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Autore: genesisandapocalypse    31/10/2014    2 recensioni
Incomprensibile è la fuga di Deborah.
Incomprensibile è la scelta di Beatriz.
Incomprensibile è la bellezza di Jamaica.
Incomprensibile è il fastidio di Kriziana.
Incomprensibile è il pianto non avvenuto di Calum
Incomprensibile è l’autostima a terra di Michael.
Incomprensibile è la preferenza di Luke.
Incomprensibile è la gioia esagerata di Ashton.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Incomprensibile.

AGITAZIONE, ASPETTATIVE E RITORNI.
 
A Carlos Ruiz Zafón, il mio scrittore preferito,
A Storia dell’arte, che è bella ma pesante,
Ai piedi rigorosamente freddi.
 
È la loro serata.
Hanno provato tutti i giorni dopo scuola, hanno scritto un’altra canzone – Calum ha scritto un'altra canzone – e ora si ritrovano nelle quinte del palchetto minimo del Kimical, quello che, nel resto dei giorni, viene usato come postazione per il dj.
Hanno persino scelto il nome, i 5 Seconds of Summer. Un nome allegro e orecchiabile. È stata Beatriz a tirare fuori l’idea, dicendo che, la loro musica, portava quella brezza estiva e felice che si ha in estate.
Michael si stritola le mani tra loro, guarda un punto fisso sulla parete e si morde le labbra a sangue. Si è fatto la tinta giusto il giorno prima e ora, i capelli scoloriti, brillano di un rosso acceso, ovviamente scelto da Beatriz, che l’ha accompagnato, approfittando della situazione per spuntarseli un minimo.
Sente il cuore esplodere e l’ansia salire. “E se sbagliamo?” si chiede da minuti interminabili, “e se gli faremo schifo?”.
Beatriz ha passato un intero pomeriggio a tranquillizzarlo, perché secondo lei, loro, sono spettacolari. Ma Michael, paura, ne ha lo stesso, anche se la sua ragazza, che crede profondamente in lui, è sotto il palco insieme alle altre due.
Luke è ad un angolo, le mani che tremano visibilmente e gli occhi lucidi. Per un attimo, i ragazzi, avevano avuto paura che non si presentasse, invece è lì, accanto alla sua chitarra, mentre osserva il vuoto, terrorizzato.
Non sa perché il pubblico gli fa quest’effetto, sa solo che si sente svenire, che ha paura di sbagliare, di stonare, di dimenticarsi le parole. Ha paura di essere giudicato, perché lui odia i giudizi.
Osserva con occhi tremolanti il piccolo spazio alle quinte, mentre sente il cellulare vibrare in tasca, probabilmente perché Kriziana lo sta riempiendo di messaggi per calmarlo.
Il fatto è che proprio non ci riesce a calmarsi.
Ashton è euforico, è sicuro di sé, sa che spaccheranno, ma non fa altro che guarda il telefono, perché Deborah non l’ha più chiamato.
Immagina che non si presenterà, perché lei sa bene di rischiare, e non vuole permetterselo.
Sospira, deluso. Quei ragazzi hanno terribilmente bisogno di lei.
E quindi non viene?” recita il messaggio che gli è appena arrivato da Jamaica, sua perfetta complice. Ashton sorride, solo perché quel nome sullo schermo glielo fa fare sempre, poi risponde.
Non credo, non ha più scritto nulla…” e sospira nuovamente, prima di passarsi una mano fra i capelli ricci, stretti in una fascia rossa.
Mi dispiace, Ash” e il nominato sorride, forse un po’ amaro, prima di farle un enorme cuore con le emoticon di WhatsApp, che lui adora. Sono così espressive e colorate.
Dispiace anche a lui, comunque.
Calum ha il cuore che batte a mille e la bocca schiusa. Osserva con attenzione la loro scaletta e si accorge che, l’ultima canzone che ha scritto, la sua preferita, è esattamente l’ultima della serata.
Ha paura. Ne ha tanta, ma non per il pubblico, non di sbagliare, di stonare, di scordarsi le cose. No, non è per quello.
Lui ha solo paura di sbottare in lacrime di fronte a tutti, di lasciar uscire tutte le emozioni che lo avvolgono da due mesi, ormai.
Ne ha tanta, troppa paura. Ha voglia di scollegare la mente, non di collegarla ulteriormente.
Si affaccia quel minimo per osservare la folla sotto al palco, una folla minima, non esagerata. C’è qualcuno della loro scuola, qualche amico del quartiere, qualche sconosciuto, qualche amico di Paul e Kriziana con Jamaica e Beatriz.
Però lei no.
 
Kriziana sorride allegramente, mentre saluta con le mani qualche compagno di scuola che è venuto a supportare quella band di deficienti.
È stata un pomeriggio intero appresso a Luke, spaventato da morire, e ora si sta godendo una birra in compagnia di Jamaica e Beatriz, ognuna con il sorriso più largo che gli abbia mai visto.
Beatriz è felice, perché stanno facendo un gran passo, i suoi quattro idioti. Sta facendo un gran passo, il suo idiota per eccellenza. Passa gli occhi luminosi dal palco al bicchiere di coca-cola, e ogni tanto ridacchia da sola o fa svolazzare una mano per salutare qualche amico.
È felice, perché il suo Michael sta facendo qualcosa di enorme, si sta facendo notare, sta facendo vedere ciò che lui sa fare. E forse lo è anche perché, a fine esibizione, passerà una notte intera tra le braccia del suo ragazzo, per la prima volta…
Al pensiero, le guance le si colorano di un rosato e lei si lascia sfuggire un risolino, prima di mandare un bacio volante a Zoe Michigan, compagnia di classe a Letteratura.
«Non mi sembra vero!» dice Kriziana, portando le mani sulle guance. Beatriz ridacchia ancora e Jamaica, per giusto un attimo, porta gli occhi su di lei e sorride.
«I nostri adorati maschioni che fanno un concerto!» aggiunge Beatriz, battendo le mani euforicamente. Jamaica ride e prende un altro goccio di birra, poi torna a fissare intensamente la porta, sperando che si apra e che, da lì, entri qualcuno che, in un certo senso, tutti aspettano.
«Aspetti qualcuno, Ja’?» chiede innocentemente Kriziana, facendola sussultare sul posto e facendola voltare di scatto.
«Chi, io?» chiede, indicandosi e sgranando gli occhioni già grandi, «oh, no, no, sto solo… osservando.» aggiunge, sorridendo appena e passandosi una mano tra il caschetto castano.
«Dai, Jamaica, si vede che aspetti qualcuno.» aggiunge Beatriz, guardandola sospetta. Jamaica deglutisce e le osserva, scuotendo la testa.
«No, no, avete capito male, io…» schiude le labbra e sta zitta per qualche secondo, «ok, sì, aspetto una mia… amica di Melbourne, l’unica che avevo… sai, è una cosa carina, ma non so se viene o meno.» dice, alzando le spalle e sorridendo falsamente.
Le due ragazze sembrano crederci e tornano, quindi, ognuna per i suoi pensieri.
Jamaica osserva la porta da venti minuti, ormai, ma la figura di Deborah non si vede nemmeno per sogno. Sospira, sconsolata, appena Paul, il proprietario, si avvicina al palco.
Prende un altro sorso della propria birra e porta gli occhioni al palco.
Si concentrerà solo su loro, d’ora in poi.
 
Il cappuccio della felpa le copre il capo e il gioco d’ombre fa intravedere a mala pena il naso. Tiene la testa bassa e guarda di sfuggita dove va e dove posizionarsi per non farsi riconoscere.
Nessun buttafuori era alla porta e il Kimical le si presenta esattamente com’era prima, ma lei non sembra farci caso, o forse non vuole farci caso.
L’ha chiamata una settimana prima, Ashton, pregandola e costringendola a venire a quello che è il suo primo concerto, in onore della loro amicizia. Ci è andata perché, Ashton, le ha assicurato la loro assenza, e lei si fida di lui.
Sale sul palco, probabilmente Paul, il proprietario del locale, allegro come una pasqua, dando il benvenuto a tutti i clienti e presentando il gruppo della sera, i 5 Seconds of Summer.
Nome a dir poco squallido, pensa.
Al buio, quattro elementi si incamminano sul palco, riconosce Ashton perché è quello dietro la batteria, mentre tre ragazzi si posizionano di fronte ai microfoni, con delle chitarre in mano e, immagina, un basso, perché senza basso che razza di band è?
Ashton batte più volte le bacchette sui tamburi e grida qualcosa di incomprensibile, perché le chitarre iniziano a emettere suoni assolutamente troppo alti.
La luce si accende di scatto e, a Deborah, la bocca si apre quasi fino a toccar terra, mentre osserva le altre tre figure che muovono le dita sulle corde dei propri strumenti.
Ashton l’ha fregata.
Ashton l’ha dannatamente fregata.
Vorrebbe prenderlo a schiaffi, e lei che si è pure fidata, di quel balordo. Ashton si è inventato del pub di un certo livello, dei buttafuori, di una lista, della band che odia i suoi amici. Ashton si è inventato tutto e l’ha fregata.
E lei si è fatta fregare.
Lo odia!
Come ha potuto farlo? È suo amico, sa il perché lei è scappata, sa perché non vuole avere a che fare con i quattro.
Doveva seguire il suo istinto e non venire, invece ha voluto fare l’amica, che stupida!
Il primo, a sinistra, ha dei capelli rossi accesi, e anche se li ricorda verdi, li riconoscerebbe di qualunque colore per il taglio che assomiglia leggermente a quella di Billie Joe dei Green Day, è vestito con una di quelle canotte insensate, un po’ mal ridotte e i soliti pantaloni tremendamente stretti e neri.
Al centro c’è un biondino dall’aspetto tanto agitato quanto emozionato, gli occhi che, anche a quella distanza, si capisce che sono azzurro del cielo. Il piercing è come una riga nera sulle labbra rosate e porta una camicia a quadri che si accorge di avergliela consigliata lei stessa mesi prima, quando erano andati a fare shopping.
A destra, alla fine, c’è forse l’ultima persona che si sarebbe mai aspettata sul palco, con i soliti capelli sbarazzini e scuri che ricadono morbidi sulla fronte, il maglione grigio che gli ha regalato al suo ultimo compleanno e la bocca leggermente schiusa.
È bello esattamente come l’ultima volta che l’ha visto, forse anche di più, perché quella luce emozionata che splende nei suoi occhi lo fa sembrare un angelo. Un angelo un po’ tormentato.
Le dita si muovono sicure sulle corde del suo basso e, appena attacca a cantare, Deborah sente il cuore scoppiarle nel petto come le capitava quasi sempre in sua presenza.
La voce di Calum è esattamente come la ricorda, calda e leggermente roca, ed è dannatamente bella.
Le mani le tremano vistosamente e vuole scappare da lì, perché la paura che lo sguardo di uno di quei tre possa ricadere su di lei, anche solo per un secondo, la spaventa a morte, eppure le voci di quei tre, che non vede, ormai, da due mesi, non le permettono di muovere nemmeno un muscolo.
Canzone dopo canzone, sente il corpo vibrare e il cuore battere con furia nella gabbia toracica, quasi a romperle tutte le ossa.
Probabilmente è l’ultima canzone che la prende più alla sprovvista, che le fa lacrimare gli occhi e che le fa mordere le labbra dall’agitazione.
« …‘Cause I’m not fine at all…» pronuncia, come frase, Calum, mentre le lacrime solcano il suo viso più di prima, perché tutte quelle parole dette la stanno destabilizzando, perché la voce di Calum a volte si spezza, perché lo vede guardare il soffitto, come se stesse cercando di trattenere le lacrime, che invece lei ha lasciato fuoriuscire.
La voce di Luke parte, forte, potente, mentre lei sente il respiro mancarle, perché quella canzone parla di lei, lo capisce.
Esce, velocemente, perché il cuore le fa male e gli occhi le bruciano come se ci avesse appena passato sopra del peperoncino in polvere.
Dà le spalle alla porta, ancora troppo scossa per riuscire a incamminarsi.
La porta si apre alle sue spalle e parecchie persone di incamminano verso le proprie macchine, commentando positivamente quella serata e ridacchiando tra di loro, e lei rimane immobile, le spalle strette, le mani tremanti e il petto squarciato, la consapevolezza che quel mini concerto è finito.
La porta si apre nuovamente, eppure sente solo dei passi alle sue spalle e nessun gruppo chiacchierare, immaginandosi fosse solo una persona, intenta a rimanere anche per il continuo della serata. Il rumore dello scatto di un accendino le arriva all’orecchio, «cazzo!» così come l’imprecazione di chi ne sta facendo uso.
E si gela, completamente.
Perché dietro di lei c’è Calum e lei non sa che fare, se scappare o fare finta di niente.
«Ehi, ehi tu,» la voce le arriva più vicina e più forte, mentre lei sgrana gli occhi, terrorizzata, «ehi, tu, hai un accendino?»
È ora, si dice, tra sé e sé, mentre sospira determinata e si gira piano, lentamente.
Alza gli occhi e incontra quelli scuri di Calum, indifferenti, poi si leva il cappuccio.  Scruta i lineamenti di lui, che a quella distanza sono decisamente più visibili, guarda le mascelle ben delineate, per cui è sempre impazzita, guarda le labbra piene e leggermente schiuse, che lei ha assaporato troppe volte.
Gli occhi del ragazzo mutano, sgranandosi all’inverosimile e li guarda chiudersi e aprirsi più volte, giusto per essere certi di non vederci male.
«Ciao, Calum.» sussurra, accorgendosi che, il suo ragazzo, se ancora così può definirlo, è a meno di un metro da lei.
Sente il suo respiro diventare più affannoso ogni secondo che passa, la sigaretta gli cade dalle dita e quella stessa mano corre al petto, come a controllare che il cuore è ancora lì, nel viso una smorfia di dolore e gli occhi sembrano inumidirsi a mano a mano che il tempo passa.
Il ragazzo, di fronte a lei, trema visibilmente, fa un passo indietro come per riprendere l’equilibrio. Le labbra vibrano e si schiudono, sorprese.
«Deborah.» la voce è talmente strozzata che, per un primo momento, la ragazza non ha capito che ha detto il suo nome.
 
***
Ehilà,
come va?
Allora, scusate per il ritardo - sempre di un giorno - ma la scuola mi ha rapita, troppi compiti e troppe verifiche.
Ecco a voi un nuovo capitolo, che mi 'spiace ma è leggermente più corto degli altri... 
Vi dico che, tutta la storia, si basa sulla parte di Deborah, che in realtà ha anche un continuo.
Siamo arrivati a un momento cruciale, eh?
La loro serata, il bel concerto, si fanno notare, magari piacciono anche.
Sono agitati, e come biasimarli?
E le tre che sono euforiche.
Il ritorno di Deborah (di cui vi lascio la foto sotto!)
Beh, fatemi sapere cosa ne pensate, va!
E vi lascio.
Bye bye,

Judith.
  
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