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Autore: whitemushroom    02/11/2014    6 recensioni
Una serie di storie brevi dedicate ai protagonisti della serie Dissidia Final Fantasy spaziando in tutti i generi ed rating, un ciclo di avventure attraverso la lotta senza fine tra l'Armonia e la Discordia, il Bene ed il Male, l'Amicizia e l'Odio. Tutto secondo la volontà di un dado e la voglia di scrivere qualcosa insieme ad un amico.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Kain




Personaggio: Kain Highwind
Rating: mi sa che è arancione
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing moments. Canon.
Avvertenze: come al solito il dialogo mi è venuto lunghissimo, ma per speigare i delicati meccanismi di Dissidia serve tanto spazio, affetto e una grande dose di immaginazione. Questa storia mi è venuta in mente rivedendo un trailer di uno dei miei film preferiti (Lisaralin, so che lo beccherai subito).


I cavalieri della luna

XII ciclo

I cloni camminavano senza meta. Si muovevano avanti e indietro nella gola, una massa caotica che calpestava i propri simili senza emettere un suono o un lamento, la pelle sfaccettata quasi come fosse composta da minuscoli cristalli. Kain era pronto a scommettere che non provassero nemmeno dolore.
Qualcuno di loro aveva persino la sua faccia. Si sporse dalla roccia per vedere quegli esseri cerulei armati di lancia muoversi nella massa, cercando di trovare qualcosa che potesse distinguerli gli uni dagli altri, fossero anche frammenti di quelle armature arrugginite che indossavano chissà per quale strano motivo. I cloni di Gidan erano i più irrequieti e saltavano tra una roccia e l’altra come dei forsennati, assalendo persino qualcuno degli altri; per un attimo uno di loro si voltò nella sua direzione e Kain si irrigidì, appiattendosi dietro la collina e allontanandosi dalla luce della luna. La creatura annusò l’aria per qualche istante, poi si buttò nella massa trafiggendo un clone di cui non riuscì a riconoscere le sembianze. Persino il rumore dei loro passi aveva qualcosa di ovattato, e per un istante ebbe l’orribile sensazione che l’unico suono in quella landa desolata fosse il proprio respiro.
“Sei venuto. Non ci contavo più di tanto”.
L’enorme sagoma di Golbez oscurò la luce bianca, e lentamente fluttuò fino a fermarsi proprio davanti a lui. Il suo mantello cadeva fino a terra, immobile nell’aria ferma di quella strana notte; la voce era di qualcuno che non aveva timore di essere udito. Per un attimo a Kain parve di sentire un delicato canto in lontananza, ma la voce argentata svanì al suono dei piedi armati dello stregone dalle braccia incrociate. “So che non sei più quello di un tempo, Golbez. E in questo mondo sei l’unico che … sa”.
“E Cecil?”
“Ancora nulla. A malapena si ricorda di noi due. Il nome di Rosa non gli fa nemmeno sollevare la testa…” mormorò, lo sguardo fisso sulla lunga ombra del suo interlocutore. Non riusciva ancora a cancellare il suono della voce di Golbez nelle sue orecchie, le parole degli arcidiavoli che gli sfioravano la pelle, lo chiamavano e lo avviluppavano nell’oblio; ma i tempi della guerra erano stati cancellati dal tempo e lentamente aveva accettato la voce del cavaliere oscuro con un altro tono, le parole di chi, come lui, strisciava nelle tenebre con la mano e gli occhi rivolti verso la luce. “E lo stesso vale per gli altri. A volte mi chiedo perché soltanto a noi due è concesso ricordare il passato”.
“Non siamo soli, Kain. Qualcosa si sta agitando tra le fila di Chaos …”
Sospirò, osservando la massa arcobaleno. Sotto di loro gli esseri colorati iniziarono a muoversi in maniera più organizzata, ed anche quelli che erano stati atterrati si rialzarono, sollevarono la schiena e mossero un passo dopo l’altro. Erano diretti verso nord, ed il loro disorganizzato movimento riempiva tutto il canalone fino a perdita d’occhio. La geografia di quello strano mondo cambiava ogni volta, ma un brivido lungo la schiena fece capire a Kain dove fossero diretti. Tutti gli esseri disperati cercavano la luce. E questo lo sapeva molto bene.
“Cosa … cosa sono quelle creature? Hanno i nostri ed i vostri volti, ma non li ho mai visti nei cicli precedenti”.
“Non li hai mai visti perché erano rinchiusi nella Crepa. Exdeath ne ha spezzato il sigillo, e adesso sono liberi. Possono duplicarsi ad una velocità incredibile”. Golbez fluttuò di oltre un braccio in aria, fissando il punto in cui l’esercito lentamente andava convergendo. Non aveva alcun timore di mostrarsi a loro, ma quelle creature adesso marciavano verso la loro meta senza curarsi di altro, apparentemente senza un padrone. “Non ho idea di dove vengano. Vorrei interrogare Chaos, ma Garland non lascia che nessuno si avvicini al suo santuario. Il problema è che … non sono certo che sia stato Chaos a crearli. Obbediscono ai nostri comandi, ma c’è qualcosa di strano in loro”.
“Non mi avresti convocato qui se quei cloni non ti preoccupassero, Golbez”
Erano deboli e fragili, nient’altro che carne con un barlume di coscienza a malapena necessario per alzarsi ed attaccare; ne aveva uccisi cinque che gli avevano teso un’imboscata per raggiungere quel posto, e per quanto mimassero i poteri dei suoi compagni non c’era forza in quelle piccole braccia, sfaccettate come il cristallo ed altrettanto trasparenti. Certo, un’ondata avrebbe potuto avere la meglio su qualcuno di loro, ma Kain non riusciva a capire cosa avesse spinto il cavaliere dell’altra faccia della luna a rivolgersi proprio a lui.
“Questi cloni posso uccidere, Kain. E non come facciamo noi. Possono risucchiare l’energia vitale di coloro con cui vengono a contatto, impedendogli di rinascere nel ciclo successivo …”
Kain si accorse di stringere la lancia con più forza del normale, mordendosi il labbro realizzando l’implicazione di quelle parole. Il cuore iniziò a battergli fin nelle lamine dell’armatura. Lo stregone gli venne vicino, chinando il capo. “… chi viene toccato da quelle creature morirà, e tutte le speranze di tornare a casa saranno vane”.
Cecil …
“Non puoi fermarli in qualche modo? Non puoi comandare loro di …?”
“È Chaos ad animarli. Il comando di quell’armata è stato affidato a Kefka e Exdeath. Ho cercato di convincere Garland ad assegnarmi almeno qualche unità, ma si è rifiutato. Immagino sospetti di me”.
“E gli altri non sanno nulla …”
Scagliò un pugno contro una roccia, osservando i frammenti chiari che si sgretolavano sotto il suo colpo, maledicendo quella dannata situazione, quella guerra, quei cloni e soprattutto quella sensazione odiosa, quel velo bianco che copriva i ricordi ed il cervello dei suoi compagni. Nessuno, nemmeno Cecil si era reso conto di trovarsi in un vortice di morte e rinascita senza fine, e ad ogni ciclo doveva osservarli fare conoscenza e stringersi la mano, porsi domande idiote ed inginocchiarsi davanti all’enigmatica dea bianca nel santuario sull’acqua. Aveva provato a spiegarlo, aveva provato a …
Il vento sollevò la polvere che aveva creato, mandandola scintillare per un attimo davanti alla luna piena. Detestava essere impotente. Detestava vedere Cecil e gli altri guerrieri muoversi come pupazzi ignari su un palcoscenico polveroso, con soltanto se stesso e Golbez come spettatori. Detestava non riuscire a capire dove fosse il burattinaio. Quando aveva tranciato i propri fili affondando la lancia nel sangue di Bahamut Lunare si era ripromesso di impedire a qualunque costo che le persone che amava potessero scendere nell’abisso in cui lui era precipitato. Aveva giurato che si sarebbe preso cura del suo migliore amico. Una promessa che lo aveva unito allo stregone una seconda volta, sotto quella stessa luna, il giorno in cui si erano ritrovati in quel mondo.
La promessa delle Ali Rosse.
“Dobbiamo proteggerli, Golbez. Dobbiamo trovare un modo per …”
“Un modo c’è. E sono sicuro che in cuor tuo sai anche cosa dobbiamo fare”.
Il pensiero gli attraversò la testa come un lampo. “… non vorrai …?”
“Hai capito perché ho scelto te?”
Certo.
Certo che lo capiva.
Cecil … Cecil si sarebbe rifiutato di fare una cosa simile. E anche l’intransigente Guerriero della Luce, l’impeccabile Firion, la dolce Yuna. Lightning con la sua boria insopportabile avrebbe gridato ai quattro venti che quel piano sbozzato sarebbe stato una follia ma non avrebbe proposto nessuna alternativa concreta. Non che Kain ne avesse una, dopotutto. Inghiottì due volte, cercando di ignorare il sorriso radioso di Bartz che gli implorava di insegnargli qualcuna delle sue tecniche di Dragone. Ma gli occhi azzurri del ragazzo non volevano andarsene. “Immagino di sì”.
Per un attimo la risata fresca di Barbariccia gli risuonò nelle orecchie, i suoi occhi verdi intenti a divorarlo mentre si contorceva nel gelo di quello che lo aspettava. “Pensavo di aver chiuso con l’oscurità …”
“Ti daranno del traditore, lo sai?”
“Mpf. A quello ci sono abituato”. Avrebbe preferito non farlo, ma poteva convivere con l’odio degli altri. Era un cibo amaro, ma aveva imparato negli anni dell’oscurità a farlo suo; poteva trovare delle energie anche in quel sapore pungente, ed in quel momento aveva bisogno di forza. Forza per sé. Forza per i suoi amici. Forza per Rosa. Ma in fondo nemmeno lei avrebbe capito. Golbez lo squadrava, la singola luce della feritoia del suo elmo fissa su di lui, proteggendo il suo padrone dal mostrare al mondo alcuna emozione; eppure la voce che scaturì dal cavaliere oscuro non aveva più la potenza di qualche istante prima. “Ti giuro che farò di tutto per fermare quei cloni, Kain. Ma tu devi … fare ciò che va fatto. Non esitare. Non avere pietà”.
“In una cosa non sei cambiato, amico mio …”
Nessuna esitazione. Nessuna pietà.
“… il lavoro sporco lo lasci sempre a me”.

“Perdonami”
Appoggiò il corpo di Cecil con delicatezza, chiudendogli gli occhi. Forse era un gesto inutile, ma gli incrociò le braccia sul petto, proprio nel punto in cui il sangue ancora continuava ad uscire, tingendo di rosso l’armatura bianca. Lo squarcio causato dalla sua arma lo fissava con uno sguardo d’accusa, lo stesso sguardo che il suo migliore amico doveva aver avuto quando la lancia lo aveva trafitto alle spalle, caduta dall’alto spezzandogli la vita con estrema precisione. Con il Cavalier Cipolla non aveva avuto altrettanta fortuna: il colpo lo aveva lasciato agonizzante ma cosciente, e quando il ragazzo gli aveva gridato contro, implorando una spiegazione, non aveva trovato altra risposta che stringergli le mani intorno al minuscolo collo, attendendo che il corpo lentamente smettesse di agitarsi, i piedi di scalciare.
Ma Cecil non aveva sofferto. Raccolse la spada che era caduta a terra, ancora riposta nel fodero. La luce della luna, la loro luna rese la lama ancora più bianca, illuminando quello che aveva appena fatto. La rimise nel fodero, quasi infastidito, e la appoggiò sul petto del cavaliere intrecciandone le dita irrigidite. “Ci rivedremo nel prossimo ciclo, amico mio”.
L’aria gli portò l’odore dei cloni. Si erano mossi più velocemente di quanto avesse pensato, e imprecò tra i denti nel sentire un grido di guerra lontano, troppo lontano. Si chinò, abbracciando il corpo di Cecil, poi maledicendo la luna, il destino e tutto ciò che li aveva spinti a questo impugnò la lancia e riprese a saltare, correndo verso il frastuono che si faceva sempre più forte.
Se davvero Firion aveva ingaggiato battaglia doveva sbrigarsi.
Doveva raggiungerlo prima dei cloni.
Doveva ucciderlo prima di loro.
  
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