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Autore: LoveShanimal    05/11/2014    1 recensioni
(Storia iniziata nel lontano 2009/2010, è stata la prima storia che io abbia mai provato a scrivere, quindi i primi tre capitoli sono scritti parecchio male. Adesso sto provando a portarla avanti...)
Stephenie Meyer ha pensato di scrivere Breaking Dawn sia da parte di Bella che di Jacob, ma non ha scritto nulla dal punto di vista di Edward. Quali sono i suoi pensieri? Come vive le varie vicende della storia?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
Capitoli:
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Ogni capitolo di questa FF è un parto, dopo tipo otto mesi sono riuscita a pubblicare di nuovo ( ve l'avevo detto, la costanza non è il mio forte).
In effetti avevo iniziato a scrivere il capitolo già dopo la pubblicazione del quarto, ma sono stata bloccata per parecchio tempo perché... Beh, questo capitolo mi ha messo particolarmente in difficoltà. Non é facile pensare come un uomo ed immedesimarsi al meglio, in certi casi. Quindi, alla fine, mi sono lasciata trasportare e ho scritto istintivamente, come più mi veniva naturale. 
Spero non faccia così schifo, insomma.
E spero di aver descritto al meglio il tormento di Edward, senza farlo prendere per una persona semplicemente bipolare  ahahaha 
Comunque, domani rileggerò il capitolo e cercherò eventuali errori (i dialoghi sono parecchio rompiscatole da ricopiare, ne ho tagliato un bel pezzo nell'ultima parte ma non me ne vogliate, non mi sembrava di dover aggiungere nulla).
Buona lettura c: 

Ps. Mi piace vedere come ancora molte persone leggano FF su Twilight. Insomma, tutti dicevano sempre "una volta finiti i film scompariranno tutte le fan"... Beh, noi siamo ancora qua ;) 


 
Capitolo 5: Isola Esme.


 
Nella prima classe dell'aereo su cui stavamo viaggiando io e Bella, tutto era silenzioso. O almeno, lo sarebbe sembrato alle orecchie deboli di un umano, ma per me la situazione era ben diversa. 
Sentivo il rombo assordante del motore, che in tutte quelle ore di viaggio era un sottofondo continuo, molto fastidioso.
A parte questo, per me che ero un vampiro e che leggevo nella mente delle persone, era sicuramente meno rumorosa del solito. Sentivo i lamenti di un bambino proveniente dalla classe economica, un signore anziano che russava, il conducente che parlava al microfono con qualcuno che lo rassicurava sul viaggio che stavamo facendo, sulle perturbazioni leggere che avremmo incontrato e sulla rotta da seguire. Sentivo, inoltre, la mente della signora seduta accanto all'anziano, spazientita e stanca, che non riusciva a dormire ed era intenta a maledire la sua sfortuna per avere il posto peggiore dell'aereo. Sentivo la madre del bambino, che pensava ad un modo per calmare il figlio, e l'unica cosa che le veniva in mente era cantare la sua canzone preferita; ma non sapeva se era il caso di mettersi a cantare lì, in mezzo a tutti. 
Sentivo tutto, ma mi concentravo sul respiro calmo e sereno di Bella. 
Sembrava tranquilla, non parlava molto, ogni tanto aveva detto "Charlie", o aveva chiamato il mio nome, e l'unica frase che aveva detto era stata "No, Alice, ti prego no!" in tono lamentoso e rassegnato. Sorrisi. 
Per fortuna, in tutto il viaggio non aveva nominato Jacob, e non aveva detto niente che potesse riportare a lui. Ero sicuro che, dopo aver sentito il suo ululato nel bosco avrebbe rimuginato e si sarebbe sentita in colpa, e mi ero preparato a sentire cose come "Jake" o "il mio Jacob". La ringraziai mentalmente per non averlo fatto, almeno cosi potevo illudermi che pensasse a lui molto meno rispetto a quanto - lo sapevo bene - in realtà faceva. 
Vedevo in lei una piccola parte che era ancora ancorata al suo amico lupo, vedevo una piccola porzione di Bella che, inconsciamente, fissava la lavagna vicino al telefono della cucina quando ci passavamo vicino, dove il padre le aveva sempre lasciato i messaggi di Jacob. Vedevo quella piccola parte di lei che buttava sempre un'occhiata alla stradina che aveva sempre imboccato per andare a La Push. La maggior parte del tempo che passava con me non pensava molto a Jacob, lo vedevo da suoi occhi, ma quando andavo da lei dopo una battuta di caccia, o quando in generale la lasciavo sola per un po', in quegli stessi occhi leggevo una profonda tristezza, e sapevo che in quel momento non stava pensando a me. 
Non le dicevo quanto questo mi ferisse, quanto volessi averla tutta per me, quanto volessi essere il suo unico pensiero come lei era il mio. Ma non potevo pretendere niente più di quel che avevo, perché quella piccola Bella che era innamorata di Jacob era una mia creazione, le avevo aperto una voragine nel petto quando l avevo lasciata e Jacob si era insinuato e aveva colmato il vuoto. Quella situazione era tutto merito mio, tutto il dolore, tutta l'indecisione, tutto, e non potevo fare altro che tacere, non potevo fare altro che lasciarla lanciare occhiate verso qualsiasi cosa gli ricordasse lui, perché dovevo essere già grato per il fatto che, alla fine, avesse scelto me.
In quel momento iniziai a pensare a tutto quello che ci aveva portato lì.
Mi piaceva ripensare ai momenti passati insieme, era un po' come riviverli. 
Questa è una delle cose che più apprezzo dell'essere vampiro: ricordare. 
I ricordi, da umani, diventano mano a mano sempre più offuscati e incerti, le parole si perdono e le azioni iniziano a cambiare, e la realtà si fonde sempre di più con l'immaginazione. Da vampiro è diverso: si ricorda tutto. Le immagini sono impresse nella memoria, i luoghi, le persone, le cose, le parole. Sono fisse, immobili, perfette cosi come sono nella realtà. 
Un dialogo viene riprodotto fedelmente, riportando i vari cambiamenti del tono della voce, riportando i vari gesti con le mani, i piccoli movimenti delle labbra, ogni singolo particolare che il cervello ha catturato viene riportato allo stesso modo quando la scena viene ripresa, anche dopo anni.
Le scene, i paesaggi, ritornano in mente come se fossero fotografie: le persone, gli oggetti, persino cose come la temperatura o il vento, tutto è come la prima volta, come se fosse un film in cui si può tornare indietro per rivedere le scene iniziali.
E così rivivevo i momenti con Bella, ancora e ancora, assaporando il gusto della vita insieme a lei.
Come la prima volta che l'avevo vista, quando era entrata nell'aula di scienze e ero stato così vicino ad ucciderla.
Ucciderla.
In quel momento, dopo tutto quello che avevamo passato insieme, il pericolo corso in quel singolo giorno sembrava così insignificante. 
L'avevo vista agonizzante, ricoperta del suo sangue, tanto tempo prima, con James; avevo bevuto il suo sangue e, ancora non so spiegarmi come, mi ero riuscito a fermare, avevo anteposto il mio amore per lei alla sete del suo sangue; ero stato sei mesi senza di lei ed eravamo quasi morti entrambi per mano dei Volturi; si era ferita per salvarmi, durante la battaglia con i neonati, e il suo sangue non mi aveva fatto quasi nessun effetto. 
Eppure, ricordando quel primo singolo giorno, rabbrividivo ancora, pensando a quanto avevo desiderato ucciderla.
Il percorso insieme era stato arduo, avevamo affrontato diversi ostacoli e per miracolo ne eravamo sempre usciti sani e salvi. E mi faceva riflettere come, alla fine, così vicini dalla risoluzione dei nostri problemi, così vicini alla trasformazione di Bella che ci avrebbe liberato - per sempre - da ogni pericolo, volessimo tentare il fato ancora, volessimo sfidare la sorte con qualcosa che ci era proibito, che non avevamo il permesso di fare. Stavamo facendo una pazzia.
Stavamo rischiando tutto così vicino alla fine.
Quanto ci sarebbe costato fare quell'ultimo, folle gesto, della vita umana di Bella? 
 
Prima di salire sullo yacht che avevo noleggiato, portai Bella a fare un giro tra le strade piene di vita di Rio de Janeiro. La vita caotica di quella città mi metteva allegria, e passeggiammo tra la frenesia delle persone intorno a noi.
Bella non era assonnata, pur essendosi appena svegliata dopo molte ore di sonno, e si guardava intorno curiosa. In effetti, ripensandoci, per lei quella era un'esperienza tutta nuova, non aveva mai fatto un vero e proprio viaggio - l'Italia era stata una missione di salvataggio, non una vacanza, e per tutto il viaggio di ritorno, quando ormai l'ansia era passata e poteva godersi almeno il panorama, aveva preferito guardare me, senza neanche lasciarsi il tempo di dormire - e sicuramente Rio era ben diversa da Forks. 
Senza fretta, le lasciai guardare i passanti, le strade, quella realtà così diversa dalla sua. 
Qualche volta sembrava sporgersi in avanti, come quando da bambini ci si avvicina alla televisione sperando di poter toccare per davvero le immagini che scorrono nello schermo, e credo che Bella si sentisse proprio così: una spettatrice, un'estranea a quel mondo, come se stesse vedendo uno spettacolo.
Di solito i luoghi affollati come quello mi avrebbero messo a disagio, ma Rio era un'eccezione, e resistevo a quelle infinite voci che con forza si insinuavano nella mia testa perché sapevo che nel giro di pochissimo tempo io e Bella saremmo stati nel bel mezzo del nulla
 
Quando il motore si spense un silenzio innaturale scese tra di noi. In realtà nessuno dei due aveva parlato per tutta la durata del viaggio, ma il rumore del motore e delle onde che sbattevano con forza contro i fianchi della barca aveva coperto qualsiasi silenzio. Le uniche parole, in effetti, erano state quelle di Bella che, vinta dalla curiosità - che probabilmente aveva provato a soffocare durante tutto il viaggio - e dall'impazienza, aveva chiesto "Manca ancora molto?". Solo in quel momento mi ero accorto che la sua voce era più alta del normale, e non solo perché - inutilmente - provava ad alzare la voce per farsi sentire, ma soprattutto perché era terrorizzata. Mi ero totalmente dimenticato di quanto le nostre reazioni alla velocità fossero diverse: io ero entusiasta, sorridevo, mentre lei era pallida in viso, impaurita e infastidita dall'acqua che le onde le spruzzavano sul viso. Il mio sorriso si allargò guardando le sue mani, ben salde vicino al sedile, le nocche bianche e le dita sotto sforzo. 
Mancava meno di mezz'ora di viaggio, lei sembrò ancora più impaziente di prima; quando le dissi, istintivamente, di guardare avanti a sé, era ancora troppo presto per i suoi occhi umani, e mentre l'isola e la casa potevano sembrare ai miei occhi così nitidi e vicini, ai suoi probabilmente tutto sembrava parte dello stesso profondo buio. Ci mise qualche minuto ad abituarsi all'oscurità e a definire la sagoma dell'isola, e vidi l'impazienza di Bella tramutarsi in stupore: a mano a mano riconosceva sempre più cose e realizzava cosa aveva davanti.
"Questa è Isola Esme."
La sua reazione era prevedibile. Insomma: chi può scegliere un'isola come regalo?
Dopo aver posato le valigie sul molo, la guardai sorridendo e la presi in braccio, prima che lei potesse capire le mie intenzioni.
"Non dovresti aspettare fino alla soglia di casa?" mi domandò emozionata.
"Lo sai che sono pignolo".
Mentre rispondevo alle sue domande sentii chiaramente la  tensione crescere nell'aria, e mi chiedevo se agli occhi umani di Bella quell'isola potesse sembrare spaventosa. Il vento quella sera era leggero, accarezzava gli alberi, e scuoteva piano le foglie, il mare era calmo e le onde avanzavano pigre sulla spiaggia, producendo poca schiuma e regalando all'isola un sottofondo pacato, mentre gli animali notturni iniziavano a svegliarsi: in lontananza un piccolo gufo si lamentava piano e muoveva le piccole ali.
La dimensione acustica, pero, era in contrasto con quella visiva, considerando che la casa era l'unica cosa illuminata, circondata dalla spiaggia e dalla foresta, entrambe immerse nel buio. Mi chiesi se quel buio potesse crearle problemi, se lei potesse averne paura, visto che il battito del suo cuore andava man mano accelerando. 
Quando mi voltai verso di lei, però, capii che non stava prestando alcuna attenzione all'isola, che non aveva neppure notato il buio che circondava la casa, e che probabilmente non si stava neppure chiedendo perché la casa fosse illuminata visto che non ci abitava nessuno (non poteva sapere, d'altronde, che quel giorno erano passati i domestici a ripulire gli strati di polvere accumulati in casa e che avevano lasciato la luce accesa sapendo che saremmo arrivati in serata).  Bella sembrava essere concentrata su tutt'altro, e quando la vidi annaspare e arrossire fino alla punta delle orecchie riuscii a capire il filo del suoi pensieri. Stava stringendo l'orlo della mia maglietta nervosa, si rifiutava di incrociare il mio sguardo e il martellare del suo cuore era sempre più forte contro il mio torace. Non dissi niente e non chiesi niente, provai solamente a deglutire, come se qualcosa mi fosse rimasto bloccato in gola, e mi resi conto che anche io ero teso, molto più di quanto avrei pensato.
Teso, non preoccupato per l'incolumità di Bella, come ero stato fino a quel momento.
Quella tensione era diversa, era qualcosa che non avevo mai provato, e riguardava solo me. 
Mentre oltrepassavo la soglia di casa, e camminavo per le varie stanze accendendo le luci ancora spente, mi concentravo su questa mia ansia: cosa poteva preoccuparmi più della sua incolumità?
Capii quando varcai la soglia dell'ultima stanza, accendendo l'ultima luce, che andò a colpire il grande letto bianco al centro, concentrando l'attenzione tutta su di lui senza lasciare spazio per nient'altro: non sapevo cosa fare. 
Il sesso non era mai stata un'incognita: avevo visto attraverso gli occhi di troppe persone pensieri poco casti, che lasciavano poco all'immaginazione. A volte pure fantasie, altre ricordi passati, sgradevoli, violente, oppure dolci e piene d'amore a seconda dei casi, ma vedere una persona fare una cosa e farla in prima persona erano due cose completamente diverse. 
La lasciai scendere.
"Vado... a prendere le valigie".
Avevo bisogno di prendermi due minuti da solo, per calmarmi. Per calmarmi. Un vampiro di oltre cento anni in ansia per la sua prima volta. Sembra una barzelletta. 
Portai le valigie in camera con l'intento di uscire, fuori, per rilassarmi sulla spiaggia fredda. 
Eppure trovai Bella ferma lì, dove l'avevo lasciata, solo protesa in avanti a sfiorare la superficie liscia del letto, come per accertarsi della veridicità della camera. Pensavo sarebbe corsa in bagno a rinfrescarsi dopo tante ore di viaggio, eppure rimaneva lì, immobile. Era accaldata, mi accorsi subito del velo di sudore che si era addensato sul suo collo, quindi la raggiunsi con tre passi e le poggiai un dito sulla nuca per spazzare via quel velo di sudore. 
"Fa un po' caldo qui..." Mi scusai. "Pensavo... Fosse meglio così."
"Pignolo."
"Mi sono sforzato di rendere tutto... Più facile."  
Speravo che, con la stanza abbastanza calda, Bella non avrebbe iniziato a sbattere i denti per il freddo, stringendomi. 
Stringendomi. 
Stringendomi. 
L'urgenza di allontanarmi da quel letto crebbe. 
"Mi chiedevo" dissi, piano, "se... prima... ti andasse un bagno di mezzanotte con me?". Feci un sospiro  per calmarmi e sembrare più a mio agio. "L'acqua è molto calda. Questo è il genere di spiaggia che ti piace".
"Bell'idea". La sua voce si ruppe. Era in ansia quanto me?
"Immagino che ti servano un paio di minuti da umana... il viaggio è stato lungo".
Annuì, rigida. Un po' di solitudine avrebbe giovato anche a lei. 
Le sfiorai il collo con le labbra, appena sotto l'orecchio. Ridacchiai e la percorse un brivido, probabilmente a causa della differenza di temperatura tra il mio respiro freddo e la sua pelle surriscaldata. "Non metterci troppo, signora Cullen".
Ebbe un altro fremito, questa volta sicuramente non per il freddo.
Le mie labbra scesero lungo il collo, fino alla punta della spalla. "Ti aspetto in acqua". 
Non era solo per stuzzicarla e vederla arrossire che lo facevo, ma per un'eccitazione che stava crescendo dentro di me; Il letto luminoso e spazioso, la sua pelle calda e morbida sotto il tocco del mio dito, il suo cuore che martellava contro il petto e il silenzio, il silenzio di quell'isola che mi regalava un sottofondo meraviglioso di onde e creature riservate e miti, e la realtà delle cose che mi si stava presentando davanti, sempre più irruenta: Bella mi voleva, e nonostante mi fossi opposto con tutte le mie forze, adesso non potevo cambiare idea, avevamo fatto un accordo, stava per succedere. 
E mentre uscivo dalla stanza, e lasciavo che i vestiti mi scivolassero via dal corpo, lasciandomi nudo alla luce argentea della luna, allo stesso modo lasciavo finalmente libero tutto il mio desiderio: l'avevo represso, l'avevo ignorato, l'avevo combattuto per tutti i mesi con lei, pensando solo alla sua incolumità, al suo benessere, alla sua fragile vita, cercando di soffocare con forza il lato più istintivo di me, evitando di stringerla, di baciarla un po' più a lungo  e un po' più forte, di toccarla un po' di più; avevo smesso di percepire il sul profumo quando aveva iniziato a farmi perdere la testa, avevo evitato di indugiare con lo sguardo su di lei in parecchie, troppe occasioni, quando il suo corpo aveva iniziato a richiamare il mio, nel tempo sempre con più insistenza.
E adesso lasciavo libera ogni cosa, la lasciavo fluire in tutto il corpo, dall'interno, dalla parte più nascosta fino alle estremità, le braccia, le dita, sentivo l'eccitazione in ogni punto, così amplificata, fino ad arrivare a ciò che più avevo inibito in tutto quel tempo. Insomma, sotto la corteccia di granito, sotto gli incisivi da vampiro, ero un uomo anche io. Era una reazione naturale. Normale. Umana.
Dopo un po', finalmente, mi raggiunse anche Bella.
Avevo provato a lasciarle un po' di intimità, ma il rumore della doccia e di oggetti che cadevano mi aveva preoccupato. 
Fu un momento perfetto, quando lentamente si avvicinò a me. 
Perché eravamo per la prima volta davvero soli. 
Soli, senza nessuna voce, senza Charlie che ci controllava, o che guardava il televisore al piano di sotto; senza nessuno della mia famiglia che sentiva le nostre parole da ogni angolo della casa, con i pensieri sarcastici di Emmett o le intrusioni di Alice; senza professori, senza compagni di classe, solo noi, come quando nelle belle - e purtroppo rare - giornate di sole ci rifugiavamo nella nostra piccola radura, che comunque mi rimandava, in lontananza, il chiacchiericcio di qualche escursionista.
E la perfezione di quel momento non dipendeva solo dal fatto che quando si legge nel pensiero la solitudine è un raro e prezioso dono che difficilmente si riesce ad ottenere, ma anche perché, per la prima volta, non c'era nessuno ad anticiparmi nulla: avevo vissuto ogni momento della mia vita condividendo il punto di vista di qualcun altro. Anche al nostro matrimonio, per quanto mi fossi sforzato di escludere tutti, l'immagine di Bella dal mio punto di vista era stata affiancata da quella dei punti di vista di tutti i presenti.
Questa volta, invece, c'eravamo solo noi due, e mi sarei goduto a pieno il momento, dal mio unico punto di vista, senza voci nella testa.
"Bellissima", disse.
"Niente male", risposi impassibile. Mi voltai lentamente. "Però io non userei la parola bellissima", aggiunsi. "Non se il confronto
è con te".
Abbozzò un sorriso, sollevò la mano libera e la posò sul suo cuore. Bianco su bianco: per una volta senza differenze. Sussultai. 
La tenerezza di quel gesto mi agitò. Mi pentii immediatamente dei pensieri di un attimo prima: ero stato un egoista.
"Ho promesso che ci avremmo provato", sussurrai, nervoso. "Se... se faccio qualcosa che non va, se ti faccio male, dimmelo
subito".
I miei timori più grandi, immagini di Bella dilaniata, inerme sotto al peso del mio corpo, si ripresentarono tutte d'un tratto. Mescolate a quelle che mi aveva mostrato Jacob. Stupido cane, pensai arrabbiato. Ma sapevo che la rabbia era tutta per me stesso. I miei pensieri continuavano a saltare continuamente da un'estremità all'altra, oscillando tra il desiderio e la paura, l'incertezza e la passione. Facevano tutti parte di me, erano sentimenti contrapposti che tentavano di sovrastarsi a vicenda. 
Si avvicinò piano, fino a posare il capo sul mio petto.
"Non temere", mormorò. "Noi ci apparteniamo".
La verità di quelle parole mi travolse. Quel momento era così perfetto, così giusto, che per nulla al mondo potevo dubitarne. 
Tutto riuscì ad andare al suo posto: i sentimenti impararono a convivere in me, e mi stabilizzai. Bella era il collante di tutte le mie emozioni, e come tale riusciva controllarle, senza nemmeno rendersene conto. Ogni cosa sembrò perfetta, in quel momento.
"Per sempre".
Quel nostro piccolo scambio di battute, quelle due frasi sussurrate al buio con come unico testimone l'oceano, furono un'ulteriore promessa, un ulteriore scambio di anelli e di "lo voglio", fatti solo per noi, non per una sorella troppo entusiasta o per genitori apprensivi, ma per suggellare definitivamente il nostro amore. 
Ogni incertezza fu spazzata via, ogni dubbio cancellato, rimanevano solamente i nostri due corpi nudi, uno contro l'altro, le nostre due anime insieme ad anticipare la loro unione. 
E così, in quel mare caldo, abbracciai Bella. 
In quel mare caldo, la baciai come non mi ero mai concesso di farlo.
In quel mare caldo, la sua voce bassa che ansimava e che ripeteva il mio nome, ancora e ancora.
Le mie mani intorno a lei, il mio corpo e il mio cuore sempre più impazienti.
 
Mi resi conto che per lei - giusto in tempo prima di perdere completamente la ragione - rimanere in acqua era scomodo e fastidioso,  doveva arrampicarsi su di me per baciarmi. La tirai su, lei senza rendersene conto si aggrappò con le gambe ai miei fianchi, e mentre continuava a baciarmi la portai in camera, e ancora sgocciolanti ci lasciammo andare sul letto, rotolandoci tra le lenzuola bianche, e inciampando nella zanzariera che lo circondava: con uno strattone, liberai la sua gamba dalla presa della zanzariera, che finì per strapparsi proprio al centro, e un grosso pezzo scivolò fino al pavimento. 
Lo stato pietoso in cui l'avevo conciata mi infastidiva, e mi dava l'impressione di continuare ad ostruirci i movimenti, quindi mi misi a sedere - portando con me Bella che sembrava totalmente indifferente a quello che succedeva intorno a sé, mentre mi baciava sempre più forte sul collo, e poi sul petto, e via via scendendo - e strappai quell'ultimo, grande pezzo che penzolava dal soffitto. 
Ogni tanto le veniva naturale provare a mordermi, ma i suoi denti non incontravano altro che pelle dura e fredda, e dava l'impressione di volermi semplicemente baciare a bocca aperta, come fanno i bambini. Questo piccolo gesto mi intenerì e mi eccitò di più, quindi cambiai bruscamente posizione, portandola sotto di me, rinchiudendola nella gabbia delle mie braccia. Lei non sembrò notare la possessività nel mio gesto, ma anzi dopo un momento in cui si era limitata a guardarmi negli occhi, aveva poggiato le sue mani sulle mie e piano piano, con leggerezza, aveva risalito le braccia fino ad arrivare al mio collo, per abbracciarmi. Il suo profumo mi aveva invaso, e a mia volta avevo avuto l'impulso di morderla. Riuscii a fermarmi giusto in tempo, quindi deviai la traiettoria e morsi il cuscino, che si strappò sotto la presa dei miei incisivi e creò una nuvola di piume, che ci aleggiavano intorno e danzavano ancora e ancora, ad ogni movimento, al ritmo dei nostri baci.
E non ci importava. 
Tutto era secondario, in quel momento. Anzi, non esisteva nient'altro, tutto il nostro mondo era quel letto, tutto ciò che importava erano i nostri corpi che diventavano uno solo. 
E in quel momento, il calore del corpo di Bella sembrava espandersi e pervadere anche me. Mi sentivo accaldato, sentimento cosi assurdo da farmi ridere, ma in quell'istante cosi giusto. Nelle ultime settimane avevo sempre pensato di star tirando Bella con troppa forza nel mio mondo, di esercitare una pressione troppo forte, e la mia paura era proprio quella che il suo corpo, umano, non avrebbe retto questa ulteriore tensione, quest'innaturale adattamento ad una velocità, ad una forza, ad un intensità che l'avrebbe distrutta. Non volevo che modellasse la sua vita intorno a me.
In quel momento mi resi conto che non ero io a tirare Bella verso di me, ma era stata lei a catapultarmi nel suo mondo. Mi sentivo caldo. Mi sentivo eccitato. Mi sentivo un ragazzo innamorato alla sua prima esperienza. Mi sentivo umano. Non mi ero sentito mai cosi umano. I nostri corpi, uno sull'altro, uno nell'altro. E se anche qualche volta la tiravo a me con troppa forza, anche se in alcuni momenti le mie mani indugiavano sulla sua pelle un po più a lungo, o cambiavo posizione troppo velocemente, nulla poteva mutare l'umanità di quella esperienza. 
Nulla nella mia esistenza mi era mai sembrato più normale, di noi due che ci adattavamo l'uno all'altro, che ci incastravamo per essere uno solo.
 
 
Mi sembrava di essere veramente stanco. 
Non una stanchezza fisica, ovviamente quella non era nelle possibilità di un vampiro, il mio corpo non avrebbe mai provato sensazioni come la stanchezza o la fatica, il mio corpo era inanimato, era granito freddo e duro, indistruttibile. Ma quella che provavo era una stanchezza mentale. Ma forse proprio il termine stanchezza è inadatto.. Una pienezza. Ecco. Mi sembrava di essere completo, di avere tutto quello di cui avevo bisogno, di essere pieno e soddisfatto. Adesso capivo tutta la storia delle anime gemelle, le due meta della stessa cosa: quella soddisfazione derivava proprio dalla ricongiunzione con quella che, ormai era chiaro, era la mia anima gemella. 
Eravamo uniti,  ora davvero sotto ogni aspetto, e eravamo integri, avevamo ritrovato il pezzo mancante di noi stessi.
Era sempre stata chiara l'affinità mentale presente tra me e Bella, quell'affinità che non avevamo trovato con nessun altro della nostra specie, quell'affinità che ci aveva portati a condividere un amore sopra ogni incertezza, sopra ogni pericolo, sopra ogni differenza. Ma non avrei mai potuto pensare che, prima della trasformazione, avremmo condiviso un'affinità anche fisica, oltre che mentale. I nostri corpi si erano trovati con una facilita disarmante, si erano incastrati con forza ma senza il minimo sforzo, si erano modellati a vicenda con una naturalezza fuori dal comune. 
Eravamo entrambi senza la minima esperienza, eppure tutto ci era venuto cosi naturale, semplice e istintivo, come respirare.
La felicità di quelle ore fu una felicità idilliaca, ero in uno stato di grazia che mai avevo provato prima.
Eppure, durò poco.
Ancora prima che le luci dell'alba giungessero a illuminarci, notai delle macchie sulla pelle di Bella, aloni scuri di diverse dimensioni sparse ovunque.
Quando, cercando di essere il più silenzioso possibile per non svegliarla, cinsi la sua spalla con la mano, mi resi conto di ciò che avevo davanti: erano lividi. Lividi perfettamente identici ai contorni delle mie dita.
Da uno stato di grazia, passai ad una lenta e dolorosa agonia. 
I lividi continuavano a scurirsi e a ingrandirsi, e ad ogni ora ne spuntavano di nuovi, che mi sbattevano in faccia la verità: ero un mostro. 
Avevo fatto del male alla persona più importante della mia vita.
 
"Che c'è di buffo?" Le chiesi, quando la vidi ridere, appena sveglia.
"Che più di tanto non si può fingere di non essere umani." 
Restò in attesa, dal suo tono probabilmente si aspettava una risata.
Quella risata non arrivò.
Il tono della sua voce e l'innocenza del suo viso stonavano con le parole che - inconsciamente - aveva scelto.
La sua era l'accusa che mi stavo facendo già da qualche ora. L'avevo forzata troppo, ignorando il suo essere umano, per il mio tornaconto.
"Edward", disse con una leggera esitazione nella voce, "che c'è? Che c'è che non va?".
"E te lo chiedi?", risposi cinico.
Il suo sguardo interrogativo aumentò il mio malumore. Non diceva nulla.
"A cosa pensi?" sussurrò, e poi aggiunse "Sei arrabbiato. Non capisco. Ho...?" ma non la lasciai finire.
"Senti molto dolore, Bella? Voglio la verità, non fare finta che non sia nulla".
"Dolore?"
Alzai un sopracciglio, le labbra tese. Lei si stiracchiò, ma non fece nessuna smorfia di dolore. 
"Perché ti sembra che dovrei star male? Non mi sono mai sentita meglio".
Chiusi gli occhi. "Piantala".
"Piantala cosa?".
"Piantala di fingere che io non sia stato un vero mostro". Perché non mi odiava?
"Edward!", sibilò, furiosa. Finalmente aveva la giusta reazione, ma il motivo era ben diverso."Non dirlo mai più".
Non voleva farmi soffrire. Mi faceva sentire ancora peggio.
"Guardati, Bella. E dimmi che non sono un mostro."
Finalmente mi diede ascolto e abbassò lo sguardo.
"Perché sono coperta di piume?", domandò, confusa. Davvero si preoccupava delle piume?
Sbuffai impaziente. "Ho morso un cuscino. O forse più d'uno. Ma non è di questo che parlo".
"Hai... morso un cuscino? E perché?". La rabbia mi cresceva dentro. Non doveva trattarmi così, doveva arrabbiarsi, doveva urlare.
"Guarda, Bella!". Fu quasi un ruggito. Le afferrai la mano e le stesi il braccio, per mostrarle i lividi. "Guarda qui".
Lei sembrò davvero rendersi conto solo in quel momento della condizione in cui si trovava. "Oh", disse.
«Mi... dispiace, Bella, davvero. Avrei dovuto saperlo. Non era il caso di... Non trovo le parole per dirti quanto mi dispiaccia" ero disgustato da me stesso.
Eppure lei continuò a scusarmi, a ripetermi quanto stesse bene e felice. Bene. Era ricoperta di lividi. Lividi fatti da ME.
Continuammo a battibeccare, e Bella continuò a preoccuparsi delle cose sbagliate, riportando la conversazione su errori o incapacità sue, non mie.
"Stammi a sentire, Edward Cullen. Non sto fingendo un bel niente per far piacere a te, okay? Non immaginavo neanche di doverti
consolare, finché non hai iniziato con i tuoi lamenti. Non sono mai stata così felice in vita mia, nemmeno quando mi hai detto che mi amavi più di quanto volessi uccidermi, nemmeno il primo mattino in cui ti ho trovato ad aspettarmi al mio risveglio... Nemmeno quando ho sentito la tua voce nella scuola di danza" trasalii al ricordo "e nemmeno quando hai detto "sì" e ho capito che, in un modo o nell'altro, sarei riuscita ad averti per sempre. Questi sono i miei ricordi più belli, ma nessuno vale quanto stanotte. Fattene una ragione".
Per quanto quelle parole mi avessero colpito e lusingato, la realtà dei fatti, però, non cambiava.
Non avrei ripetuto lo stesso errore una seconda volta.
 
  
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