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Autore: Eneri_Mess    04/11/2014    3 recensioni
Uomini e donne, reduci da un’epoca cesellata di leggenda, agiscono per sovvertire le sorti di un mondo ignaro e di sognatori, il cui unico scopo è quello di raggiungere il più famoso e ambito dei tesori, il One Piece.
Ma il nuovo Re dei Pirati, colui che conquisterà ancora una volta ricchezza, fama e potere, sarà solo uno.
« Non peccare di presunzione. Gli eredi sono quattro, i pretendenti molti. Non sarai tu a scegliere chi diventerà Re dei Pirati e come egli – o ella – deciderà il futuro di ciò che resta del mondo »
Dal Capitolo XX:
« Non vedo cosa dovrei ricordarmi di te, Portuguese. Non tratto coi pirati » sibilò in tono velenoso, avventato, ma non riusciva a domare un pulsante senso di ansia crescente.
Quel tipo sapeva il suo vero nome. Quello che lei tentava di insabbiare da anni, e che se fosse arrivato alle orecchie sbagliate avrebbe provocato troppi casini.
Ciononostante, il pensiero sparì, come vapore, dopo aver sentito la “spiegazione”.
« Mi avevi detto che bacio bene. Pensavo che questo fosse qualcosa di bello da ricordare » dichiarò offeso.
Genere: Avventura, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Nota introduttiva: questa storia venne pubblicata per la prima volta nel 2006, sempre sotto il titolo “Heavenly Eve”. Da qualche tempo l’ho ripresa e riscritta da capo, soprattutto aggiungendo personaggi ed eventi accaduti negli anni nel manga di One Piece.
Alcuni vecchi capitoli sono stati riadattati, altri scritti ex novo. Spero che la nuova forma vi piaccia.
Buona lettura!

 
 
 
 
 
 
Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Prologo -
(Parte seconda)
 
[L’Erede]
 
 
 
Into your eyes
Hopeless and taken
We stole our new lives
Through blood and name
In defense of our dreams
In defense of our dreams
 
[30 Seconds To Mars - Kings And Queens]
 
 
 
 
 
 
 
Promontorio ovest di Salmoa.
Cimitero.
 
 
 
L’aria era immobile.
Il garrito dei gabbiani era l’unico rumore che si udiva lontano, ora che il frastuono della terra in movimento era cessato. Granelli di polvere aleggiavano ancora nell’aria e piccoli detriti rotolavano giù dall’imponente picco sorto in mezzo al promontorio. Cespugli e arbusti erano stati sradicati al limitare del bosco. Il tratto di strada che dall’ingresso del cimitero portava a quest’ultimo era solo un ricordo, come parte del muretto. Tutto era stato così fulmineo che nessuno dei presenti sembrava capacitarsi davvero di quanto accaduto.
Deglutendo a fatica per tornare a respirare, Bonnie fu la prima a riscuotersi, spostando gli occhi celesti dalla cima, che capeggiava davanti a loro, a Bryan. Il fratello aveva il respiro pesante, affannato, e la fronte madida di sudore, le spalle incurvate in avanti come se avesse terminato una lunga corsa. Lo sguardo sembrava ancora lontano e vago. Dopo un attimo di esitazione, gli afferrò la mano, chiamando il suo nome.
Questo sembrò riscuotere il biondino dal torpore. Mise prima a fuoco la sorella e solo dopo ciò che aveva fatto. Una strana sensazione lo invase. Sentì di aver dato sfogo a buona parte della rabbia che era cresciuta in lui in quegli anni dalla morte della madre e che, negli ultimi giorni, si era rinnovata con la scomparsa di Giulya. Vedere suo padre, l’uomo che odiava di più al mondo, aveva fatto scattare qualcosa dentro di lui.
Per la prima volta aveva avvertito quel risentimento fluire e diventare di più. Trasformarsi in una carica, in potenza. L’aveva solo immaginato, nella sua testa, quel picco di terra. Aveva immaginato di sollevare la massa sotto i suoi piedi e far sparire quel volto che detestava. E il suo desiderio era diventato reale. Aveva manipolato… la terra.
« Sei… sei stato tu Bryan? »
La voce di Lewis alla sua destra suonò spaventata, mentre con un medesimo sentimento negli occhi lo squadrava come se non riuscisse a riconoscerlo.
Ma la risposta rimase in sospeso, mentre un rumore ai piedi della piccola montagna riportò la loro attenzione al diradarsi della nube di pulviscolo. Sentirono qualche colpo di tosse, prima di scorgere la figura di Irwin emergere, illeso, da alcuni cumuli di terra.
Bryan serrò la mascella, alzando istintivamente il braccio destro, di nuovo un bagliore fugace negli occhi, ma fu bloccato da Bonnie che si frappose tra i due.
« Aspetta! Per favore, calmati! » si appellò con veemenza, guardandolo dritto in faccia. Il problema era che nemmeno lei sapeva cosa dirgli per giustificare il suo gesto. Non condivideva l’odio di Bryan per il padre, ma non riusciva neanche a provare per lui quell’affetto sincero che si ha nei confronti di un genitore. Ciò in cui credeva fermamente era che, odio o meno, non avrebbe lasciato che suo fratello si scagliasse di nuovo contro di lui, non con tutta quella rabbia e ora quel potere che sicuramente avrebbero portato a una fine tragica. « Lascialo perdere, andiamocene… » cercò di dire, sperando che, visto quello che era appena successo, anche il padre desistesse da qualsiasi intento l’avesse portato di nuovo a Salmoa e a incontrarli.
« Bonnie lasciami andare! Come puoi difenderlo!? » gli urlò in risposta il fratello, strattonando il braccio, ma lei si incaponì e non lo lasciò.
« Andiamo via! » insistette, cercando con lo sguardo Lewis nella speranza la aiutasse. Ma il moretto era ancora fermo dov’era, il viso pallido e spaventato.
Le speranze della giovane si infransero miseramente quando sentì parlare alle sue spalle.
« Hai mangiato un Frutto del Diavolo, Bryan? » il tono era di sincera sorpresa e con una vena di preoccupazione a sfumarlo. Irwin li guardava fissi, una mano al petto a stringere qualcosa che i tre ragazzi non potevano vedere. Un cristallo di agalmatolite. L’uomo constatò che se non fosse stato per quello, sarebbe stato seppellito vivo. Il portarli via da lì si stava rivelando più complicato del previsto.
La terra riprese a tremare.
« Cosa ti importa!? » sbottò il figlio, tentando un passo in avanti nonostante la sorella stesse ancora in mezzo, non intenzionata a cedere di un centimetro dal trattenerlo. Il sentire il terreno fremere di nuovo la spinse a rendere la sua presa ancora più salda, ripetendogli di fermarsi. Ma il biondino sembrava inarrestabile nella sua collera traboccante. « Tu per me hai ucciso la mamma! L’hai portata via da noi! E poi ci hai abbandonati come se non fossimo nulla! IO TI ODIO! »
Il suo sfogo fu seguito da una nuova scossa che fece scricchiolare le lapidi del cimitero e incassare la testa nelle spalle a Irwin.
Non poteva dargli torto. Aveva immaginato più e più volte di sentirsi urlare addosso quelle parole e a pensare come trattarle. Se ne avesse avuto il diritto. Si rendeva conto che l’unico diritto che aveva era solo quello di chiedere perdono per l’essere stato un pessimo padre, non avendo voluto vedere che oltre a soffrire lui per la perdita della moglie c’erano due bambini che avevano un disperato bisogno di conforto.   
Ci sarebbe voluto del tempo, ma non ne avevano. Quello che più temeva si stava realizzando; anni trascorsi nella pace e nella tranquillità di un passato che, lui per primo, avrebbe voluto seppellire, stavano per essere rovesciati. Se poteva fare qualcosa per impedire che la vita dei suoi figli fosse ulteriormente scossa l’avrebbe fatto, anche se questo significava aggiungere ulteriore odio nei suoi confronti.
Tuttavia, trovare le parole per far indorare una pillola come quella era il vero ostacolo.
« Devo portarvi via di qui subito. Siete in pericolo, ma vi potrò spiegare tutto una volta che saremo al… » la frase si interruppe quando, troppo tardi, sentì lo spunzone di terra lacerargli la pelle del braccio, costringendolo a indietreggiare. Strinse i denti, sentendo il sangue colare tra le dita e sembrò finalmente realizzare la reale gravità della situazione. Con le sole parole non si sarebbero mossi di un passo. Tanto era l’odio nei suoi confronti e, per la prima volta, avvertì un biasimo per se stesso che lo fece vacillare.
« Fermati Bryan… ti prego… basta! » gridò Bonnie, le lacrime agli occhi mentre le forze le venivano meno dalla presa sul fratello. Non lo riconosceva, c’era un’ombra nel suo sguardo che la stava spaventando. Era come se quel rancore di cui lo sapeva colmo avesse assunto una coscienza e preso il posto di lui. Possibile che non avesse mai compreso a fondo i suoi sentimenti? O era la consapevolezza di avere un potere così forte tra le mani che lo stava lasciando scivolare in una direzione tanto sanguinaria?
« Bryan non fargli del male, ti prego… » si ritrovò a supplicare con voce rotta e le lacrime che le segnavano le gote. Non bastava che avessero appena detto addio alla loro madre adottiva? Ora doveva assistere anche alla morte del proprio padre e perdere per sempre la coscienza di suo fratello?
Il suolo tremava ormai da minuti interminabili, come un ribollire fremente di azione, quando risuonò uno schiocco e tutto cessò all’improvviso. Il proiettile sibilò nell’aria tesa, colpendo il biondino di striscio sulla guancia e conficcandosi nella lapide di Giulya. I tre ragazzini sgranarono gli occhi sentendo i cuori fermarsi. Irwin si volse indietro, la mascella serrata.
Avevano finito il tempo.
 
 
« Facciamo delle presentazioni rapide. Io sono la Giustizia, voi la feccia. Venite con me senza fare storie e la nostra mira rimarrà quella che avete appena provato »
Le parole di Shirami furono forse più raccapriccianti dello sparo appena vibrato. Un dispiegamento di una trentina di uomini in abiti scuri prese posto al lato del picco, spianando i fucili.
L’aria si congelò, come il sudore di Irwin e le lacrime di Bonnie e Lewis. A tremare, invece del terreno, fu Bryan, con la guancia a bruciargli dolorosamente. Nell’istante in cui era stato sfiorato aveva avvertito la spiacevole sensazione di tutta quella potenza arrestarsi di colpo. Si sentì ricatapultato nel proprio corpo, vedendo non più solo suo padre, ma tutto l’ambiente circostante tornò ad avere forma e consistenza, come le mani della sorella sulle sue spalle, il respiro troncato dai singulti di Lewis poco dietro di lui, e ora quel plotone di esecuzione in giacca e cravatta nel cui mirino era focalizzato lui.
« Mi auguro che questo silenzio sia la vostra risposta. Voi due biondini, mani in alto e venite da questa parte. La stessa cosa vale per te, Seaheart D. Irwin »
Bonnie non sapeva più chi guardare o cosa pensare. Il nuovo arrivato aveva appena chiamato suo padre con un nome che lei non conosceva. L’espressione di quest’ultimo tradiva una preoccupazione tangibile. Lo vide arretrare di un passo, cercando di lanciare uno sguardo oltre il picco di terra, e poi verso di loro, la mascella serrata e la fronte tesa di chi è in cerca di una soluzione.
« Niente vie di fughe, Irwin » dedusse per lui l’uomo della marina. « Se speri nell’intervento dei tuoi uomini-pesce, credo che ormai siano diventati sashimi » aggiunse, ma per quanto potessero sembrare ilari le sue battute, il suo tono era quello divertito di chi sapeva di aver tarpato le ali a un uccellino.
« Tu sei… Shirami » disse freddo l’uomo dai capelli rossi, muovendo impercettibilmente la mano sotto il mantello. Doveva guadagnare tempo per riuscire a escogitare qualcosa. « Mi hanno parlato di te »
« Non sprecarti in lusinghe. Coralia non ne avrà usata mezza » tagliò corto il Vice Ammiraglio, una vena gonfia sulla tempia destra. « E stavo pensando che per quanto ti riguarda, mi serve solo che tu risponda a una domanda, poi puoi morire » chiarì, sottolineando la minaccia puntandogli contro la propria pistola. Un gemito soffocato giunse dalla parte di Bonnie, ma tutti lo ignorarono ora che l’aria si era fatta così tirata da essere tagliata con un coltello.
« Come si raggiunge il One Piece, Figlio del Re? »
Un brivido comune accompagnò quella domanda, sia tra i marines che tra i ragazzi. Ci fu chi ricevette la conferma di alcune voci di corridoio e chi restò senza fiato, senza riuscire a rimettere insieme i pezzi del discorso. Irwin rimase immobile, i pugni stretti sotto il mantello sgualcito, mentre sentiva la condanna di quelle parole piombargli addosso come un macigno. Il rumore del calcio della pistola di Shirami che veniva caricato non aiutò a stemperare la tensione.
« Rispond- »
Ma la frase del Vice Ammiraglio fu troncata sul nascere da alcune grida provenienti dalla foresta. Gli uomini in completo nero persero la concentrazione, voltandosi a guardare cosa stesse succedendo alle loro spalle. Irwin approfittò del momento. Lanciò ai piedi del plotone una piccola ampolla di vetro che, frantumatasi contro il terreno, esplose in una nuvola color ciclamino, creando una nube densa e fitta che lo nascose alla vista.
« SPARATE! » fu l’ordine irritato che giunse oltre il gas da Shirami.
Irwin fece in tempo a buttarsi a terra sopra i ragazzini prima che i colpi di proiettile iniziassero a saettare sopra le loro teste. Lewis e Bonnie gridarono spaventati, ma l’uomo dai capelli rossi ordinò loro di strisciare oltre le lapidi del cimitero e cercare riparo, mentre lui trascinava un recalcitrante Bryan.
Ci furono urla anche dalla parte nemica. Poi un nuovo comando intimò di cessare il fuoco. La nebbia violacea non parve dare segni di diradarsi e il quartetto nascosto nel cimitero ebbe un attimo per riprendere fiato.
« Lasciami! Lasciami! » sibilò il biondino, bloccato dalle mani del padre che cercava di capire cosa stesse succedendo tra le file della marina, ma non c’era tempo: qualsiasi cosa fosse, aveva fatto guadagnare loro tempo.
« Non ti lascio Bryan. Ascoltami! Anche tu Bonnie » gli ingiunse, mentre riusciva a mettergli al collo il proprio cristallo di agalmatolite, facendogli perdere in un attimo gran parte delle energie. « Siete in pericolo. Quella gente vi braccherà finché non vi avrà messi in ginocchio. Non avranno pietà. Sono venuto per portarvi in un posto sicuro »
« Lasciami! » gli ingiunse ancora Bryan, che sembrava incapace di dargli retta.
« Otousan… perché quell’uomo ti ha chiamato Figlio del Re? » gli occhi azzurri di Bonnie, sgranati dalla paura, fissavano il genitore con una cupa consapevolezza ad aleggiarvi. Aveva il respiro irregolare, i capelli leggermente arruffati e la pelle sporca e graffiata per la caduta di poco prima tra le sepolture.
« Adesso non c’è tempo di spiegarvi » fu tutto ciò che riuscì a dire Irwin, senza trovare il coraggio di guardarla in viso. « C’è una nave ormeggiata a nord di- »
Altri colpi di fucile esplosero a pochi centimetri dalle loro teste, sbeccando le pietre tombali dietro cui si riparavano.
« SENCHOU-SAMA! » strillò una voce di donna dalla parte opposta, nel mezzo della lotta che infuriava. « SCAPPI! »
« Uccideteli! » sbottò furente Shirami, mentre un gruppo di cinque uomini-pesce malconci cercava di sfoltire le file dei marines.
Irwin colse il momento. Strattonò Bryan e agguantò per un braccio Bonnie, issandoli entrambi in piedi e puntando verso il limitare sinistro del cimitero che si affacciava sullo strapiombo del promontorio. A intralciare la via di fuga fu la ragazza, che puntellò i piedi voltandosi indietro verso la lapide dove era accovacciato uno scioccato Lewis.
« Non possiamo lasciarlo qui! Lo uccideranno! » protestò, cercando con le dita di arrivare all’amico, ma un proiettile la raggiunse, lacerandole la pelle della spalla. Gridò dal dolore, mentre una mano la spingeva di nuovo sul terreno, trascinandola al riparo.
« Bonnie! » strepitarono all’unisono padre e figlio senza fiato. Lewis balbettò il suo nome, risvegliatosi improvvisamente dalla trance di paura nel vederla contorcersi dal dolore per aver provato a salvarlo.
Le cose stavano precipitando, constatò Irwin, mentre con uno sguardo vedeva la lotta che si consumava tra i residui della nube che aveva usato come diversivo. I marines stavano avendo la meglio, ma il suo sguardo si incrociò con quello di Shirami, avanzato di qualche passo nella sua direzione, due pistole strette nelle mani. Quattro file di lapidi, incrinate dai proiettili, tra cui quella di Giulya, li dividevano.
« Riprendiamo da dove eravamo rimasti… Dimmi come raggiungere Raftel Island, Kinshi, e riserverò ai tuoi figli due celle vicine a Impel Down » intimò con lo stesso tono poco divertito.
Una rabbia, troppo a lungo soffocata, sfociò nell’uomo dai capelli rossi, che strinse a sé la figlia ferita, mentre ancora teneva salda una mano sulla collottola del minore.
« Noi non sappiamo niente di quel maledetto tesoro! I segreti di mio padre sono morti con lui! Perché te la vuoi prendere con loro!? »
Il sorriso falso che si aprì sul viso di Shirami non lasciò dubbi a Irwin.
« Non trovi giusto far sapere al mondo che in giro per il mare c’è ancora il sangue marcio del Re dei Pirati? Qualcuno che si prenda la responsabilità delle continue morti ingiuste, dei saccheggi, dell’odio verso questa generazione? »
La dolcezza velenosa di cui fu sfumata la frase gli fece contorcere lo stomaco, sentendo ognuna di quelle parole come una bugia ben progettata. Un luccicante specchietto per le allodole sistemato a dovere di cui lui intuì il secondo fine con disgusto.
« Sei solo un bugiardo… e non ti permetterò di sfruttare i miei figli per i tuoi scopi! » gli urlò contro, sentendo anni di ingiustizia e menzogne traboccargli dentro con prepotenza, tutto per un legame che lui non aveva mai né voluto né ricercato, ma che, come una catena, anno dopo anno, l’aveva avvinto, trascinandolo di fronte a una realtà non più ignorabile.
Il Vice Ammiraglio non rispose subito, rimanendo per un secondo sorpreso dalla risposta ricevuta.
« … sembra che tu non sia così inutile quanto pensassi, Seaheart D. Irwin. L’hai conosciuta, non è vero? Sai dove si nasconda!? » il tono cambiò radicalmente. Se prima voleva essere quasi canzonatorio, ora c’era una punta di folle avidità nella voce e nel sorriso maniacale con cui accompagnò colpi di pistola d’avvertimento nella loro direzione.
« E’ un pazzo… » biascicò Lewis, tenendosi la testa tra le mani mentre detriti degli spari alla pietra sovrastante gli rotolavano addosso.
« CHUUJOU! ALLE SUE SPAL- »
Il richiamo arrivò tardi. Le pistole di Shirami smisero di scaricare proiettili all’impazzata quando un manrovescio lo prese in piena guancia, proiettandolo in aria e mandandolo a sbattere lontano.
« Estella! » chiamò con sollievo Irwin verso la donna-pesce che aveva appena sistemato il Vice Ammiraglio, immobile contro le pietre frantumate. Gli uomini di Shirami erano tutti a terra, disarmati e pesti, ma dell’equipaggio che l’aveva seguito erano rimasti in piedi solo lei e Saba, feriti e al limite delle forze.
« Senchou-sama, dobbiamo andarcene, ne stanno arrivando altri » avvertì Estella con voce soffocata dal dolore. Perdeva sangue in più punti, i lividi addosso non le si contavano più e il tatuaggio della sirena con la corona che spiccava sulla sua spalla era stato sfigurato da più fendenti.
Con la poca grazia dettata dalla fretta, afferrò di peso Bonnie, rimettendola in piedi. Lei cacciò un gemito di dolore per la spalla, non avendo mai provato prima una fitta simile, e si accasciò contro la donna-pesce, alta quasi due metri.
« Ehi! Stai attenta, è ferita! E tu lasciami! » strillò il fratello lottando a vuoto, strattonato su e messo in spalla da Saba, che, senza fiatare, seguì Irwin nella direzione in cui avevano puntato prima che la loro fuga fosse stroncata. 
« Bryan! Bonnie! Aspettatemi! »
Lewis si era rialzato sulle ginocchia vacillanti e li stava guardando andare via con orrore. « Non lasciatemi qui! »
« Non possiamo occuparci di te » le parole di Irwin furono secche, sebbene un nuovo senso di colpa gli avvinghiò la bocca dello stomaco mentre lanciava uno sguardo alla lapide semi crollata di Giulya. La lista delle cose per cui avrebbe dovuto chiedere perdono si allungava sempre di più. « Faresti meglio a tornare verso la città, Lewis. Tuo nonno sta venendo a prenderti. Con lui sarai al sicuro. E dimenticati di Bryan e Bonnie »
« Otousan… per favore… » implorò la maggiore, il viso appoggiato sulla spalla di Estella.
« Maledetto! Lasciami andare mezzo pesce! Io non ci vengo con voi! Lewis! LEWIS! » si agitò il biondino ancora una volta, esausto.
Aveva capito che quella pietra azzurra che aveva al collo lo stava indebolendo, ma quando la toccava per cercare di togliersela si sentiva svenire. Tutto il potere che aveva avvertito scorrergli dentro inizialmente era sparito. Era come se la terra non lo chiamasse più, come se quel legame tra di loro fosse stato reciso.
La sensazione di impotenza, mentre vedeva Lewis ricadere seduto a terra senza parole, fissandoli con le lacrime agli occhi mentre venivano portati via di peso, era l’unica cosa che avvertiva, nitida alla stregua di una pugnalata. Allungò la mano verso l’amico, urlando e scalpitando, ma la presa che lo teneva sembrava fatta di acciaio.
A nulla valsero le sue lamentele. Il fratellastro divenne una figura rannicchiata e piangente in una desolazione di pietre e sepolture vandalizzate, con un picco a spezzare il paesaggio una volta sereno e di quieto riposo e corpi esanime di marine a costellare il terreno. Sentì alle proprie spalle il placido rimescolio del mare, e un attimo dopo la sensazione dello stomaco che gli saliva in gola, mentre il suo carceriere spiccava un salto dalla scogliera. Non aveva più neanche la forza di gridare. Tra i capelli scompigliati dalla caduta, vide il cielo aprirsi sopra di lui, alcune nuvole cineree ad oscurarlo.
E poi fu solo acqua, tanta, troppa acqua salata che lo trascinò nell’oblio.
 
 
 
 
 
Nord di Salmoa.
Piccola baia tra le scogliere.
 
 
 
Bryan riprese i sensi con una forte nausea. Un sapore salmastro gli bruciò sulla lingua e lungo tutto l’esofago, provocandogli un conato di vomito che rigurgitò sulla sabbia sopra cui era stato disteso.
Una mano gli batté qualche colpetto tra le scapole per aiutarlo, e una flebile voce lo richiamò. Quando rialzò lo sguardo annebbiato, sua sorella aveva un sorriso mesto a incurvarle le labbra screpolate. Si guardò intorno, la testa rintronata come dopo una lunga dormita, non riconoscendo nulla della piccola baia. Il suo sguardo tornò sulla sorella, mettendola bene a fuoco, e recependo la fine di un discorso di cui non aveva colto l’inizio.
« … sei svenuto in acqua. Ecco… otousan dice che è stato per colpa del Frutto del Diavolo che hai mangiato. Non sei più in grado di nuotare »
Di colpo, tutto gli tornò in mente. Il cimitero, la comparsa di suo padre, le vibrazioni della terra, lo scontro con i marines, Lewis che implorava di non lasciarlo…
« Dove siamo!? E la tua ferita!? » sbottò, cercando le forze per rimettersi in piedi, ma senza successo.
« A nord di Salmoa, stiamo per salpare… io sto bene… » sussurrò lei, esausta nel fisico e nell’anima.
Durante i minuti nei quali il fratello era rimasto incosciente, e che i due uomini-pesce avevano impiegato per sistemare la nave, suo padre l’aveva medicata, riempiendo il silenzio di anni con avvertimenti e istruzioni.
Parola dopo parola aveva iniziato ad afferrare la gravità della situazione, ma si ritrovava ancora incapace di prendere per vero tutto. Ammettere gli sproloqui di quel Vice Ammiraglio significava affermare che suo padre – che lei aveva conosciuto da sempre come Horner Irwin – in realtà si chiamasse Seaheart D. Irwin, e fosse figlio del Re dei Pirati, Gold Roger.
Questo legame faceva di lei e di Bryan i nipoti dello stesso. Il che, alla sua mente stanca e scombussolata dagli eventi dell’ultima settimana, suonava ancora come una macabra storiella.
La fase in cui pensava si sarebbe svegliata da quel sogno le cui radici affondavano nell’incubo era finita nel momento del tuffo in acqua, in cui il dolore per il proiettile alla spalla era diventato più vivido e bruciante che mai. Giunti alla baia, suo padre aveva iniziato con delle scuse, ma queste erano state presto sostituite da spiegazioni su cosa avrebbero fatto da quel momento in poi. Solo che per lei era come ascoltare il brusio di una radio non sintonizzata. Riusciva solo ad annuire di tanto in tanto, e a lasciarsi scappare gemiti di dolore durante la medicazione.
« Dobbiamo tornare da Lewis! » strepitò Bryan, nell’ennesimo tentativo di tirarsi su. Ma questa volta fu lei che, afferrandolo per un polso, lo trattenne. Calde lacrime le riempirono gli occhi al pensiero del loro fratellastro, ma il peso di tutto aveva iniziato a schiacciarla.
« Non possiamo andare da lui » mormorò con una voce così affranta che il biondino rimase a fissarla stupito. « È in pericolo con noi. Noi siamo in pericolo »
« Bonnie ha capito. Ed è ora che lo faccia anche tu, Bryan »
Irwin apparve alle spalle del ragazzo, guardandolo dall’alto in basso con espressione tesa e seria.
« Speravo avessimo più tempo per le spiegazioni e meno imprevisti. Il piano era lasciare illesi e senza tracce Salmoa, ma ci sono state delle complicazioni e non è ancora finita » nel mentre del discorso, aiutò i due ragazzi ad alzarsi. Sentiva lo sguardo bruciante d’odio del figlio addosso, ma sembrava che la mano della sorella stretta nella sua lo stesse dissuadendo dal riprendere a sbraitare. « Questa – e indicò l’imbarcazione alle sue spalle – è la Mermaids’ Melody. È una nave particolare, non dovrete fare nulla, vi guiderà lei. La rotta è già impostata. Ci aspetterete a Yoyone. Noi vi raggiungeremo quanto prima. Tutto chiaro? »
I segni di assenso furono vaghi. Bonnie annuì, i capelli biondi quasi ormai asciutti si erano arricciati per via dell’acqua marina, nascondendole il volto segnato dalla fuga. Al suo fianco il fratello sembrava stesse dando fondo a tutto l’affetto che provava per lei, riuscendo così a non saltare al collo dell’uomo che aveva dinanzi. Gli regalò tuttavia uno sguardo bieco e carico di rancore.
« Bene… » convenne atono Irwin, la mente proiettata altrove.
Per tanto tempo aveva creduto che il giorno più brutto della sua vita fosse stato quello in cui aveva perso sua moglie Maryn. Una perdita che l’aveva lasciato senza nessuna voglia di vivere, il cui dolore l’aveva portato lontano dai suoi figli, non riuscendo a guardarli in viso, a trovare un modo per confortarli e dire loro che sarebbe andato tutto bene, quando lui stesso non vedeva che il barato. Ora aveva davanti quei volti cresciuti, segnati da una fuga che non sarebbe mai dovuta avvenire.
Non riusciva neanche a capire dove avesse sbagliato. Come quell’uomo, Shirami, di cui sua madre un tempo gli aveva parlato con il calore che si usa per un amico, fosse riuscito a stanarlo, a sapere di lui e dei suoi figli. Questo nonostante gli accorgimenti, gli anni passati a seppellire quel legame con Gol D. Roger per poter vivere senza una minaccia costante sulla testa.
Shirami l’aveva chiamata giustizia il dichiarare al mondo l’esistenza di una discendenza del Re dei Pirati e dare così alla gente un capro espiatorio su cui sfogare l’angoscia e la rabbia dell’era della pirateria.
Semplice carne da macello, ecco cosa rischiavano di diventare Bryan e Bonnie. Trofei messi in mostra perché il Vice Ammiraglio potesse continuare con la sua opera. Opera di cui lui iniziava a vedere i contorni più nitidi, dopo il loro breve scambio di battute nel cimitero.
L’orribile sensazione che quanto successo quel giorno sarebbe stato solo l’inizio di qualcosa di molto più grande e sanguinario lo dissuase dai suoi pensieri, riportandolo a vedere la dura realtà che si rispecchiava negli occhi dei due ragazzi che aveva dinanzi. Per la prima volta dopo quattro anni erano stati gli eventi a strapparlo dal limbo in cui era vissuto fino a quel momento, e il sentore di pericolo gli aveva aperto la mente su quanto avesse lasciato ad aspettare due bambini ignari della propria sorte. Pensò che quella stessa sorte li stava riavvicinando e in modo o nell’altro avrebbero ricominciato.
« Senchou-sama… » la voce di Estella lo riscosse del tutto, mentre la donna-pesce gli si avvicinava, lasciando ai suoi piedi una sacca di stoffa grezza da cui si intravedevano delle micce. Irwin annuì, rammentando che mancasse ancora un’ultima cosa da fare. Ancora un ultimo taglio netto col passato.
« Allora… ci rivediamo tra circa due giorni » disse, squadrando i figli e ricevendo un secondo assenso altrettanto approssimato. Ripeté per l’ennesima volta ciò che avrebbero dovuto fare – essenzialmente lasciare che la nave li portasse a destinazione. « Saba aiutali a salire a bordo » furono le ultime parole che Bryan e Bonnie udirono da Irwin prima di ritrovarsi di nuovo da soli sul piccolo veliero.
Questo, di un insolito blu oceano, con le sue tre sirene scolpite a prua immortalate nell’intento di cantare, scivolò placido nei residui di bel tempo che sovrastava Salmoa. Il vento si era intensificato, ma le vele della Mermaids’ Melody rimasero raccolte sui pennoni, non avendo bisogno di esso per muoversi.
« Staranno bene, Senchou-sama? » chiese Estella.
« Non lo so… in realtà, so molto poco di loro » gli rispose sovrappensiero Irwin, per poi voltarsi con la sacca in spalla, incamminandosi verso la zona boschiva che li avrebbe riportati a Isca.
 
 
 
 
 
Un punto imprecisato nel North Blue.
La mattina seguente.
 
 
 
Era la prima volta che Bryan osservava l’alba dal parapetto di una nave in navigazione. Quando era piccolo ricordava di essere salito su alcuni pescherecci di Salmoa, ma non era mai andato così lontano da non vedere più il profilo della sua isola natale. Ora, ovunque si voltasse, c’era solo mare a perdita d’occhio, e un sole pallido che si alzava dal confine tra l’acqua e il cielo.
Non era riuscito a dormire quella notte. Si erano allontanati dall’isola a forma di uncino in breve tempo, ma non abbastanza da non scorgere in lontananza che qualcosa non andasse. Un’esplosione attutita e del fumo nero si era alzato dal profilo della città di Isca, lambendo il cielo con pennacchi foschi. Il vento, che spirava nella loro direzione, aveva presto portato l’odore acre dell’incendio, e i due ragazzi avevano assistito atterriti alla distruzione del luogo dove erano cresciuti.
Bryan aveva di nuovo sentito una rabbia accecante divampargli dentro, di nuovo la consapevolezza di non poter fare nulla, di essere stato catapultato in una situazione di cui non aveva afferrato la gravità ma il cui peso l’aveva travolto.
E poi era sopraggiunta la sensazione che più odiava. Il vuoto, il sapere di essere stato abbandonato di nuovo. La stessa sensazione che aveva provato quando suo padre gli aveva detto che sua madre era morta e poi si era voltato, andandosene e lasciandolo lì con mille domande e un male al petto insostenibile.
Mentre si allontanavano sempre di più da Salmoa aveva iniziato a prendere a pugni il parapetto della Mermaids’ Melody finché non si era sbucciato le nocche e sua sorella gli si era letteralmente lanciata addosso per fermarlo. Erano ruzzolati entrambi sul ponte, dove si erano ritrovati a piangere senza nessun pensiero di conforto.
Giulya era morta e avevano abbandonato Lewis; l’uomo che avrebbero dovuto chiamare “padre” più che salvarli li aveva aperti a verità inaccettabili mentre la loro isola si consumava tra le fiamme.
C’era voluta la stanchezza accumulata durante la giornata, e il dolore fisico della fuga, perché almeno Bonnie cedesse al sonno e si riposasse. Il fratello invece sentiva ancora troppe energie, troppi ronzii nella testa.
Aveva girato la nave con scarso interesse, più guidato dal bisogno di fare qualcosa e non pensare. Era sceso nella cambusa e aveva trovato un coltello con cui si era liberato del ciondolo bluastro che Irwin gli aveva cacciato a forza al collo. Era così tornata ad agitarsi in lui la sensazione di forza e potere che l’aveva dominato la mattina al cimitero. Ma per quanto la sentisse, avvertiva anche che questa energia fosse sopita, carica ma incapace di fuoriuscire.
Non ne sapeva molto sui Frutti del Diavolo – non ricordava nemmeno di averne mangiato uno – solo qualche chiacchiera scambiata con Giulya, ma intuì che se poteva manipolare la terra, forse avrebbe avuto bisogno di poggiare i piedi su di essa per sfruttarla.
Il resto della notte era trascorso cupo, silenzioso e freddo. Mille e più pensieri e sensazioni gli avevano fatto compagnia, spingendolo a ripensare alle parole udite al cimitero. Si rendeva conto di avervi prestato scarsa attenzione. La sua mente riusciva solo a incanalare tutto sulla figura di Irwin e a scolpire senza sosta l’odio nei suoi confronti. Si sentiva esplodere, e sapeva che l’avrebbe fatto di lì a due giorni.
L’alba aveva smorzato un po’ quello che era diventato un caos silente nella sua testa, facendolo quasi scivolare in una sorta di trance in cui la confusione di immagini e parole era tale che il suo essere vigile stava per venire meno, quando un grido acuto lo fece scattare di soprassalto.
« Bonnie! » urlò istintivamente, raggiungendo di volata il ponte della nave dove l’aveva lasciata a dormire.
La ragazza, ancora raggomitolata nella coperta che il fratello le aveva messo addosso, fissava terrorizzata qualcosa che stringeva tra le mani.
« Bryan… guarda… » sussurrò, porgendogli il giornale appena cadutole vicino.
Il biondino, perplesso, prese i fogli di carta e impallidì. Forse per la stanchezza, ma riusciva a cogliere solo alcune delle parole che il quotidiano sembrava strillare a gran voce.
Il ritorno del flagello dei mari”, “i discendenti del demonio”, “colpevoli della distruzione di Salmoa”. Era tutto così insensato che quando scorse i due avvisi di taglie, stentò a riconoscersi.
Eppure, in quei manifesti, erano proprio lui e la sorella:
 
“Gol D. Bonnie – Viva o Morta – 30.000.000 Berry”
“Gol D. Bryan  – Vivo o Morto – 90.000.000 Berry”
 
« Siamo… siamo ricercati… » mormorò senza fiato Bonnie, stringendosi tremante nella coperta.
Bryan non la sentì. Vedeva soltanto il giornale di fronte a sé, le assurdità e le bugie che costellavano la sua vita. Strinse la presa così forte che i fogli si strapparono, ma nulla gli importava. Ancora una volta, qualcuno aveva scelto per loro, qualcuno si era preso la briga di rovesciargli la vita e rendergliela impossibile.
Batté i pugni sul legno del pavimento, digrignando i denti.
Si era già detto di smetterla con le scenate. Niente lacrime. Era ora che prendesse in mano quel che gli rimaneva e che fosse lui stesso a dominare sulla propria esistenza.
« Vogliono un erede del Re dei Pirati? Lo avranno! » giurò, non avendo mai sentito un misto di emozioni tali dentro di sé. « Non permetterò più a nessun altro di decidere della mia vita! »
La sorella lo guardò a occhi sgranati, la mano premuta su una bocca incapace di esprimersi.
« E ti prometto che ti proteggerò Bonnie! Non mi lascerò portare via ciò che rimane della mia famiglia! Diventerò così forte che chiunque ci penserà due volte prima di mettersi sulla mia strada! »
Non si era accorto di aver alzato la voce, rimanendo a fiato corto, parlando e fissando la pagina di giornale dove lo strappo aveva diviso a metà la foto della sua taglia.
Credeva in quello che diceva, ora che tutti i tasselli della sua breve esistenza erano sparsi e impossibili da risistemare secondo una qualsiasi sua volontà. In realtà, non aveva mai pensato al futuro, a cosa avrebbe fatto, ma il tempo delle chiacchiere si era concluso.
Il mondo voleva trascinarlo in quella competizione per chi era il più forte a sopravvivere?
Non si sarebbe tirato indietro. Avrebbe preso a calci chi si sarebbe preso la briga di dargli ancora noie, chi pensava di mettere le mani su sua sorella o osasse sfidarlo.
Ben presto il suo nome, così urlato su quel giornale, sarebbe diventato presto un sussurro, una parola che in molti avrebbero temuto solo pronunciare.
 
 
 
 
 
North Blue, a largo di Yoyone.
Due giorni dopo gli eventi di Salmoa.
 
 
 
« Non ci sono tracce dei due ragazzi, Senchou-sama. Ho circumnavigato tutta l’isola ma nulla… » affermò la voce costernata di Saba, appena risalito a bordo della Syren.
Irwin si portò un mano alla tempia, sospirando pesantemente e serrando la mascella.
« Quell’incosciente di Bryan… » mormorò tra sé, intuendo cosa gli fosse passato per la testa. Con la mano libera, stringeva i volantini delle due taglie arrivate il giorno prima col giornale, il compiersi di ciò che più temeva. E anche i suoi figli dovevano aver letto la notizia.
Il mondo era venuto a conoscenza della loro esistenza, che la linea di sangue più temuta era sopravvissuta all’esecuzione di Rogue Town ed era tornata. Ci sarebbe stato parecchio scompiglio. Quanti avrebbero creduto alla notizia, quanti no. E poi sarebbe seguito un feroce pandemonio: rincorrere due ragazzini che insieme facevano una cospicua taglia sarebbe risultato per molti cacciatori un passatempo piacevole, soprattutto se ci si poteva poi gustare la fama che ne sarebbe derivata dal mettere le mani sui nipoti del Re dei Pirati.
« Dobbiamo trovarli prima che lo faccia qualcun altro » sentenziò, sentendo un senso di angoscia pervaderlo per la prima volta dopo così tanto tempo. L’angosciante sensazione di essersi lasciato scivolare tra le dita di nuovo un pezzo della propria vita. Aver rivisto Bryan e Bonnie dopo quattro anni aveva scosso qualcosa dentro di lui, quel qualcosa che avrebbe dovuto essere il suo orgoglio di padre, il suo volerli proteggere da un mondo per cui non erano pronti.
Per la prima volta sapeva di dover porre rimedio a ciò che troppo a lungo aveva ignorato.
 
 
 
 
 
Cielo. Regno di Heaven Ville.
Qualche giorno dopo gli eventi di Salmoa.
 
 
 
« Ma chérie, sembri un po’ sconvolta »
« A me pare invece che a te la notizia diverta »
L’uomo alzò le spalle, tornando a girare il cucchiaino nella tazzina del caffè.
« Più affari per me, mon trésor » rispose placido, assaporando l’aroma che impregnava l’aria con un sorriso sdolcinato.
La donna seduta all’altro lato del tavolo bianco lo ignorò, rileggendo la prima pagina del giornale per l’ennesima volta. Era raro che i quotidiani del Mare Blue giungessero fin lassù, ma la notizia era di proporzioni così sconvolgenti che scommetteva perfino i sassi ne stessero parlando.
« Io direi, mon amie, che ce ne possiamo preoccupare quando riscenderemo, che dici? » bisbigliò con voce carezzevole l’uomo all’orecchio della compagna. Lei trasalì, non essendosi accorta di avercelo alle spalle tanto era intenta a vagliare le cavolate del giornale nella speranza di trovare qualcosa di sensato nascosto tra le righe. Le mani di lui le scivolarono sulle braccia lisce, risalendo poi sulle spalle, dove le dita scostarono vezzosamente le spalline della mise da notte, scoprendo parte del seno. Ma il gioco durò poco, poiché lei non riuscì a distogliere lo sguardo dalle foto segnaletiche stampate sul foglio.
« Anticipiamo a stasera » stabilì, reclinando la testa indietro e lanciandogli una lunga occhiata seria. « Sono sicura che a Dante farà piacere sapere che sei celere sul lavoro » aggiunse, con un sorriso pieno che fece sospirare l’uomo con una rassegnazione che tanto rassegnata non sembrava, visti i cuoricini innamorati che sprizzò verso la bella mora.

 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Saba: sempre dal giapponese, è lo “sgombro”.
- Kinshi: ho accostato la pronuncia di due kanji giapponesi, rispettivamente “oro” [kin] e “figlio” [shi] (o “erede”, poiché hanno la stessa pronuncia). Da qui “figlio dell’oro”, che è sia il nome dell’operazione di Shirami, sia il soprannome con cui chiama Irwin, figlio appunto di “Gold” Roger. In più, la pronuncia di Kinshi può significare anche qualcosa di “proibito”.
- Ma chérie, mon trésor, mon amie: dal francese “mia cara, mio tesoro, amica mia”.
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Sono riuscita a suscitare in voi un po’ di interesse in più? Spero di sì!
Cominciamo con qualche nota fondamentale: sì, ho sconvolto qualsiasi cosa ci sia nel manga di One Piece legato a Gold Roger. Quando iniziai a scrivere questa storia di lui, e di Ace, non si sapeva proprio un accidenti… e in questa fanfic siamo solo all’inizio delle rivelazioni.
Fatta questa premessa, ecco le note che reputo importanti da tenere a mente:
 
Personaggi nuovi:
- Gol D. Bryan e Gol D. Bonnie: fratello (14) e sorella (16), figli di Seaheart D. Irwin e Blodwen Maryn.
- Seaheart D. Irwin: figlio di Gol D. Roger e… Coralia. Nominata nel capitolo, più avanti vi dirò anche di lei, chu.
- Giulius Lewis Armstrong: (14) amico d’infanzia di Bryan e Bonnie, figlio di Giulya Ottavia Armstrong, marine. 
- Shirami: ecco… lui è il mio “cattivo”. Il suo nome significa “pidocchio, persona spregevole”. Non gli voglio particolarmente bene, ma mi impegnerò per renderlo un degno antagonista u.u!
 
- Gold Roger: durante la fanfic vedrete che userò parecchio questo modo di chiamare Roger, ossia storpiando il suo cognome. Un po’ perché è impossibile far dire sempre al personaggio “Gol D. …”, non suona. Un po’ perché mi immagino che i più siano cresciuti con questo mito del “Gold”, come dice anche Rayleigh, se non sbaglio.
 
- Frutti del Diavolo: è apparso il primo (quello che io, da romana doc, chiamo “Tera Tera” XD) di molti altri… vi dirò man mano di ognuno di loro. Il Frutto della Terra è di tipo Rogia, ma non è utilizzabile lontano da questa.
 
-  Mermaids’ Melody: non ridete, vi prego. All’epoca quando nominai così questa nave ancora non era arrivato in Italia l’omonima serie televisiva… ora io stessa, ogni volta che la rileggo, mi metto a ridere… ma non la cambierei mai!
Particolarità di questa nave: non ha bisogno del vento per muoversi e fa parte delle navi della “Triade del Mare”, insieme alla Syren di Irwin. I dettagli a tempo debito!
 
- Incendio: non so se è intuibile, ma Irwin alla fine è tornato a Isca e ha fatto saltare in aria la sua vecchia casa e quella di Giulya per tentare di nascondere altre eventuali tracce.
 
- Heaven Ville: ultimo pezzettino finale, giusto per infittire ancora di più la trama. Un Regno nel Cielo ~
 
A volte le note sono più lunghe del capitolo, in proporzione XD Non vogliatemene!
So che gestire personaggi originali, soprattutto così tanti, è difficile. Cerco sempre di risistemare i capitoli per rendere tutto il più chiaro possibile, ma se avete dubbi, chiedete pure!
 
Grazie mille per i commenti! Grazie a mlegasy, Keyra Hanako D Hono e jillianlughnasad! Ricevere i vostri pareri mi ha riempito non solo di gioia e di autostima, ma mi ha proprio risollevato la giornata! Spero che la mia storia continuerà a piacervi e incuriosirvi!
 
Ultimissime note: sul mio blog di Tumblr [ http://heavenlyeve.tumblr.com/ ] troverete qualche disegno e qualche curiosità in più per la storia, solo perché quando mi incaponisco con qualcosa divento una maniaca… ! No in realtà ci tengo davvero a questa fanfic =)
 
Per concludere, mi spiace aver aggiornato dopo due settimane, ma i preparativi di lavoro per il Lucca Comics mi hanno totalmente assorbito e non sono riuscita a postare prima! Cercherò di non farvi attendere di nuovo così tanto!
 
Bacioni!
Nene
   
 
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