Ciao a tutte!!! Miracolosamente sn riuscita a postare oggi!!!
Capitolo scritto velocemente oggi
prima di studiare latino. Ero
molto triste per una verifica di matematica andata male a causa di una
prof che
mette su otto esercizi 6 su cose mai fatte…
Solo che poi, la media la rovina a noi, non a lei.
Il capitolo cmnq nelle linee generali era già pronto prima
quindi non dovrebbe averne risentito (era drammatico anche prima XD)
Spero vi piaccia. Ci tenevo molto a scriverlo perché mi sono
sempre chiesta cosa fosse successo…
Questo era l’unico modo per poter inserire questo fatto
nella ff.
Spero gradirete. Non preoccupatevi. Andrà a finire tutto
bene! Anche per A***E (vediamo
chi indovina chi è XD)
Grazie per i vostri bellissimi commenti. Davvero belli e graditi!!!
Non vi dico ancora se avranno altri bambina ma per intanto,
ditemi dei nomi, sia maschili che femminili che vi piacciono (un paio
in mente
ce li ho già XD)!
Ah, per le serate piccanti, direi che ce ne è almeno
un’altra!!! (minimo... una serve per far contenta Bella... se
a lei piacciono i mocciosi... ) La teoria di Carlisle la spego la
prossima volta, non preoccupatevi, basta che non vi mettiate a ridere
però, Povero Edward, i suoi problemmi sbattuti senza ritegno
su queste pagine da me, sadica e perversa XD!!!!!!
Ora vi lascio che ho la versione domani…
PS: grazie
davvero
infinitamente!!! Questa storia è stata inserita tra i
preferiti da 200
persone!!! GRAZIE!!! SONO AL SETTIMO CIELO!!! Mi avete tirato
sù il morale!!! (e
mi serviva proprio una botta di felicità... anche
perchè il mio prof di Italiano mi ha detto che non so
scrivere e che i miei temi fanno schifo... almeno qualcuno che apprezza
il mio lavoro c'è. Grazie infinito a tutte voi! Un bacione
enorme!!!)
PPS: Questo cap riprende da prima che Edward e Bella comincino ad
impegnarsi costantemente per avere un secondo figlio, circa 2 ore dopo
che Bella si è addormentata. Dimenticate le ultime 10 righe
del cap prima. Nel prossimo cap, dal POV di Bella, si riprende dalla
fine del 36, ovvero, approfondendo quelle 10 righe XD!!!
Un bacione da Cassandra che andrà, con molta poca voglia, a ripassare Cicerone.
Edward's
POV
Rimasi con Elizabeth per circa 3
ore, seduto ad
osservarla dormire. Carlisle venne a controllarla ogni ora. La
esaminava e poi
tornava da Jasper ed Emmett che stavano lavorando a qualcosa in
giardino. Credo
stessero smontando una vecchia macchina per poi riassemblarla, dopo
averla
truccata, ovviamente. Emmett ci teneva tanto... E Rosalie apprezzava
quel
genere di lavori. Amava giocare alla meccanica sexy...
Bella, al piano di sotto, si era
addormentata dopo
aver passato la notte alzata. E devo dire che, finchè
Elizabeth non aveva
cominciao a stare male, era stata una notte a dir poco fantastica.
Quando notai che la bambina muoveva
nel sonno la bocca
come quando aveva fame, decisi di andarle a prendere del latte e
scaldarglielo.
Inoltre, avrei preso Bella e l’avrei portata in camera. Il
letto era certamente
più comodo del divano, ed io più socievole di
Alice in questo periodo.
Sapevo che mia moglie le si era seduta accanto di proposito.
Sebbene non
potessi leggerle la mente, la conoscevo bene. Sapeva che ad Alice era
successo
qualcosa e si limitava a starne vicina, senza farle domande, nonostante
mia
sorella cercasse di evitarla. Voleva che Alice sapesse che lei le era
vicina.
Sapevo che a Bella mancava il loro rapporto. Le mancava la sua migliore
amica,
sua sorella…
Dopo aver baciato mia figlia sulla fronte calda e liscia, scesi al
piano
inferiore. Rimasi fermo alcuni istanti ad osservare mia moglie che,
addormentata, sorrideva ad Alice. Aspettai che lei si accorgesse di me
ma ciò
non accadde.
< Alice? Alice? >
Mia sorella non mi prestava attenzione. Osservava fuori dalla finestra
con gli
occhi persi nel bosco. I suoi pensieri erano confusi… non
volevo violare la sua
privacy e quindi cercavo di non intrufolarmi nella sua mente ma non
riuscivo ad
ignorare il pianto arido della sua anima. Era addolorata ma non voleva
parlarne
con me, con nessuno.
Le appoggiai la mano sulla spalla e le sussurrai di nuovo: <
Alice? Mi
senti? >
Lei sembrò svegliarsi da un sogno e mi fissò
stupita. Bella si era accoccolata
con la testa sulla sua spalla ma poi era scivolata sulle ginocchia di
mia
sorella che le accarezzava i capelli, assente.
< Alice, porto Bella in
camera. È molto stanca.
Questa notte non è riuscita a dormire… Elizabeth
non è stata bene e lei non ha
voluto saperne di lasciarmela. Si preoccupa così tanto per
lei… >
A quelle parole, la vidi deglutire ed abbassare lo sguardo.
Osservò mia moglie
e percepii sua disperazione.
< Bella è molto preoccupata per te. Non te lo direbbe
mai per paura di
ferirti ma non capisce perché tu ti stia comportando
così. Ti sente distante.
Si è accorta che la eviti… così come
ce ne siamo accorti tutti… So che quello
che ti è successo a Forks, ciò che ti hanno
fatto, è stato atroce ma Bella non
ne ha colpa. Lei non sa niente. E non ho intenzione di dirglielo. La
turberebbe
soltanto e si sentirebbe terribilmente in colpa. Non riuscirebbe mai a
perdonasi la tua sofferenza.
Per favore, cerca di rilassarti e di essere più dolce con
lei… ti vuole bene.
Vorrebbe tanto aiutarti. >
< Edward… > E mi fissò negli occhi
per un attimo. In quei pozzi neri come
i suoi capelli vidi una cosa che non avevo mai scorto in lei…
Rimpianto?
< Alice,
cos’è che mi stai tenendo nascosto? >
Fece per rispondere. Le sue labbra si incresparono e piegarono come se
stesse
per dirmi qualcosa. Cominciò a formulare un pensiero ma si
bloccò subito,
mordendosi il labbro inferiore. Per un attimo solo intravidi
l’interno di una
casa che non conoscevo. Mobili modesti e una donna appoggiata ad un
lavello,
girata di spalle. Indossava un grembiule e teneva i capelli scuri
legati in uno
chignon.
Subito dopo, Alice
scostò Bella dalle sue ginocchia e
per poco non la fece cadere. Si alzò in piedi e corse via.
Bella, svegliata di
soprassalto, mi guardò sorpresa con gli occhi ancora gonfi
per la stanchezza.
Si tirò a sedere e mi abbracciò. <
Edward… che c’è? > <
Niente, Amore,
niente. Vieni, andiamo in camera… > e, dopo averla
bacia lievemente sulle
guance, l’accompagnai al piano di sopra. Avrei
preferito non svegliarla e
restare ad accarezzarla mentre ancora dormiva aspettando che si
svegliasse ma,
ero certo, sarebbe stata contenta di allattare Elizabeth al seno. Se
poteva,
evitava i biberon e voleva che noi facessimo lo stesso. Se si accorgeva
che non
la chiamavamo per allattarla, si offendeva.
< Che ore sono? > mi chiese sbadigliando.
< Le undici… >
Mi sorrise radiosa e, sfiorandosi il seno, mi ridacchiò:
< Ora della
poppata. Resti o vai? >
< Vado. > Le risposi un po’ brusco. Lei ci
rimase male e così, prima di
lasciare la stanza, mi avvicinai velocemente e le sussurrai
all’orecchio: <
Ti amo… a dopo… Aspettami. >
Al piano di sotto, Alice era stretta in un abbraccio molto materno da
Esme.
Entrambe erano in silenzio. Alice teneva gli occhi chiusi e mia madre
mi
guardava da sopra i suoi capelli neri, corti e spettinati.
“Edward. Lasciala in pace.” Pensò mia
madre spostando lo sguardo su mia sorella
e guardandola apprensiva.
Annuii lievemente ed andai nella sala del pianoforte e mi sedetti al
mio
adorato piano. Le mie dita scivolarono sui tasti d’avorio
come se la musica
scaturisse direttamente da loro e non dal lieve tocco sullo strumento.
Sentii
bella, al piano di sopra, sospirare e accompagnare la mia musica ad una
canzone, che si adattava perfettamente alla melodia, per la
bambina.
Suonai a lungo, ignorando Alice
che, nel frattempo, si
era seduta per terra in un angolo. Si teneva la testa tra le mani e gli
occhi
erano chiusi.
Mi interruppi solo quando
Elizabeth, dal piano di
sopra, si fece sentire con la sua voce da neonata.
Sentimmo Bella cercare di calmarla. Le diceva: < No, no, non
piangere piccolina.
La mamma è qui. È qui con te e con il
papà. Adesso arriva anche lui. Sht, sht,
non fare così. > Dopo un po’ la sua voce
era esasperata e dai suoi passi
piccoli e veloci capimmo che si stava muovendo avanti e indietro per la
stanza,
cullandola.
Feci per andare da loro ma, quando passai vicino ad Alice, lei mi
afferrò la
manica e mi bisbigliò:
< Non te ne andare. Ho bisogno di parlarti. >
Sorpreso, mi bloccai.
Bella, agitata, cominciò a chiamarmi. La bambina aveva
evidentemente ancora mal
di pancia.
< Esme, andresti ad aiutare Bella, per favore? Carlisle
è in giardino con
Emmett ma sta arrivando… ha sentito la bambina piangere.
>
< Certo Edward. Le dico che stai arrivando? >
< Sì, dille che arrivo fra un attimo. > le
dissi fissando interrogativo
Alice che teneva ancora un lembo della mia maglietta.
< Alice, che cosa… > Ma lei mi interruppe
alzando gli occhi verso di me.
< Edward, perché
vuoi andare dalla bambina? >
Totalmente spiazzato dalla sua
affermazione, non
capendo cosa stesse cercando di dirmi, la fissai curiosa e lei
continuò: <
Cosa spinge te e Bella a starle sempre così vicini? Come mai
siete così …
attenti a tutto ciò che la riguarda? >
< Alice, sei certa di stare bene? È nostra figlia.
È naturale che sia così.
Soprattutto adesso che è così piccola ed
indifesa, assolutamente dipendente
da noi che siamo i suoi genitori… >
< … Non riesco a capire… anche io voglio
bene a vostra figlia ma voi
sembrate totalmente …
Bella sembra così… come se la sua vita
improvvisamente fosse incentrata solo sulla
bambina. Prima non aveva occhi che per te… e tu per lei. Ora
invece è come se
entrambi aveste spostato la vostra attenzione su di lei e lei venisse
prima di
voi stessi. Di voi come coppia. >
< Alice, siamo i suoi
genitori… è normale che sia
così. > Le ripetei lentamente, come se stessi
parlando con qualcuno che non
parla la mia lingua.
< E se lei fosse…
> Indugiò un secondo indecisa
se proseguire o meno e poi continuò: < E sei lei
fosse … diversa? Se fosse
sbagliata per voi? >
< Alice? Ma cosa stai
dicendo? Lei non potrebbe mai
essere sbagliata per noi! Non riesco a capire cosa cerchi di dirmi. Hai
visto
qualcosa che non vuoi che io sappia? Ti prego, non farmi stare in pena.
Dimmi!
Avrà dei problemi? Starà male? Ti prego, dimmi se
succederà qualcosa di cui
dobbiamo preoccuparci! Noi l’ameremo sempre e comunque, se
è questo che temi.
Niente potrà mutare i nostri sentimenti per lei.
È la nostra bambina… la
accetteremmo qualsiasi cosa succeda. Le staremo vicino, sempre e
comunque. >
Cercai di spiegarle, tentando di convincerla a dirmi cosa avesse visto,
terrorizzato che avesse scoperto una qualche malattia o avesse scorto
nel
futuro una qualche disgrazia.
Si alzò sulle ginocchia ed affondò la testa nella
mia camicia. Piangeva senza
però poter versare lacrime. Il suo piccolo corpo era scosso
dai singhiozzi.
Appoggiai sorpreso le mani sulle sue spalle e cercai di consolarla. Mi
sentii
male, temendo per la vita della bambina.
Cosa aveva visto Alice da
sconvolgerla così tanto?
Probabilmente a causa del suo stato
d’animo, lasciò
correre i suoi pensieri che fino a quel momento aveva cercato di
tenermi
nascosti. Fui come sommerso da una miriade di emozioni.
Le sue emozioni.
Pura, solitudine, dolore.
C’era oscurità intorno a lei nei suoi ricordi. E
fu quello a sorprendermi.
Erano ricordi sbiaditi, come filtrati attraverso degli occhi troppo
deboli per
cogliere tutti i dettagli del mondo. Tutte le sfumature dei colori e le
variazioni dei colori…
Tutto ciò era dovuto alla debolezza dei sensi umani.
E fu proprio questo a farmi mozzare il fiato.
Erano ricordi umani…
Il punto era che Alice non aveva mai avuto ricordi della sua
vita… precedente.
Quella lontano da noi e da Jasper.
Quella fragile e precaria che aveva dovuto abbandonare a soli
diciannove anni…
< Alice? Alice, cosa
significa? > Non era il
Futuro della mia bambina che la terrorizzava. Appena lo capii mi
sentii, molto
egoisticamente, estremamente sollevato. subito dopo però mi
accorsi del dolore
di mia sorella e cercai di tranquillizzarla, accarezzandole i capelli.
< Edward, Edward… > singhiozzava lei.
< Alice, calmati ti prego. Ti prego… > Le
dissi ma un altro fiume di
immagini mi raggiunse.
La giovane donna che prima lavava i
piatti adesso
gridava qualcosa ad una bambina piccola che piangeva, rannicchiata in
un angolo.
La ragazza aveva chiesto ad una donna che chiamava zia cosa pensasse
fosse
successo al figlio scomparso del sindaco.
Prima che l’altra donna potesse rispondere, la bambina con
voce limpida aveva
detto: < Io lo so. L’ho visto. È caduto nel
fiume tre giorni fa… lo ho visto
mentre dicevo la preghiera… > La donna si era voltata
verso di lei, l’aveva
osservata per un’interminabile istante e aveva cominciato a
gridarle dietro
delle cose orribili. L’aveva strattonata per le braccia e le
aveva urlato di
non dire quelle cose.
L’aveva fatta cadere dalla sedia e lei era scappata in un
angolo.
La piccola aveva paura. era terrorizzata dalla reazione di quella che
probabilmente era la madre. Non aveva fatto niente di male e non capiva
perché
quella donna a cui voleva bene si comportasse in quel modo con lei,
quando lei,
concentrandosi, riusciva vedere delle cose che non erano ancora
successe.
La prospettiva visiva del ricordo era dal basso.
Mi accorsi che gli occhi dal quale osservavo la scena erano proprio
quelli
della piccola quando la donna cominciò a picchiarla. Vedevo
le manine poste
sugli occhi, come a coprirsi e a tentare di difendersi. Sentivo le
grida irate
della donna e dentro di me sentii una sorta di dolore. I sentimenti
della
bambina erano talmente intensi che li provavo anche io, in tutto il
loro
orrore.
Quando arrivò il colpo
dalla mano della donna dritto
sulla piccola faccia della bambina, il ricordò
cambiò.
In una camera piccola e scura,
sentivo piangere. Come
nel flashback precedente, era la bambina che piangeva affondando il
volto nel
cuscino e che si copriva la testa con la coperta.
L’immagine mutò ancora. Questa volta riconobbi
Alice. Si rifletteva in uno
specchio. Avrà avuto non più di quattordici anni.
Si trovava nell’atrio di un
grande edificio pieno di uomini e donne in camice bianco. Qualcuno la
trascinava. Lei gridava e piangeva e chiamava
“Madre!” “Padre!” ma le due
persone a cui si riferiva non l’ascoltavano. La donna di
prima, tra le braccia
dell’uomo, si appoggiava a lui. Vedevo le sue lacrime. Alice
riuscì a
divincolarsi e corse verso di loro. Prima che i dottori potessero
bloccarla, il
padre (perché ero certo che fosse il padre. Era una
sensazione chiara anche se
lontana quella che Alice provava per lui: Affetto… ) le
tirò un ceffone che la
fece cadere per terra. Le disse: < Io non sono più
tuo padre. Tu sei sempre
stata una vergogna per la nostra famiglia. >
La madre pianse più forte e, mentre Alice veniva portata
via, lasciò la stanza
sorretta da un medico. L’ultimo ricordo umano del mondo
esterno che Alice
serbava era il giardino oltre le porte dell’ospedale che si
chiudevano dietro
di lei, mentre lei, in lacrime, si voltava per implorare i suoi
genitori di
aiutarla.
Mi sentivo male per quello che stavo vedendo e quando Alice
pensò ad un altro
ricordo, mi si strinse il cuore.
La tenevano ferma in una stanza bianca e spoglia mentre una donna le
tagliava i
capelli. L’avevano immobilizzata perché lei si
agitava. Quando la lasciarono
andare, i suoi capelli lunghi erano sparsi per terra. Si
passò una mano sulla
testa e pianse più forte sentendo che le avevano lasciato i
capelli lunghi
appena tre centimetri.
Due donne robuste la trascinarono
di peso in una
stanza e la lasciarono lì dopo averle tolto i vestiti e
infilato una camicia
d’ospedale.
E
da quel momento ogni immagine perse
il concetto di tempo.
Si mescolavano ricordi più o meno recenti. Dolore e paura
erano l’unica
costante.
Il buio era una presenza opprimente ed onnipresente. La rinchiudevano
in un
luogo piccolo e scuro, freddo. Le facevano del male. queste erano le
cure per
quella che consideravano una malattia.
La diagnosi era stata il nome di una malattia mentale.
Dopo altre immagini terribili di quelle che loro consideravano cure,
Alice
finalmente cominciò a calmarsi. I suoi pensieri si
stabilizzarono sul volto di
Jasper.
Senza che me ne fossi reso conto, mi ero inginocchiato davanti a lei e
l’avevo
stretta in un abbraccio.
< Alice, ti prego. Calmati. Adesso va tutto bene…
adesso sei qui con noi.
Noi ti vogliamo bene. >
< Ed… Edward > pianse lei nascondendosi nella
mia camicia.
< Alice. Ti prego. Adesso tranquillizzati. Sono qui…
> E cominciai a
dondolarla dolcemente come facevo con Bella quando era impaurita.
Da sempre Alice era stata la mia sorella più cara. Il giorno
che la conobbi, la
trovai antipatica ed invadente ed invece,praticamente subito,
diventammo amici.
Per anni lei fu la sola con la quale mi fossi confidato. Era stata
più che una
sorella. Era semplicemente Alice.
Era strano vedere lei, così vitale ed euforica, sempre
così allegra e
gioiosa essere così indifesa ed impaurita, addolorata.
< Edward… perché i miei genitori mi hanno
abbandonata? Perché non mi hanno
amata come fate tu e Bella con Elizabeth? Perché mi hanno
rinchiusa in
quell’ospedale? In quella prigione? Perché per
loro ero sbagliata? >
singhiozzava sconnessa…
Capii il suo strano atteggiamento e provai una pena infinita per lei.
Si era
tenuto tutto quell’orrore dentro di sé fino a quel
momento, soffrendo da sola
ed in silenzio, senza voler coinvolgerci.
Aveva evitato di permettermi di vedere nella sua testa per paura che
scoprissi
cosa lei stesse patendo.
< Da quando riesci a … ricordare? > Le chiesi
impaurito di poterla fare
sentire peggio.
Lei sospirò profondamente e con voce tremante mi
sussurrò:
<
Da quando Jane… il dolore…
era come all’ospedale. Quando mi facevano
l’elettro-shock.
Faceva talmente male…
Era un male talmente atroce…
Mi ha fatto ricordare quello che avevo subito in quel posto.
Improvvisamente, ho ricominciato a vedere delle cose…
È stato orribile. Fa così…
male… mi fa male pensarci.
Non è giusto! Perché mi hanno fatto questo? Loro
lo sapevano che mi avrebbero
fatto del male. hanno detto a tutti che ero morta! Non mi avrebbero
più voluta
con loro… > Ripeteva le parole, piangeva e si
accoccolava su se stessa senza
riuscire a tranquillizzarsi.
Non sapendo cosa dirle per consolarla, mi limitai a stringerla a me con
vigore.
Le baciai i capelli e lei proseguì nel suo sfogo: <
Sapevo che il giorno
della mia morte era in realtà il giorno del mio
ricovero… L’ho letto nelle
carte che ho rubato. Ma sapere… sapere è
così diverso dal ricordare.
I ricordi, fanno male. > Mi disse triste e sconsolata. il dolore
traspariva
chiaramente dalle sue parole.
Dopo
quelle parole, si abbandonò al
mio petto, aggrappandosi alla mia camicia con le dita. Le accarezzai la
schiena
e la presi in braccio. Sentivo i pensieri di Jasper che, accortosi di
quello
che stava succedendo, discreto come suo solito, restava in silenzio
nella
stanza attigua.
Quando,
con Alice tra le braccia, mi
voltai, vidi Bella ai piedi delle scale. Elizabeth si era calmata ed
Esme era
restata con lei. Non appena i nostri occhi si incontrarono,
abbassò lo sguardo
e corse su per le scale, andando a rifugiarsi in camera nostra.
Portai Alice in camera sua e Jasper si sostituì a me nel
farle carezze e nel
cercare di consolarla.
Facendo un respiro profondo, bussai. Bella cercava di non farsi sentire
mentre
tratteneva un singhiozzo.
<
Vieni pure. > mi bisbigliò
aprendomi. Gli occhi erano arrossati e sulle mani notai le tracce delle
lacrime. Appena entrai, lei mi abbracciò e si
alzò sulle punte per baciarmi.
Chinai il capo per appoggiare le mie labbra sulle sue, bagnate di
pianto. Mi
baciò tormentata, avvolgendo il mio petto e la mia schiena
tra le sue braccia,
per avvicinarmi di più a lei. Sentii il suo seno premere
contro di me ma, in
silenzio, misi da parte tutti i pensieri poco adatti alla situazione.
Con un
movimento veloce e delicato, la sollevai da terra e la poggiai sul
letto.
Quando la sua schiena fu appoggiata alla coperta, si
rannicchiò su se stessa e
si rifugiò tra le mie braccia.
<
Edward… mi dispiace così tanto
per Alice. >
< Lo so, Amore… > < Come hanno potuto,
una madre e un padre, fare una
cosa simile alla loro stessa figlia? Io non potrei neanche pensare di
abbandonare Elizabeth. >
< Bella, lo so che è molto difficile capirlo, ma devi
rapportarti all’epoca.
Negli anni venti, la vita era diversa… >
< Edward, non ci sono scusanti. Erano i suoi genitori. E
l’hanno
abbandonata… e hanno permesso che le facessero del male!
> Alzò troppo la
voce e la bambina, agitata dal tono, cominciò a piangere
come faceva quando si
sentiva sola.
Bella, come legata a lei da una catena invisibile, si alzò e
la prese tra le
braccia. Le baciò le guance piccole e rosee e poi la strinse
a sé. < Edward,
tu credi che non le volessero bene? >
Dato
ciò che avevo visto e non
sapendo come risponderle senza essere costretto a mentire, le dissi:
< Credo che avessero molta paura delle sue capacità.
Non l’hanno saputa
capire… Da quello che ho capito, lei riusciva a vedere in
modo diverso da come
fa oggi. Solo se era molto concentrata riusciva a scorgere il futuro.
È chiaro
che era un dono che poteva apparire come una maledizione… in
una società come
quella degli Stati Uniti del sud a metà degli anni venti.
>
< Non hai risposto.
E
poi, tenendo la bambina, si
avvicinò a me e si lasciò abbracciare.
<
Non me lo hai mai detto, non mi
hai mai parlato di queste tue preoccupazioni. Perché?
>
< Non
volevo turbarti… e poi, sapevo che mi avresti
rimproverata… > Ammise lei
abbozzando un sorriso. Poi appoggiò le labbra sul mio collo
e infilò le mani
sotto la mia camicia.
< Come avranno potuto comportarsi
così? > sussurrò accarezzando la mia pelle
con il suo sospiro.
< Capisco quello che vuoi dire. Provo
i tuoi stessi sentimenti. Non so come abbiano potuto arrecare tutto
quel dolore alla loro figlia. Anche io,come te, non riesco a immaginare
di poter lasciare la nostra
bambina nelle mani di estranei, neanche se fossi convinto che loro la
possano
aiutare. Preferirei morire che abbandonare lei, o te. Il comportamento
dei
genitori di Alice è stato, sebbene in linea rispetto alla
mentalità dell'epoca,
assolutamente riprovevole. Anche io ne sono sorpreso. > Poi
l'accarezzai.
Lei rimase in silenzio a lungo.
Quando le sue labbra si schiusero di nuovo, mi
sospirò: < Io le voglio bene... vorrei che lei
sapesse che quello che provo
per lei è un sentimento sincero, che io non potrei mai farle
quello che le
hanno fatto loro. Io le voglio davvero bene... > E poi nascose
il volto
nell'incavo del mio collo mentre la bambina,appoggiata a lei, con le
sue manine
minuscole andava in esplorazione del mio volto. Quando il piccolo palmo
caldo sfiorò le mie labbra le diedi un piccolo bacio.
Invidiai il suo ignorare le
bruttezze del mondo e nel mio cuore sperai di poterla proteggere da
quegli
orrori il più a lungo possibile. Sperai di poter essere per
lei un buon
padre...
<
Non preoccuparti per Alice. Fra
un po’riuscirà a metabolizzare il trauma. E poi,
adesso, ha Jasper e tutti noi.
Siamo noi la sua famiglia e le vogliamo tutti molto bene.
Questo lei lo sa bene. > La
rassicurai baciandola. Sperai che anche Alice sentisse le mie parole...