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Autore: GretaHorses    04/11/2014    14 recensioni
""Leon ascoltami: non ho detto che devi amare me, devi amare lui!". Indicai tremante il mio ventre. No Vilu, non piangere. Non in quel momento, non davanti a lui. "Non sarei di troppo?". Assunse un'espressione sarcastica e ridacchiò. "Ma cosa stai dicendo? Lui ha bisogno di te". "Ce la può fare benissimo senza di me, un padre ce l'ha già!". Mi urlò contro con una rabbia tale che quasi mi fece paura. "Hai ragione, lui non ha bisogno di te. Diego mi è stato vicino in tutti questi mesi e di certo lo ama più di te che non ci sei mai stato. Amare per te è un optional, giusto? E' sempre stato così, non capirai mai". Decisi di andarmene e mi voltai, non volevo più sentire un'altra parola uscire dalla sua bocca. Erano passati quasi due anni dal nostro ultimo addio, quattro mesi da quella maledetta sera. Ma se non me ne doveva importare più nulla, perché faceva così male?".
Questo è il sequel di "Indovina perché ti odio", vi consiglio di leggere la fanfiction precedente se non l'avete ancora fatto.
Enjoy.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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CAPITOLO 9

 

Scendo dall'auto e saluto papà con la mano. Una nuova settimana è cominciata, altri tre mesi e mezzo di questa tortura. Chiudo la portiera e mi sistemo lo zaino sulle spalle, osservo l'ingresso della scuola di fronte a me con le labbra contratte. Il rumore della macchina che si allontana mi distoglie dai miei pensieri, decido di farmi forza e dirigermi verso la grande porta in vetro. “Vilu”. Mi fermo per voltarmi verso la voce che mi sta chiamando. “Lud”. Mi si avvicina, come sempre è impeccabile: treccia a lato del collo, cappotto blu lungo dal cappuccio col pelo e trucco curato nel minimo dettaglio. Sposto lo sguardo su di me che invece indosso una giacca larga ed impermeabile che sembra piuttosto un sacco della spazzatura, ho i capelli raccolti in un distratto chignonne e delle Converse basse dal nero ormai sbiadito. Tre anni di amicizia con Lud non mi hanno toccata dal punto di vista estetico. “Come stai?”, chiede. “Più grossa di ieri, te?”. Ridacchia per poi rispondere: “Tutto piatto, la mia vita è ferma come acqua stagnante”. I miei occhi cadono sul cancello e noto Fran e Camilla intente a parlare, incrocio lo sguardo della mia migliore amica che si rigira subito. Siamo alle solite, non è possibile andare avanti così. Posso capire tutto ed essere amica di entrambe separatamente, ma Ludmilla non è un mostro. Sono conscia di quanto insopportabile fosse i primi due anni, ma se sono riuscita io a perdonarla perché non loro? Cami mi sembra abbastanza neutrale sulla questione, mentre Francesca invece pare non la regga. “Vieni con me un secondo?”. “Mmh sì, certo”. Parto per raggiungerle, mentre l'altra mi segue. “Buongiorno”, dico. Si voltano al nostro arrivo alquanto sorprese, evidentemente non se lo sarebbero aspettate. “Ciao Vilu, ciao...Ludmila”. “Ciao a tutte!”, esclama Camilla sempre di buon umore. Non so come faccia il lunedì mattina, la trovo una cosa contro natura. Contraccambiamo i saluti e ci fissiamo in imbarazzo, in questi mesi mi sono abituata a vederle divise e mai tutte insieme. Mi metto per un secondo a guardarmi attorno e vedo una Volvo nera parcheggiare poco distante, quella Volvo nera. Schiudo le labbra, la portiera si apre scoprendo la sua figura: oggi si è rasato la barba, ha intorno pure il giubbotto che metteva anni fa. Lo fisso incantata, in quest'istante ho l'illusione che una macchina del tempo mi abbia catapultata all'indietro. Si sistema il ciuffo e sospiro, il momento viene magicamente rovinato dalla comparsa di Raquel la quale esce dallo sportello opposto. Dovevo immaginarlo perché vengono ogni mattina assieme, perché una piccola parte di me era convinta del contrario? Sono un'idiota. E' tutto cambiato: il nostro rapporto, le nostre vite, il nostro atteggiamento. Ciò che è successo sabato e domenica è stata un oasi in mezzo ad un deserto arido ed angusto, sono tornata alla realtà vedendoli. Lui sta con lei ed io sono solo una cretina. Perché non ha mai un capello fuori posto? La cosa mi frustra assai. Labbra rosse, occhi contornati di nero che valorizzano il colore paralizzante degli occhi, un capello a bombetta stile Charlie Chaplin, un doppiopetto sfiancato stretto alla vita da una fascia vermiglio, pantaloni stretti grigio scuro e stivaletti neri con un po' di tacco. Mi costa ammetterlo, ma si veste bene. “Cazzo, ha stile la ragazza”. Lancio un'occhiataccia a Lud anche se infondo penso lo stesso. “Vilu, non credo che sia il caso...”, commenta Fran. Non le ascolto, continuo a guardare la scena. “Anch'io. Violetta, basta”, Cami mi tira per un braccio ed a quel punto mi volto. “Perché vuoi farti del male da sola?”, domanda Francesca. “Ma...”. “Me lo chiedo spesso anch'io”, sentenzia Ludmilla incrociando le braccia al petto. “Non è ques...”. “Devi andare avanti, Vilu”. Le altre annuiscono all'affermazione di Camilla. Perché continuano ad interrompermi? Volevo dire loro che ci parliamo ancora, ma non mi lasciano il tempo di proferire parola. “Sì, ma le cose...”. “Ci siamo noi con te, tranquilla”. “Ho capito, ma...”. “Non dire nulla, stai tranquilla”. Ma cosa? Con la coda dell'occhio guardo a destra e vedo che stanno venendo verso il grande cancello spalancato che permette di accedere nella zona antistante l'ingresso. Ci passano accanto e mi giro incrociando il suo sguardo, fa un cenno col capo e dice: “Ciao Violetta, ciao ragazze”. “Ciao, Leon”, rispondo alzando timidamente la mano mentre alle ragazze esce un “Ciao” alquanto confuso. Lei non mi saluta, non mi degna di considerazione e procede dritta per la sua strada a testa alta. Una cosa, però, la fa, una cosa che si poteva benissimo risparmiare: appena ci oltrepassa, prende sottobraccio Leon e lo attira a sé mentre proseguono salendo le scale. Voglio farle mangiare quel cappellino, ora. Adesso. In questo preciso istante. Le mie amiche non sembrano aver notato il suo gesto, piuttosto sono sorprese del fatto che ci abbia salutate, ma soprattutto me. “Oh, wow. Oh...ci siamo perse qualcosa?”, domanda Cami. “Stavo per dirvelo, ma non mi fate parlare”. “Ma quand'è successo?”. Fran è preoccupata per me, lo so. Glielo leggo nell'espressione. “Venerdì”. “Sono passati tre giorni e non ci hai detto nulla, brutta mascalzona!”. “Cami, non mi pare il caso di scherzare”. “E cosa dobbiamo fare, Fran? Metterla in croce?”. “No, ma vorrei capire il perché”. Dal suo canto Ludmilla osserva in silenzio ciò che accade, lei lo sa. Diego di sicuro le avrà raccontato tutto. “Abbiamo discusso dell'argomento e risolto, tutto qui”. “Tutto qui? Davvero, Vilu? Tutto qui?”. “Ehm...”. “Devo ricordarti ciò che è successo in questi mesi? Oh...aspetta, l'altro giorno mi avevi detto che tuo padre era preoccupato perché non eri tornata subito a casa per andare da Maxi. Questo significa che tu...”. “Sì, ero con lui”. Inarca un sopracciglio. “Perché non hai pensato di dirmelo?”. “Indovina?”. Rimane in silenzio, ha capito molto probabilmente. “Pensavo fossimo amiche”, incrocia le braccia stizzita. “Oh Cristo, Francesca! Non te l'ha detto perché sapeva come avresti reagito alla storia della lettera, non l'ha fatto per escluderti dalla sua vita”, interviene Lud leggermente innervosita. “Quale lettera? Aspetta...lei sa ed io no?”. Mi sbatto una mano sulla fronte, sembra stiamo attraversando le crisi di amicizia delle elementari della serie 'Sei mia amica e non sua, gne gne gne'. “No, lo so perché me l'ha raccontato...ehm, Diego”. Il suo tono diventa acuto quando pronuncia quel nome e mi sfugge mezzo sorriso che subito svanisce al pensiero di cosa potrebbe averle fatto passare. Sicuramente avrà rigirato i fatti a suo piacimento facendo passare Leon per un ipocrita bastardo e lui come il salvatore che però è stato incolpato ingiustamente. “E lui cosa c'entra?”. Noto che fatica a rispondere, perciò lo faccio io: “Diciamo che è entrato in affari che non gli riguardano ossia ha voluto ostacolare il riavvicinamento di Leon al bambino. Infondo sono l'unica che può aver voce in capitolo, per cui abbiamo litigato”. “E la lettera?”. “E' una lettera che mi ha scritto Leon”. “Ah, però”.  Faccio le spallucce e contraggo la bocca in un sorrisetto innaturale. Camilla agita le mani e scuote il capo attirando la nostra attenzione. “Momento, momento, momento: devo riordinare i fatti nel mio cervello perché è un casino assurdo”. Aggrotto la fronte mentre Francesca e Ludmilla scoppiano a ridere. “Tu...”, mi punta il dito contro facendomi indietreggiare. “...stavi con lui”, indica la Volvo nera. “Vi siete lasciati e giuro che fino a qua ci sono. Poi lui si è messo con la Marquez però l'ha mollata, avete...ehm, copulato e sei rimasta incinta. Correggimi se sbaglio, eh?”. “Fino a qui ci sei”. “Benissimo, è ritornato con la Marquez e poi...non mi ricordo se l'ha piantata di nuovo o se stanno insieme da quella volta là”. Nego con la testa. “L'ha mollata prima di Natale e ci è tornato qualche settimana fa”. “O-o-okay ed adesso avete fatto pace, ma è ancora assieme a lei. Perché?”. “Che ne so, si è riavvicinato ad Enrique mica a me”. Abbasso lo sguardo imbarazzata, un po' mi ero illusa che provasse qualcosa per me ieri. Sarà per il portachiavi, il 'ti voglio bene', le sue coccole durante la notte perché sì, mi ha coccolata. In realtà lui è ancora impegnato ed io sono una bambina ad aver anche solo riposto una minima speranza in un noi per un secondo. “Lo trovo strano, però...”. “Strano in che senso?”, chiedo subito di getto. “Boh, insomma...Leon non è il genere di ragazzo che fa queste cazzate, no?”. La guardiamo tutte stranite. “Nel senso che stare con una ragazza ed essere 'amico' al contempo della propria ex, non è un po' strano? Di solito quando una relazione termina se ne sbatte della sua ex”. “Cosa c'entra? Con me era rimasto amico”, dice Ludmilla ed effettivamente ha ragione. “Sì, ma la storia che ha avuto con te e quella con Vilu non sono minimamente paragonabili. Che poi voi due manco stavate insieme, loro sono durati un anno”.“Beh, ma in questo caso c'è di mezzo Enrique”, puntualizzo. “E' vero, ma...boh, mi sembra comunque strana come cosa. Sarò sospettosa io, ma non mi convince. Secondo me non è solo per il bambino”. La campana suona e ci distrae dal discorso, ci sistemiamo gli zaini e ci dirigiamo verso l'entrata. “Voi in che classe siete?, domanda Fran. “In venti, voi?”. E' così strano vedere lei e Lud parlarsi, talmente tanto che quasi mi commuovo. “Ventisei”. “Beh dai, siete nel nostro stesso ramo”. “Già, casomai alla ricreazione passiamo da voi. Mi annoio a stare in classe sinceramente”. Finite le scale, varchiamo la porta e c'immergiamo nell'atrio affollato. Cerco di farmi spazio fra la gente, ma per sbaglio vado addosso ad un ragazzo. “Guarda dove cammini, balena!”, mi urla contro alimentando le risate sguaiate del suo gruppo di amichetti. “Cos'hai detto?”. Mi volto all'indietro di scatto e vedo Leon poco distante venirci incontro a braccia conserte. “Io? Ehm...che poteva fare un po' più di attenzione”, risponde deglutendo e solo accanto a Leon mi rendo conto di quanto gracile sia. “No, tu l'hai insultata che è diverso. In che classe sei?”. “Mmh, seconda”. Anche i ragazzini attorno sono spaventati, eppure non si sta ponendo in modo violento anzi, è solo il tono ad essere minaccioso. “Come immaginavo...lo sai in che classe è lei?”. Scuote il capo con vigore. “No? E' in quinta e sai cosa vuol dire? Che devi portarle rispetto. Cos'è? Avete appena finito di bere il latte dal biberon e già vi sentite padroni di giudicare persone che non conoscete? Faresti meglio ad abbassare la cresta, ragazzino, se non vuoi che finisca male”. Ecco, adesso dovrebbero avere paura. E non scherzo. “Ehm...va bene”. Cerca di defilarsi, ma lo afferra per un braccio. Intanto gli altri se la sono già svignata, quando si dice vera amicizia. “Non ho ancora finito con te, signorino”. “Cosa vuoi ancora?”, mugola con voce flebile. “Le scuse sarebbero il minimo, sai? O la tua mammina non ti ha insegnato le buone maniere? A quanto pare è così dal momento che ti rivolgi in modo arrogante nei confronti degli altri”. Mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite e, balbettante, dice: “S-scu-scusa”. “No, non mi piace: dillo meglio”. “Scu-scusami se ti ho offesa, non lo farò più”. Torna a fissare Leon col fiato corto. “Co-così va bene?”. “Mmh...sì, dai”. Lo molla ed il ragazzino tira un sospiro di sollievo. “Ma in futuro vedi di stare attento a come tratti le persone se non vuoi che ti spiattellino un bel pugno in faccia perché con questo te lo saresti meritato”. “Ehm...sì, grazie de-del consiglio”. “Ed ora va', corri in classe che se ti becchi una nota farai arrabbiare la tua mammina”. Non se lo fa ripetere due volte, si è già inviato lungo il corridoio rapidamente. Ringrazio il cielo che l'atrio si è progressivamente sfoltito dalla gente, ruoto il capo per guardarlo in volto. “Grazie”. Sorrido timidamente quasi imbarazzata dalla situazione. “Prego, ma la prossima volta tira fuori le palle che non è detto che ci sia sempre io nei paraggi”. “Lo farò”, rispondo ridacchiando. “In che aula sei?”. “Venti”. “Oh, io ventuno. Beh, andiamo”. Ci incamminiamo e svoltiamo a destra nel ramo della scuola in cui ci sono le aule dalla venti alla ventotto. “Cos'hai alla prima ora?”. “Matematica”. “Cristo, se non ti sbrighi Casal s'incazzerà”. Fa le spallucce. “Ha altro per cui arrabbiarsi con la classe che mi ritrovo”. “Cioè?”. Ci fermiamo nei pressi della mia classe e poggio una mano sulla maniglia. “Nel senso che ci sono soggetti molto più scalmanati di me e lo so che suona strano, ma è così”. Scoppio a ridere per poi salutarlo con l'altra. “Buona lezione”. “Anche a te, cos'hai?”. “Chimica dei materiali”. Mimo il gesto di spararmi in testa facendolo sorridere. “Ciao”. “Ciao”. Apro la porta e la richiudo alle spalle, per fortuna la professoressa non capisce ancora come si utilizzi il tablet così perdiamo minimo cinque minuti a lezione. Tutti i miei compagni si voltano verso di me, Lud mi ha tenuto il posto accanto a lei e mi dirigo verso il banco. Diego non lo degno di considerazione nonostante sia poco distante e fortunatamente c'è proprio lei a dividerci. Poggio lo zaino e mi siedo, poi congiungo le mani e poggio i gomiti a bordo del tavolo. “Che hai?”, mi bisbiglia. “Cosa? Io? Niente”. “Come niente? Fra un po' ti si sfalda la faccia da quanto stai sorridendo”. Involontariamente mi tasto il viso e, cavoli, è vero. Per cui mi ricompongo e divento seria. “Mi dici che è successo?”. “Ehm...Leon”. “Che avete combinato ancora?”. Mi osserva con sguardo di rimprovero. “Ma cosa? Niente! Che malfidente che sei, oh. E poi cosa vorresti dire con quel 'ancora'?”. Assume un'espressione come per dire 'Dovresti saperlo'. Poi lei non sa manco della visita e del motel, come potrebbe dubitare per una sola lettera? “Tutti a rimarcare quel fatto, è successo solo una volta”. “Aspetto solo il momento in cui partorirai e ti metterà incinta di nuovo”, commenta sarcastica. “Ma Lud!”, le do una sberla sul braccio. “No, ma è vero. Volete intraprendere un rapporto civile solo ed esclusivamente per il bambino? Perfetto, vedremo cosa accadrà quando nascerà e sarai ancora disponibile sul mercato”. “Ma...”. “Io vi ho già individuati: siete quel tipo di persone che possono stare distanti mesi o anni, ma appena si ritrovano rischiano una gravidanza”. Ridacchio anche se in fondo da ridere c'è ben poco. “Perché? Mi ha solamente accompagnata in classe”. Spalanca la bocca e schiocca le dita. “Vedi? E' proprio questo che intendevo. Lui accompagna tutte in classe, vero?”. “Non significa niente, alla prima ora è in ventuno per cui era di strada”. Inarca il sopracciglio. “La quinta c è in aula quattordici”. “Ma cosa dici?”. “Sì, se vuoi ho l'orario scaricato in pdf sul cellulare. Vuoi controllare?”. “No, no, ti credo”. “...Castillo e Ferro, sareste così generose da renderci partecipi alla vostra conversazione?”. Ci voltiamo verso la cattedra, la prof ci sta scrutando con gli occhiali abbassati. “Scusi, ci siamo distratte”, giustifico. “Bene, andate a pagina centosette”. Apro la cartella, estraggo il libro e lo sfoglio. Faccio per girarmi verso Ludmilla, ma incrocio lo sguardo di Diego che scuote leggermente il capo. Ho come l'impressione che non voglia più parlarmi.


Immergo una patatina fritta nel ketchup e la porto alla bocca, la mastico per bene e mando giù. “Oggi quanta gente ci sarà all'incirca?”. Maxi dà un morso al suo panino, poi risponde: “Non siamo tutti, all'incirca una quindicina di persone”. Annuisco e sorseggio un po' di Coca Cola dalla lattina. “Hai pensato ad un nome per il gruppo? Sai che dobbiamo trovarci un nome, vero?”. In un primo momento corrugo la fronte, poi sorrido. “Eh, giusto!”. “Non lo sapevi, vero?”. “No, infatti”. Scoppia a ridere, poi tutto ad un tratto si sporge in avanti sopra il tavolino e mi fa cenno di avvicinarmi. “Mi sono informato e sono riuscito a spillare informazioni sugli altri concorrenti”, bisbiglia. “E chi se ne frega?”. “Come chi se ne frega? E' un modo per conoscere le mosse degli avversari”. Roteo gli occhi. “E' una battaglia di band da quattro soldi non gli Mtv Music Awards, poco me ne frega di ciò che fanno gli altri”. “Vorrai vincere, no?”. Scrollo le spalle. “Sinceramente? Non m'importa molto vincere o perdere, l'importante è cantare”. Divora l'ultimo pezzo e si passa il dorso della mano sulle labbra per levarne le briciole. “Giusta filosofia, ma io gioco per vincere”. “Non cambierai mai”. “Appunto. Vuoi sapere, dunque, come stanno messi gli altri? Ovviamente so poco, qualche informazione generale del tipo il giudizio sommario che mi ha dato questa persona che le ha sentite tutte”. Intingo un'altra patatina e la mangio. “Va bene, se proprio ci tieni”. Il suo volto s'illumina e da questo capisco che è ciò che vuole dirmi da quando mi ha vista, ma si è trattenuto finora. “Siamo dieci band, ha detto che un paio sono buone a livello di sound, ma con un testo infimo. Un gruppo farà rock, ma non sembra essere di qualità. Poi c'è il duo di rapper che si dice abbiano un tema veramente figo, ma il ritmo troppo lineare. Poi ha detto che ce ne sono due che non gli sono piaciute per niente e non riesce a trovare qualcosa di positivo, un'altra che farà metal e mi ha avvertito sul fatto che saranno degli avversari temibili. Quelli che però possono andarci seriamente contro sono i Mindblowing, hanno un pezzo pazzesco a quanto pare”. Finisco di raschiare il fondo del portasalse per poi chiedere: “I Mindblowing sarebbero?”. “Ehm...”. Si sistema il cappellino in testa, poi continua: “...la band di Leon”. Rimango per un secondo in silenzio, dovevo aspettarmelo infondo come musicista è veramente bravo. “Sai una cosa? Francamente battermi contro Leon non mi attira molto come idea”. Poso la vaschetta vuota accanto alla ciotola. “E' per quello che penso io?”. Lui è l'unico che sa cosa è successo nel weekend e sì, il suo discorsetto bello lungo per telefono me lo sono dovuto sorbire. Capisco la loro preoccupazione, ma dovrebbero smetterla. So quello che faccio. Credo. “Vilu, fai sul serio?”. Sbuffo esasperata. “Maxi lo so, lo so. Mi piace ancora, e allora? Non dovrebbe interessarvi dal momento che non vi costringo ad apprezzarlo”. Scuote il capo. “Non è questo il punto, ti capisco benissimo sotto questa prospettiva. Dico solo che, a mio parere, dovresti andarci piano con i pensieri o rischia di finire come il penultimo Natale”. Abbasso lo sguardo. “Se ti scrive non significa che voglia tornare insieme a te, se ti parla non vuol dire che provi lo stesso. Per carità, magari è anche così, ma è meglio tenere i piedi per terra e non farsi strane idee. Poi ha pure la ragazza, meglio non illudersi più del dovuto. Ti parlo da amico che sta vivendo una situazione simile alla tua”. “E con Nata, invece?”, chiedo per sviare il discorso anche se realmente m'interessa. “Con Nata? L'altro giorno mi ha scritto”. “Che ha detto?”. “Mi ha scritto solo per sapere una cosa sugli orari della mia classe, niente di che”. “Ah”. “Ero tentato di non risponderle, ma alla fine non ho resistito”. “E avete parlato di altro?”. Nega con la testa rattristito. “La conversazione è praticamente morta sul nascere. Messaggio suo, risposta, grazie, prego e visualizzato. Le gioie della vita, eh? Quel maledetto visualizzato”. Termino pure la Coca con un ultimo sorso. “Ah, da me c'era l'ultimo accesso”. “Brutta storia”. “Già”. “La tecnologia è bella, ma a volte vorresti non arrivasse a farti vedere certe cose”. Annuisco sommessamente. “Che poi scrivevo poemi omerici pieni di metafore, similitudini e quant'altro e manco si degnava di rispondere”. “Ti sei data alla poesia insomma”, dice ridacchiando. “Scrivo poesie da anni ormai, dovresti saperlo”. “Lo so, infatti. E' solo che ultimamente la tua ispirazione è andata a farsi un bel viaggetto”. “Davo il meglio nei messaggi senza risposta”. “Tipo?”. “Oddio, non ricordo bene. Mi pare ce ne fosse uno con su scritto: 'Mi sento un fuoco congelato ogni volta che ti vedo, un tumulto che non sprigiona emozioni' o una cosa del genere. Vabbè, lascia stare. Sono conscia che faccia schifo, dimentica ciò che ho detto”. Sgrana gli occhi e sul suo viso si estende un sorriso a trentadue denti. “Sei ubriaco?”. “No, ma è perfetto”. “Eh? Cosa è perfetto?”. Si alza dalla sedia di scatto e mi abbraccia. “Ma tu sei un genio!”. “Ehm...molte grazie, ma per cosa?”. Si stacca e mi stringe il volto fra le mani. “Frozen fire”. “Cos'è? Un nuovo tipo di frozen yoghurt?”. “No, il nome del nostro gruppo”. Levo le sue mani delicatamente e l'osservo confusa. “Veramente vorresti chiamare il gruppo così?”. “Certo che sì, non suona bene?”. “Frozen fire”, ripeto a bassa voce. “Frozen fire”. Più lo dico, più alzo il tono. “Frozen fire”. Guardo il mio amico e gli do una pacca sulla spalla. “Sai che ti dico? Mi piace”. E forse solo ora mi sento parte integrante di questo progetto.


Varchiamo la soglia dell'aula magna e tutti si voltano a vedere me e Maxi fare la nostra entrata, incrocio lo sguardo di Leon ed arrossisco immediatamente. Accanto a lui Cristobal e Pablo, i suoi compagni di classe, c'è un altro ragazzo nella sua band, ma non è potuto venire. Poi tutt'intorno ci sono altre persone: alcune facce conosciute, altre mai viste in vita mia. Li raggiungiamo, sono disposti a cerchio in modo da parlarsi ed osservarsi tutti in volto. “Ciao”, li salutiamo e contraccambiano. “Vi stavamo aspettando per decidere i vari compiti da svolgere”, esordisce un ragazzo magro e rosso probabilmente di quarta posto al centro di noi. Mi sembra di averlo già notato in giro per i corridoi, sarà per il suo colore di capelli che attira particolarmente l'attenzione. “Beh, innanzitutto che dite di presentarci?”, ci invita. “Partendo da...”. Punta l'indice contro una ragazza bassa, bionda ed un po' in carne. “...te. Si fa il giro in senso antiorario. Ready, set, go!”. “Melanie”. “Joacquin, detto Joaco”. Alto e possente, non l'ho mai incontrato. “Ruben”. Un ragazzetto piccolo ed esile, forse di terza. “Linda”. Mi pare un viso familiare, è castana e porta degli occhiali spessi. “Cecilia”. Carina e dai capelli cenerini, anche lei mi è nuova. “Rosa”. Voce graffiante e capelli scuri, è in quinta D e lo so bene. “Hugo”. E chi è? Di media altezza, biondo ed occhi azzurri. Il classico belloccio di turno. “Mariahelena, ma preferisco mi chiamiate Helena”. Sbaglio o è nella classe di architettura? Potrei benissimo sbagliarmi. “Cristobal, ma chiamatemi Cris se vi va”. “Leon”. Non so perché, ma quando pronuncia il suo nome mi sfugge mezzo sorriso. Devo controllarmi. “Pablo, ma chiamatemi pure il vostro futuro fidanzato se vi va”. Inutile dire che solleva una risata generale e solo ora mi soffermo sul fatto che quei tre siano veramente dei bei ragazzi e comprendo perché chiamino la quinta c 'la classe dei fighetti di architettura'. “Massimiliano, ma per tutti sono Maxi”. E' arrivato il mio turno, sento tutta l'attenzione puntata su di me ed il disagio sale. “Uhm...Violetta”. “Bene, ora che vi siete presentati tutti lo faccio anch'io: sono Facundo, per gli amici Facu e di sicuro vi starete chiedendo perché parlo come se fossi una specie di 'leader'. Diciamo che Raquel non potrà supervisionare i lavori causa impegni, per ciò ha relegato a me il compito dal momento che partecipo alla gara e la conosco molto bene”. Non l'ha assegnato a Leon? Che strano. E' il suo ragazzo, perché affidarlo ad un altro? “Qualche domanda?”. Si guarda attorno, mentre senza volerlo i miei occhi cadono su Leon che mi sta fissando. Distolgo lo sguardo imbarazzata, ritorno a lui e mi sta ancora osservando. Credo di essere una specie di pomodoro gigante visto anche il fisico attuale. “Direi, allora, di cominciare a decidere chi fa cosa”. Congiunge le mani. “I lavori cosiddetti pesanti li abbiamo già svolti grazie ai nostri machi qua a fianco”. Trattengo una risata. “Per pesanti intendo lo spostamento del pianoforte e di tutti gli altri strumenti e del banco della giuria. Ora sono rimaste le cose più 'leggere' ossia la creazioni di cartelloni per pubblicizzare l'evento in giro per la scuola e non, decorazioni per gli strumenti e la stanza e la disposizione delle sedie. Ricordo, inoltre, che l'aula magna potrà essere utilizzabile solo mercoledì pomeriggio per le prove e verrà vietato l'accesso negli altri giorni in quanto sarà in fase di allestimento”. Fa una breve pausa per vedere se ci sono quesiti, poi continua: “Cominciamo dal lavoro meno pesante di tutti: i cartelloni. Mmh...direi che l'ideale sarebbe farlo fare a Violetta, no?”. Per un secondo mi domando il motivo, poi mi ricordo che sono incinta ed è un bell'impedimento. Perché sono venuta? Potevo starmene a casa, tanto qui non posso rendermi abbastanza utile. I cartelloni? Madonna, sono la cosa più stupida di tutte ed era l'ultima che volevo fare. “Ovviamente qualcuno la aiuterà, insomma. Facciamo che quattro creano i cartelloni e lavorano a coppie così possiamo farne di più, ci state?”. Annuiamo tutti. “Bene, lascio a voi la scelta. A chi piacerebbe lavorare con Violetta?”. Mi volto verso Maxi credendo che stesse per alzare la mano, ma qualcuno lo precede. “Io”. Guardo in direzione della sua voce pietrificata. “Okay, quindi la prima coppia: Leon e Violetta. La seconda?”. Due ragazze agitano il braccio, probabilmente sono amiche. “Linda e Cecilia. Perfetto, voi potete già cominciare mentre decidiamo per gli altri. I materiali necessari sono lì infondo su quei due tavoloni portati appositamente da un'aula di pittoriche, buon lavoro”. Mi avvio verso dove indicato e mi affianca, cammino a testa bassa imbarazzata poi, improvvisamente, trovo il coraggio. “Perché hai voluto fare i cartelloni con me?”. Fa le spallucce. “Ho spostato pianoforti, batterie, chitarre e bassi, non avevo voglia di salire sulle scale o spostare altra roba”. “Giusto”. Arriviamo sul tavolo e do un'occhiata sommaria al materiale a disposizione: abbiamo quattro fogli grandi di colori diversi, una scatola con pennarelli e matite, una riga da cinquanta centimetri, due squadrette e dei rapidograph. “Okay, chi fa la scritta?”, chiedo. “Del lettering che abbiamo fatto in seconda non ricordo nulla”. “Neanch'io”. Contemporaneamente ruotiamo il capo per guardarci in faccia, abbiamo entrambi un'espressione stranita. Ci fissiamo per alcuni secondi seri, poi scoppiamo a ridere. “Ma si può lavorare in tre?”. “Non credo”. “Cavolo, avrei chiamato Maxi. Fa grafica, giusto?”. “Sì”. “Beh, in caso vado a farmi sostituire”. “Ma no, tu sei bravo a fare le scritte in stile street art”. Inarca un sopracciglio. “Tu dici?”. “Sì, ricordo la scritta che mi avevi fatto sul casco”. Distoglie lo sguardo ed afferra una matita. “Ehm...sì, giusto. Adesso lavoriamo”. “Mmh...okay, come organizziamo le informazioni sul cartellone?”. Annuisce. “Bella domanda, cosa dobbiamo scrivere?”. Ci penso un po', poi dico: “Credo il luogo, il giorno...forse anche l'ora...”. Poggia i gomiti sul bordo del tavolo e posa una mano sulla fronte. “Oh, ma io e te non sappiamo un cazzo”. “Credevo che ne sapessi più di me”, ribatto ridacchiando. “Io credevo il contrario, sei sempre stata tu quella intelligente”. “Ragazzi, ci sono problemi?”. Ci giriamo a sinistra, è Facundo. “No, no”, lo liquida Leon. “In verità sì, cosa dobbiamo scrivere?”. “Beh, il titolo innanzitutto ossia: 'Battaglia di band'. Poi una breve presentazione di due righe e il giorno, l'ora, il nome dell'istituto e della stanza in cui si svolgerà. Tra le informazioni aggiuntive dovete mettere la via della scuola ed il numero di telefono”. “Grazie mille”. “Di niente”, e passa alla coppia nel tavolone accanto. “Perché gli hai detto che avevamo un problema?”. “Non ringraziarmi, tranquillo. Ho solo risolto il nostro dubbio, infondo”. Rotea gli occhi. “Che hai contro l'essere aiutato?”. “Mi piace arrangiarmi e poi Facundo mi sta sulle palle”. Aggrotto la fronte. “Perché? Sembra a posto”. “E' vegano”. “Cosa c'entra?”. Sospira. “Non lo so, frequenta quei giri strani di vegani naif in contatto con la natura e l'essenza del mondo. Non voglio tentare di capire cosa passi per la loro testa, già ci ho rinunciato con Raquel”. Non so se essere felice del fatto che stia parlando male di 'Kel' oppure no. “Sarà, ma non ci trovo nulla di male”. Allarga le braccia per poi indicarlo. “Guardalo, è bianco cadaverico, ha gli occhi enormi ed un fisico di un biafra. Cristo, sembra uscito da un cartone animato di Tim Burton! Non dirmi che non t'inquieta neanche un po'”. L'osservo per alcuni secondi, poi torno a Leon. “Okay, un po' sì lo ammetto”. “E poi con quella voce nasale e l'erre moscia”. “Sì, ho capito però adesso basta”, lo interrompo ridendo. Prendo anch'io una matita, decido di cambiare discorso: “Ci dividiamo i compiti?”. “Va bene”. Allungo la mano per raccogliere le squadrette, ma mi batte sul tempo. “Hey!”. “Queste le prendo io”. “Perché?”, esclamo stizzita. “Perché queste in mano tua sono un pericolo pubblico”. Gli do una sberla sul braccio e solo ora mi rendo conto di quanto mi mancasse questo gesto. “Vedo che nonostante gli anni la tua indole da kick boxer non se n'è andata”. “Infatti, quindi sarà meglio che me le ridia”. Cerco di riprendermele, ma da autentico stronzo qual'è le erge verso l'alto in modo che non ci arrivi. “Sei una pippa in geometriche, smettila!”, mi canzona ridacchiando. Provo a saltare, ma è maledettamente difficile. “Ti sarai staccata un centimetro e mezzo da terra, puoi fare di meglio”. I miei saltelli sono inutili quando un paio d'infradito in Groenlandia perciò mi avvicino minacciosa col dito puntato sul suo petto. “Voglio dividere il foglio”. “Sono più bravo io”, sibila. E solo ora mi rendo conto di essere veramente vicina al suo viso e rimango immobile a fissarlo negli occhi. “Vilu!”. Scuoto la testa e mi volto all'indietro, Maxi mi sta chiamando. “Sì?”. “Vieni qua un secondo”. “Ah!”, urla sguaiato Leon. “Con te faccio i conti più tardi”. Mimo il gesto del 'ti tengo d'occhio' mentre mi allontano. “Ho le gambe che tremano”, mi sfotte rendendo la sua voce effeminata. Scuoto il capo ridendo, per poi dargli le spalle per andare verso il mio migliore amico. Lo raggiungo, sta creando e sistemando dei fiori di cartapesta sopra il bancone dei giurati. “Che c'è?”, domando. Finisce di posarne uno color lilla, poi alza la testa per guardarmi. “Come che c'è?”. Lo squadro confusa. “Vilu, stai attenta a quello che fai”. “Perché? Che ho fatto?”. Si avvicina per sussurrare: “Qui intorno è pieno di amici di Raquel”. “E allora?”, rispondo scrollando le spalle. “Li vedi Cristobal e Pablo là in fondo? Gli amici di Leon? Ecco, continuano a fissare voi due così come Helena che è anche lei quinta architettura e Facundo”. “Perché mai dovrebbero guardare noi?”, chiedo sorridendo. “Non lo so, seconde te? State flirtando davanti a tutti”. “Ma cosa? Io non sto flirtando”, sento avvamparmi le guance mentre lo dico. “Sul serio, Vilu? Tu continui a starnazzare mentre lui cerca ogni scusa plausibile per stuzzicarti, per non parlare poi di come vi guardate”. Mi mordicchio l'unghia del pollice imbarazzata. “Ti sto solamente consigliando di non dare troppo nell'occhio, non vorrei mai venissero fuori casini”. “Ricevuto”. Poi torno alla mia postazione con Leon che sta già cominciando a sezionare il secondo cartellone. Infame. “Che voleva?”. “Ah niente, una cosa per la canzone”. “Capisco”. Non stacca lo sguardo dal lavoro, è veramente concentrato in ciò che sta facendo. Finito di tracciare una linea, posa la matita e dice: “Ho avuto un'idea mentre facevo la divisione: ho lasciato appositamente uno spazio libero per te così puoi disegnarci qualcosa dal momento che è la cosa che ti valorizza di più. Siccome abbiamo quattro cartelloni direi di fare uno strumento musicale diverso per ciascuno così da avere la chitarra, il piano, la batteria ed il basso. Quindi ricapitolando: io divisione e scritte, tu disegni e ghirigori”. Annuisco compiaciuta. “Mi piace. Beh, iniziamo a lavorare allora!”. Prendo una sedia, mi ci siedo e comincio ad abbozzare una chitarra nel primo già pronto. Lui invece lavora in piedi, è sempre stato così fin dal biennio. Non riesce a star seduto quando deve utilizzare squadrette, righe o compassi. “Quindi io sono la mente e tu il braccio, come quella volta del progetto per Galindo”. “Non è vero, i bozzetti li avevo fatti io!”. “Sì, ma l'idea di chi era scusa?”. Sbuffo. “Nessuna risposta, questo fa di me quello intelligente”. “No, fa di te quello che blatera a vanvera”, sbotto. Sento dei passi venire verso di noi, ma non schiodo l'attenzione da ciò che sto facendo. “Hey, Vilu”. Una voce familiare, molto familiare. Con la coda dell'occhio vedo che a Leon scivola la squadra, sbaglia a far la linea e dalla forza con cui pressa la matita spacca la punta. “Diego”. Alzo il capo e lo guardo in faccia. “Vado a vedere se hanno una gomma ed un temperino”. Leon si mette in piedi bruscamente allontanandosi rapidamente. “Che ci fai qui?”. Sospira profondamente. “Ho cambiato idea, devo parlarti”. “Proprio adesso?”. “Sì”. Nego con la testa. “Mi spiace, ma non posso. Possiamo rimandare a domani?”. Mi fissa silenziosamente. “Non è per cattiveria, devo davvero finire quattro cartelloni in un solo pomeriggio”. “Va bene, quando?”. “Alla ricreazione”. Mi fa un mezzo sorrisetto e mi saluta con la mano. “Okay, a domani allora”. “A domani”. L'osservo mentre si dirige verso l'uscita, poi quando scompare torno a disegnare. Poco dopo torna Leon con un temperino ed una gomma e comincia a cancellare l'errore. “Dici che riusciamo a finirli per oggi?”. “Sì”, risponde freddamente. Fa la punta alla matita e torna a lavorare in religioso silenzio e mi sa che da adesso ci parleremo solo per il stretto necessario.


Ho la testa fra le nuvole, com'è possibile dimenticarsi lo zaino nella stanzetta accanto all'aula magna? A quanto pare quell'area sarà adibita all'attesa delle band che devono esibirsi. Abbiamo lasciato le nostre cose prima di andare a pranzare ed io da fottutissimo genio me ne sono totalmente scordata. Ciò significa che appena finito il lavoro dei cartelloni ho aiutato a sistemare e sono andata via direttamente e solo uscendo fuori dalla scuola mi sono resa conto che c'era qualcosa che non andava: faceva più freddo del solito. Sono proprio senza speranza. Prima di entrare in aula magna mi blocco sulla soglia: sento una melodia familiare al pianoforte. Faccio capolino all'interno e noto che è proprio Leon ad essere intento a suonare. Mi pare di rivivere la scena di pochi giorni fa, lui che suona ed io lo fisso. Perché si ferma sempre dopo che tutti se ne sono andati? S'interrompe tutto ad un tratto, chiude gli occhi e comincia di nuovo a far scivolare le dita nei tasti ripartendo dall'inizio. Hurricane. Presa di chissà cosa, entro nella stanza ed attraverso il corridoio fra i due gruppi di sedie e lo raggiungo. Sta ancora suonando l'intro mentre ormai sono di fronte a lui, mi poggio sulla coda del pianoforte e prendo un bel respiro.
No matter how many times
that you told me you wanted to leave.

Spalanca le palpebre e mi fissa stranito, è di sicuro sorpreso nel vedermi cantargli davanti.
No matter how many breaths
that you took, you still couldn't breathe.
No matter how many nights
that you lied wide awake
to the sound of the poison rain.
Where did you go?
Where did you go?
Where did you go?

Faccio per cantare il pezzo successivo, ma mi precede.
As days go by, the night's on fire
E mi sfugge un sorriso, quando attacchiamo il ritornello assieme:
Tell me would you kill to save a life?
Tell me would you kill to prove you're right?
Crash, crash.
Burn, let it all burn.
This hurricane's chasing us alla underground.

Lascio cantare lui, mi fa l'occhiolino ed arrossisco.
No matter how many deaths
that I die, I will never forget.
No matter how many lies
that I live, I will never regret.
There is a fire inside of this heart
and a riot about to explode into flames.
Where is your God?
Where is your God?
Where is your God?

Mi fa cenno col capo di continuare, giro intorno al piano e mi siedo accanto. Siamo vicinissimi, le nostre spalle si toccano così come i nostri fianchi. Per un secondo mi soffermo a guardare con che trasporto e passione suona, poi sento che è ora di proseguire.
Do you really want?
Do you really want me?
Do you really want me dead
or alive to torture for my sins?
Do you really want?
Do you really want me?
Do you really want me dead
or alive to live a lie?

Poso il capo sull'incavo del suo collo probabilmente presa dal momento.
Tell me would you kill to save a life?
Tell me would you kill to prove you're right?

Crash, crash.
Burn, let it all burn.
This hurricane's chasing us all underground.

Quando le nostre voci si mescolano mi sembra pura magia, sento che con lui posso fare qualsiasi cosa. Essere me stessa chiunque io sia.
The promises we made were not enough.
The prayers we have prayed were like a drug.
The secrets that we sold were never known.

Si unisce a me e lo cantiamo a gran voce:
The love we had, the love we had,
we have to let it go
.
L'eco rimbomba in tutta l'aula magna, mi rialzo in piedi e torno di fronte a lui. Mi sorride ed io faccio lo stesso, portandomi una mano al petto prima di continuare.
Tell me would you kill to save a life?
Tell me would you kill to prove you're right?
Crash, crash.
Burn, let it all burn.
This hurricane's chasing us all underground.

Inizio a muovermi al ritmo della canzone mentre è lui a cantare.
Oh, oh, oh
This hurricane...
Oh, oh, oh
This hurricane...
Oh, oh, oh
This hurricane...
On, oh, oh

Ed ecco che arriva la mia parte. Non so di preciso il motivo, ma quando devo dire queste parole mi viene quasi da urlargliele contro. Per tutto quello che ho passato, per quanto sono ancora innamorata di lui.
Do you really want?
Do you really want me?
Do you really want me dead
or alive to torture for my sins?
Do you really want?
Do you really want me?
Do you really want me dead
or alive to live a lie?

Sposta l'attenzione sulla tastiera in quanto sta eseguendo la rapida sequenza finale, non appena la finisce alza la testa e mi osserva con le labbra schiuse. Effettivamente pure io stento a credere a ciò che è appena successo: sono entrata ed abbiamo cantato, ma senza averlo mai fatto realmente assieme. E' una cosa che mi è venuta da dentro, dettata dal cuore. Non servono parole, ci stiamo solamente fissando in silenzio coi respiri affannosi eppure è come se stessimo comunicando. “Leon, che sta succedendo?”. Ci voltiamo di scatto in direzione della porta: Raquel è posata contro lo stipite a braccia conserte.


ANGOLO DELL'AUTRICE
Hey zucchine, come state? Io male, ho la febbre. Che ve ne pare del nuovo capitolo? E' di vostro gradimento? Beh, visti i fatti credo proprio di sì! E' cominciata una nuova settimana e nella scena iniziale abbiamo potuto vedere cosa ne pensano gli amici di Vilu sul riavvicinamento fra lei e Leon. Molti non lo vedono di buon occhio ed in un certo senso è comprensibile, ma sbaglio o l'ha difesa in pubblico? Sembra di tornare ad 'Indovina perché ti odio', vero? Nel secondo blocco ho voluto dare un po' di spazio all'amicizia con Maxi che, tra l'altro, è l'unico a conoscenza della storia della visita. Dopo una breve discussione i due trovano un nome per la band o meglio, Violetta lo trovo inconsapevolmente u.u
Abbiamo poi il fatidico lavoro in aula magna: siete rimaste sorprese dall'intraprendenza di Leon? Non sono bellissimi quando flirtano e manco se ne rendono conto? Arriva improvvisamente Diego che, dopo vari ripensamenti, decide di raggiungerla per dirle finalmente la sua versione, ma la trova in compagnia di Leon che si dimostra più sprezzante di prima nei suoi confronti. La conversazione è rimandata al giorno seguente, chissà cosa le dirà. Infine abbiamo i nostri Leonetta che cantano assieme la canzone preferita di lei con trasporto e sentimento, ma Raquel ha visto tutto. Cosa succederà? Da questo capitolo in poi le tensioni fra 'il quadrato tormentato' saranno molte e questo è solo l'inizio.
Ringrazio chi recensisce la storia, chi la mette nei preferiti e nelle seguite! Siete la mia gioia aw :3
Un bacione e stay tuned,
Gre

  
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