Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: lovespace    31/10/2014    8 recensioni
- Dopo un duro combattimento Harlock si ritrova a dover portare sull’Arcadia un ufficiale medico. Una donna alla quale si sente misteriosamente legato. Perchè? Tra colpi di scena ed avventure il tempo svelerà la sua verità. - Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra, in egual maniera le onde del destino, nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via. –
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla Terra, in egual maniera le onde del destino nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via.

 

 

9

 

TOCHIRO

 

Dopo la trasfusione ematica ad Harlock, Helèn si era recata nelle cucine. Tutto era desolatamente sottosopra anche lì ed in parte saccheggiato. Malinconicamente rivide tutta la ciurma seduta a mangiare a ridere e scherzare. “Ragazzi dove siete tutti? Dove?”.

Bevve avidamente del latte, aveva lo stomaco sottosopra ma doveva mangiare o si sarebbe indebolita. Prese alcuni biscotti e della frutta. Una mela, se la passò sulle labbra annusandone il profumo. Chiuse gli occhi. ‘Casa’.

Tornando indietro si ritrovò inconsapevolmente a passare davanti alla porta d’accesso al grande computer centrale.

Avevano cercato di farla esplodere non riuscendoci.  Appariva deformata e non più utilizzabile, ma lei conosceva un altro accesso. Glielo aveva mostrato Tori quel giorno in cui lo aveva seguito.

Entrò.

Tutto era immerso nell’oscurità. L’unica fonte di luce veniva da alcune lampade d’emergenza poste in basso un po’ su tutta la nave. Le piccole luci di solito accese sulla struttura del computer erano spente. Tutto sembrava annegare nel silenzio. Solo i suoi passi riecheggiavano tetri sul metallo del pavimento.

Andò a mettersi dove aveva visto tante volte Harlock. Aveva bisogno di pregare, di credere, di parlare anche solo per sentire la sua stessa voce.

Guardò lentamente in alto la struttura del grande computer. Si avvicinò posando i palmi delle mani sul freddo metallo.

“Harlock” disse con voce stentata e rotta dall’emozione. “Sta morendo! io… lo so”.

Un nodo le serrava la gola. “Le sue condizioni sono disperate! Ho fatto tutto quello che era nelle mie possibilità. Ma, la situazione clinica è compromessa”.

Non riusciva più a pronunciare quelle parole che le salivano incontenibili dal cuore e che sentiva il bisogno disperato di condividere con qualcuno. “Sta… sta morendo”. Lacrime liberatorie si affacciarono ai suoi stanchi occhi. “Quanto vorrei non essere un medico, per non sapere, per potermi dare speranza. Ma speranza non c’è”.

Si portò le mani al volto, scivolando lentamente sul pavimento.

"Harlock veniva sempre qui ogni volta che era combattuto o si sentiva solo. Aiutami! Aiutami ti prego! La nave va alla deriva, non ci sono navette, i contatti radio sono in avaria, credo ci siano problemi ai generatori supplementari di gravità e se faccio partire l’allarme generalizzato* arriverà una nave della Gaia Fleet”.

“Che posso fare? Che posso fare?”. Le sue parole ora, erano solo un lento lamento.

“Io lo amo e… e lui sta morendo. Sta morendo" gridò disperata.

Sentì riecheggiare ‘Lo amo’. Prendendo così quasi consapevolezza di quelle parole che aveva pronunciato.

Poi di scatto sollevò la testa.

Le era sembrato di sentire il suo nome.

Helèn”. Era come un sospiro sottile e sofferto.

Si voltò rapida, a destra e poi a sinistra, alzandosi di scatto. La mano corse alla fondina, prese la pistola. “Chi è? chi c’è?” urlò. L’eco della sua voce si perse lentamente nel grande ambiente.

 Sono io”. Helèn si guardò intorno voltando il viso e puntò l’arma di scatto da ogni parte nell’oscurità che la circondava. Silenzio.

Una luce rossa alle sue spalle attirò la sua attenzione. Si voltò. Sul computer ora erano accesi due grandi cerchi rossi concentrici. Helèn fissando quelle luci pulsanti comprese abbassando lentamente l’arma. Ciò che percepiva non era realmente udibile. Quello che sentiva era frutto di telepatia. “Chi… chi sei tu?” chiese confusa con voce sostenuta indietreggiando di alcuni passi.

‘Questa storia mi sta facendo diventare pazza’, pensò scuotendo il capo. Sto parlando con un computer. Si voltò per andarsene.

“Il mio nome è Tochiro”. Helèn si bloccò. Immobile come una statua ascoltava. Lei conosceva quel nome.

“Per salvare la vita di Harlock devi far ripartire il motore a Dark Matter”.

Helèn ripensò a quando aveva visto Harlock, sembrava pregare, in realtà le parole che aveva udito erano risposte. Ciò che lei percepiva era frutto di una forma di comunicazione esclusivamente mentale.

 “Tochiro?” chiese interrogativa. “Chi sei?”

“Sono colui che ha progettato e costruito l’Arcadia”.

La donna allora ricordò ciò che le era stato detto in diverse occasioni dai membri della Gaia Sanction. Tochiro Oyama era colui il quale veniva definito il miglior amico di Harlock. Era con lui che Harlock parlava? Era lui il segreto dell’Arcadia di cui tutti raccontavano? Ma se era morto come era possibile? Decise che queste domande avrebbero potuto aspettare, in quel momento aveva un’unica priorità. Chiese: “Pos… posso salvare Harlock? Co.. come?”

“Devi far ripartire il motore a Dark Matter”.

“Ma mi hanno detto che… che solo Meeme può attivare il motore”.

Harlock ne ha ordinato lo spegnimento affinché non finisse in mani sbagliate. Ma esiste un altro modo” le rispose con calma innaturale.

Helèn notò che quella voce pareva sofferente. Quasi stesse vivendo il suo stesso dolore. Avrebbe scoperto in seguito che l’Arcadia, Harlock e Tochiro erano indissolubilmente legati e non solo dal destino.

“Farò qualunque cosa se questo servirà a salvare Harlock anche se non capisco come le due cose siano connesse”.

Devi prendere i due bracciali di metallo che Harlock porta sempre con sé. vengono da Yura, Sono un regalo di Meeme. sono due chiavi, Portali in plancia. Và”.

‘Due chiavi’. Ripeté mentalmente Helèn. Corse veloce in sala operatoria, una speranza assurdamente inaspettata si era accesa nel suo cuore. Prese i due bracciali. Ricordava di averli messi accanto ai vestiti di Harlock.

Passandogli accanto lo guardò un istante per prendere coraggio. Poi corse in plancia.

Si fermò davanti al grande motore osservandolo in tutta la sua cupa maestosità. Spento le sembrò molto simile ad un grande organo a canne. L’organo della grande cattedrale Arcadia. Ne aveva visto uno in un’antichissima basilica sulla terra da bambina. La voce di Tochiro nella sua testa parlò.

Sali fino in cima Helèn”.

Indossati i bracciali, cominciò la scalata a mani nude. Cercò degli appigli ma non fu facile, la struttura non ne aveva molti ed aveva le braccia stanche per il lungo intervento ad Harlock. Il metallo era freddo e liscio, a metà percorso guardò in basso, la testa le girò. Chiuse gli occhi di scatto. Respirò piano e per aiutarsi, cominciò a ricordare gli alberi della terra. Quelli maestosi che crescevano accanto a casa sua, dove tante volte si era arrampicata. Ricordò l’intenso odore del muschio, il rumore del legno, il vento freddo tra le fronde e tra i capelli, lo sguardo lontano e… perse la presa di una mano.

Dal braccio rimasto ciondoloni uno dei bracciali scivolò via. Lo prese al volo con la mano restando appesa per sole due dita dell’altra.

Annaspò, se fosse caduta da quell’altezza sarebbero morti in due. Si portò lentamente il bracciale tra le labbra e con un piccolo slancio riprese la salita. Le braccia le dolevano ma non si sarebbe arresa. Arrivò in cima, si sedette a cavalcioni sulla struttura. Riprese fiato.

Cerca un alloggiamento sotto uno sportellino di metallo scuro. E’ un metallo diverso da tutto ciò che conosci. Inserisci  i due bracciali e ruotali uno in senso orario ed uno in senso antiorario’.

Helèn trovò un alloggiamento che pareva costruito appositamente per contenere i due bracciali. Li guardò un istante, facendovi scorrere sopra le dita. Quelle in rilievo sulla superficie di metallo dorato erano parole.  Parole-chiave, codici d’accesso. Ecco perché Harlock non se ne separava mai. Erano un modo per riavviare il motore senza l’ausilio di Meeme.

Li inserì. Le scanalature combaciarono perfettamente con gli alloggiamenti, li ruotò come le era stato detto. Respirò profondamente ed attese.

Lentamente la struttura del grande motore gemendo iniziò a muoversi piano. Cavi e tiranti iniziarono a far girare delle grandi ruote poste lateralmente. Subito dopo questo provocò il movimento di un grande anello centrale. Ma ciò che attirò l’attenzione di Helèn fu il generarsi, sotto di lei  al centro della struttura, di una luce verdognola che presto si compattò sotto forma di sfera, al centro della quale si muoveva una strana energia. La luce non era molto intensa, non come l’aveva vista tra le mani di Meeme.

Si affretto a scendere. Giunta a terra posò le mani sulle ginocchia, era esausta.

“Non ora” Le disse la voce. “I danni ingenti ai sistemi di supporto vitale e di controllo ambientale, la scarsa potenza del motore non ci consentono di tenere attiva tutta la nave. dobbiamo convogliare energia solo in due o tre ambienti. Il resto va posto in stand-by per utilizzare al meglio le risorse e l’ossigeno che è a bordo”.

Helèn timidamente chiese “Ma il sistema di autoriparazione?”

“Ha danni ingenti è in avaria”

Il medico allora rispose subito “L’infermeria, la cucina e gli appartamenti di Harlock”. Helèn percepì nettamente un sorriso.

Ha ragione il mio amico Harlock. sei una donna speciale”.

Helèn si sentì grata di non essere più sola. “Grazie Tochiro per esserti palesato a me”. ‘Amico’ rifletté. Comprese quanto questo probabilmente fosse costato all’ingegnere e che lo avesse fatto solo perché era realmente l’unica chance per salvare il suo caro amico Harlock. Una nuova speranza ora palpitava nel suo cuore.

Mentre camminava ripensava alle parole di Tochiro ai danni che le aveva elencato. Gli autori di quell’assalto sapevano quel che facevano, volevano sbarazzarsi per sempre dell’Arcadia e del suo capitano mandandoli a morire insieme.  

Intanto era arrivata in sala operatoria, ebbe molto da fare. Trasferire Harlock. Preparare tutto il necessario occorrente per effettuare gli spostamenti in ambienti privi di ossigeno e luce. Tochiro si occupò di isolare il resto.

Contemporaneamente il motore a Dark Matter richiamava a sé dai recessi più reconditi dell’Universo la materia oscura. Come un dio della notte che richiami a se l’esercito da ogni dove. Helèn sistemò Harlock con gli strumenti e tutto l’occorrente nei suoi appartamenti accanto al camino e si preparò ad aspettare. Si prelevò dell’altro sangue ed effettuò un’altra trasfusione. Il viso di Harlock le parve sereno.

“Dove sei?” gli chiese dolcemente carezzandogli il viso. Controllati gli strumenti con della garza sterile imbevuta cominciò a pulirgli bene il viso ed i capelli. Accanto alla benda dell’occhio c’era del sangue rappreso, doveva toglierla per pulire al disotto. Sapeva già cosa vi avrebbe trovato ma le mani le tremarono mentre la rimuoveva con delicatezza.

Per Harlock quella benda era tanto, molto più che una semplice protezione per l’occhio. La benda che lui nascondeva con i capelli era la parte di una fragile maschera, uno scudo, la difesa di qualcosa che andava ben oltre il suo sguardo offeso. Era il rifugio della parte più profonda e recondita di Harlock. L’Harlock uomo. Togliendola Helèn mentalmente gli chiese perdono, era come violare un segreto, la sua parte più intima, senza il suo permesso. Era come aprire uno scrigno entro cui nessuno aveva mai guardato.

Come aveva immaginato sotto vi era solo una palpebra che non compiendo più movimenti era ormai atrofica**. Pulì tutto con sacro rispetto e amorevole cura. La vera cieca era lei che non si era accorta dei segnali di quel fuoco immenso che ora le ardeva in cuore e per associazione ripensò a loro due davanti a quel camino. Cosa non avrebbe dato per tornare indietro. Gli passò una mano amorevole tra i capelli, a differenza di quanto potesse sembrare guardandoli erano morbidi e sottili.

Era strano pensò, continuando a carezzarne il volto con lo sguardo. Provava un sentimento tanto profondo per un uomo che infondo non conosceva veramente. Erano da poco insieme ed anche se avevano condiviso dei momenti molto difficili non riusciva a spiegarselo. In passato aveva creduto d’amare ma nulla era paragonabile a questo sentimento che sentiva vivo e palpitante dentro di lei. Ma era tutto molto confuso e lei non riusciva a chiarirlo neppure a se stessa. Era talmente radicato in lei che sembrava esserci da sempre. Come un seme che giace latente nella terra per anni che poi per merito di una sola goccia d’acqua finalmente germina e germoglia. E questa sensazione l’aveva accompagnata sin dal primo loro incontro. Quando contrariamente ad ogni logica l’aveva seguito su quella nave. Quasi che una forza più grande di lei l’avesse voluto.

Mangiò qualcosa. Doveva. Passò la notte a vegliarlo teneramente, rinfrescandolo, bagnandogli le labbra e pregando. Gli strinse una mano tra le sue, erano bellissime, lunghe e calde, aprì il palmo carezzandoglielo, sorrise debolmente, loro due avevano gli stessi calletti da arma da fuoco. Una lacrima scese giù da sola. Baciò quel palmo e se lo portò al viso. Non riusciva a vederlo così. “Perdonami. Non ero lì con te. Perdonami se puoi”. Senza rendersene conto sfinita si addormentò. 

Trascorsero alcune ore quando, una luce intensa la svegliò. Tutto intorno ad Harlock aleggiava una luce blu-violacea a tratti iridescente, si muoveva lentamente come dotata di vita propria.*** Helèn si allontanò di scatto impaurita facendo cadere la sedia su cui era seduta. “Che sta succedendo?” gridò allarmata.

Tochiro le rispose. “E’ bene. E’ l’effetto della Dark Matter su Harlock ne vedrai presto gli esiti da sola”.

La luce danzò per un po’ intorno e dentro il corpo del Capitano, Helèn non capiva, tese piano una mano per toccarla, era effimera ed impalpabile ma ne avvertì la potenza. Continuò ancora per qualche tempo, poi svanì.

La donna non riusciva a capire questo legame tra Harlock e questa strana energia ma non chiese. Riprese il controllo degli strumenti. Ormai sveglia si guardò per la prima volta intorno.

Era nel regno di Harlock.

La sfera armillare, il mobile con i vini, la scrivania. Le venne spontaneo sistemare i fogli che mani indegne avevano sparpagliato ovunque. Vi erano carte nautiche dell’Universo, appunti, libri ed i diario di bordo. Si chinò per raccoglierlo e lesse su di una pagina il proprio nome vergato dalla mano di Harlock. Le dette una grande emozione, la tentazione di leggere quello che lui aveva scritto fu forte ma non lo fece, lo rispettava troppo.

Si recò nella sua stanza da letto e notò per la prima volta la grande struttura del letto di Harlock.

Un’ampia testata in legno oscuro che saliva fino al tetto della nave formava il baldacchino. Ne rimase sconcertata. Era costituito dai rami ricurvi di un grande e  vecchio albero ormai morto forse proveniente dalla terra. I rami sostenevano dei teli di broccato rosso che scendevano giù morbidamente. Pensò che più che un letto sembrava un ricovero naturale, quasi un rifugio.

Da una parte poi in una specie di libreria, vi erano grossi libri antichi dalle copertina in pelle e dal titolo ormai illeggibile ed un becher in vetro, contenete… la annusò, Terra. Doveva esser caduto e riparato con grande affetto e cura. Harlock era davvero molto legato al pianeta Terra molto più di tutti coloro che conosceva che non essendovi nati la guardavano solo come un sogno lontano.

Uscendo dalla camera da letto venne attirata dalla stanza dalla parte opposta sempre al buio. Vi si recò portando con se un candelabro. Ne illuminò una parte, il suo cuore si riempì inconsapevolmente di gioia. In quella stanza c’era un pianoforte a coda. Si avvicinò, era antico, impolverato. Era da quando era bambina che non ne vedeva uno. Sollevò con attenzione il coperchio, schiacciò pochi tasti resi scuri dal tempo. Sorrise, era scordato. Il Capitano suonava? Si chiese. Poi tornò nell’altra stanza, dove l’unico suono udibile invece era il ‘BIP-BIP’ del cardio-frequenzimetro di Harlock.

 Gli si avvicinò, era il SUO cuore che voleva sentire, scostò la coperta termica e posò delicatamente un orecchio sul suo petto per udirne i veri battiti. Chiuse gli occhi.

Era regolare e forte. Una lacrima scappò via veloce da lei per stare con lui, sul suo cuore. “Harlock so che puoi sentirmi. Torna da me”. Sussurrò.

Si sollevò guardando malinconicamente fuori dalla vetrata. Come le pareva minaccioso quel mare nero ora senza di lui che invece sembrava non averne paura mai, lui che davvero aveva fatto dell’Universo intero la sua casa e lo solcava ribelle e fiero alla ricerca della libertà vera.

Non poteva sapere che Harlock era proprio lì in quel momento, in quel grande mare nero.

 

 

Note.

Con questo capitolo ho voluto dare una mia spiegazione dei bracciali che  Harlock porta. Con la Mony (che li chiama i bracciali di Xena) ce ne chiedevamo spesso il perché ;-) Mi sono detta che per tenerli sempre addosso dovevano avere una importanza speciale.

*L’allarme generalizzato è un sistema di sicurezza attualmente utilizzato su tutti i mezzi di trasporto su rotaia. In caso di grave pericolo consente di bloccare l’intera circolazione innescando contemporaneamente un allerta per l’attivazione immediata di tutte le procedure per la risoluzione dello stesso.

**La Dark Matter per me non è la materia oscura così come canonicamente viene interpretata. E’ un’energia viva, potente, misteriosa e sconosciuta, quasi un’entità. Solo Harlock ne può trarre beneficio perché era sull’Arcadia al momento dell’apertura del motore e ne è stato contaminato. Un po’ come quando si viene contaminati dalle radiazioni di una centrale nucleare. Nessun altro. Solo lui pertanto non può morire e le sue ferite si rigenerano solo se il motore è in funzione.

***La mia visione di quello che la benda nasconde.

 Grazie alla B-Beta ‘Nella vita i momenti bui arrivano perché tu possa capire quanta luce hai dentro’ non dimenticarlo :-*  

Questo capitolo lo dedico a Death Shadow. E grazie sempre a tutti coloro, e siete davvero tantiii, che settimana dopo settimana seguono questa mia storia.

  
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