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Autore: L o t t i e    31/10/2014    1 recensioni
«Sei una cretina», iniziò lui accomodandosi sul letto ad una piazza e mezza: aveva ancora la giacca. «Puoi accusarlo di tutto, tranne che non ti voglia bene... a modo suo.»
Ah, ecco.
William sottolineò, a mente, «a modo suo» un paio di volte, in rosso. Ripassandolo più volte.
Quelle semplici frasi stesero un velo scuro sul viso di porcellana della vampira, la quale preferì stare in piedi; se si aspettava la comprensione faceva prima a gettarsi dalla finestra, l'umano. Non dopo aver parlato al cellulare con una fanatica, non dopo aver ricevuto un bacio dal suo creatore ubriaco e con chissà quali sensi di colpa venuti a galla.
«Non ti permetto di parlarmi così», si impose pacatezza, danzando verso l'armadio per prelevare dei vestiti più leggeri. Vide il ragazzo schiudere le labbra, forse per parlare ancora, protestare. Fu più veloce.
[Da revisionare!]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire - the series.'
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Ouf, non si può stare un attimo tranquilli!








«Ma è enorme!» cinguettò Samantha tuffandosi nel letto a baldacchino matrimoniale, una cascata di lava.
«Lo so.» William aveva chiuso la porta e lì era rimasta, con i muscoli delle spalle tesi.
«Vieni qua, almeno in questo letto non si sta strette come in quello di casa tua.» l'aveva esortata l'altra dando pacchette sul piumone vicino a lei, sorridendo, provandoci.
William si lasciò ingannare, sorrise anche lei.
«In effetti... in due è più comodo.» soffiò prima di atterrare di schiena sul morbido materasso, nevicò.
I capelli bianchi volteggiarono in aria, poi ricaddero scomposti, scontrandosi con il fuoco.
«Sei triste?»
«Un poco.» mormorò, quasi Samantha non sentì.
Poi ci fu silenzio.
Un silenzio caloroso, quello che può esserci fra due amici con un intesa perfetta.
«...Anche tu― ...Anche tu», ripeté bisbigliando, «riesci a sentirli da qui?» domandò.
L'albina annuì, abbassando le palpebre.
«Quel Trevor è simpatico almeno?»
«Ci prova, è cretino.» ridacchiò l'altra.
«Ti piace?»
Erano come tornate ai tempi delle medie, quando sottovoce arrossivano per il nome di un ragazzo carino o confessavano le loro cottarelle. Di regola, non poteva mancare la fatidica domanda «ti piace?».
«Nah.»
«Nah?» e le pizzicò carinamente il fianco destro, sorridendo.
William sussultò, «No», bofonchiò.
Forse le sarebbe piaciuto arrossire.
Le mancava sentire le guance accalorarsi. Scacciò via ogni pensiero potesse ricondursi alla sua mancata morte; aveva ancora gli occhi chiusi, ma ciò non le impedì di sentire, vedere Samantha alzarsi e dirigersi verso la finestra. Sentì le pesanti tende spostarsi con un fruscio ed i vetri aprirsi: nonostante fossero già a marzo la sera era ancora pressoché gelida, le congelava i pensieri.
«Ah, Sam, hai visto mia madre di recente?», anche la voce si era ghiacciata, ed era pesante.
Era stanca, psicologicamente distrutta. In quella stanza scura passava quasi tutto il tempo da sola, tra i libri e i sogni. Distrutta dalla pressione scolastica e la paura di perdere l'anno, da Claude che c'era, ancora ― dallo stesso Trevor e Michela, con il suo fare egocentrico. Si fermava a volte e pensava, dov'è finita la donna compassionevole e mi parlò la prima volta? Quindi aveva tratto un sola conclusione, erano tutti uguali. Schiavi del sangue e dell'eterna giovinezza. Anche lei sarebbe diventata così? Oh, questo pensiero la spaventava troppo.
Eppure già sentiva di nuovo quel senso di insoddisfazione solleticarle il palato, la sete appannarle i sensi. E lo odiava, specialmente se ciò voleva dire non accorgersi chi era colui che aggrediva, essere cieca.
Certo, all'inizio era un sollievo, ma dopo, dopo tutto si sfracellava, andava in pezzi. Come se la prendessero a pugni sotto lo sterno con il solo obbiettivo di farla vomitare, sentire le pareti dello stomaco contrarsi dolorosamente per mandare via quell'intruso.
Senza accorgersene, si ritrovò a frenare un singhiozzo a metà gola.
«Will..? Ti vergogni ancora?» la voce di Samantha le apparve come un salvagente in mezzo all'oceano, calda e dolce. Nemmeno lei aveva più, ormai da qualche tempo, il privilegio di vederla piangere apertamente.
«Mh, dovevamo visitare la villa.» sussurrò strofinandosi gli occhi prima di sollevare le palpebre ornate dalle ciglia candide. «Allons-y







* * *









Il ragazzo rabbrividì e si strinse nel piumone, protestando. Un vento freddo si insinuava prepotentemente sotto le coperte e non se ne spiegava il motivo. La sera prima si era premurato di chiudere la portafinestra! Con un enorme sbadiglio, si stropicciò gli occhi per poi agguantare il cellulare sul comodino vicino ― lo schermo lo accecò, praticamente.
E i numeri segnavano le cinque e mezzo del mattino.
Diamine, stava gelando.
A malincuore tirò su i vari strati di lenzuoli e piumone e mise un piede fuori dal letto, arraffando le ciabatte. Come sospettava qualcuno aveva aperto la portafinestra che dava sul balcone.
«William?» biascicò sorpreso con la voce ancora impastata dal sonno e mezzo intontito. Sfregandosi le mani tra loro, guardava i candidi capelli seguire i movimenti della brezza fresca.
La ragazza si voltò con gli occhi appena arrossati e lucidi, chiaro segno che stava piangendo. Nonostante questo gli sorrise.
«Ti ho svegliato?» la sua voce era quasi surreale, lieve, ma perfettamente udibile ― sembrava una bimba stretta nel suo pigiama in pile celeste con i coniglietti.
Lui oscillò lentamente il capo in segno di negazione.
«Non avevo più sonno», mentì, «Tu perché sei qui fuori?»
«È carino vederti dormire e stare appollaiata alla finestra della mia camera è scomodo.»
«Ah, un po' inquietante ma... okay.» cincischiò l'altro non lieto di quella sorta di confessione da parte dell'albina, insomma, lo guardava mentre dormiva?! Scacciò il brivido che minacciava la sua nuca e si concentrò sul cielo. Era ancora scuro all'orizzonte, presentava tanti riccioli di panna per nuvole ed ancora una luna sbiadita che poneva resistenza nello scomparire per lasciare posto al sole. Onestamente poi, Trevor sarebbe pure tornato a letto, ma lasciare William da sola nel balcone gli faceva salire un nodo alla gola. Non sapeva come considerarlo, quella sorta di amore che sentiva crescere ed estendersi come una pianta rampicante all'interno del proprio torace, tra le costole e stretto nel cuore.
«Che ne dici di entrare? Ci prendiamo un thé, quelli li so preparare.» ridacchiò e fu felice di averle strappato un sorriso ― dopodiché annuì.
Rientrarono e lentamente, con tutta l'intenzione di non voler svegliare gli altri due vampiri, scesero le scale: William a piccoli e leggeri saltelli, Trevor trascinando i piedi.
L'albina teneva le mani nascoste sotto le maniche del caldo pigiama mentre prendeva posto in una sedia vicino e l'umano si avvicinava alla credenza per due bustine di thé al gelsomino ― quindi aspettò che l'acqua arrivasse ad ebollizione. Nel frattempo si sedette vicino alla vampira che teneva il viso sulla superficie della tavola, mh.
«Tutto bene? Sembri... floscia.»
«Floscia?» gli fece eco lei aggrottando la fronte, che strano aggettivo. «Sto saltando un sacco di giorni scolastici, e non mi va bene.» sputò in fine.
Ora Trevor avrebbe potuto dirle due cose.
Prima cosa: “Beh, avrai un sacco di tempo per andare a scuola!”
Seconda cosa: “Potresti fare la danza della pioggia.”

Le scacciò entrambe scuotendo il capo.
«Oggi non sembra malaccio il tempo», buttò lì per lì per non fare scena muta.
«Dici?» e parve accendersi nelle iridi celesti una scintilla speranzosa.
«Dico. Ora finisci di bere il thé, ti vesti e rilassi un po' che c'è ancora un sacco tempo alle otto, d'accordo?»
William sorrise, un piccolo sorriso che le faceva arricciare teneramente le labbra rosee, così piccolo che quasi gli balenò in mente il fatto che lei non volesse contarci molto. Aveva paura di sperare, crearsi illusioni? A questo interrogativo non diede mai risposta, in quanto venne distratto dal fischio della teiera.
I due bevvero un ottimo thé caldo al gelsomino.


Come se ci fosse stato un salto temporale, William era già alla seconda ora di lezioni, poggiata con la spalla destra sul muro a prendere gli appunti di storia, mentre Samantha ― completamente disinteressata ― scribacchiava qualcosa sul suo quaderno.
Anche se non sembrava, data da sua espressione quasi accigliata, dentro gioiva come non mai.
«...Quindi la prossima volta interrogazioni a tappeto.» proferì la Mureau, una donnina di circa cinquant'anni alta quanto lei, magra, magrissima con due occhi che sembravano palline da ping-pong tanto erano sporgenti. Aveva i capelli castani scuri raccolti in uno chignon, al quale sfuggivano diversi capelli.
La puntò con lo sguardo ed avvertì un brivido lungo la schiena. «Intesi? Sopratutto lei, signorina Leroy. Non ammetto assenza o sarò costretta a chiamare i suoi genit―...»
L'albina strinse le labbra e tossì di gola, per ricordare alla professoressa, che per quanto riguardava la memoria non era proprio una cima, che la sola persona con cui avrebbe potuto conversare era sua madre. A meno che non volesse parlare con una lastra di marmo, s'intente. La donna, accortasi troppo tardi del suo errore, arricciò le labbra verniciate di rosa confetto con disappunto e si voltò nuovamente verso la lavagna.
«Notevole, signorina Leroy», le fece il verso la rossa imitandone la vocetta stridula e fastidiosa, «l'hai zittita.» ridacchiò Samantha facendo gomitino alla compagna di banco ― la quale rispose con un sorrisetto ed una scrollata di spalle.
«Comunque, che materia abbiamo dopo?»
«Mhh... penso matematica.»

La terza ora trascorse tranquillamente. In verità il professore si era assentato per malattia, ma avevano mandato in classe un supplente: un uomo di all'incirca trentacinque anni portati alla meraviglia, infatti tutte le alunne ci giravano attorno come api col miele ― con domande del tipo “lei è sposato?”, “ha figli?”. Almeno, prima che lui, Christoffe, si accorgesse di lei, ancora seduta al suo banco che scarabocchiava su un blocco da disegno.
Fu Nicole, la tizia con la fissa dei vampiri a parlare. «Lei..? Si chiama William Leroy, le è morto il padre qualche anno fa ed è tipo cinese.» wow, che tatto.
«Zitta Nicky!» la ammonì un'altra.
«...Non era giapponese?» si pose il dubbio un ragazzo.
«Pff, fa lo stesso!»
Poteva vantarsi di avere dei compagni di classe molto gentili e anche di una certa fama nella scuola, a proposito. Alle orecchie le arrivò chiaro e tonto il tipico sbuffo da locomotiva di una Samantha scocciata ― ebbene, anche lei si era avvicinata per conoscere l'avvenente supplente. «Will, il prof. vuole parlarti!»
Ma va?, pensò facendo finta di non aver sentito ogni parola prima. Si alzò dalla sedia per andare verso la cattedra e, nemmeno stesse facendo una sfilata, anche il gruppo dei ragazzi in fondo la osservò ― pendevano dal suono delle proprie ballerine.
Che disagio.
«Sì, prof..?» domandò davanti a lui, con pelle olivastra, un sorriso gentile e i capelli legati in un... codino.
Le parve di aver fatto trapelare una smorfia.
«Posso farti qualche domanda?» le chiese con gentilezza ― No, quello era il tono di chi provava pena per lei, povera ragazza orfana di padre. Le indicò una sedia di fianco a lui.
La osservò.
Lo osservò.
«Riguardo cosa?», algida, già conosceva la risposta.
L'insegnante mandò tutti quanti al loro posto e assegnò loro un compito da svolgere per tenerli buoni mentre lei, arricciando in preda al nervosismo una ciocca di capelli, era seduta al suo fianco.
Si sentiva un oggetto di studio.
«Ah, mh... Sì, anche lui lo er―» e la sua voce venne smorzata dal celestiale suono della campanella che annunciava l'inizio dell'intervallo. Con molto sollievo di alzò e salutò il supplente. Quindi rivolse lo sguardo alle ventuno teste che si dirigevano fuori dalla classe cercando quella rossiccia dell'amica.
Non la trovò.

Lei lo sapeva! Ah!
Aveva visto lo sguardo di quella Nicole su lei e William per tutte e tre le ore, ed ora, eccola là che poneva resistenza alla presa di quella pazza.
Era una comunissima scolara anonima, i capelli castano chiaro, mossi, le arrivavano a metà schiena finendo con orribile shatush rosso-arancione e portava la frangetta. Quella frangetta che le copriva gli enormi occhiali a forma circolare neri. A loro volta, le lenti di quest'ultimi nascondevano gli occhi color cioccolato fondente. Un difetto aveva, o mania, oltre ad essere un'irrimediabile saccente: i vampiri.
Escludendo la sua fidata scagnozza Melanie , quasi tutti la guardavano strano ― che perfino William e lei stessa avevano provato un po' di pena, sapendo cosa di provava.
«Walsh, voglio solo parlarti! Che cavolo!», sbottò lei trascinandola in fondo al corridoio ghermito da alunni.
«Io no! Gardienne, mollami se non vuoi che ti spacchi la faccia!», ruggì la rossa, diretta come sempre ed un pizzico violenta.
«Troglodita, pff. Sai solo risolvere le cose con le mani, tu, vero?» sotto lo sguardo verde ed ostile dell'altra, le lasciò il braccio lanciando qualche occhiata alla porta della loro classe ― l'albina era uscita ed aveva preso la direzione opposta alla loro, perfetto. Samantha congiunse le braccia battendo il piede ritmicamente contro il pavimento. Aspettava che lei aprisse bocca, evidentemente.
«Leroy», biascicò all'inizio come se fosse qualcosa di proibito, «Tu che le stai sempre accanto, non hai notato nulla di strano?»
«Strano, in che senso?», aggrottò la fronte creando fra le sopracciglia rossicce una rughetta.
Pensava che avrebbe tirato fuori uno dei suoi strani racconti, anzi, sperava proprio di no. Non avrebbe retto, sopratutto se la sua amica non sapeva nemmeno dove si trovasse ― così equivaleva a spettegolarla, no? Nicole allargò lo sguardo come spaesata. Forse aveva capito che confessare qualcosa del genere a Samantha non era proprio un'idea tanto brillante.
«Tutto d'un tratto avete cambiato banco e lei fa un sacco di assenze, sapevi che era stata dichiarata scomparsa? Forse addirittura morta!»
Cavolo, sapeva dove voleva andare a parare.
«E quindi?», finse nonchalance, sciogliendo il nodo delle braccia per portare una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«E quindi sei cieca Samantha Walsh?», le puntò il dito indice al viso ― sentiva le lentiggini fremerle, sul punto di fuggire. L'aveva chiamata per nom et prénom insieme. Il corridoio del loro piano, il secondo, ormai era deserto, in più, il sole stava venendo meno a causa di una grossa nuvola bianca.
«Nicole, non puntarmi il dito, sai. Tu e le tue strane fantasie, state lontano da me e William.» detto questo si voltò frustando con i capelli l'aria.
Si sentiva alquanto vittoriosa.

«Si può sapere dov'eri finita? Ti ho cercato anche al piano di sotto!»
«Ma non nell'altro lato del corridoio», sospirò pesantemente, «Nicole mi ha trascinato via al suono della campana.»
Il viso di William mutò notevolmente espressione appena udì il nome della compagna di classe e si fece più seria. «E che ti ha detto?», ora aveva anche un'aria accusatrice e le sopracciglia arcuate come la schiena di un felino.
«Posso dirtelo dopo? Non ho nemmeno fatto merenda.» si lamentò la rossa scartando il solito panino dalla carta stagnola, le rimanevano solo cinque minuti per finirlo.
William sbuffò.




Deliri Note dell'autrice:
Dolcetto o scherzetto, cari lettori? u v u
Okay, lasciamo perdere. (?) Questo capitolo è davvero lungo, ma è servito anche come introduzione per Nicole, abbiate paura. :]
E niente, come sempre un grazie enorme a chi mi segue e anche recensisce, bye! ; A ;)/ ☆
―L o t t i e.
  
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