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Autore: SlytherinPrincess    23/10/2008    1 recensioni
Solo una bambina non sembrava avere sonno: piccola e fragile nella sua leggera camicia da notte estiva, candida come la sua pelle. Seduta sull’altalena, nel giardino della villa dove era cresciuta assieme alla sua famiglia, si dondolava leggermente, cullata dal leggero vento settembrino; i suoi lunghi capelli color ebano scendevano delicati come la seta sul volto innocente e gentile. Stringeva al petto la sua bambola preferita, quella che le aveva regalato sua nonna quando era ancora nella culla

Partecipante al contest Photograph, [Image-Shoot Contest
Genere: Triste, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Contest: Photograph (CoS-Mode: [Image-Shoot Contest)

Titolo: Snowing Dreams

Autore: asteriamalfoy

Fandom: Harry Potter

Genere: Introspettivo, Triste, Sentimentale.

Pairing: Draco/Astoria

Raiting: Pg13

Tema: No One

Warning: One Shot

Desclaimers: Harry Potter e tutti i personaggi della saga sono di proprietà di J.K.Rowling e di chiunque ne possieda i diritti

 

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 La luna era alta nel cielo, tutto taceva in quella notte di fine agosto. Nessuna luce proveniva dall'austera e immensa villa che contrastava imponente, nella sua sobria eleganza, con un piccolo paesino immerso nel verde delle campagne inglesi. Tutto era assopito, nessuno girava per le tortuose strade del villaggio, tutti al riparo nelle loro case, tra le braccia di Morfeo.

      Solo una bambina non sembrava avere sonno: piccola e fragile nella sua leggera camicia da notte estiva, candida come la sua pelle. Seduta sull’altalena, nel giardino della villa dove era cresciuta assieme alla sua famiglia, si dondolava leggermente, cullata dal leggero vento settembrino; i suoi lunghi capelli color ebano scendevano delicati come la seta sul volto innocente e gentile. Stringeva al petto la sua bambola preferita, quella che le aveva regalato sua nonna quando era ancora nella culla. Appoggiò il visino rigato dalle lacrime sulla capigliatura bionda del giocattolo stringendoselo sempre più forte al petto. Non doveva essere lì, non doveva piangere, lei era grande ormai, le aveva detto sua madre, e quindi doveva essere forte, doveva superare le difficoltà senza versare una lacrima. Ma la bimba si sentiva spaurita e sola, ora che sua sorella era a Hogwarts e i suoi genitori non erano mai in casa, troppo presi da lavoro e feste che neanche si accorgevano di lei; poi c’era sua nonna, morta da pochi giorni, e i suoi parenti per il funerale della donna l’avevano rimproverata perché piangeva. Sua nonna era l’unica che si accorgesse di lei e di sua sorella; era l’unica che nelle notti di temporale la stringeva forte e la rassicurava che tutto andava bene: sua nonna era come una seconda mamma, dolce e gentile, eppure forte e orgogliosa.

      La bambina si diede una spinta più forte e le catene dell’altalena cigolarono sinistramente. Dodici rintocchi delle campane della chiesa riecheggiarono minacciosi in tutta la valle, e la piccola si strinse nella camicia da notte, leggermente infreddolita. Leggeri passi fecero rabbrividire la bimba, che nascose il volto nei capelli della bambola in cerca di conforto.

Una mano affusolata le si appoggiò sulla spalla, facendola sobbalzare; si voltò lentamente per incontrare il volto affusolato e aristocratico della madre, deturpato dalla rabbia che stava provando in quel momento, nel vedere la figlia minore piangere come una sciocca nel mezzo della notte.

 

“Astoria” sibilò velenosa, stringendo la mano sul suo fragile braccino, facendole di nuovo riempire gli occhi cobalto di lacrime che adesso era riluttante a far scendere.

 

     Astoria incatenò i suoi occhi a quelli gelidi e distanti della madre che la guardava con ribrezzo, non riuscendo a capire perché avesse una figlia tanto stupida ed emotiva, sempre così solitaria e silenziosa. Detestava il suo rannicchiarsi sul divano a leggere o a disegnare, perennemente assorta nei suoi pensieri.

La bambina, fin dalla più tenera età, non era mai stata loquace, aveva sempre preferito osservare le persone o le cose per poi isolarsi nel suo mondo, disegnando o appuntando su carta le sue sensazioni da ragazzina romantica e sognatrice.

Era così diversa da sua sorella, sempre così perfetta e algida nella sua inconsueta bellezza.

Daphne, la maggiore tra le due, aveva lunghi capelli color miele e grandi e freddi occhi giada ed era sempre stata fonte di soddisfazione e orgoglio per la sua famiglia, ma le.

       Lei non era come la figlia prediletta.

Non riuscendo a reggere lo sguardo carico di disprezzo della madre, Astoria si voltò di nuovo, mentre il cielo iniziava a offuscarsi e immense nuvole cariche di pioggia iniziavano a raggrupparsi sopra le loro teste, nascondendo la pallida luna.

      La madre, offesa da tale comportamento, la prese per i capelli strattonandola e facendola cadere dall’altalena.

La piccola non si ribellò e, con un tonfo sordo, cadde a terra.

La donna, ancora più adirata per tanta goffaggine e mancanza di carattere, le strappò dalle esili braccine la bambola per poi scagliarla, con stizza, su una pietra.

A causa dell’impatto il volto del giocattolo si infranse in mille frammenti che si disseminarono sull’erba come polvere di stelle.

   La bambina chiuse gli occhi nell’udire la porcellana che andava in frantumi, arrivando fino a lei, dei piccoli pezzetti del volto della bambola arrivarono a graffiare la tenera carne del braccio della ragazzina ; la bambina non disse niente, non pianse, rimase lì stesa sulla terra umida a fissare il cielo con lo sguardo vacuo e lontano.

     La madre la guardò con ancor più disprezzo, prima di voltarsi per rientrare in casa; la bambina aspettò di sentire la porta di casa chiudersi per mettersi seduta, sentiva il sangue uscire lento e caldo dai graffi che la porcellana le aveva procurato infrangendosi, ma non fece niente per asciugarlo; chiuse gli occhi, inspirando lentamente, per poi alzarsi in piedi in cerca del suo gioco preferito; lo trovò. Il viso distrutto, il vestito color crema sporco di terra e di erba. La piccola sentì le lacrime riaffiorare agli occhi ma con stizza le fermò; raccolse la bambola e i pezzi del volto che poteva vedere e si avvicinò al grande albero di fianco all’altalena.

       Un lampo attraversò il cielo color ebano, e il suono del tuono  riecheggiò per tutta la vallata mentre piccole e calde gocce iniziavano a scendere dal cielo plumbeo. La pioggia fine e fitta bagnò completamente la bambina che, sotto l’albero, guardava la sua bambola con affetto mentre la posava delicatamente sulla terra bagnata, come se fosse una persona, attenta a non farle male. La terra intorno a Astoria era friabile e morbida grazie alla pioggia; ancora una volta la bambina guardò la bambola, prima di cominciare a scavare con foga una piccola buca fra le radici dell’albero. Rabbia, rancore, odio e ancora solitudine, amore, paura, rispetto… Tante sensazioni vorticavano nella mente complicata della ragazzina che con forza affondava le sue manine delicate e curate nella terra vergine sotto di sé, le unghie le si spezzarono, ma non le importava, la pioggia le scendeva sul volto mischiandosi ad  amare lacrime, urlava.

      Odiava quella vita, ma non riusciva a odiare sua madre che sempre l’aveva derisa e messa in cattiva luce; amava sua nonna, ma le portava rancore per essersene andata, adesso chi l’avrebbe difesa? Si sentiva sola perché sua sorella era a scuola e l’aveva lasciata; aveva paura di perdere tutto quel che le era più caro, esattamente come era successo con la sua bambola, e provava rispetto per quel padre che non era mai in casa e in quasi dieci anni non le aveva mai rivolto parola.

       La ragazzina si accasciò per terra, stanca di combattere, semplicemente stanca di vivere, adesso non aveva nessuno vicino… A fatica si alzò e prese la sua bambola, appoggiandola dolcemente nella buca scavata appositamente per lei, e con lentezza la ricoprì.

         Barcollante si diresse verso casa, salì le scale senza fare il minimo rumore, non andò nella sua stanza, ma si diresse verso quella di sua nonna. La porta di mogano scuro era imponente di fronte a lei e la maniglia d’ottone sembrava così pesante da aprire, ma con mano tremante fece scattare la serratura e la porta si aprì con lentezza, rivelando a poco a poco il suo interno alla luce soffusa del corridoio. La bambina fece il primo passo insicuro verso l’interno della camera e accese una candela. Sembrava la camera di una ragazzina invece che quella di una donna anziana come era sua nonna. Le pareti di un rosa acceso come le tende del baldacchino e del copriletto, il pavimento di parquet chiaro, l’armadio con disegni di fiori e farfalle colorate lo specchio dove erano appuntate delle foto sue e di sua sorella, e i giocattoli. Tante bambole di fine porcellana erano sul letto fra i cuscini, peluche sulle mensole e poi una libreria. Enormi volumi di fiabe Babbane e non, e in fondo protetti e custoditi gelosamente, degli album fotografici.

      Astoria chiuse gli occhi inspirando il profumo di vaniglia che sua nonna usava; il suo profumo era ancora fra quelle mura, fino a neanche cinque giorni prima aveva dormito fra quelle lenzuola e adesso non c’era più; la ragazzina aprì gli occhi e si costrinse a non piangere, si avvicinò alla libreria e ne prese un album di foto, lo strinse al petto e si andandosi  a sedere sul letto in mezzo a tutte le bambole della nonna. Con calma aprì l’albo; era quello preferito della donna, dove teneva le foto dei suoi giocattoli. Foto di bambole le passavano sotto gli occhi, ma una attirò la sua attenzione. I lunghi boccoli biondi, il vestito color crema, un cappellino dello stesso colore del vestito sulla testa: era la sua bambola. Sotto la foto c’era scritto quando era stata scattata, il sedici maggio millenovecentoottantadue: il giorno della sua nascita. La bambola era seduta su una sedia di vimini e aveva in mano un fiore rosa, di cui ad Astoria sfuggiva il nome, e intorno al giocattolo vi erano altri fiori bianchi e rosa. La ragazzina sorrise dolcemente, mentre sfilava la foto dal raccoglitore. Bagnata e sporca si distese sul letto, stringendo al petto la foto, era stanca, e in pochi minuti si addormentò, cadendo in un sonno inquieto, senza sogni, buio e nero, profondo e spaventoso.

 

*****

Una ragazzina di circa tredici anni era seduta sul davanzale della finestra della sua stanza, con le gambe rannicchiate al petto e la testa appoggiata al freddo vetro; studiava la neve scendere candida e soffice dal cielo plumbeo. I lunghi capelli corvini lasciati scendere in leggeri boccoli attorno al suo viso concentrato, gli occhi cobalto persi nell’osservare attentamente il giardino innevato, tanto che non si accorse che una ragazza appena più grande era entrata nella stanza e la osservava in silenzio. La mora si voltò lentamente e incontrò gli occhi giada della sorella maggiore, le sorrise e la giovane si avvicinò a lei.

 

“Ciao, Daphne”sussurrò la ragazza.

 

“Ciao, Astoria” replicò la maggiore sedendosi dinnanzi alla sorellina, stando attenta che il suo vestito smeraldo non si sgualcisse.

Astoria osservò i movimenti delicati della sorella mentre si sistemava una ciocca di capelli color miele che era sfuggita alla sua complicata acconciatura. Sorrise, quanto erano diverse, eppure erano così simili, tutte e due cercavano l’approvazione dei genitori, i quali non le degnavano quasi mai di uno sguardo se non in presenza di amici, per vantasi di quanto fossero belle le loro figlie.

 

“Astoria, dovresti scendere, stanno per arrivare gli ospiti e sai che ai nostri genitori non piace che non accogliamo gli invitati con loro” disse Daphne, appoggiando una mano affusolata sul ginocchio della sorellina facendola voltare di nuovo verso di lei.

 

“Sì, Daphne, lo so” rispose semplicemente lei alzandosi dal davanzale per andare verso il suo armadio e tirarne fuori un vestito blu notte, in fretta lo indossò e si voltò verso la maggiore.

 

“Così va bene?”chiese la mora con voce atona, odiava le feste, odiava gli amici dei suoi genitori.

 

Daphne sorrise e si diresse verso la sorellina, prendendo la spazzola e, facendole segno di sedersi sul letto, iniziò a acconciarle i capelli, i boccoli corvini vennero raccolti in uno chignon leggero lasciando scendere sulla pelle candida delle spalle di Astoria alcune ciocche. La minore chiuse gli occhi mentre la bionda iniziava a truccarla leggermente, pochi gesti veloci e Astoria fu pronta per scendere. 

      Con calma e eleganza le due ragazze scesero le scale sotto gli sguardi distanti dei genitori che stavano finendo di dare gli ultimi ordini agli elfi domestici per la cena.

“Era ora” sibilò la madre delle due, sistemando il vestito a Astoria, non che ce ne fosse bisogno, ma la donna non si fidava della figlia minore.

      Pochi istanti e bussarono al portone principale, i padroni di casa si sedettero sul divano e così imitati dalle  due ragazze, composte, con la schiena rigida e le mani giunte sul ventre, perfette e algide come le più preziose bambole di porcellana, la pelle diafana, entrambe con gli occhi chiari ed i leggeri boccoli setosi raccolti in precise e complicate pettinature; sembravano tanto fragili e delicate nella loro fredda bellezza.

       Gli invitati iniziarono a arrivare, persone su persone che né Astoria né Daphne conoscevano, adulti che le riempivano di complimenti cercando di presentare loro i figli o nipoti, persone false che sorridevano cercando in ognuno dei difetti per poterli usare per loro tornaconto personale. Donne strette in abiti sfarzosi e truccate pesantemente cercando di nascondere il tempo che inesorabile scorreva dando vita alle prime rughe, uomini intenti a parlare di politica e economia, bevendo Whisky Incendiario e fumando sigari.

        Daphne sorrise incoraggiante a Astoria, la quale osservava la scena con sguardo impassibile e annoiato, come tutte le volte che era a una festa; la ragazzina notò un ragazzo circa dell’età di sua sorella avvicinarsi a loro con passo lento e altezzoso, quasi annoiato. La mora lo guardò con strano interesse, il volto pallido, i lineamenti taglienti come il suo sguardo color tempesta, freddo e distante, osservava tutte le persone con un aria di superiorità, come se nessuno fosse alla sua altezza; aveva i capelli biondi, quasi bianchi, che scendevano morbidi e leggeri, lasciando alcune ciocche più lunghe sopra gli occhi; era alto, molto per la sua età, il fisico asciutto gli dava un aria delicata e strana da trovare in un ragazzo

          Il giovane, notandole, le salutò con un semplice gesto della testa mentre si avvicinava sempre di più. Quando si fermò davanti alle ragazze le osservò ancora più annoiato, come se la sua presenza dinnanzi a loro fosse un favore e non un piacere.

 

“Ciao” disse semplicemente Daphne guardandolo con aria annoiata; il ragazzo la fulminò con lo sguardo e lei abbassò gli occhi, come se si fosse appena scottata.

Il ragazzo osservò nella direzione di Astoria e le porse la mano con un gesto fluido e aristocratico.

 

“Io sono Draco e tu sei…?” chiese studiandola dall’alto in basso come se non fosse nessuno. La ragazza ricambiò il suo sguardo, leggermente infastidita dal suo comportamento da padrone del mondo.

 

“Io sono Astoria” affermò la ragazzina, prendendo la mano del ragazzo e stringendola nella sua, un brivido strano le attraversò la schiena, ma lei cercò di non farci caso mentre tentava  di mantenere lo sguardo fisso negli occhi del giovane.

 

“Piacere” rispose lui, per poi invitarle a raggiungere gli altri ragazzi dall’altra parte della sala. Le sorelle lo seguirono in silenzio. Sette ragazzi erano in piedi a parlare a bassa voce in modo molto serio, come se fossero già adulti, benché nessuno avesse più di quindici anni. Un ragazzo dalla pelle scura salutò Draco e Daphne, mentre gli altri si limitarono o a sorridere, nel caso delle tre ragazze, o a un gesto della testa, nel caso degli altri tre ragazzi. Daphne presentò la sorella ai suoi amici, i quali, dopo un primo leggero interesse, ripresero a parlare delle lezioni o di Quidditch. Astoria perse l’attenzione per la conversazione e si sedette sulla poltrona vicino al gruppo e prese dalla tasca interna del vestito la foto della bambola di porcellana, ne accarezzò i bordi con dolcezza e si perse nei mesti ricordi legati a quella foto. Il ricordo della morte di sua nonna era ancora nitido e impresso a fuoco nella sua mente, nel suo cuore; sospirò tristemente, e non si accorse che Draco la osservava con un ghigno maligno sul volto. Daphne cercò di avvertirla, ma Blaise, il ragazzo con la pelle scura che le aveva salutate, la bloccò con un occhiataccia.

          Draco si avvicinò pericolosamente dove era seduta Astoria e, con un gesto veloce e calcolato, le strappò dalle mani affusolate la foto e la osservò per qualche secondo.

 

“Una bambola?”domandò con voce melliflua e strafottente.

Astoria lo guardò con rabbia, ma non aprì bocca, sostenne il suo sguardo derisorio cercando di rimanere calma.

 

“Allora? Non rispondi? Sei proprio una bambina a andare in giro con la foto di una bambola in tasca! Cosa c’è? Hai paura? Ma povera piccolina, corri da mammina così lei ti protegge!” la schernì lui facendo ridere i suoi amici a parte Daphne, la quale lo guardò con odio, esattamente come Astoria.

 

“Ridammi la foto” sibilò questa con freddezza, non molto consona al suo carattere dolce e mansueto, molto simile a sua madre quando la deludeva.

 

“Sentiamo, perché dovrei?” replicò il ragazzo, ghignando malevolmente.

La ragazza non rispose, porse semplicemente la mano nella direzione del ragazzo; gli occhi le si riempirono di lacrime, era l’unico ricordo che era riuscita a sottrarre a sua madre, prima che facesse bruciare tutte le cose di sua nonna.

       Draco incatenò i suoi occhi a quelli della ragazzina, erano di un cobalto intrigante e freddo, profondi e tristi; subito quella ragazza aveva attirato la sua attenzione, così algida e annoiata, e i suoi occhi, così consapevoli, sembravano celare un segreto pericoloso e scottante; in quel momento gli occhi oltremare della giovane assunsero una sfumatura più scura, quasi nera, per via delle lacrime che affiorarono ma che, saggiamente, Astoria non lasciò scendere.

Draco stimava quella ragazzina, non la conosceva, non ci aveva mai parlato, malgrado fosse la sorella di una sua compagna di Casa, ma nei suoi occhi lesse una forza e una determinazione che mai aveva visto in nessun’altra persona; lei, benché fosse più piccola una ragazza, gli stava tenendo testa come nessuno aveva mai osato fare, se non alcuni Grifondoro di sua conoscenza.

        Il giovane si perse per alcuni attimi nei suoi pensieri, abbassando la guardia, Astoria, notandolo, gli strappò dalle mani la foto della bambola e, senza degnare di uno sguardo nessuno dei presenti corse verso l’immensa porta finestra, che dava sul giardino sul retro; con il respiro corto per la corsa si appoggiò all’albero dove anni prima aveva sotterrato la sua bambola, chiuse gli occhi lasciando scendere alcune lacrime per poi asciugarle con rabbia. Chi era quel ragazzino per poterla prendere in giro a quel modo? Chi credeva di essere? Lui non sapeva, lui non la conosceva… Eppure quando aveva incontrato i suoi occhi, prima di correre via, aveva sentito una sensazione di calore e conforto, come se lui in fondo la conoscesse sul serio.

        La ragazza prese un profondo respiro, tenendo gli occhi chiusi, ripensando alla freddezza delle iridi d’acciaio del ragazzo, fredde e distanti, che le sembravano gelide lame indagatrici; profonde e sospettose, la guardavano come se la stessero studiando, come se lui sapesse qualcosa, come se fosse riuscito a catturare ogni suo pensiero in pochi attimi. La giovane si trovò a pensare che gli occhi fossero l’unica cosa veramente bella nel ragazzo; era alto e gracile, troppo magro per la sua altezza, il viso dai lineamenti arroganti e efebici  gli davano un’aria ancora più fragile, grazie anche al suo colorito pallido e i capelli biondi quasi bianchi, ma gli occhi, quegli occhi, così distanti eppure così vicini, freddi ma vivi, l’avevano intrigata: mai si era interessata alle persone, se non a sua sorella e alle poche amiche che aveva, però lui l’aveva affascinata e scossa nel profondo come mai era successo prima con altri.

          La neve scricchiolò sotto il peso dei passi di Draco, che in silenzio si avvicinava ad Astoria, appoggiata a un albero secolare; aveva la testa reclinata all’indietro e gli occhi chiusi, mentre teneva fra le mani la foto che, prima, le era stata sottratta. Il ragazzo si avvicinò ancora e appoggiò la sua mano sulla spalla della ragazza, facendola sobbalzare per la sorpresa e facendole cadere dalle mani la foto.

          Astoria spalancò gli occhi sorpresa e lasciò cadere la foto, la quale finì nella neve fresca, fece per raccoglierla ma si bloccò; il ragazzo la stava fissando in silenzio e lei si sentì inchiodata al suo posto, come se delle catene invisibili la stessero legando, si immerse di nuovo nelle gelide iridi del giovane, il quale sembrava voler catturare per l’ennesima volta tutti i suoi pensieri. La ragazza non abbassò lo sguardo, era intimorita ma non voleva dargli la soddisfazione di vederla cedere come tutti quelli che gli facevano da servi, sempre e comunque, lui li offendeva, li umiliava e loro abbassavano lo sguardo, continuando a stare ai suoi ordini.

          Draco osservò gli occhi della ragazza adombrasi nel’incontrare i suoi, gli venne da sorridere, era intimorita e lui lo sapeva ma non aveva intenzione di prenderla in giro di nuovo, neppure lui si sapeva spiegare il perché, ma non voleva; il ragazzo continuò a fissarla negli occhi mentre con lentezza si chinava a raccogliere la foto. La prese fra le mani e la pulì dalla neve con gentilezza, senza mai distogliere lo sguardo da quello della ragazzina, la quale lo studiava fra lo scettico e l’incuriosito. Il ragazzo le sorrise apertamente, porgendole la foto e lei, involontariamente, gli rispose con timidezza, sentendo le guance arrossarsi leggermente.

 

“Grazie” sussurrò Astoria, prendendo dalle mani del giovane la foto.

 

Le dita affusolate di lei sfiorarono inavvertitamente quelle del giovane e di nuovo un brivido le percorse la schiena, ma lei cercò ancora una volta di non farci caso. Si strinse al petto la foto, come quando era bambina ed era spaventata, come quando aveva bisogno di conforto. Draco sorrise di nuovo e le si avvicinò lentamente, per poi darle un bacio leggero sulla fronte, neppure lui capiva il perché l’avesse fatto, ma lei, così innocente, così bambina, gli faceva tenerezza. Malgrado Astoria fosse arrossita ancora di più, si trovò a sorridere e a pregare perché lui non se ne andasse, perché rimanesse con lei, a farle compagnia. Si diede della stupida, fino a pochi minuti prima aveva sperato che se ne andasse via e la lasciasse ai suoi pensieri, che la lasciasse soltanto in pace, lui che l’aveva presa in giro davanti a tutti dandole della bambina… Eppure, in quel momento, non desiderava altro che lui le stesse accanto, la stringesse con dolcezza e la rassicurasse che tutto sarebbe finito bene.

 

“Non c’è di che” rispose lui, continuando a fissarla negli occhi..

 

Astoria poteva sentire il suo respiro caldo sul suo viso, era vicino, così maledettamente vicino; voleva allontanarlo, ma qualcosa le diceva che non doveva farlo, che poi se ne sarebbe pentita. Il cuore le batteva all’impazzata nel petto e non accennava a voler rallentare la sua estenuante corsa, sentì le sue guance imporporarsi di nuovo di pudico rossore mentre con una mano il ragazzo le sfiorava il volto e faceva passare l’altra dietro la sua schiena facendo aderire il suo corpo a quello di lei. Involontariamente, la ragazza gli circondò il collo con le sue esili braccia attirandolo ancora più verso di sé, il ragazzo la strinse ancora più e delicatamente posò le sue labbra su quelle della ragazza, le labbra del ragazzo erano soffici e rese gelide dal freddo pungente di quella sera di fine dicembre.

         Astoria sentì un brivido percorrerle la schiena, mentre il suo respiro si univa dolcemente a quello del ragazzo che la stringeva a sé egoisticamente e le loro labbra si muovevano allo stesso ritmo sensuale e secolare, una delicata danza silenziosa, uno scambio di anime profondo e dolce come quel piccolo e involontario sentimento che faceva battere i loro cuori sempre più veloci e pieni di vita e voglia di scoprire chi si ha realmente dinnanzi a sé. Il mondo intorno a loro sparì, niente era reale, non c’era nessuno all’infuori di loro.

        Astoria lasciò cadere la foto della bambola nella neve, ancora una volta, quella sera.  

 

*****

“Astoria, Astoria, svegliati!”

 

Una voce lontana. La ragazzina si sentì scuotere forte da qualcuno; Astoria, di malavoglia, aprì gli occhi per incontrare quelli giada della sorella, che stava tentando di svegliarla e dopo molti tentativi, finalmente, ci era riuscita.

 

“Benedetta ragazzina, alzati!”esclamò la maggiore, passandole gentilmente una mano fra i capelli corvini.

 

“Mmh, Daphne, ho sonno!” affermò la mora nascondendo il suo viso fra la stoffa crema del vestito della sua bambola preferita.

       La ragazzina si alzò di scatto… La sua bambola, non era rotta? Si stropicciò gli occhi assonnati e fissò stupita la sua bambola, i capelli biondi le ricadevano in ricci prefetti sulle spalle, il vestito perfettamente candido, il cappello sulla testa e il volto di fine porcellana intatto. Astoria si voltò verso la sorella e la guardò con aria interrogativa.

 

“Daphne… Dov’è la nonna?” sussurrò la giovane scendendo dal letto.

 

“In camera sua a prepararsi, perché?” domandò Daphne guardando sua sorella come se fosse impazzita, forse poteva sembrare, gli occhi pieni di lacrime di gioia, lo sguardo confuso e un dolce sorriso sul volto le davano un aria strapazzata e strana da trovare sul suo viso sempre serio.

 

Astoria si voltò di scatto e iniziò a correre, in fretta aprì la porta della stanza, mentre Daphne la richiamava, ma la ragazzina non la sentì neppure. Continuò a correre fino a che non arrivò dinnanzi alla stanza di sua nonna. Prese un profondo respiro e bussò delicatamente all’immensa porta di mogano scuro.

 

“Avanti” la voce gracchiante e allegra si sua nonna echeggiò nel corridoio, la ragazzina sorrise fra le lacrime, appoggiando una mano sulla fredda maniglia di ottone, aprendo la porta.

       L’immensa finestra aveva le tende aperte per rivelare l’interno della stanza; era tutto come lo ricordava, le pareti di un rosa acceso, il pavimento di parquet chiaro, l’armadio con disegni di fiori e farfalle colorate, lo specchio, le bambole di porcellana, peluche e la libreria, tutto era al suo posto; il dolce profumo di vaniglia le invase l’anima; Astoria sorrise e corse a abbracciare sua nonna, la quale ricambiò l’abbraccio, non le domandò perché piangesse, se avesse voluto dirglielo l’avrebbe fatto lei senza dover chiedere niente. Quando si fu calmata, la ragazzina spiegò tutto alla donna, la quale rise sonoramente e strinse di nuovo a sé la sua dolce nipotina.

 

“Oh, bambina mia, non ti lascerò mai… Te lo prometto” le sussurrò all’orecchio prima di darle un bacio sulla fronte e dirle di andare a prepararsi per la festa che si sarebbe svolta di lì a poche ore.

       Mentre Astoria si dirigeva verso la sua stanza, si ricordò quel che era successo. La notte precedente non aveva dormito. Insieme a sua nonna, aveva indetto una veglia per la morte del suo gatto; la ragazzina iniziò a ridere, le sembrava una cosa così stupida, eppure la sera prima le era sembrata tanto sensata. Si diede della sciocca, ma non le importava, era felice, sua nonna era lì con lei e stava bene, aveva iniziato Hogwarts con sua sorella e adesso erano a casa per le vacanze natalizie, sembrava che tutto fosse perfetto, esattamente come se lo era sempre immaginato…

Però sentiva che mancava ancora qualcosa, ma non riusciva a capire cosa.

        Circa un’ora dopo la giovane era pronta per scendere con sua sorella, perfettamente truccata e vestita, sembrava una di quelle bambole di porcellana che sua nonna tanto amava.

        Daphne raggiunse Astoria e assieme scesero le scale per dare il benvenuto agli invitati. Persone che nessuna delle due conosceva, si presentavano, loro sorridevano e li intrattenevano per qualche minuto, prima di passare ad altri invitati.

        Astoria si voltò verso la porta finestra che dava sul giardino sul retro; stava incominciando a nevicare. Ma l’attenzione della ragazza fu catturata dalla figura longilinea di un ragazzo appoggiato allo stipite della porta. I capelli biondi, quasi bianchi, abbastanza lunghi da potergli ricadere sugli occhi, la pelle diafana e i lineamenti del volto arroganti e quasi femminili, la postura altezzosa e annoiata…

          Lui, il ragazzo del sogno.

Come in trance si avvicinò al ragazzo e lo guardò in silenzio; lui alzò lo sguardo, incontrando gli occhi di Astoria, la quale sobbalzo leggermente. Sì: era lui, quegli occhi così gelidi e profondi, taglienti come lame d’acciaio. Lui la guardò con superiorità, sicuro di intimidirla, ma lei non si scompose e continuò a fissarlo in silenzio.

 

“Io sono Draco e tu sei…?” domandò, porgendole la mano.

 

“Io sono Astoria” affermò la ragazzina, prendendo la mano del ragazzo e stringendola nella sua; di nuovo quella sensazione di calore e conforto le pervase l’anima, mentre lo strano brivido familiare le percorse la schiena.

          Sì, ora sapeva cosa le mancava… E non se lo sarebbe fatto scappare, non più, adesso sapeva cosa le serviva per essere veramente felice: lui.

 

 

 

 

 

  
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