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Autore: marthiachan    06/11/2014    7 recensioni
L'evoluzione del rapporto tra Sherlock e Molly vista attraverso gli occhi degli altri personaggi.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Hello!
Eccoci all’ultimo capitolo e al punto di vista dei nostri protagonisti. Le conclusioni mi mettono sempre un po’ in difficoltà, quindi spero di non aver scritto troppe sciocchezze. Sono consapevole di navigare nell’OOC, e me ne assumo tutte le colpe.
Vorrei anche ringraziare tutti coloro che hanno letto, recensito o messo tra le seguite/preferite/ricordate questa long fic. Scrivo principalmente per me stessa, ma è bello sapere che viene apprezzato anche dagli altri!
Spero che questo capitolo non vi deluda e che la conclusione vi piaccia.
Buona lettura.
 
 
Sherlock e Molly
 
Salì le scale lentamente, un po' per la stanchezza e un po' per non fare rumore. Arrivato al primo piano, aprì con circospezione la porta, sbirciando all'interno della stanza.
Quando riconobbe la figura raggomitolata sul divano fece un debole sorriso, ma che minacciava di crescere a dismisura. Perché aveva sempre quell'effetto su di lui? Poteva essere arrabbiato, annoiato, stanco, ferito o dolorante, ma ogni volta che vedeva il suo viso non riusciva a fare a meno di sorridere come un ragazzino euforico.
Non sapeva bene come era iniziato tutto. Un giorno si era semplicemente scoperto a guardarla sempre più spesso, trovando piacere nell'osservare ogni piccolo dettaglio del suo volto o delle movenze del suo corpo.
E dall'osservazione era passato al desiderio di averla vicino e toccarla. Sapeva di essere stato goffo nel suo corteggiamento, ma aveva avuto paura di affrettare troppo le cose. Aveva preferito sembrare infantile piuttosto che spaventarla. E alla fine aveva avuto ragione.
Si erano avvicinati lentamente ma tra loro si era creata una forte intimità che era sfociata in una passione imprevedibile. E, giorno dopo giorno, aveva sentito qualcosa farsi strada nel suo cuore. Qualcosa che faticava ancora a comprendere e ammettere, ma che diventava ogni giorno più forte e intenso.
Attraversò la sala e si sedette sul divano accanto a lei. Si era addormentata leggendo un libro che ora le ricadeva dalle mani. Lo raccolse, leggendone distrattamente il titolo.
Orgoglio e Pregiudizio.
Sorrise ancora, inevitabilmente intenerito, e lo posò sul tavolino. Le passò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e Molly fece un mugolio di approvazione. Le circondò le spalle e la prese in braccio.
“Mmm... Sherlock...” disse lei ancora mezzo addormentata. “Hai risolto il caso?”
“Ovviamente.” rispose lui con voce profonda baciandole la fronte mentre si avviava verso la camera da letto.
“Raccontami.” lo invitò, sorridendo a occhi chiusi.
“Era il figlio della vittima. Banalissime questioni di eredità. Noioso.” spiegò lui mentre la distendeva sul letto.
Lei si raggomitolò fra le coperte mentre Sherlock si toglieva il cappotto e i vestiti per infilarsi accanto a lei. La strinse fra le braccia e respirò il profumo dei suoi capelli con un sospiro di sollievo.
“È per questo che hai fatto così presto? Noia?” lo provocò lei con tono malizioso nonostante il sonno.
“Vuoi costringermi ad adularti, Molly Hooper?”
“Mmm... forse.” replicò lei con un sorriso.
“Mi mancava la tua presenza confortante. È questo che desideravi sentirmi dire?”
“Anche tu mi sei mancato. Mr Darcy non è niente in confronto a te.”
Sherlock rise e le baciò le labbra, cullandola sino a che entrambi non sprofondarono nel sonno.
 
Uscì dalla doccia velocemente, asciugando i capelli in maniera approssimativa e iniziando a pettinarli rapidamente facendo una treccia che rendesse meno evidente il fatto che aveva deciso di non utilizzare il phon.
Non che avesse realmente deciso. Era in terribile ritardo, non aveva scelta.
Da quando viveva con Sherlock le capitava spesso. La mattina facevano fatica a staccarsi l’uno dall’altra, anche perché allontanarsi da quel Dio greco con cui divideva il letto era una vera tortura e lei non era mai stata una persona stoica.
Ridacchiò tra sé, arrossendo ripensando a quella mattina. Era una donna adulta ma con Sherlock si sentiva come una ragazzina al primo amore e non riusciva a smettere di pensare ai loro corpi allacciati insieme.
Scosse la testa tentando di ritrovare la lucidità. Poteva lasciarsi andare a simili fantasticherie una volta arrivata al Barts e timbrato il cartellino. Avrebbe avuto diverse ore di solitudine in obitorio che avrebbe potuto occupare ripensando a quanto fosse fortunata.
Iniziò a lavarsi i denti domandandosi ancora, per l’ennesima volta, che cosa avesse mai fatto per meritarsi tanto.
Naturalmente sapeva cosa aveva fatto. Lo aveva amato, difeso, aiutato, sopportato e supportato per anni.
Quello che non le era chiaro era il perché, all’improvviso, lui avesse cominciato a interessarsi a lei. Secondo sua madre era per via del suo fidanzamento con Tom che aveva scatenato in lui un irrazionale istinto di possesso.
Non sapeva se fosse vero. Magari era stato quello o magari no.
O forse era stato perché lei lo aveva aiutato con la sua morte. O forse no.
Non che si lamentasse. Poco importava il perché e il come, quello che contava era che lui sembrava adorarla e che non era mai stata così felice.
Dopo un’altra occhiata all’orologio, sciacquò la bocca dal dentifricio e si vestì in due minuti, uscendo dal bagno come una furia.
“Tardi, tardi, tardi, tardi...” continuava a dire nervosamente mentre si dirigeva verso il tavolo dove era stata premurosamente preparata la colazione da Mrs. Hudson.
“Non è più tardi di ieri.” Commentò lui che aveva distolto l’attenzione dal suo quotidiano per osservarla, ma lei non lo notò.
“Ieri era tardissimo, oggi devo arrivare prima...” replicò prima di bere in unico sorso la sua tazza di caffè.
“Non a discapito della tua colazione. Siediti, Molly.”
Lei si bloccò, rendendosi conto in quel momento che aveva imburrato il pane tostato in piedi e che stava per mangiare le uova nello stesso modo.
“Oh, certo.” Accettò accomodandosi mentre addentava velocemente il pane e iniziando a mangiare le uova.
Voltò il viso verso di lui e notò un’espressione divertita e maliziosa su quello di lui. Non poté evitare di sorridere di rimando, deglutendo nervosamente e sentendosi incredibilmente sciocca.
“Mi spiace averti fatto tardare anche questa mattina.”
“Non dispiacerti o sarò io a esserne dispiaciuta.” Spiegò lei ripulendo al volo il suo piatto e deglutendo rapidamente. “Non rinuncerei a nulla di quello che succede fra noi, anche se poi devo correre per arrivare a lavoro.” Confessò avvicinandosi a lui e posando le labbra sulle sue.
Sherlock non ignorò il suggerimento e prese possesso della sua bocca mentre le sue grandi mani le circondavano la vita attirandola a sé.
“Tu vuoi farmi licenziare, vero?” mormorò Molly contro la sua bocca.
“Così potrei averti sempre a mia disposizione.”
“Tranne quando lavori... Non potrei aiutarti se perdessi il mio lavoro.”
“Ottima osservazione. Valuterò i pro e i contro con attenzione.” Replicò lui con ironia prima di baciarla ancora.
“Devo davvero andare, Sherlock...” disse lei con tristezza.
“Lo so.” Ammise lui accarezzandole il viso e baciandola all’angolo della bocca.
Molly sorrise e ricambiò delicatamente prima di alzarsi e raggiungere la sua giacca.
Si scambiarono uno sguardo complice e poi lei scese le scale saltellando, sentendosi come in una favola.
 
Prima di mezzogiorno aveva già completato la sua analisi chimica dell’acqua minerale di ogni singola marca reperibile a Londra.
Le porcherie contenute in quella che viene considerata “acqua pura” sono inimmaginabili.
Inoltre, aveva anche composto una musica da usare come ninnananna per la piccola Watson. Stava valutando come impiegare il resto della giornata in attesa di un nuovo caso quando il campanello aveva suonato.
Aveva iniziato a camminare avanti e indietro per la stanza e si era posizionato alla finestra, spalle all’ingresso, con in mano il violino. Una posa drammatica era sempre necessaria quando suo fratello arrivava a Baker Street.
No.” Esclamò mentre pizzicava le corde dello strumento. “Non accetterò nessun caso da parte del Governo Britannico. Né da te.”
“Non si tratta di una richiesta ufficiale. È... personale.”
A quelle parole, Sherlock si voltò incuriosito. Lesse nel viso stanco di Mycroft una reale apprensione. Era successo qualcosa di grave che coinvolgeva qualcuno a cui teneva molto.
“Di cosa si tratta?”
“Rapimento. Un mio agente è scomparso durante un indagine sotto copertura e... temo che i servizi segreti non siano all’altezza.”
“Allora è una richiesta ufficiale.”
“No, non ti sto chiedendo aiuto come membro del Governo. Ti sto chiedendo aiuto come fratello.”
Sherlock fece qualche passo nella sua direzione e si fermò di fronte a lui. La maschera di ghiaccio era crollata. Riusciva a leggere nei suoi occhi che non stava mentendo.
“Chi è? Perché faresti questo per un tuo agente?”
“Si tratta di Anthea. Non posso abbandonarla.”
Sherlock annuì. Avrebbe dovuto sospettarlo. Da molto tempo era a conoscenza del forte legame che univa Mycroft e la sua assistente, ma aveva sempre finto di non notarlo.
“Dimmi di più. Che tipo di lavoro sotto copertura stava svolgendo?”
“Stava lavorando come assistente personale di Simon Barry, magnate delle telecomunicazioni. Doveva indagare su una sua probabile connessione con la mafia russa. Purtroppo non abbiamo sue notizie da sedici ore. Abbiamo già eseguito i controlli con i nostri agenti ma è svanita nel nulla. Ho bisogno di tutto l’aiuto possibile.”
“Va bene. Inviami i dettagli, intanto chiamo John.”
“Grazie.”
Sherlock annuì e prese il telefono facendo partire una chiamata mentre Mycroft se ne andava con una smorfia preoccupata.
 
Molly sbadigliò mentre chiudeva una cella frigorifera. Era piuttosto stanca. Non vedeva l’ora di tornare a casa, fare una doccia, e rannicchiarsi tra le braccia di Sherlock. Sorrise a quel pensiero confortante ma fu riportata alla realtà da un trillo del telefono.
 
Sono fuori per un caso. Non so a che ora rientrerò. SH
 
Sospirò. A quanto pare la attendeva un’altra serata con Orgoglio e Pregiudizio, in attesa che il suo Mr Darcy tornasse a casa.
 
Stai attento. E svegliami quando rientri. MH
 
Stava mettendo via il telefono nella tasca del camicie quando suonò di nuovo, ma questa volta non era un messaggio. E non era Sherlock.
“Ciao Mary!”
“Ciao Molly, scusa se ti disturbo... Sei a lavoro, vero?”
“Sì, ma non mi hai disturbato.”
“Senti, non te lo chiederei se non fosse un’emergenza... Potresti badare ad Amy stanotte?”
“Oh. Certo, naturalmente. Ma che succede? È successo qualcosa? John sta bene?”
“Sì, lui sta bene, solo che devo fare una cosa che non posso rimandare. È troppo importante.”
“Capisco. Appena finisco il turno vengo da te, d’accordo?”
“Grazie, Molly, davvero. Mi stai salvando la vita.” Concluse l’amica chiudendo la conversazione.
La patologa sospirò. Era piuttosto strano ma non voleva essere invadente. Se Mary diceva che era una cosa importante, lei le credeva. Erano amiche e si fidavano l’una dell’altra.
Per non dimenticarsene, avvisò immediatamente Sherlock. Altrimenti correva il rischio che, non trovandola nel loro letto, intraprendesse un’inutile indagine alle tre del mattino.
 
Passerò la notte da Mary. Ci vediamo domattina. MH
 
Lui non rispose, ma non era un problema. Probabilmente era impegnato nel suo caso e avrebbe letto il messaggio in seguito.
 
Quando, un’ora e mezza dopo, suonò al campanello di casa Watson, fu una Mary decisamente inedita ad aprire la porta. O, almeno, inedita per lei.
Era vestita completamente di nero, con dei pantaloni militari, un golf a collo alto e scarponi. Molly non poté trattenere la sorpresa dato che l’aveva sempre vista con indosso colori chiari e pastello.
“Oh, Molly, grazie al cielo. Ti aspettavo con ansia.” Spiegò l’amica facendola entrare e indossando un giubbotto senza maniche nero che sembrava essere antiproiettile.
“Mary, ma cosa succede? Mi sto preoccupando.”
“Molly, è una cosa che devo fare. Per il futuro della mia famiglia.”
“John ne è a conoscenza?”
“No, e credo sia meglio così.”
“Ma...”
“Molly, ti prego, non dirglielo. È solo una missione, un’ultima missione, e il mio passato verrà cancellato con un colpo di spugna. È l’unico modo per garantire un futuro sereno a mia figlia.”
Molly era confusa. Non capiva del tutto ciò che diceva Mary, anche se Sherlock le aveva raccontato che aveva lavorato anche per la CIA. Sapeva, però, che doveva sostenere l’amica e avere fiducia in lei.
“Capisco. Vai, allora. E stai attenta. Io penserò a Amy.”
Mary la abbracciò con gratitudine, poi passò a baciare la bimba nella culla.
“Mamma torna presto, tesoro mio.” Aveva mormorato contro i suoi capelli biondi. “Ha già mangiato ed è stata cambiata. Dormirà almeno un’altra ora prima della prossima pappa.” Informò Molly con tono deciso.
Poi, senza aggiungere altro, aveva indossato un cappello nero  e preso uno zaino, scappando via.
 
La serata era passata serenamente. Amy era una bambina molto tranquilla e occuparsi di lei era davvero piacevole. Inoltre, aveva avuto il buon senso di mettere in borsa Orgoglio e Pregiudizio e aveva potuto continuare la sua lettura, rendendo partecipe anche la bambina del fascino immortale di Mr Darcy.
E poi, stanca ma soddisfatta, si era addormentata nel divano, tenendo la culla accanto a sé.
Erano circa le tre del mattino quando un grande trambusto e delle voci concitate le avevano svegliate. Mary, John e Sherlock erano entrati nell’appartamento e i coniugi Watson erano impegnati in un’accesa discussione.
“Non posso credere che tu possa aver rischiato la vita a quel modo! Hai pensato a me? E a nostra figlia?”
“Dipende, John. Ti riferisci in generale o in confronto con te? Perché anche tu rischi costantemente la vita!”
“Questa è una cosa diversa!”
“In che modo lo sarebbe?”
“Io non vado in giro armato come un terrorista! Diamine, Mary! In quello zaino hai un arsenale!”
“Sì, e so usarlo come un chirurgo, quindi stai molto attento a te, John Watson!”
“Ma vuoi dirmi almeno perché? Perché hai rischiato così tanto?”
“L’ho fatto per noi, John! Per ripulire il mio passato e avere un futuro sereno!”
“Ti ho detto che mi preoccuperò io del nostro futuro!”
“Sì, e mi hai anche detto che il mio passato è affare mio. E io me ne stavo occupando!”
Molly era rimasta immobile a osservarli. Era ancora intontita dal sonno ma stava cominciando a capire. A quanto pareva il caso che stavano seguendo Sherlock e John e la missione di Mary, coincidevano. Le sfuggivano ancora i dettagli, però.
Alzò lo sguardo verso Sherlock, che era rimasto immobile e in silenzio sulla porta. Con sorpresa, si rese conto che stava guardando lei. Gli sorrise, ma lui non ricambiò. Sembrava essere irritato ma non ne comprendeva il motivo.
In quel momento, Amy si mise a piangere e lei si avvicinò alla bambina, prendendola in braccio per cullarla.
“Ecco, hai visto? L’hai svegliata!” esclamò Mary accusando suo marito e prendendo la bambina dalle braccia di Molly e allontanandosi verso la camera da letto.
“È anche colpa tua!” replicò suo marito seguendola.
A quel punto, Sherlock e Molly si ritrovarono soli nel salotto dei Watson. Lei si avvicinò a lui con aria interrogativa.
“Sherlock, che succede?”
“Mi hai mentito.” Disse lui con tono tagliente.
“Cosa? Io non...”
“Avevi detto che eri con Mary e, invece, lei era impegnata in un operazione di salvataggio armata sino ai denti. Per poco non ci sparavamo a vicenda. Non posso credere che tu mi abbia mentito.”
“Non ti ho mentito.”
“Molly, negare l’evidenza è patetico oltre che offensivo. Mi hai detto di essere con Mary.”
“Io non l’ho mai detto.” Disse lei accigliandosi. “Non ho detto che ero con Mary, ma che ero da Mary. Facevo la baby-sitter. Non potevo sapere che sarebbe andata così!”
Lui si stupì, perdendo la sua aria accigliata per qualche secondo, ma ridivenne immediatamente triste.
“Non potevo sapere che tu non eri con lei! Hai idea di cosa ho pensato quando ho visto Mary?”
Molly sussultò. Aveva davvero creduto che lei fosse lì con Mary, armata sino ai denti? Lei che correva in mezzo a una pioggia di proiettili? Andiamo, siamo seri. Persino Amy avrebbe capito che era impossibile!
“Quando l’ho riconosciuta, il mio primo pensiero è stato chiedermi se tu fossi lì, in quell’inferno, o se fossi al sicuro.” Spiegò lui con voce spezzata che le faceva intuire quanta fosse stata la sua ansia. “E, nei minuti che mi ci sono voluti per avere conferma della tua incolumità, il mio cervello ha delineato ogni possibile scenario. I più terribili.
“Sherlock... Mi dispiace. Non credevo che...”
“Io ho bisogno di sapere dove sei. Ho bisogno di sapere che sei sempre al sicuro.” Ripeteva lui con aria sconvolta mentre camminava avanti e indietro per la stanza. “Ho bisogno di potermi fidare ciecamente della donna che amo!”
Molly spalancò gli occhi e, un istante dopo, lui la imitò, come se si fosse reso conto solo in quel momento di quello che aveva detto.
“Devo andare.” Esclamò fuggendo oltre la porta.
Molly cercò di seguirlo e lo chiamò per le scale, ma era troppo tardi. Era scomparso.
Rientrò nell’appartamento ancora confusa.
“Dove è andato Sherlock?” chiese John ricomparendo con in braccio la piccola Amy.
“Via... Lui... è andato via.” Balbettò Molly mentre cominciava a chiedersi che cosa ci facesse ancora lì. “Io... devo raggiungerlo.” Decise rimettendosi le scarpe e la giacca.
“Ma...” obbiettò l’amico mentre si voltava verso sua moglie che nel frattempo aveva indossato un comodo pigiama.
“Mi spiace ma, ora che siete rientrati, non avete più bisogno di una baby-sitter.” Spiegò Molly raccogliendo le sue cose in fretta e furia.
“Molly, è notte fonda. Non ti lascio prendere un taxi a quest’ora!”
“Sì, Molly, resta. Scusa se siamo stati un po’... irascibili.” Aggiunse Mary cercando di trattenerla.
“Non è per voi, devo assolutamente parlare a Sherlock. Immediatamente.”
“Lascia almeno che ti accompagni!” propose John mentre metteva la bimba nella culla.
“Non sarà necessario, John. Grazie. Buonanotte.” Concluse uscendo dall’appartamento e correndo in strada alla ricerca di un taxi.
 
Sherlock rientrò al 221b sbattendo la porta.
Doveva riflettere. Salito al piano superiore afferrò il violino, incurante del fatto che fossero all’incirca le quattro del mattino, e iniziò a suonare, alla ricerca di un po’ di calma che lo aiutasse a districare il groviglio che aveva in testa.
Era così concentrato che nemmeno sentì la povera Mrs. Hudson che, svegliata da quel trambusto, lo implorava di smetterla perché i vicini avrebbero potuto lamentarsi.
Non poteva credere a quello che era successo. Aveva lasciato che i sentimenti prendessero il sopravvento su di lui tanto da impedirgli di lavorare.
Tanto da confessare ingenuamente ciò che provava.
Per un attimo gli tornò in mente l’espressione che aveva visto in suo fratello quando aveva incrociato lo sguardo di una Anthea decisamente provata. La povera ragazza era stata tenuta prigioniera e persino torturata, solo per avere il nome dell’uomo per cui lavorava.
Lei, però, aveva sopportato senza fiatare.
Sherlock aveva visto la sua minuta figura, avvolta in una coperta, dirigersi verso Mycroft, ignorando gli avvertimenti dei paramedici, e, dopo un attimo di esitazione, tuffarsi fra le sue braccia, in lacrime.
Mycroft l’aveva stretta a sé e aveva socchiuso gli occhi con un sospiro di sollievo, lasciando cadere la sua maschera di impassibilità per qualche secondo. Poi, tornando in sé, l’aveva fatta salire sulla sua berlina nera e l’aveva portata via.*
Quella vista, di cui apparentemente era l’unico beneficiario, l'aveva reso consapevole di come la relazione con Molly lo avesse cambiato. Così come suo fratello, aveva perso la sua corazza che lo proteggeva dalla sofferenza e lo aiutava a focalizzarsi solo sul lavoro. Ora aveva dei sentimenti che erano perennemente in conflitto con la sua razionalità.
Era furioso con lei, per averlo fatto preoccupare e averlo distratto dal suo lavoro, eppure non voleva altro che stringerla a sé, così come aveva fatto suo fratello con la sua assistente.
Avrebbe dovuto essere disgustato da se stesso, dal modo in cui il suo stupido cuore aveva ceduto a qualcosa di così banale, ma la scena a cui aveva assistito aveva solo acuito la sua preoccupazione nei confronti di Molly. Anche se sapeva che era al sicuro a casa Watson, aveva sentito il bisogno di vederla immediatamente.
Prima che potessero impedirglielo, si era unito a John e Mary ed era andato con loro. Certo non si aspettava di trovarsi di fronte una Molly inconsapevole di tutto. Non si era nemmeno resa conto della preoccupazione che aveva provato per lei. Non era riuscito a trattenersi dal vomitarle addosso tutta la sua indignazione. E a confessarle che l’amava.
Ed era fuggito via non appena se ne era reso conto.
Era dunque questo l’amore? Quella sensazione di sentirsi incompleto e infelice sino a che non incontrava il suo sguardo? Quel groviglio confuso e doloroso che provava, era l’amore?
Troppo concentrato sui suoi pensieri, sussultò quando sentì una mano sfiorargli una spalla. Voltandosi, si trovò di fronte a Molly. Deglutì nervosamente. Cosa avrebbe dovuto dire, ora?
“Stai disturbando tutto il quartiere.” aveva detto lei prendendogli gentilmente il violino dalle mani.
Lui glielo aveva lasciato fare e aveva guardato mentre lo posava nella sua custodia.
“Credo che dovremmo parlare.” aveva aggiunto Molly con sguardo preoccupato.
Lui fece un profondo respiro, voltandosi verso di lei, ma non aveva il coraggio di guardarla negli occhi.
“Sherlock... Ti prego.”
Non poté evitare di obbedire. Desiderava troppo specchiarsi in quegli occhi castani e, alla fine, cedette.
Quello che vide furono due pozze lucide, brillanti e profonde, che esprimevano solo amore.
“Molly, mi dispiace.”
“Di cosa, esattamente?” replicò lei ridendo. “Di esserti preoccupato per me? O di avermi detto che mi ami?”
Inevitabilmente, anche lui rise. In effetti, detto così era ridicolo.
“Mi dispiace di essermi arrabbiato con te.”
“E a me dispiace di non averti detto di Mary. Volevo solo essere leale alla mia amica, non pensavo che questo avrebbe potuto crearti dei problemi.”
“Molly, non so cosa farei se ti succedesse qualcosa. Non posso permettermi di perderti.”
Lei si sollevò sulle punte e gli allacciò le braccia al collo, per poi baciarlo delicatamente all'angolo della bocca.
“Non succederà. Ricordi? Sarò qui per tutto il tempo che mi vorrai.”
Sherlock sorrise e si chinò a baciare le sue piccole labbra, prima con dolcezza e poi con maggiore decisione.
“Mmm... Sherlock...” mugugnò lei contro le sue labbra. “Andiamo a letto.” disse infine staccandosi da lui il tanto necessario da potergli sussurrare quelle dolci e invitanti parole.
Lui non si fece pregare e la sollevò prendendola per i fianchi, per poi trascinarla con sé nella camera da letto.
 
Aprì lentamente le palpebre, solo per trovare dei riccioli neri che coprivano il viso. Sorrise e ne aspirò il profumo prima di sollevare una mano e spostarli con delicatezza. Sherlock dormiva accanto a lei, trattenendola per la vita e con il viso affondato nel suo collo. Cercò il suo viso e ne baciò gli zigomi, svegliandolo.
“Mmm... Molly...” mormorò lui cercando le sue labbra ancor prima di aprire gli occhi.
Prima che potesse anche solo pensare di ribellarsi, lui era rotolato su di lei e le sue mani la stavano accarezzando sapientemente facendole venire i brividi.
“Ti amo.” gli sussurrò all'orecchio mentre lo accoglieva dentro di sé.
“Oh, Molly...” disse lui fermandosi un istante solo per incatenare gli occhi a suoi. “Non bastano due parole per descrivere quello che provo per te...” iniziò ma si fermò come se non sapesse come proseguire.
“Oh, Sherlock, non devi dirmelo per forza...”
 “Potrei sbagliarmi perché non mi sono mai sentito così in vita mia, ma... credo di amarti.” dichiarò infine lui. “Sei la mia vita, Molly Hooper.”
Molly rise, felice, e lo baciò. Era la più bella dichiarazione d'amore che avesse mai sentito, ed era tutta per lei. Lui ricambiò regalandole quello sguardo infantile che aveva quando era genuinamente felice.
Passarono tutta la giornata in quel letto, facendo l'amore e coccolandosi, mentre progettavano il loro futuro.
 
 
Fine
 
 
*Per chi ha letto la mia raccolta “Alphabet” riconoscerà la stessa scena descritta nel capitolo Weakness.
   
 
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