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Autore: Nadie    06/11/2014    4 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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8. Aspettare



«La vuoi fare una pazzia?»
Su Dublino è calato un buio un po’ sbiadito, lui e Occhi Verdi sono quasi arrivati in stazione, lei ha appena finito di lavorare e tiene stretta tra le braccia sua figlia.
Quell’immagine gli stringe lo stomaco in una morsa dolorosa.
Non è mia figlia.
Braccia piccole ed esili attorno ad un collo bianco e profumato, non è mia figlia, un viso di bambina posato sulla spalla di una madre, non è mia figlia, occhi verdi che sono stati rubati e ora restano chiusi dal sonno, non è mia figlia, braccia abbastanza forti da sostenere il peso di chi ha messo piede da poco sopra ad un mondo imperfetto, non è mia figlia. Non è la mia famiglia.
Non è.
Non è.
Tu non sei.
Ma vorrei che tu fossi.
Che tu fossi un piccolo pezzo di me, della mia carne, del mio sangue.
Tu non sei.
Ma vorrei che tu fossi.
Che tu fossi qui anche grazie a me e al mio amore ammaccato per tua madre.
Tu non sei.
Ma vorrei che tu fossi.
Che tu fossi addormentata anche tra le mie braccia, il tuo capo sulla mia spalla, non ti lascerò cadere, non cadrai, te lo prometto.
Voi non siete.
Ma vorrei che voi foste.
Che voi foste la mia famiglia e casa mia.
Ma lei non è.
Loro non sono.
E quell’abbraccio madre-figlia è ciò che non ha avuto ma che avrebbe voluto avere, ed è davvero troppo tardi per ottenerlo? Sono così in ritardo, Prudence? Non puoi aspettare anche me, come se fossi un bambino? Fingi che lo sia, aspettami, ti prego!
«Che tipo di pazzia?»
«Se accetti, lo scoprirai da sola.»
«Benjamin, ascolta…»
Lui si ferma e le si para davanti.
«Fidati di me, Prudence, fidati di me.»
Lei lo guarda, come lo guarda? Non riesce a capirlo, poi la vede annuire e abbandonare un bacio tra i capelli della sua bambina.
«D’accordo, solo… torniamo presto, va bene?»
«Certo, torniamo presto.»
Riprendono a camminare, e strade grigie che scorrono sotto i loro piedi, un buio pallido calato sulle loro teste come un cappuccio scomodo, e gente che cammina destra-sinistra-avanti-indietro, continuano a camminare, Leila continua a dormire, Prudence continua a sorreggerla, lui continua a sentire rabbia e rimpianto, li cova sotto la pelle, sotto la pelle, là dove si nasconde anche il tempo perduto, dove restano ammassati otto anni uno sopra all’altro e dove parole e sillabe si accavallano e feriscono, e c’è un devo andare via schiacciato da un mi dispiace che resta sdraiato sotto un mai che tiene sopra di lui un aspetto un bambino, e lettere che si confondo, sillabe che si intrecciano e quell'abbraccio madre-figlia che sembra strillare: siamo ciò che non hai avuto!
Smettono di camminare e salgono sopra un autobus giallo con dentro nessuna canzone francese, nessun ‘non ti amo più tutti i giorni’ e solo un silenzio che non può essere e non vuole essere riempito, silenzio fatto di finestrini pieni di immagini di verde, e di un sedile con sopra una madre che bacia piano la fronte di sua figlia e le sussurra qualcosa a voce troppo bassa per poter essere compresa.
Le guarda, le fissa attentamente per tutto il tragitto e si ricorda di un parco, di una ragazza con gli occhi verdi, di un bacio, di una mano su una pancia e di un ‘aspetto un bambino. Avrei voluto dirtelo prima. Undici settimane.’ ed è stato allora che ha capito che le parole fanno male.
As-pet-to un bam-bi-no.
Aspettare.
Qualcuno quella parola deve averla tirata fuori dal latino, deve averla rubata al latino, ed in latino deve aver avuto quel suono solenne che solo le parole latine hanno.
Aspectare, a-s-p-e-c-t-a-r-e, che suono duro che hai, parola latina! E di chi sei figlia?
Di un’altra parola che ha un suono più dolce: aspicere, a-s-p-i-c-e-r-e, molto più dolce, la voce della sua mente scivola su quella parola così vecchia.
Aspicere. Guardare.
Aspicio: io guardo.
Io guardo.
Aspectare.
Aspettare.
Ti aspetto paziente senza muovermi, ti aspetto guardandoti finché non arriverai.
Aspecto. Aspicio. Io guardo.
La guarda, le guarda e le parole si ripetono nella sua testa.
Aspecto. Aspicio. Io guardo.
L’autobus si ferma, scendono con calma, passi prima tu? Io?
Un volta in strada Prudence si gira a guardarlo e sorride.
«Portrane?» gli chiede. Domanda retorica.
«Non ci vengo da otto anni.»
«Nemmeno io.»
Si scambiano un altro sorriso che vorrebbe dire qualcosa ma che resta zitto, allungato sulle loro labbra senza lasciar uscire alcuna parola.
Arrivano fino alla loro spiaggia fatta di erba e di sabbia e di mare troppo freddo per tuffarcisi dentro, lui si siede vicino alla riva e la invita con la mano a sederglisi accanto.
Leila si è svegliata.
«Ciao, pulce!»
La bambina si strofina gli occhi, ancora un po’ assonnata, poi si guarda intorno e resta quasi a bocca aperta.
«Posso raccogliere conchiglie?» chiede.
«Non credo ci siano…»
«Per favore!»
Prudence le sorride e scioglie l’abbraccio.
«Però qui davanti a me.»
Leila annuisce e comincia a scavare oltre la sabbia, con la testa china e gli occhi verdi attenti anche al più piccolo granello scivolato tra le sue piccole dita.
«Mi è mancato questo posto.» dice lui, per spezzare l’ennesimo silenzio caduto tra di loro.
«Davvero?»
«Mi sono mancate un sacco di cose.»
La semplicità, ad esempio.
La semplicità mi è mancata più di qualsiasi altra cosa mi sia mai mancata in tutta la vita, la semplicità dentro ai nostri jeans sgualciti, dentro a questo vento gentile e a volte anche crudele; semplicità dentro l’acqua fredda qui davanti ai miei occhi e quella volta che mi ci sono immerso fino alle ginocchia e mi si è quasi bloccata la circolazione; la semplicità dentro alle mie cuffie condivise con te che cantavano le parole degli Oasis e tu sei la mia ancora di salvezza e davvero ci sono molte cose che vorrei dirti ma non so come fare; la semplicità dentro la non-paura di essere bagnati dalla pioggia fredda e della sabbia che si appiccica addosso; la semplicità del mio e del tuo sorriso per cose da poco; la semplicità del ci-siamo-noi-due-e-solo-noi-due.
Ho perso tutto quando sei andata via ma ho continuato ad aspettare.
Aspecto. Aspicio. Io guardo.
«Ad esempio cosa ti è mancato?» gli chiede lei, che non stacca gli occhi verdi dalla bambina che cerca conchiglie a poca distanza.
«Tu. Noi.»
«Anche a me sei mancato.»
«Davvero?» le chiede e le si avvicina.
«Certo! Pensavi il contrario? Guarda che ti amavo anch’io.»
«Amavi? Ora hai smesso?»
«Ora non si può.»
«E chi l’ha detto?»
«Il corso delle cose.»
«E chi sarebbe, scusa? Qualcuno di importante?»
«Abbastanza importante.»
«Abbastanza è una parola che non vuol dire nulla.»
Lei volta il capo verso di lui e sospira.
«Benjamin…»
Non le lascia concludere la frase, parole che restano in sospeso, mai pronunciate, bloccate da labbra che premono le une contro le altre, non dire niente che non servono parole, basta con le parole, lascia che resti solo un silenzio riempito da me e te e le mie labbra e le tue labbra, le preme le mani contro la schiena, non andartene, lei non se ne va, non interrompe il bacio che continua, che cresce e si allontanano solo quando non resta più fiato.
 
 
 
 
 
 

Bonsoir!
Sì, lo so che sono in vergognoso ritardo ma tra studio, tempo che non c'è e blocco dello scrittore, per scrivere questo capitolo ci è voluto molto più di quanto immaginassi!
Ma finalmente è partito un bello sbaciucchiamento perciò direi che le cose stanno migliorando per gli sfigati... forse...
Non posso anticipare nulla causa capitoli ancora in corso, ma ringrazio di cuore tutti i lettori, silenziosi e non!
C.

P.S: Credo di essermi innamorata di quella foto di Astrid, cioè... è illegale!


 



 
 
 
 
 
  
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