Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: alessiacroce    02/11/2014    9 recensioni
"Riemersi con la testa e presi di nuovo fiato, ma Harry era pesante, non ci riuscivo. Mi chiesi se sarebbe stato meglio non averlo mai conosciuto. Tutto questo sicuramente non sarebbe mai successo. Adesso non starei per morire. Adesso lui non starebbe per morire."
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Trailer ufficiale: http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ


Capitolo 20


Sai, da quando mio padre se ne andò, capii che nella vita solo chi gioca sporco se la cava. Mio padre era sempre stato un buon uomo, uno di quelli che le domeniche mattina le passa in chiesa, uno di quelli che ogni giorno mi accoglieva al ritorno a scuola con il sorriso, uno di quelli che mi chiedevano un ‘come stai?’ anche se, probabilmente, sapeva che non avrebbe ricevuto risposta. Era amato da tutti nel paese dove prima vivevo con i miei; era una piccola cittadina dove ognuno si conosceva, quando scendevi per strada era gremita di persone e non facevi altro che salutare a destra e a sinistra. Ma in quel piccolo paese, come in ogni, le cose non andavano sempre bene. Qualche volta, al telegiornale della sera, sentivi che quel giorno c’era stata una rapina al negozio di gioielleria in piazza, o che dei ragazzi avevano praticato atti vandalici vicino alla stazione, ma niente di che, come immagini. Mio padre passava molto tempo con i poliziotti del luogo, gli piaceva immaginarsi coinvolto nella faccenda o, semplicemente, fare giustizia. Ritornava a casa la sera orgoglioso, raccontava che avevano bloccato i ragazzi vandali e arrestato i ladri inesperti. Gli occhi gli luccicavano, sentiva di aver fatto del bene. Forse, però, la sua gentilezza, bontà, ma soprattutto, il suo senso di giustizia, lo tradirono. Il 14 Novembre di 5 anni fa giunse una chiamata nel pomeriggio, papà era stato ucciso. Avevano trovato il corpo senza vita dietro una vecchia residenza in centro paese. Tre colpi al cuore.
Avevo poco più di 15 anni allora, rimasi sconvolto. Affrontai un periodo bruttissimo, forse il più difficile di tutta la mia vita. In paese ero conosciuto come “il figlio dell’assassinato”, le persone che mi incontravano per strada mi fermavano e mi sussurravano frasi piene di pietà, quasi mi facevano schifo, mi sentivo trattato come una vittima, quando, in realtà, lo era stato mio padre.
Cominciai ad isolarmi, ad allontanarmi da tutti, avevo paura delle persone. Cominciò a nascere in me la voglia di andarmene di casa, scappare dai continui pianti di mia madre, dalle continue liti con mia sorella che finivano sempre con insulti e pianti da parte sua. Non riuscivo a comprendere, però, chi avesse voluto uccidere mio padre e fare questo alla mia famiglia. Tutti lo adoravano o, almeno, così credevo. Dopo aver saltato metà anno scolastico, ricominciai a frequentare la scuola. Là tutti mi guardavano strano, chi con sguardo dispiaciuto, altri con sguardo, quasi, di scherno.
Un giorno come tanti, me ne stavo isolato a mangiare in mensa. I ragazzi che prima credevo miei amici si erano allontanati, ero solo. Mentre consumavo il mio pranzo sentii delle grida dietro di me, chiamavano il mio nome.
‘Ehi, Styles! Com’è avere un solo uomo in famiglia? Ah no, ora siete tutte donne!’
Una risata risalì in tutta la sala.
In quel momento compresi che, per sopravvivere, bisognava farsi valere.
Mi alzai, gli andai incontro e lo sistemai.
Fu la prima rissa in tutta la mia vita, lo conciai male, tanto che dovette andare urgentemente all’ospedale. Mi espulsero dalla scuola. Per un breve periodo frequentai i corsi serali in una scuola diversa poi, a 18 anni, me ne andai di casa senza avviso e mi trasferii qui. Mia madre, colta alla sprovvista, venne a cercarmi, allora risiedevo in un piccolo appartamento, ospite di un mio amico conosciuto alla scuola serale. Le dissi che avrei vissuto lì e mi sarei arrangiato. Non volevo passare un giorno in più in quella sporca cittadina e, ora che finalmente ero maggiorenne, potevo fare quello che volevo. Lei capì. Cominciai a frequentare la scuola qui a Liverpool, quella che frequenti pure tu. Tutto passò normale fino a che non scoprii una cosa. Il mio amico, non che coinquilino, era nei traffici.
‘Amico, se mi aiuti nel giro di un annetto ce ne andiamo da questa baracca. Al mio capo serve un altro assistente, una mano forte, ti dico che sei l’ideale. Quanti soldi ci faremo solo Dio lo sa’
Decisi che, infondo, mi ero stufato di fare il bravo ragazzo. Tanto non si ottiene nulla, solo delusioni e fregature. Decisi che era tempo di cambiare.
I primi giorni era tutto strano, nuovo. Sentivo, dentro di me, che quello che stavo facendo era sbagliato, ma chi, in realtà, era a coscienza di cos’era giusto e cosa no? I giorni passavano e io mi abituavo sempre più ad essere in quel giro. Conobbi tanta gente nuova, pochi di buono, si, ma infondo lo ero pure io. I soldi nelle mie tasche aumentarono sempre più, nessuno sapeva, al di fuori del mio compagno e delle persone per cui lavoravo, quello che stavo facendo. Nessuno, probabilmente, lo poteva immaginare. A scuola ero considerato una sottospecie di bullo, un ragazzo tosto, certo, ma non uno spacciatore. Acquistai sempre più importanza nei giri grazie alle mie abilità di contrattazione. Mi arricchii sempre di più e questo mi convinse che, forse, per una volta in vita mia, avevo fatto la scelta giusta. Passò un anno e, come predetto dal mio amico, ci dividemmo e ognuno, con i propri soldi accumulati, si comprò una bella residenza. Finalmente ero felice o, almeno, pensavo di esserlo. Ogni tanto, in mente, mi apparivano immagini di mio padre, piccoli momenti passati con lui, della mia infanzia e preadolescenza. Riflettei su ciò che mi avrebbe detto se solo avesse saputo ciò che stavo facendo. Mi avrebbe disprezzato, riuscivo persino a sentire le parole che mi avrebbe detto, tutte di rimprovero, la voce colma di dispiacere. L’avrei fatto vergognare, quasi tradito. Ma, infondo, lui non c’era più, la vita era mia, potevo farne quello che volevo.
Ed eccoci qui, una bella casa, amici e soldi. Non penso di essere diventato ciò che volevo da piccolo ma, almeno in parte, sono felice.”
 
Rimasi tutto il tempo ad ascoltare il suo racconto, senza dire una parola. Mentre Harry raccontava teneva le mani appoggiate alle ginocchia, seduto affianco a me, e le muoveva ogni tanto, per gesticolare. Guardava fisso davanti a sé, mai una volta si girò a guardarmi negli occhi.
Quando finì rimase in silenzio, appoggiando i gomiti sulle cosce e passandosi le dita tra i capelli.
Aspettava che dicessi qualcosa anche se non sapevo come affrontare la cosa.
 
“Insomma… un bel casino” mi uscì di bocca all’improvviso.
 
Probabilmente era solo un pensiero detto ad alta voce. Lui rimase con la testa tra le mani, alzò leggermente le spalle in segno di consenso.
Riflettei bene sulle sue ultime parole dette. Forse qualcosa ce lo avevo da dire.
 
“Non penso che tu sia felice. Nemmeno in parte” affermai, con voce decisa, sorprendendomi di me stessa.
 
Lui, finalmente, alzò lo sguardo e restò a fissarmi per qualche secondo.
Infine pianse.
Pianse come piangono i bambini, innocenti e non consapevoli che le persone li fissano, stranite.
Pianse come si piange alla notizia di una tragedia, non importa dove sei e con chi, le lacrime non si possono trattenere.
Pianse come piange una ragazza sulla spalla dell’amica.
Pianse come se in quella stanza fosse presente solo lui.
Pianse come se nessuno potesse vederlo o sentirlo.
Pianse lacrime sincere, calde e pesanti.
Era un pianto vero, sofferente e nato all’improvviso.
Lo guardai sfogarsi, senza parlare, volevo lasciare che le sue emozioni trasparissero oltre quegli occhi prima di un verde acceso, ora ormai spenti.
 
“Non hanno mai scoperto chi uccise mio padre” aggiunse, con voce spezzata e sottile.
 
Ero abituata a sentire la sua voce dal timbro roco, sentirla con questo accento, quasi infantile, mi sorprese.
Aspettai che fosse lui ad aggiungere altro.
Si calmò pian piano, io rimasi immobile, non lo sfiorai nemmeno per consolarlo, lasciai semplicemente che fosse se stesso.
 
“No, non sono felice, lo so. Forse sto solamente cercando di convincere me stesso che in realtà lo sono, ma non sono mai stato bravo a mentire. Voglio solo fare giustizia a mio padre, lui vorrebbe che io… che fossi come lui. In verità, guardami, sono l’opposto. Mi faccio schifo da solo” continuò.
 
“Harry, non dire così. Se vuoi scoprire chi ha fatto questo a tuo padre, io ci sono. Io ti aiuterò. Puoi contare su di me” gli dissi, avvicinandomi poco a poco verso di lui.
 
Lui mi guardò, gli occhi velati di lacrime. Una gli scivolò lungo la guancia e lui se l’asciugò velocemente.
 
“D-davvero?” sussurrò.
 
Mi fece tenerezza. Sembrava essere diventato di nuovo bambino, l’Harry che, forse, era una volta, prima di cambiare. Dentro di lui, infondo, il piccolo ragazzino che era una volta era rimasto inchiodato ad una parte di sé.
 
“Si” affermai, decisa, accennando un piccolo sorriso.
 
Lui ricambiò e due piccole fossette si formarono sul suo viso.
D’impulso le accarezzai, per poi baciarlo sulle labbra.
Lui mi cinse la vita dolcemente e mi spostò i capelli di lato, mentre muoveva le labbra sulle mie.
Per la prima volta nella vita sentii di provare qualcosa di sincero per una persona, qualcosa di vero che mi legava a lui, qualcosa più forte di me.
L’avrei aiutato, gli sarei stata vicino.
Volevo solo che fosse veramente felice e smettesse di illudere se stesso.
Mi staccai lentamente dalle sue labbra e gli strinsi le mani.
Lui se le portò al viso, baciando le mie nocche morbide.
 
“Penso che, per cominciare a scoprire qualcosa di più sull’assassinio, dobbiamo indagare di più sul conto di tuo padre” mormorai, riportando l’atmosfera più seria di pochi minuti prima.
 
“Si, d’altronde non sapevo tutto di mio padre. Credevo che fosse adorato e rispettato da tutti ma, evidentemente, mi sbagliavo”
 
Annuii, leggermente, alzandomi dal divano.
 
“Dove hai intenzione di andare, Lee?” mi chiese Harry, scrutandomi dal basso.
 
“Vuoi o no cominciare a scoprire qualcosa di più su tuo padre?” gli domandai, appoggiando le mani lungo i fianchi e guardandolo con occhi spronanti.
 
Lui mi rivolse un piccolo sorriso e si alzò a sua volta.
 
“Direi di si. È ora di scoprire cosa successe a mio padre. È ora di sapere la verità”
 
Sorrisi a mia volta ed uscimmo dall’edificio insieme.

 

Spazio Autrice.

Salve gente, ecco qui il ventesimo capitolo *rullo di tamburi*
premetto che sembrerà più corto rispetto agli altri ma, principalmente, per il fatto che 3/4 del capitolo tratta il racconto di Harry.
Spero, inoltre, che non ci siano errori di alcun genere e, in caso ci fossero, avvisatemi pure.
scusate se sono poco presente su efp in questo periodo ma lo studio mi prende molto quest'anno e concentrarsi sulla scrittura della storia è davvero difficile.
Che dire, mi fanno sempre piacere i vostri commenti, messaggi e recensioni che mi inviate, mi rendono fiera.
Questo capitolo non è dinamico, d'altronde è più riflessivo, viene raccontata, finalmente, la vera storia del nostro riccio.
Spero che continuiate a seguire la mia ff in numerosi, mi rende felice notare come le letture aumentano velocemente da capitolo a capitolo.
Btw mi dileguo, spero che abbiate guardato il trailer realizzato dalla mia cara amica Martina e che vi sia piaciuto.
Twitter: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: alessiacroce