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Autore: CassandraLeben    22/10/2008    21 recensioni
Questa storia è ambientata dopo Eclipse ed è stata elaborata prima dell’uscita di BD.
HO AGGIORNATO!!!!!!!
In breve: un racconto alternativo, avventuroso e romantico, nonché triste, di ciò che avevo immaginato potesse accadere dopo il fatidico “Sì” tra Edward e Bella.
Il ritorno dei Volturi, di Jack, Alec e Jane sconvolgeranno la vita dei novelli sposi
ATTENZIONE, PUò CREARE ASSUEFAZIONE E PROBLEMI CARDIACI! XD
< Isabella. > Una voce familiare risuonò nella camera. Sobbalzai. Non mi ero accorta della presenza di qualcuno nella stanza.
< Bella! Quanto tempo, desideravo con ansia rivederti. > Aro mi si avvicinò e mi prese la mano. Con gentilezza, me la baciò. Notai i suoi occhi guizzare sulla mia fede e poi incontrare i miei. Mi sorrise tranquillo e mi fece accomodare sul divano.
< Prego cara, siediti. Non avere paura. Non devi preoccuparti. > Sapevo che non potevo rifiutare. Tanto valeva stare al gioco. Magari sarei riuscita a sopravvivere un po’ più a lungo.
Genere: Romantico, Dark, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutte!!! Miracolosamente sn riuscita a postare oggi!!!

Capitolo scritto velocemente oggi prima di studiare latino. Ero molto triste per una verifica di matematica andata male a causa di una prof che mette su otto esercizi 6 su cose mai fatte…
Solo che poi, la media la rovina a noi, non a lei.
Il capitolo cmnq nelle linee generali era già pronto prima quindi non dovrebbe averne risentito (era drammatico anche prima XD)
Spero vi piaccia. Ci tenevo molto a scriverlo perché mi sono sempre chiesta cosa fosse successo…
Questo era l’unico modo per poter inserire questo fatto nella ff.
Spero gradirete. Non preoccupatevi. Andrà a finire tutto bene! Anche per A***E  (vediamo chi indovina chi è XD)
Grazie per i vostri bellissimi commenti. Davvero belli e graditi!!!
Non vi dico ancora se avranno altri bambina ma per intanto, ditemi dei nomi, sia maschili che femminili che vi piacciono (un paio in mente ce li ho già XD)!
Ah, per le serate piccanti, direi che ce ne è almeno un’altra!!! (minimo... una serve per far contenta Bella... se a lei piacciono i mocciosi... ) La teoria di Carlisle la spego la prossima volta, non preoccupatevi, basta che non vi mettiate a ridere però, Povero Edward, i suoi problemmi sbattuti senza ritegno su queste pagine da me, sadica e perversa XD!!!!!!
Ora vi lascio che ho la versione domani…

PS: grazie davvero infinitamente!!! Questa storia è stata inserita tra i preferiti da 200 persone!!! GRAZIE!!! SONO AL SETTIMO CIELO!!! Mi avete tirato sù il morale!!! (e mi serviva proprio una botta di felicità... anche perchè il mio prof di Italiano mi ha detto che non so scrivere e che i miei temi fanno schifo... almeno qualcuno che apprezza il mio lavoro c'è. Grazie infinito a tutte voi! Un bacione enorme!!!)
PPS: Questo cap riprende da prima che Edward e Bella comincino ad impegnarsi costantemente per avere un secondo figlio, circa 2 ore dopo che Bella si è addormentata. Dimenticate le ultime 10 righe del cap prima. Nel prossimo cap, dal POV di Bella, si riprende dalla fine del 36, ovvero, approfondendo quelle 10 righe XD!!! 

Un bacione da Cassandra che andrà, con molta poca voglia, a ripassare Cicerone. 

Edward's POV

Rimasi con Elizabeth per circa 3 ore, seduto ad osservarla dormire. Carlisle venne a controllarla ogni ora. La esaminava e poi tornava da Jasper ed Emmett che stavano lavorando a qualcosa in giardino. Credo stessero smontando una vecchia macchina per poi riassemblarla, dopo averla truccata, ovviamente. Emmett ci teneva tanto... E Rosalie apprezzava quel genere di lavori. Amava giocare alla meccanica sexy...

Bella, al piano di sotto, si era addormentata dopo aver passato la notte alzata. E devo dire che, finchè Elizabeth non aveva cominciao a stare male, era stata una notte a dir poco fantastica.

Quando notai che la bambina muoveva nel sonno la bocca come quando aveva fame, decisi di andarle a prendere del latte e scaldarglielo. Inoltre, avrei preso Bella e l’avrei portata in camera. Il letto era certamente più comodo del divano, ed io più socievole di Alice in questo periodo.
Sapevo che mia moglie le si  era seduta accanto di proposito. Sebbene non potessi leggerle la mente, la conoscevo bene. Sapeva che ad Alice era successo qualcosa e si limitava a starne vicina, senza farle domande, nonostante mia sorella cercasse di evitarla. Voleva che Alice sapesse che lei le era vicina. Sapevo che a Bella mancava il loro rapporto. Le mancava la sua migliore amica, sua sorella…
Dopo aver baciato mia figlia sulla fronte calda e liscia, scesi al piano inferiore. Rimasi fermo alcuni istanti ad osservare mia moglie che, addormentata, sorrideva ad Alice. Aspettai che lei si accorgesse di me ma ciò non accadde.
< Alice? Alice? >
Mia sorella non mi prestava attenzione. Osservava fuori dalla finestra con gli occhi persi nel bosco. I suoi pensieri erano confusi… non volevo violare la sua privacy e quindi cercavo di non intrufolarmi nella sua mente ma non riuscivo ad ignorare il pianto arido della sua anima. Era addolorata ma non voleva parlarne con me, con nessuno.
Le appoggiai la mano sulla spalla e le sussurrai di nuovo: < Alice? Mi senti? >
Lei sembrò svegliarsi da un sogno e mi fissò stupita. Bella si era accoccolata con la testa sulla sua spalla ma poi era scivolata sulle ginocchia di mia sorella che le accarezzava i capelli, assente.

< Alice, porto Bella in camera. È molto stanca. Questa notte non è riuscita a dormire… Elizabeth non è stata bene e lei non ha voluto saperne di lasciarmela. Si preoccupa così tanto per lei… >
A quelle parole, la vidi deglutire ed abbassare lo sguardo. Osservò mia moglie e percepii sua disperazione.
< Bella è molto preoccupata per te. Non te lo direbbe mai per paura di ferirti ma non capisce perché tu ti stia comportando così. Ti sente distante. Si è accorta che la eviti… così come ce ne siamo accorti tutti… So che quello che ti è successo a Forks, ciò che ti hanno fatto, è stato atroce ma Bella non ne ha colpa. Lei non sa niente. E non ho intenzione di dirglielo. La turberebbe soltanto e si sentirebbe terribilmente in colpa. Non riuscirebbe mai a perdonasi la tua sofferenza.
Per favore, cerca di rilassarti e di essere più dolce con lei… ti vuole bene. Vorrebbe tanto aiutarti. >
< Edward… > E mi fissò negli occhi per un attimo. In quei pozzi neri come i suoi capelli vidi una cosa che non avevo mai scorto in lei…

Rimpianto?

< Alice, cos’è che mi stai tenendo nascosto? >
Fece per rispondere. Le sue labbra si incresparono e piegarono come se stesse per dirmi qualcosa. Cominciò a formulare un pensiero ma si bloccò subito, mordendosi il labbro inferiore. Per un attimo solo intravidi l’interno di una casa che non conoscevo. Mobili modesti e una donna appoggiata ad un lavello, girata di spalle. Indossava un grembiule e teneva i capelli scuri legati in uno chignon.

Subito dopo, Alice scostò Bella dalle sue ginocchia e per poco non la fece cadere. Si alzò in piedi e corse via. Bella, svegliata di soprassalto, mi guardò sorpresa con gli occhi ancora gonfi per la stanchezza. Si tirò a sedere e mi abbracciò. < Edward… che c’è? > < Niente, Amore, niente. Vieni, andiamo in camera… > e, dopo averla bacia lievemente sulle guance, l’accompagnai al piano di sopra.  Avrei preferito non svegliarla e restare ad accarezzarla mentre ancora dormiva aspettando che si svegliasse ma, ero certo, sarebbe stata contenta di allattare Elizabeth al seno. Se poteva, evitava i biberon e voleva che noi facessimo lo stesso. Se si accorgeva che non la chiamavamo per allattarla, si offendeva.
< Che ore sono? > mi chiese sbadigliando.
< Le undici… >
Mi sorrise radiosa e, sfiorandosi il seno, mi ridacchiò: < Ora della poppata. Resti o vai? >
< Vado. > Le risposi un po’ brusco. Lei ci rimase male e così, prima di lasciare la stanza, mi avvicinai velocemente e le sussurrai all’orecchio: < Ti amo… a dopo… Aspettami. >
Al piano di sotto, Alice era stretta in un abbraccio molto materno da Esme. Entrambe erano in silenzio. Alice teneva gli occhi chiusi e mia madre mi guardava da sopra i suoi capelli neri, corti e spettinati.
“Edward. Lasciala in pace.” Pensò mia madre spostando lo sguardo su mia sorella e guardandola apprensiva.
Annuii lievemente ed andai nella sala del pianoforte e mi sedetti al mio adorato piano. Le mie dita scivolarono sui tasti d’avorio come se la musica scaturisse direttamente da loro e non dal lieve tocco sullo strumento. Sentii bella, al piano di sopra, sospirare e accompagnare la mia musica ad una canzone, che si adattava perfettamente alla melodia,  per la bambina.

Suonai a lungo, ignorando Alice che, nel frattempo, si era seduta per terra in un angolo. Si teneva la testa tra le mani e gli occhi erano chiusi.

Mi interruppi solo quando Elizabeth, dal piano di sopra, si fece sentire con la sua voce da neonata.
Sentimmo Bella cercare di calmarla. Le diceva: < No, no, non piangere piccolina. La mamma è qui. È qui con te e con il papà. Adesso arriva anche lui. Sht, sht, non fare così. > Dopo un po’ la sua voce era esasperata e dai suoi passi piccoli e veloci capimmo che si stava muovendo avanti e indietro per la stanza, cullandola.
Feci per andare da loro ma, quando passai vicino ad Alice, lei mi afferrò la manica e mi bisbigliò:
< Non te ne andare. Ho bisogno di parlarti. >
Sorpreso, mi bloccai.
Bella, agitata, cominciò a chiamarmi. La bambina aveva evidentemente ancora mal di pancia.
< Esme, andresti ad aiutare Bella, per favore? Carlisle è in giardino con Emmett ma sta arrivando… ha sentito la bambina piangere. >
< Certo Edward. Le dico che stai arrivando? >
< Sì, dille che arrivo fra un attimo. > le dissi fissando interrogativo Alice che teneva ancora un lembo della mia maglietta.
< Alice, che cosa… > Ma lei mi interruppe alzando gli occhi verso di me.

< Edward, perché vuoi andare dalla bambina? >

Totalmente spiazzato dalla sua affermazione, non capendo cosa stesse cercando di dirmi, la fissai curiosa e lei continuò: < Cosa spinge te e Bella a starle sempre così vicini? Come mai siete così … attenti a tutto ciò che la riguarda? >
< Alice, sei certa di stare bene? È nostra figlia. È naturale che sia così. Soprattutto adesso che è così piccola ed indifesa, assolutamente dipendente da noi che siamo i suoi genitori… >
< … Non riesco a capire… anche io voglio bene a vostra figlia ma voi sembrate totalmente …
Bella sembra così… come se la sua vita improvvisamente fosse incentrata solo sulla bambina. Prima non aveva occhi che per te… e tu per lei. Ora invece è come se entrambi aveste spostato la vostra attenzione su di lei e lei venisse prima di voi stessi. Di voi come coppia. >

< Alice, siamo i suoi genitori… è normale che sia così. > Le ripetei lentamente, come se stessi parlando con qualcuno che non parla la mia lingua.

< E se lei fosse… > Indugiò un secondo indecisa se proseguire o meno e poi continuò: < E sei lei fosse … diversa? Se fosse sbagliata per voi? >

< Alice? Ma cosa stai dicendo? Lei non potrebbe mai essere sbagliata per noi! Non riesco a capire cosa cerchi di dirmi. Hai visto qualcosa che non vuoi che io sappia? Ti prego, non farmi stare in pena. Dimmi! Avrà dei problemi? Starà male? Ti prego, dimmi se succederà qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci! Noi l’ameremo sempre e comunque, se è questo che temi. Niente potrà mutare i nostri sentimenti per lei. È la nostra bambina… la accetteremmo qualsiasi cosa succeda. Le staremo vicino, sempre e comunque. > Cercai di spiegarle, tentando di convincerla a dirmi cosa avesse visto, terrorizzato che avesse scoperto una qualche malattia o avesse scorto nel futuro una qualche disgrazia. 
Si alzò sulle ginocchia ed affondò la testa nella mia camicia. Piangeva senza però poter versare lacrime. Il suo piccolo corpo era scosso dai singhiozzi. Appoggiai sorpreso le mani sulle sue spalle e cercai di consolarla. Mi sentii male, temendo per la vita della bambina.

Cosa aveva visto Alice da sconvolgerla così tanto?

Probabilmente a causa del suo stato d’animo, lasciò correre i suoi pensieri che fino a quel momento aveva cercato di tenermi nascosti. Fui come sommerso da una miriade di emozioni.
Le sue emozioni.
Pura, solitudine, dolore.
C’era oscurità intorno a lei nei suoi ricordi. E fu quello a sorprendermi.
Erano ricordi sbiaditi, come filtrati attraverso degli occhi troppo deboli per cogliere tutti i dettagli del mondo. Tutte le sfumature dei colori e le variazioni dei colori…
Tutto ciò era dovuto alla debolezza dei sensi umani.
E fu proprio questo a farmi mozzare il fiato.
Erano ricordi umani…
Il punto era che Alice non aveva mai avuto ricordi della sua vita… precedente.
Quella lontano da noi e da Jasper.
Quella fragile e precaria che aveva dovuto abbandonare a soli diciannove anni…

< Alice? Alice, cosa significa? > Non era il Futuro della mia bambina che la terrorizzava. Appena lo capii mi sentii, molto egoisticamente, estremamente sollevato. subito dopo però mi accorsi del dolore di mia sorella e cercai di tranquillizzarla, accarezzandole i capelli.
< Edward, Edward… > singhiozzava lei.
< Alice, calmati ti prego. Ti prego… > Le dissi ma un altro fiume di immagini mi raggiunse.

La giovane donna che prima lavava i piatti adesso gridava qualcosa ad una bambina piccola che piangeva, rannicchiata in un angolo. La ragazza aveva chiesto ad una donna che chiamava zia cosa pensasse fosse successo al figlio scomparso del sindaco.
Prima che l’altra donna potesse rispondere, la bambina con voce limpida aveva detto: < Io lo so. L’ho visto. È caduto nel fiume tre giorni fa… lo ho visto mentre dicevo la preghiera… > La donna si era voltata verso di lei, l’aveva osservata per un’interminabile istante e aveva cominciato a gridarle dietro delle cose orribili. L’aveva strattonata per le braccia e le aveva urlato di non dire quelle cose.
L’aveva fatta cadere dalla sedia e lei era scappata in un angolo.
La piccola aveva paura. era terrorizzata dalla reazione di quella che probabilmente era la madre. Non aveva fatto niente di male e non capiva perché quella donna a cui voleva bene si comportasse in quel modo con lei, quando lei, concentrandosi, riusciva vedere delle cose che non erano ancora successe.  
La prospettiva visiva del ricordo era dal basso.
Mi accorsi che gli occhi dal quale osservavo la scena erano proprio quelli della piccola quando la donna cominciò a picchiarla. Vedevo le manine poste sugli occhi, come a coprirsi e a tentare di difendersi. Sentivo le grida irate della donna e dentro di me sentii una sorta di dolore. I sentimenti della bambina erano talmente intensi che li provavo anche io, in tutto il loro orrore.

Quando arrivò il colpo dalla mano della donna dritto sulla piccola faccia della bambina, il ricordò cambiò.

In una camera piccola e scura, sentivo piangere. Come nel flashback precedente, era la bambina che piangeva affondando il volto nel cuscino e che si copriva la testa con la coperta.
L’immagine mutò ancora. Questa volta riconobbi Alice. Si rifletteva in uno specchio. Avrà avuto non più di quattordici anni. Si trovava nell’atrio di un grande edificio pieno di uomini e donne in camice bianco. Qualcuno la trascinava. Lei gridava e piangeva e chiamava “Madre!” “Padre!” ma le due persone a cui si riferiva non l’ascoltavano. La donna di prima, tra le braccia dell’uomo, si appoggiava a lui. Vedevo le sue lacrime. Alice riuscì a divincolarsi e corse verso di loro. Prima che i dottori potessero bloccarla, il padre (perché ero certo che fosse il padre. Era una sensazione chiara anche se lontana quella che Alice provava per lui: Affetto… ) le tirò un ceffone che la fece cadere per terra. Le disse: < Io non sono più tuo padre. Tu sei sempre stata una vergogna per la nostra famiglia. >
La madre pianse più forte e, mentre Alice veniva portata via, lasciò la stanza sorretta da un medico. L’ultimo ricordo umano del mondo esterno che Alice serbava era il giardino oltre le porte dell’ospedale che si chiudevano dietro di lei, mentre lei, in lacrime, si voltava per implorare i suoi genitori di aiutarla.
Mi sentivo male per quello che stavo vedendo e quando Alice pensò ad un altro ricordo, mi si strinse il cuore.
La tenevano ferma in una stanza bianca e spoglia mentre una donna le tagliava i capelli. L’avevano immobilizzata perché lei si agitava. Quando la lasciarono andare, i suoi capelli lunghi erano sparsi per terra. Si passò una mano sulla testa e pianse più forte sentendo che le avevano lasciato i capelli lunghi appena tre centimetri.

Due donne robuste la trascinarono di peso in una stanza e la lasciarono lì dopo averle tolto i vestiti e infilato una camicia d’ospedale.

E da quel momento ogni immagine perse il concetto di tempo.
Si mescolavano ricordi più o meno recenti. Dolore e paura erano l’unica costante.
Il buio era una presenza opprimente ed onnipresente. La rinchiudevano in un luogo piccolo e scuro, freddo. Le facevano del male. queste erano le cure per quella che consideravano una malattia.
La diagnosi era stata il nome di una malattia mentale.
Dopo altre immagini terribili di quelle che loro consideravano cure, Alice finalmente cominciò a calmarsi. I suoi pensieri si stabilizzarono sul volto di Jasper.
Senza che me ne fossi reso conto, mi ero inginocchiato davanti a lei e l’avevo stretta in un abbraccio.
< Alice, ti prego. Calmati. Adesso va tutto bene… adesso sei qui con noi. Noi ti vogliamo bene. >
< Ed… Edward > pianse lei nascondendosi nella mia camicia.
< Alice. Ti prego. Adesso tranquillizzati. Sono qui… > E cominciai a dondolarla dolcemente come facevo con Bella quando era impaurita.
Da sempre Alice era stata la mia sorella più cara. Il giorno che la conobbi, la trovai antipatica ed invadente ed invece,praticamente subito, diventammo amici. Per anni lei fu la sola con la quale mi fossi confidato. Era stata più che una sorella. Era semplicemente Alice.
Era strano vedere lei, così vitale ed euforica, sempre così  allegra e gioiosa essere così indifesa ed impaurita, addolorata.
< Edward… perché i miei genitori mi hanno abbandonata? Perché non mi hanno amata come fate tu e Bella con Elizabeth? Perché mi hanno rinchiusa in quell’ospedale? In quella prigione? Perché per loro ero sbagliata? > singhiozzava sconnessa…
Capii il suo strano atteggiamento e provai una pena infinita per lei. Si era tenuto tutto quell’orrore dentro di sé fino a quel momento, soffrendo da sola ed in silenzio, senza voler coinvolgerci.
Aveva evitato di permettermi di vedere nella sua testa per paura che scoprissi cosa lei stesse patendo.
< Da quando riesci a … ricordare? > Le chiesi impaurito di poterla fare sentire peggio.
Lei sospirò profondamente e con voce tremante mi sussurrò:

< Da quando Jane… il dolore…
era come all’ospedale. Quando mi facevano l’elettro-shock.
Faceva talmente male…
Era un male talmente atroce…
Mi ha fatto ricordare quello che avevo subito in quel posto.
Improvvisamente, ho ricominciato a vedere delle cose…
È stato orribile. Fa così… male… mi fa male pensarci.
Non è giusto! Perché mi hanno fatto questo? Loro lo sapevano che mi avrebbero fatto del male. hanno detto a tutti che ero morta! Non mi avrebbero più voluta con loro… > Ripeteva le parole, piangeva e si accoccolava su se stessa senza riuscire a tranquillizzarsi.
Non sapendo cosa dirle per consolarla, mi limitai a stringerla a me con vigore. Le baciai i capelli e lei proseguì nel suo sfogo: < Sapevo che il giorno della mia morte era in realtà il giorno del mio ricovero… L’ho letto nelle carte che ho rubato. Ma sapere… sapere è così diverso dal ricordare.
I ricordi, fanno male. > Mi disse triste e sconsolata. il dolore traspariva chiaramente dalle sue parole.

Dopo quelle parole, si abbandonò al mio petto, aggrappandosi alla mia camicia con le dita. Le accarezzai la schiena e la presi in braccio. Sentivo i pensieri di Jasper che, accortosi di quello che stava succedendo, discreto come suo solito, restava in silenzio nella stanza attigua.

Quando, con Alice tra le braccia, mi voltai, vidi Bella ai piedi delle scale. Elizabeth si era calmata ed Esme era restata con lei. Non appena i nostri occhi si incontrarono, abbassò lo sguardo e corse su per le scale, andando a rifugiarsi in camera nostra.
Portai Alice in camera sua e Jasper si sostituì a me nel farle carezze e nel cercare di consolarla.
Facendo un respiro profondo, bussai. Bella cercava di non farsi sentire mentre tratteneva un singhiozzo.

< Vieni pure. > mi bisbigliò aprendomi. Gli occhi erano arrossati e sulle mani notai le tracce delle lacrime. Appena entrai, lei mi abbracciò e si alzò sulle punte per baciarmi. Chinai il capo per appoggiare le mie labbra sulle sue, bagnate di pianto. Mi baciò tormentata, avvolgendo il mio petto e la mia schiena tra le sue braccia, per avvicinarmi di più a lei. Sentii il suo seno premere contro di me ma, in silenzio, misi da parte tutti i pensieri poco adatti alla situazione. Con un movimento veloce e delicato, la sollevai da terra e la poggiai sul letto. Quando la sua schiena fu appoggiata alla coperta, si rannicchiò su se stessa e si rifugiò tra le mie braccia.

< Edward… mi dispiace così tanto per Alice. >
< Lo so, Amore… > < Come hanno potuto, una madre e un padre, fare una cosa simile alla loro stessa figlia? Io non potrei neanche pensare di abbandonare Elizabeth. >
< Bella, lo so che è molto difficile capirlo, ma devi rapportarti all’epoca. Negli anni venti, la vita era diversa… >
< Edward, non ci sono scusanti. Erano i suoi genitori. E l’hanno abbandonata… e hanno permesso che le facessero del male! > Alzò troppo la voce e la bambina, agitata dal tono, cominciò a piangere come faceva quando si sentiva sola.
Bella, come legata a lei da una catena invisibile, si alzò e la prese tra le braccia. Le baciò le guance piccole e rosee e poi la strinse a sé. < Edward, tu credi che non le volessero bene? >

Dato ciò che avevo visto e non sapendo come risponderle senza essere costretto a mentire, le dissi:
< Credo che avessero molta paura delle sue capacità. Non l’hanno saputa capire… Da quello che ho capito, lei riusciva a vedere in modo diverso da come fa oggi. Solo se era molto concentrata riusciva a scorgere il futuro. È chiaro che era un dono che poteva apparire come una maledizione… in una società come quella degli Stati Uniti del sud a metà degli anni venti. >
< Non hai risposto. Sai, mentre ero  incinta avevo paura che Elizabeth fosse… diversa. Ma l’avrei accettata comunque. Anche se avesse avuto occhi rossi e avesse preferito il sangue umano al mio seno. >

E poi, tenendo la bambina, si avvicinò a me e si lasciò abbracciare.

< Non me lo hai mai detto, non mi hai mai parlato di queste tue preoccupazioni. Perché? > 
< Non volevo turbarti… e poi, sapevo che mi avresti rimproverata… > Ammise lei abbozzando un sorriso. Poi appoggiò le labbra sul mio collo e infilò le mani sotto la mia camicia.
< Come avranno potuto comportarsi così? > sussurrò accarezzando la mia pelle con il suo sospiro.
< Capisco quello che vuoi dire. Provo i tuoi stessi sentimenti. Non so come abbiano potuto arrecare tutto quel dolore alla loro figlia. Anche io,come te, non riesco a immaginare di poter lasciare la nostra bambina nelle mani di estranei, neanche se fossi convinto che loro la possano aiutare. Preferirei morire che abbandonare lei, o te. Il comportamento dei genitori di Alice è stato, sebbene in linea rispetto alla mentalità dell'epoca, assolutamente riprovevole. Anche io ne sono sorpreso. > Poi l'accarezzai. Lei rimase in silenzio a lungo. 
Quando le sue labbra si schiusero di nuovo, mi sospirò: < Io le voglio bene... vorrei che lei sapesse che quello che provo per lei è un sentimento sincero, che io non potrei mai farle quello che le hanno fatto loro. Io le voglio davvero bene... > E poi nascose il volto nell'incavo del mio collo mentre la bambina,appoggiata a lei, con le sue manine minuscole andava in esplorazione del mio volto. Quando il piccolo palmo caldo sfiorò le mie labbra le diedi un piccolo bacio.
Invidiai il suo ignorare le bruttezze del mondo e nel mio cuore sperai di poterla proteggere da quegli orrori il più a lungo possibile. Sperai di poter essere per lei un buon padre...

< Non preoccuparti per Alice. Fra un po’riuscirà a metabolizzare il trauma. E poi, adesso, ha Jasper e tutti noi. Siamo noi la sua famiglia e le vogliamo tutti molto bene.
Questo lei lo sa bene. > La rassicurai baciandola. Sperai che anche Alice sentisse le mie parole...

 

 

  
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