ma ormai è evidente che non significa che conti di sbranarmi o di uccidermi davvero, però le altre volte dovresti vederti. Tipo ora, hai proprio la faccia da Miguel e un po’ anche quella da matto omicida, in effetti… secondo me avresti bisogno di… Ahi!»
Derek chiuse gli occhi, un istante dopo averlo colpito di nuovo sulla nuca. Si massaggiò la radice del naso con due dita e prese fiato, anche se farlo significava inalare ancora di più l’odore di Stiles, e in parte proprio per quel motivo. Stiles era una gran rottura di scatole, ma il suo odore in dosi davvero massicce agiva come un inatteso calmante perfino quando chi lo emetteva si stava comportando in maniera così tanto molesta. «Per favore» fu tutto ciò che Derek fu capace di esalare mentre cercava di tranquillizzarsi.
«Ok, va bene.» Stiles però sembrava ben poco convinto. «Come vuoi tu, amico. Anche se credo che dovresti davvero imparare a prenderla meno sul serio. Sai, ridere, cose così… fa bene, piace alla gente, la mette a suo agio, dovresti provare. Sempre che tu voglia mettere la gente a suo agio, almeno ogni tanto. Beh, in quei casi ridere insieme aiuta. Secondo me per esempio il nome Miguel è divertente, dovrebbe farti sorridere, con i nostri trascorsi. Dovrei chiamarti così ogni volta che stai rischiando una paralisi facciale perché sei troppo ingrugnito. Se imparassi a riderci su…»
Derek non aveva avuto la minima intenzione di ululare davvero, ma in pratica lo fece, senza nemmeno rendersene conto. Per fortuna il suo tono rimase contenuto e il suono fin troppo riconoscibile che aveva appena prodotto non superò la barriera dei muri della stanza.
Oh! Certo, perfetto! Non gli mancava altro che di segnalare involontariamente la sua esasperazione a ogni lupo mannaro nel raggio di almeno un miglio. Per fortuna non aveva ruggito il suo disappunto a gola spiegata.
Se non altro la sua reazione aveva finalmente sortito un qualche effetto. Stiles aveva incassato la testa tra le spalle, masticando l’ennesimo «Oook» e poi si era voltato di nuovo verso il portatile e si era messo a digitare come una furia, con la mascella contratta e perfino con un’aria un po’ offesa. Derek sospirò per l’ennesima volta. Iniziava ad avere mal di testa e non gliene importava un fico secco che Stiles si fosse risentito, purché si decidesse una buona volta a fare la sola cosa che lui gli aveva chiesto di fare. In silenzio e senza ulteriori interruzioni.
Fu più o meno accontentato. Stiles si mise a frugare tra le cartelle e i file, senza più pause e senza quasi aprir bocca, salvo che per qualche esclamazione entusiastica ma smozzicata, subito seguita da un’occhiata obliqua nella sua direzione. Il suo sguardo diceva: «Certe volte sei proprio uno stronzo, Derek Hale», ma Derek continuò a fingere di ignorarlo e fece spallucce, esortandolo ancora una volta, e con altrettante occhiatacce, a darsi una mossa.
Era stanco, inquieto e oltremodo seccato dal pensiero che quel poco che rimaneva della sua famiglia fosse tanto più di frequente una fonte di preoccupazione anziché di conforto. Ce l’aveva con Peter e con i suoi dannati segreti, con Stiles che riusciva a trovare un motivo di buon umore perfino dopo essere passato così tante volte attraverso l’inferno e con se stesso che, invece, proprio non ci riusciva.
Miguel… quante cazzate. Fosse bastato un nomignolo idiota a fargli tornare la voglia di ridere. Non era nemmeno tanto sicuro di ricordarsi come si faceva a scoppiare in una risata del tutto sincera e liberatoria. Ed era anche per quello che Stiles lo faceva tanto infuriare, non solo perché a differenza di lui Stiles lo rammentava, ma anche perché a volere essere obiettivi Stiles in certi momenti era davvero spassoso. Derek lo ascoltava sparare le sue immense stronzate, con quella faccia da schiaffi e con tutta la brillantezza dell’ironia e del sarcasmo e pensava – sì, a volte si ritrovava sul serio a pensarlo – che lui doveva essere davvero irrecuperabile, se nemmeno davanti a un simile spettacolo riusciva a farsi una sana risata. Doveva avere qualcosa di proprio sbagliato per non riuscire a pensare solo «Dio, che coglione» e poi lasciare che gli spuntasse sulle labbra se non altro un sorriso.
Comunque non aveva voglia di pensarci, e fu ben felice di sentire Stiles esultare e puntare un dito contro lo schermo del computer. «Bingo!»
Derek constatò subito che questa volta Stiles si riferiva davvero al grimorio. Si fece più vicino e si chinò in avanti per vedere meglio.  La trascrizione dell’antico testo medioevale era fatta in maniera chiara e leggibile e grazie al cielo non era in latino. Il numero di pagine di cui era composto il documento era, però, scoraggiante.
«Non riesco a copiarlo. È protetto… non avevo mai visto un file protetto in questo modo.» Stiles stava armeggiando con la tastiera e pareva parecchio indispettito. «Non ha un indice, non ha illustrazioni che ci semplifichino le cose. In più è come se fosse un blocco unico. Non posso avviare una ricerca nel testo e non posso copiarlo, ho paura che dovremo scorrerlo tutto ora.»
Derek sbuffò più forte e andò alla ricerca di una sedia. La sola che trovò era ingombra di vestiti appallottolati e sgualciti, che lui cercò di maneggiare il meno possibile mentre se ne sbarazzava gettandoli sul letto. Odoravano così tanto di Stiles che gli venne voglia di affondarci dentro il viso. Il che era ridicolo, Cristo santo! Gli mancava solo di sviluppare una sorta di feticismo olfattivo per i calzini sporchi di un adolescente.
«Inizia» soffiò tra i denti mentre afferrava con troppa forza la spalliera della sedia e la spostava con riluttanza accanto a quella di Stiles, augurandosi che per una volta un briciolo di fortuna gli sorridesse e che ciò che stavano cercando non fosse nascosto proprio nelle ultime pagine del grimorio. Perché di pagine quell’accidenti di trascrizione ne aveva davvero troppe.
Ovviamente, come ebbe modo di constatare nell’ora successiva, le sue speranze erano state vane. Per quanto lui e Stiles fossero riusciti a trovare un certo ritmo nel controllare il grosso file del grimorio, quello che stavano tentando di trovare pareva davvero destinato a spuntar fuori solo all’ultima riga.
Stiles si era fatto tutto un tratto molto concentrato e, anche se non riusciva proprio a star fermo e continuava a tamburellare con le dita o a muoversi senza requie sulla sedia, tutto sommato pareva essersi deciso ad aiutare senza perdere troppo tempo e senza comportarsi come un idiota. Ogni tanto masticava comunque una qualche sciocchezza per poi sputarla fuori quando Derek meno se l’aspettava, ma nel complesso erano soprattutto frasi smozzicate, quasi non intellegibili, anziché veri e propri discorsi. Stiles stava parlando più con se stesso che con lui.
Non doverci fare conversazione era un problema in meno e Derek finì con il sentirsi più a suo agio, almeno finché non si rese conto che proprio l’essere maggiormente rilassato lo rendeva più ricettivo e sensibile ad altri stimoli. Vicino com’era a Stiles, con cui era obbligato per forza di cose a stare gomito a gomito, entrambi chini sul piccolo schermo del portatile di Peter, Derek avvertiva il suo odore come un sottofondo olfattivo persistente e continuo.
Non c’era verso che si abituasse a esserne così turbato o che si capacitasse dell’effetto che gli faceva. Era davvero tutto sbagliato.
Se l’odore di Stiles gli fosse diventato così familiare e gradito con l’andare del tempo, Derek avrebbe anche potuto comprenderlo. Stiles faceva parte del branco, su quello ormai non c’era alcun dubbio, e il branco era casa, era sicurezza, era appartenenza, quindi chiunque entrasse a farne parte, alla lunga, per gli altri membri significava famiglia. Si creava un legame: un membro del branco, quale che fossero i suoi trascorsi con gli altri componenti, diventava una persona da difendere a ogni costo, qualcuno a cui tenere, e il suo odore, di conseguenza, diveniva un odore con forti risvolti emotivi.
Quello che Derek proprio non capiva era come con Stiles gli fosse successo il contrario. Stiles gli dava sui nervi ma, tra le altre cose, il suo odore aveva sempre suggerito a Derek che di lui ci si poteva fidare, che Stiles era parte del branco, che era giusto proteggerlo.
Solo il lato più umano di Derek ci aveva messo un sacco di tempo prima di decidere che Stiles era qualcuno su cui si poteva fare assegnamento, qualcuno in cui credere e nelle cui mani lui avrebbe potuto affidarsi senza remore, in casi come quello presente o perfino in situazioni più gravi e di emergenza. Il lupo, invece, l’aveva intuito e fiutato fin quasi dal loro primo incontro. Perché una cosa era certa: Stiles poteva essere uno stronzetto fastidiosissimo, ma era leale – se non a Derek, quantomeno a Scott, e di conseguenza al branco – e portato a districarsi dai peggiori casini. Stiles era intelligente ed era un’ottima risorsa, quando non faceva il coglione e, tutto sommato, anche quando secondo Derek lo faceva eccome. Tutte cose che Derek aveva imparato con il tempo, ma che in fondo aveva sempre saputo.
Gli umani lo dicevano spesso, usando la frase come mero modo di dire e senza rendersi conto di quanto il detto parlasse della loro natura animale: “andare a naso”. Derek non era umano, era un lupo mannaro fin dalla nascita, e per lui “andare a naso” aveva un significato ben più preciso e pratico. Eppure il suo fiuto, ogni volta che Stiles era nei paraggi, gli diceva cose che lo facevano dubitare di avere un olfatto ben funzionante.
Non che lui avesse dubbi sul fatto di interpretare nel modo giusto le emozioni di Stiles, quando le annusava, però non era altrettanto certo di riuscire a capire bene le proprie. Non si trattava solo di quel tipo di sentimenti, già fin troppo difficili da accettare, ma anche di tutta una serie di stimoli più istintivi e meno controllabili che l’odore di Stiles pareva attivare.
In quel momento, ad esempio, a furia di stargli appiccicato Derek iniziava ad avere di nuovo voglia di avvicinarsi ancora di più, di affondare il viso nell’incavo del collo di Stiles e di inspirare a fondo. Gli succedeva ogni santa volta. Era imbarazzante e ingiustificato. Andava ben al di là del concetto di chimica animale e di attrazione olfattiva. Se si fosse trattato solo di qualcosa che gli smuoveva gli ormoni, probabilmente Derek avrebbe fatto meno fatica a renderne conto a se stesso. Invece era molto di più. Stiles gli faceva venire voglia di abbandonarsi. Era come se il suo odore dicesse: «Con me sei al sicuro, lasciati andare».
Era qualcosa di più intenso della sensazione di fiducia meramente umana che veniva dalla conoscenza reciproca. Si trattava di qualcosa di più atavico e di più complesso: un’emozione inspiegabile che si venava sempre di rimpianto e di nostalgia.
L’odore di Stiles a volte colpiva Derek come un pugno nello stomaco, ma un attimo dopo era come se le dita impalpabili che l’avevano appena ferito si aprissero in un accenno di carezza.
Quando era costretto a stargli appiccicato e non poteva fare a meno di riempirsi le narici del suo odore, Derek lo odiava perché nell’annusarlo c’era un che di straziante. Lo faceva sentire come se tutto ciò che aveva perduto fosse di nuovo a portata di mano e lui non potesse comunque toccarlo. Ma nello stesso tempo, respirare l’odore di Stiles smuoveva sentimenti sopiti e faceva risuonare corde vibranti di speranza che avrebbero dovuto essere spezzate e mute. Derek si era chiesto almeno un milione di volte come fosse possibile e perché.
La verità era che non aveva mai trovato risposte. Di norma non riusciva nemmeno a essere così razionale nell’analizzare il fenomeno. Il più delle volte, se Stiles si avvicinava troppo o se trascorrevano molto tempo in uno spazio chiuso, Derek, per quanto si sforzasse di resistere, si sentiva disarmato come un bambino, desideroso di avere di più, incapace di pensare altro che «Mio!» o di desiderare altro che stringere, sfregarsi addosso a Stiles, inalare a pieni polmoni e poi accoccolarsi e chiudere gli occhi.
Non poteva proprio accettarlo. Era ridicolo! No, peggio, era patetico. Stiles, se l’avesse saputo, l’avrebbe preso per pazzo e avrebbe avuto ragione.  Su quel punto Derek non si faceva illusioni. Se anche non gli fosse sembrato tutto sbagliato e, di conseguenza, avesse voluto davvero afferrare Stiles per la vita e annusargli il collo, perché ne sentiva la necessità viscerale e irrefrenabile, non avrebbe di certo potuto farlo. Stiles non gliel’avrebbe consentito. Perché avrebbe dovuto?
Il solo pensiero di chiedere una cosa simile era da folli.
Derek stesso si detestava per il tipo di bisogno che avvertiva, figurarsi cosa avrebbe pensato Stiles che era del tutto umano e non avrebbe mai potuto comprendere nemmeno cosa lo spingeva a desiderare.
Derek a volte era davvero tentato di prendere Stiles a pugni nello stomaco o su quel suo accidenti di naso all’insù, ma in realtà, del tutto a prescindere dalla questione dell’odore che gli parlava di fiducia e di appartenenza, non voleva che Stiles lo odiasse davvero. Erano membri dello stesso branco e forse dal lato umano della questione non li si poteva definire propriamente amici, però, a modo loro e con il passare del tempo, avevano imparato a rispettarsi.
Anche se si sarebbe morso la lingua fino a reciderla meglio che dirlo a voce alta, a Derek in effetti Stiles piaceva. Era sveglio, era uno che non si arrendeva. Sparava un mare di cazzate, però era tenace.
Cedere all’istinto avrebbe significato spaventarlo e farlo fuggire a gambe levate. Ne sarebbe nato un casino immenso che avrebbe coinvolto di sicuro anche Scott. Derek doveva tenere conto anche di quello, del fatto che Scott era come un fratello e, in un certo senso, era anche il suo Alpha. Ma, se avesse dovuto scegliere tra lui e Stiles, Scott non avrebbe avuto dubbi.
Inoltre non era mica normale andare in giro a domandare alla gente di lasciarti fare questo genere di cose. E comunque Derek non osava nemmeno immaginare la reazione di Stiles, la marea inarrestabile di parole che avrebbe potuto tirar fuori sull’argomento, le stronzate, l’ironia sferzante e continua. Derek sarebbe diventato il bersaglio preferito del suo sarcasmo. Stiles sarebbe corso a raccontarlo a tutti e… no, forse no, in realtà, ma che accidenti si stava mettendo a pensare?
«A-ah! Beccato!» Stiles puntò un indice verso lo schermo e risollevò le spalle, mentre si voltava nella sua direzione, perché aveva il dannato vizio di guardare in faccia la gente quando era in cerca di approvazione per un lavoro ben fatto. «Beccato in pieno!»
Derek si sentì come se la frase fosse rivolta più a lui che al passaggio del grimorio che riguardava le Gorgoni.
Stiles si era appena bloccato di scatto mentre cercava di compiere un mezzo giro sulla sedia. Era stato costretto a farlo perché, evidentemente, nell’iniziare a muoversi, non si era aspettato di ritrovarsi così vicino a Derek da rischiare di urtarlo.
Derek si tirò indietro altrettanto in fretta, ma non abbastanza per evitare che Stiles notasse quando incombente era stata la sua presenza fino a un attimo prima. Lui stesso non si era reso conto di essersi chinato progressivamente, accorciando sempre di più le distanze tra il proprio viso e la nuca di Stiles. Per quanto svelti fossero appena stati nello schivarsi l’un l’altro, si erano comunque avvicinati troppo.
Derek avvertì il calore del sangue che gli affluiva alle guance e imprecò mentalmente. Il suo corpo si mise in moto prima ancora che lui ritrovasse un briciolo di lucidità. Afferrò il portatile e, nello stesso tempo, lo chiuse, rischiando di schiacciare le dita di Stiles che erano rimaste a indugiare sulla tastiera.
Derek scelse di ignorare sia il suo sguardo sbalordito che il suo «Ehi!» confuso e un po’ indignato. «Ora posso fare da solo.» Fu più un brontolio cupo che una frase vera e propria.
Fuggire era da vigliacchi, ma per una volta Derek lo fece senza voltarsi indietro.
«… avevi promesso di lasciarmi copiare il gioco…» fu l’ultima cosa che sentì prima di imboccare di corsa le scale con il portatile di Peter sottobraccio, sentendosi agitato proprio come un ragazzino sciocco, patetico e alle prime armi.

   
 
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