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Autore: G K S    09/11/2014    1 recensioni
Agorafobia, demofobia, acluofobia, sociofobia, fobofobia, agyrofobia.
Queste sono tutte le facce di Kell, tutti i suoi demoni, tutte le sue fobie.
L’unica cosa che ha sempre potuto fare è resistere, contro ogni convinzione e anche contro il suo stesso volere, ha quasi diciassette anni e l’unica cosa che vorrebbe fare è vivere.
E dove finisce? Beh, il Quattrocentoventisette è un istituto correttivo per ragazzi affetti da fobie, proprio come lei. Troverà Cecely, Victor e anche Jeh, il fantasma del suo passato, il ragazzo sfigurato con l’occhio di vetro che non ha mai dimenticato e le cose per lei non sembrano andare troppo male...
Solo che le cose non sono esattamente come sembrano, anzi, le cose in realtà sono ancora più complicate di quelle che sono...
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- minuscolo spazio autrice - 
Rieccoci con un altro capitolo, questo in particolare è un po' la via di mezzo, lancia gli eventi che spazzeranno via tutto (comincia l'evoluzione) e quindi per questo è molto importante. Vi consiglio di fare molta attenzione alle parole di Lucy durante il suo interrogatorio, magari riuscirete persino a captare qualcosa a cui la mia Kell non ha neanche pensato. Baci baci.
















15. Dialogo



Lucinda Fitzvellian sedeva rigida dietro la sua scrivania. Portava i capelli castano chiaro ordinatamente stretti in una treccia, aveva delle occhiaie spaventose si rese conto Kell, le ricordò se stessa nel periodo nero in cui era stata costretta ad andare a scuola ogni giorno per evitare di perdere l’anno, era chiaramente distrutta.
Lucy li aveva fatti accomodare davanti a lei e dopo si era chiusa in un mutismo riservato scuotendo la testa ripetutamente ogni tanto, come per dissuadersi a non alzarsi e andare via.
Sapeva che Lucy era claustrofobica, non sapeva fino a che punto, osservando il modo in cui si muoveva e come intelligentemente aveva spostato i mobili della camera Kell capì che doveva averlo fatto per dare l’impressione che quel piccolo spazio fosse più largo.
Kell voleva che fosse lei a parlare, nessuno di loro doveva cercare di cavarle parole di bocca solo domande e osservazioni, niente di più.
«Allora.» Incalzò Anluan, era seduto accanto a Kell perché quel pomeriggio avrebbe avuto il suo pieno sostegno.
«Sai già perché siamo qui.»
Lucy annuì e il suo sguardo triste e insieme combattivo la spinse a proseguire.
«Vogliamo la tua versione, nel modo più insindacabile che ti riesca, la tua verità, quello che hai creduto, quello che sai, quello che hai sperato; non possiamo dirti il perché ma possiamo dirti che se ci aiuterai dopo non potrai pentirtene, ma di questo sei già cosciente, non è vero?» Era pur sempre la verità.
Lei non rispose.
«Non ti da fastidio se registro quello che dici vero?»
«No.» 
Kell fece finire il telefono nel mezzo della scrivania con un semplice gesto della mano, pronto a registrare il suo racconto.
Lucy annuì, ancora inghiottendo la saliva, si schiarì la voce e cominciò a parlare, placidamente, fin dall’inizio.
Mentre Kell, con in testa tutte le parole lette sul diario di Michael le confrontava sperando di riuscire a vedere le due facce di entrambi i punti di vista.
«Sono stata amica di Cat fin da quando è arrivata al Quattrocentoventisette ma nell’ultimo periodo... quando lei e Emeric avevano chiuso definitivamente... lei non è più stata la stessa. Certo, sapeva che Nikki stava macchinando contro di lei, non capiva come e infondo neanche perché...» Tirò su un respiro profondo e si schiarì la voce, c’erano cose che già sapevano ma era importante che lei senza esserne cosciente le confermasse o le smentisse da de.
«Nikki... lei voleva Emeric, ve ne sarete accorti anche voi ma... durante il tempo in cui era davvero amica di Cat deve essersi accorta del divarico abissale che Em metteva tra loro due, io gliel’ho detto chiaro e tondo prima che si mettesse a macchinare contro Cat. “Finché lei sarà presente nella sua vita nel bene o nel male Em non potrà vedere nient’altro che lei, sai come sono fatti e si corrispondono alla perfezione Nikki, hanno dei progetti, lo sai” così le ho detto.»
Kell si ritrovò a pensare all’aspetto “romantico” degli aventi che effettivamente si erano succeduti nei due mesi precedenti alla morte di Catherine. Attraverso il diario di Michael quell’aspetto era messo in luce dalla brutalità delle sue parole a volte anche ironizzata ed era difficile pensare che nonostante tutto Emeric e Catherine fossero innamorati, per un po’ quella verità le era quasi passata di mente.
«Poi è arrivata la rivelazione, il fatto che Cat dovesse andare via perché i suoi non potevano pagare la retta, ha distrutto tutti gli equilibri, lei stessa faticava a crederci all’inizio.
Se Rang non avesse voluto fare questa specie di regalo ai genitori di Cat a causa di questi tre anni di pagamenti ineccepibili forse a quest’ora non staremo qui a parlarne, per Rang Cat doveva uscire da questo posto mentalmente pulita, priva da strane fobie – che non aveva – da spiegare in giro, per questo hanno voluto farle fare il test e si è alzato un polverone indicibile, nessuno usciva da questo posto quattro mesi prima della fine della scuola da quando Rang è diventato dirigente, e poi inspiegabilmente Catherine fallì quel test, ve lo ricorderete, Nikki le aveva messo addosso un’ansia indicibile, Rang forse ci aveva ripensato, non lo so…»
Fece una pausa, lanciando uno sguardo al telefono che captava il suono della sua voce facendo rimbalzare la lineetta dei suoni costantemente, poi riprese a parlare, questa volta di fatti già più o meno noti: «Finito l’ultimo anno qui, Cat e Emeric volevano andare a farsi una lunga vacanza in qualche spiaggia sperduta ai limiti del fiabesco, per poi andare alla stessa università non appena l’anno scolastico fosse ricominciato, i loro genitori sapevano ed erano d’accordo. L’idea era quella, e sarebbe andata proprio così, potete credermi.» Lucy si rimboccò una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro, Kell con la coda dell’occhio vide Cecely rigida sulla sedia accavallare le gambe, strette nei sui stivali di pelle stringati con troppa forza, distolse lo sguardo.
«E’ proprio in quei momenti – e solo in quei momenti in realtà – Nikki cominciava a rendersi conto che se avesse voluto avere davvero un’occasione con Emeric allora doveva essere proprio allora. Era lecito, secondo me, Cat doveva tornarsene a casa, Nikki poteva tentare di farsi notare davvero da Emeric, le consigliai di avere pazienza, dopo che Catherine fosse andata via avrebbe avuto la sua occasione.»
«Non pensavi che Emeric l’avrebbe respinta?» Chiese Cecely con un tono un po’ troppo irritato vista la calma con cui Lucy raccontava i fatti.
«Lo pensavo sì, ma non mi sembrava giusto ripeterle ancora che Emeric vedeva solo Cat, anche perché visto che lei non sarebbe stata fisicamente presente difficilmente Nikki poteva essere eclissata dal suo fantasma
Il suo fantasma non l’ha affatto eclissata, tutt'altro, Nikki alla fine aveva ottenuto quello che voleva, si ritrovò a constatare Kell.
«Prosegui.»
Lucy annuì schiarendosi la voce. 
«Tutto è iniziato circa cinque settimane prima della morte di Cat. Nikki era determinata, irremovibile e l’unico modo per fare quello che desiderava era mettere Cat in cattiva luce agli occhi di Emeric.»
«Se lo sai con questa certezza assoluta.» Disse Kell prendendo la parola: «Come mai non l’hai messo in guardia?»
Lucy scosse la testa come se non sapesse neanche lei che cosa fosse successo nel suo cervello in quei momenti: «A distanza di tempo non so esattamente quante falsità lei gli avesse raccontato, nel momento in cui succedeva non mi rendevo neanche conto di quanto Nikki lo influenzasse, avvertirlo non sarebbe servito a niente, le cose che lei gli raccontava potevano essere credibili, so che lui le credeva, ne ho la certezza.» Continuò: «Qualsiasi cosa cercasse di fargli credere era stata prima pensata a lungo.»
«Qualche esempio?» Chiese Anluan lanciando un’occhiata al telefono intento a registrare la conversazione.
«La famiglia di Em è veramente molto molto ricca, dopo gli sviluppi della vita di Cat la prima cosa che Nikki ha pensato di fare è stata fargli credere che Cat sapesse perfettamente che i soldi in casa sua stessero finendo e che quindi cercasse di ingraziarsi lui solo e unicamente perché poteva renderla di nuovo ricca, quindi in definitiva gli fece credere che lei non lo avesse mai amato. E poi, sapete, Cat era una splendida ragazza, da tutti i punti di vista, le persone la amavano, tutti, indifferentemente da cosa rappresentasse per loro, avrebbe avuto successo nella vita anche questo è vero ma i soldi erano importanti per lei.» Lucy fece spallucce come per lasciare intendere che ognuno poteva avere i propri difetti.
«So anche che gli fece credere che Cat avesse avuto una relazione con altri mentre stava con lui.» Alzò gli occhi al cielo: «E questa era un’assurdità! Nella rosa dei prescelti da Nikki c’era anche Michael, il migliore amico di Emeric.» Specificò Lucy scuotendo la testa tristemente: «Ha messo Em nella condizione di non potersi fidare di altri che di lei e lui è monofobico.» «Paura della solitudine.» Constatò Kell.
«Esattamente. Così, mentre tutti i punti fermi di Em crollavano  al suolo come mele mature Nikki era l’unica persona di cui credeva di potersi fidare e di cui si fidava... credo che nell’ultima settimana io e Em avessimo parlato e stento due volte, lui e Cat si guardavano a stento in faccia... era semplicemente mortificata,  io e Catherine pensavamo che Nikki avesse finalmente affondato gli artigli su Em, per questo non abbiamo fatto niente.
E sapete cosa registrò il cervello attento di Nikki pronto a passare il testimone a Em?» Domandò ridendo lievemente, preparandosi a rispondersi da sola: «Ammissione di colpevolezza, non lo cercavamo più non perché lei ci permettesse a stento di parlargli ma perché ci sentivamo colpevoli, lo ha convinto persino di questo. E’ affondato così.» 
Kell si sentiva abbastanza soddisfatta, stava quasi per allungarsi per afferrare il telefono e bloccare la registrazione, Victor però glielo impedì.
«Come hai appreso queste informazioni?»
«Le ho semplicemente dedotte, conoscevo bene Em e conoscevo altrettanto bene Nikki anche se non immaginavo... e riguardo le cose che ha raccontato a Emeric riguardo Cat, me le ha confessate Nikki in persona una settimana prima che Michael la accoltellasse. Io e lei non stavamo da sole insieme da non so quanto e dato che sapeva che io sapevo, non si è fatta problemi a confessarmi fieramente qualcuno dei suoi trucchi più brillanti.»
«Quindi non hai avuto possibilità di parlare con Emeric dopo la morte di Catherine?»
«Ne avrei avute se avessi voluto, ma sapete cosa?» E si rivolse a tutti loro staccando lo sguardo dagli occhi azzurri di Victor.
«Anche se è stata Nikki a spingerlo a farlo è stato lui a uccidere Catherine e non volevo parlare con l’assassino della mia migliore amica.»
«E quel picnic all’aperto quando Michael ha accoltellato Nikki cos’era?»
Lucy sbuffò, per la prima volta quel tardo pomeriggio:
«Michael aveva già deciso di accoltellare Nikki quando mi ha supplicato di andare a pranzo con quei due psicopatici sapevo o perlomeno immaginavo come sarebbe andata a finire, ci sono andata per questo.»
«Bene!» Si affrettò a dire Kell.
«Abbiamo finito? Sono molto stanca» Il suo sguardo lasciava intendere che non avesse nessuna intenzione di continuare quel discorso ma Kell non se la sentì proprio di opporsi, quello che aveva raccontato sarebbe stato più che utile.
Forte intuito, forte spirito critico, forte istinto di auto-conservazione, quella ragazza per quando gracile e apparentemente tranquilla celava una seconda faccia da cinica.
Quasi tutti loro erano già usciti fuori dalla sua porta verde, la ragazza stava dalla parte opposta, appoggiata allo stipite, Kell si fermò e fece bruscamente marcia indietro.
Aveva proprio voglia di togliersi una curiosità, qualcosa le disse che se non l’avesse fatto adesso difficilmente avrebbe scoperto qualcosa di interessane su Michael l’accoltellatore Mr Sangue Freddo e la sua amica pronta ad andare a un appuntamento con il Sangue Fresco.
«Posso farti una domanda? Non vorrei essere indiscreta...»
Lucy sorrise, alcune rughette d’espressione le colorarono il viso: «Chiedi pure, non preoccuparti.»
Kell vide gli altri allontanarsi e le sorrise di rimando, timidamente, come non era più abituata a fare da molto.
«Tu... e Michael?» Chiese Kell lasciando la frase in bilico.
Le rughette d’espressione si moltiplicarono sul viso di Lucy: «Magari.» Rispose lei: «Ma suppongo non lo rivedrò mai più quindi…»


«Ma perché gliel’hai chiesto?» Jeh sembrava talmente allibito che per un attimo a Kell venne voglia di tirargli una cuscinata in testa.
«Michael mi da l’impressione che Lucy gli piaccia. Lo sai, ora sono costretta a leggere anche delle loro chiacchierate personali per assicurarmi che non si dicano niente di utile alle indagini e lui mi ha dato quest’idea.»
Forse non era davvero così, si ritrovò a pensare Kell dubbiosa, ma il racconto di Lucy li aveva scossi tutti, sarebbe stata dubbiosa anche se avesse dovuto scegliere tra pistacchio e stracciatella.
«Anche secondo me, e io lo dico perché li ho visti.» Fece Cecely intervenendo. 
«Anch’io li ho visti.» Kell le sventolò il diario di Michael sotto il naso, Cecely alzò gli occhi al cielo.
«Anche se trovo sospetto il fatto che lui non abbia mai ammesso la cosa per iscritto...»
Jeh annuì come se lei avesse appena chiarito la faccenda da sola: «Tu non pensi che a Michael piacesse Lucy, tu vorresti che fosse così, è un concetto ben diverso.»
Cecely guardò il ragazzo con l’occhio di vetro sconcertata, in effetti neanche Kell capiva perché lui fosse così infastidito da quell’intromissione. 
«Niente ti da questa sicurezza.» Lo rimbeccò Cely.
Jeh non demorse: «Sto leggendo tutto quello che Michael ha scritto, se fosse stato fissato con Lucy sicuramente ne avrebbe  almeno, dico almeno parlato di più, non vi pare?»
Le parole di Jeh stupirono Kell ancora ma prontamente si preoccupò di non darlo a vedere, assunse un cipiglio scettico: «Ognuno di noi reagisce in modo diverso, non è detto, magari aveva paura che qualcuno leggesse il suo diario e non voleva che si sapesse.»
«E perché mai?» Persino Cecely pareva improvvisamente meno convinta.
«Magari non immaginava neanche lontanamente che Lucy ricambiasse.»
Cecely e Jeh la guardarono per qualche secondo, poi lui abbandonò mollemente la testa sul cuscino: «Non riesco a credere che ne stiamo davvero parlando.»
«Già.» Cecely si sdraiò al suo fianco per dargli una gomitata nelle costole: «Dovremmo cominciare a strizzarci il cervello con uno spremiagrumi per capire come incastrare Emeric e invece parliamo delle tragedie sentimentali altrui, deplorevole!»
Kell si ritrovò a risponderle seriamente: «Dai tempo al tempo, ho mandato le foto del diario alla Urlik con la registrazione della chiacchierata con Lucy, sarà lei a dirci cosa fare... non so neanche come farò a dormire stanotte, ho tanti di quei pensieri per la testa...»
Mandando i documenti alla poliziotta era stata certa delle sue parole, ora non ne era poi così tanto sicura, lei era fuori, loro erano dentro, chi meglio di loro avrebbe potuto farsi un’idea di come incastrare il ragazzo? Certo con Nikki nei paraggi però...
«Dovremo farlo confessare.» Suggerì Jeh. 
Lui e Cecely la guardavano speranzosi, a Kell venne da ridere.
«Ci pensiamo io e Jeh a farlo cantare. Tu potresti fare il poliziotto buono e io quello cattivo.» Cominciò Kell preparando una battuta in quattro e quattr'otto: «Sì, perché no? Potrebbe funzionare! Mi ci vedi con la benda da pirata sull’occhio?» La risata di Jeh intorpidì la stanza, le sue parole avrebbero potuto irritarlo, un tempo forse sarebbe stato così Kell ne era cosciente.
Cecely non si fece aspettare con il suo commento propizio: «Magari se nel gruppo avessimo l’erede della Strins potrebbe funzionare
E Vic fece finalmente irruzione tra loro, i suoi capelli biondi portarono un’ondata di freschezza nella stanza incupita dalla poca luce serale; era andando a prendere la cena sotto, sfruttando il permesso offerto dall’istituto di cui Kell la prima volta che avevano mangiato in camera non sapeva assolutamente niente.
«Argomento interessante?»
«Le tragedie sentimentali sono sempre interessanti.» Gli disse Cecely annuendo vistosamente, Vic alzò gli occhi al cielo, esasperato forse meditando già di fuggire via, era ormai chiaro come ci tenesse a tenere nascosto quanto più possibile delle sue di tragedie; per questo a Kell sembrò proprio come se si fosse ritrovato in mezzo a un mucchio di esaminatori con la lente d’ingrandimento in mano.
«Le tragedie sentimentali esattamente di chi di voi tre?» 
«Beh, ora è il momento di Cecely.» Rispose Jeh per tutti.
«Ah! Fantastico.» Vic lasciò il vassoio ai piedi del letto e si sedette di fronte a Kell a gambe incrociate, guardò Cely e Jeh stesi sul letto con un cipiglio ironico, incapace di scappare.
«Ditemi, era già arrivata al drammatico momento in cui si rese finalmente conto che Emeric Allord era l’uomo della sua vita?» Kell annuì causticamente: «Almeno venti minuti fa Vic, ormai te lo sei perso quel punto.»
Victor sfoggiò la miglior espressione finto-addolorata che Kell avesse mai visto: «Che sfortuna! Stavo giusto pensando di volere immergermi nelle atmosfere romantiche e drammatiche dei film con Sandra Bullock, la voce di Cecely che ci racconta i suoi struggimenti interiori la prima volta che ha visto Emeric e Catherine insieme: “Oh! Quale disgrazia! Come potrò mai competere? Non ho proprio speranze! Oh, lui è così perfetto, oh perché, perché perché!”»
Kell e Jeh cercarono di non ridere, ma l’interpretazione vocale di Victor con annesse le occhiate gravi lanciate alla povera Cecely erano una chicca troppo esilarante.
«Eri ridotta così male Cecely?» Domandò Kell, aspettandosi di vederla saltare seduta pronta a negare tutto.
«Qualcosa del genere.» Ammise. 
Jeh ancora trattenuto dal suo braccio si portò una mano in viso ridendo sommessamente.
«Anche se non ricordo di aver mai definito Emeric l’uomo della mia vita.» Aggiunse: «Se l’avessi detto ora sarei seriamente preoccupata per la mia già piuttosto traballante sanità mentale.»
«Non potevi sapere quello che sarebbe successo.» Tentò di rassicurarla Kell, ma Cely continuò imperterrita: «La verità è che non sapevo assolutamente niente di rilevante di Emeric, e quello che ha detto Vic, anche se non l’ho mai confessato ad alta voce...» Specificò guardandoli tutti e tre a turno: «E’ fondamentalmente vero, non me ne rendevo neanche conto nel momento in cui succedeva, non volevo ammetterlo ma era così.»
Jeh sfoderò un’espressione a dir poco soddisfatta: «E’ meraviglioso che tu l’abbia accettato, è un ottimo modo per pensare di ricominciare da capo, magari...»
«L’ho già fatto.» Fece Cecely: «Veramente ragazzi.» E a quel punto a Kell sembrò quasi che parlasse direttamente a Kell e Jeh lasciando Victor in disparte: «Non mi serve un’altra paternale, Emeric non significa più niente per me, ho ricominciato, ve ne siete accorti anche voi, ho aperto gli occhi finalmente, ci ho messo una pietra sopra e, cosa ancora più importante non crucciatevi, ho compreso la reale importanza di quello che invece ho già, qui con me.»
A Kell venne un improvvisa e abbastanza irriguardosa voglia di gettarle le braccia al collo, evitò di farlo con uno sforzo quasi sovrumano, sorrise imbambolata scrutando il sorriso soddisfatto di Jeh, quella di Cecely, glielo lesse praticamente in faccia oltre le increspature della lunga cicatrice era una specie di ammissione.
Per quello non avevano bisogno di confidarsi in quel tipo di discorso, erano abbastanza sveglie da capire da sole.
«E tu Vic?» Domandò Kell sorridendo giovale.
Lui aveva esattamente la stessa aria di uno che ha appena ricevuto una botta in testa, anche piuttosto forte: «Cosa?» Si infilò una mano tra i capelli come faceva sempre quand’era in ansia.
«C’è qualcuno per te?»
«Questo a lei non l’avete chiesto però...» Sbottò, già il fatto di metterlo in ansia a quel modo era un ottimo fatto se Cecely era presente.
«Non c’è ne stato bisogno.» Disse Jeh e poi lui e Kell tossirono rumorosamente mentre Vic teneva lo sguardo basso sul copriletto, mortificato quanto Cecely che immediatamente diede una gomitata nelle costole al povero Jeh.
«Allora, i tuoi struggimenti sono almeno al livello di quelli di Cely?» Gli chiese Kell, mentre lui faceva attenzione a non far vagare lo sguardo nella stanza come faceva di solito: «Sono venustrafobico, i miei struggimenti superano quelli di Cecely.»
Jeh gli lanciò un’occhiata ironica: «Forse volevi dire che ERI venustrafobico.» 
«No.» Disse Victor implacabile: «Lo sono ancora, solo perché   Itsuko, Kell e Cecely non mi vanno venire voglia di scappare via urlando non significa...» «Non significa neanche che solo perché sei venustrafobico non ti puoi inn...» «No, no certo.» Ammise Victor senza lasciar finire a Kell neanche l’ultima parola: «Lo sapete che non volevo dire questo anche se non credo che riuscirò...»
«Sappiamo perfettamente che non intendevi quello Vic, non c’è motivo per cui dovresti negare, anche per quanto riguarda altre cose...» Jeh lasciò la frase in sospeso così, Kell gli lanciò uno sguardo determinato, loro due insieme senza neanche dirselo avevano già deciso come agire.
«Quindi non c’è nessuno che ti interessa?»
Jeh faceva ancora una volta leva sulla mancata capacità del ragazzo di mentire facilmente su argomenti spinosi, tutto il contrario di lei, per lei era complicato evitare di mentire su argomenti spinosi.
«Io... non ho detto neanche questo.»
Kell annuì dandogli una pacca su una spalla: «Quindi c’è qualcuno che ti interessa.»
«Ma se lo sapete già perché me lo state chiedendo?»
«Per metterti in difficoltà.» 
Kell vide Cecely pescare una foglia d’insalata dal vassoio e sorridergli tranquillamente: «Non te la prendere, ne Kell ne Jeh sono messi meglio di te, e di me.» Dopo di che Cecely si mise seduta e sistemò il vassoio tra loro quattro.
Jeh e Kell impietriti la fissavano con la piena consapevolezza  ritrovata che a Cely non servisse il loro aiuto, neanche per schiarire le acque.
Sapeva già quanto tempo a Victor sarebbe servito, anzi, forse non lo sapeva e non sembrava importargliene.
«Che ci volete fare…» La ragazza alzò le spalle: «E’ adorabile che cerchiate di aiutare gli altri con le proprie tragedie sentimentali.» Cecely scrutò Kell e Jeh inghiottendo un boccone d’insalata appena condita: «Veramente, in un certo senso lo apprezzo, significa che non vi va di assistere imperturbabili…» Vic la guardava sconcertato, gli altri due non sapevano cosa dire. «Però non so che fareste voi, se io e Victor ci mettessimo a fare lo stesso...»
Kell alzò un sopracciglio scettica – aveva compreso a pieno la parole di Cecely, e anche Jeh visto lo sguardo corrucciato che aveva in quel momento – ma forse una mano non le avrebbe fatto proprio schifo ecco... 
Respinse quel pensiero così com’era venuto, una cosa del genere l’avrebbe quantomeno fatta contorcere dall’ansia, certamente non aiutata.
Cominciarono a cenare, silenziosamente, sfamandosi, con un milione di pensieri dubbi e certezze per la testa. Quel silenzio non infastidiva Kell ma forse metteva qualcun altro: Victor in difficoltà: «Imbarazzante.» Commentò, dando un morso al pezzo di carne che si era appena tagliato.
Cecely lo guardò, sembrava stranamente contenta, sicuramente in difficoltà in una situazione che la prendeva talmente in prima persona da non permetterle neanche di scappare ma comunque contenta, un nuovo dubbio si insinuò nella mente di Kell; forse lei non era certa che Vic avesse in testa la stessa cosa che sfiancava lei, ma ora...
«Già.» Fece Cecely dandogli una spilla con la spalla, lui sorrise, meno incordato di prima, i capelli biondi prudentemente rimessi a posto da una Cecely sorridente come Kell non la vedeva da parecchio tempo. 
Lei e Jeh ridacchiarono per tutta la sera, mettendo da parte le strategie “militari”, per fare gli adolescenti normali di un istituto psichiatrico. A Kell quella normalità piaceva, più di quanto fosse lecito forse.


Il suo sonno leggero non veniva destato con tanta violenza dalla “caduta” di Catherine. Le ci volle un momento per registrare nel suo cervello l’idea peggiore che le potesse passare per la testa: qualcun altro è caduto di sotto, qualcun altro è stato spinto.
Poi non capì come le fosse venuto in mente, in quei due nano secondi in cui non aveva registrato correttamente il suono fastidioso della suoneria del telefono.
Scattò in piedi mettendosi seduta, accecata dal buio si sbrigò a accendere la luce del letto, sul comodino la suoneria e la vibrazione inserite vennero brutalmente interrotte dall’entrata della chiamata.
Se qualcuno l’avesse sentita... ma le camere erano insonorizzate, che andava a pensare, se aveva sentito Catherine cadere era stato a causa dello schianto sfolgorante e della finestrella con le sbarre che andava per l’esterno, di solito gli studenti la lasciavano aperta.
«Si?» 
«Kellan, ti ho svegliata?» Kell diede un’occhiata all’orologio sul comodino, le tre e mezza di notte, che cosa avrebbe dovuto fare alle tre e mezza di notte se non dormire?
«Non importa, dimmi pure tutto, è...» Si rese conto in quel momento: «E’ successo qualcosa?»
La Urlik con la sua voce femminile e cortese sospirò: «Ho parlato fino ad adesso con una persona... non posso dirti di chi si tratta però, ha delle conoscenze all’interno del Quattrocentoventisette, e questa persona ha saputo dal suo informatore che Emeric Allord...» E il cervello di Kell guizzò verso l’apice dell’attività celebrale di quella notte: «Dovrebbe essere rimosso permanentemente dall’istituto entro la fine del mese.»
«Emeric se ne va?» 
«A meno che qualcuno non lo convinca a rimanere con la forza.» La Urlik sputò fuori la frase tranquillamente.
Kell, presa alla sprovvista rispose: «Fammi capire. Tu vuoi che lo convinciamo a rimanere?» La donna rise nervosamente: «No, ti sto dicendo che Nikki potrebbe “convincerlo”, spingerlo, costringerlo a rimangiarsi la sua decisione con la forza, forse è stato davvero Emeric a uccidere la ragazza come tutti state suggerendo ma certamente non propriamente di sua iniziativa, Nikki potrebbe fare qualunque cosa, è imprevedibile, sei stata tu stessa a dirmi che aveva un atteggiamento a dir poco possessivo nei suoi confronti, ho ascoltato la registrazione del vostro colloquio con Lucinda; mi rendo conto che per voi la faccenda possa essere quasi chiusa ma non abbiamo prove concrete, nessuna prova concreta eccetto le dichiarazioni opinabili di qualche ragazzo. No, non basta, e Emeric non deve rimetterci la vita a sua volta, se è stato lui dovrà pagare ma...» «Ho capito.» La interruppe Kell rannicchiandosi nel suo letto, la morsa allo stomaco si faceva sempre più forte: «Se Emeric se ne va come facciamo a incastrarlo? Come facciamo a estorcergli una confessione se non è più qui?»
«Non può andare via Kellan, neanche se Nikki non dovesse fare la pazza, se va via è finita, per noi, per le indagini, non potremo più corrergli dietro...»
«Mi stai chiedendo di entrare in contatto con lui, non era nei piani...» «Non c’è mai stato un piano Kellan.» La Urlik la riprese tristemente: «Niente arma del delitto, un movente puramente psicologico, testimoni coinvolti fino al collo. Se avessimo potuto fare un’indagine accurata Emeric avrebbe confessato la sua colpevolezza, ma la situazione non ci permette di arrivare a questo punto.»
«Lo sai che questo posto ha più segreti di quelli che sembra avere?» «Sì, lo so Kellan.» Il tono della Urlik d’improvviso divenne grave.
«Cerca di capire, so che l’idea non può piacerti ma è l’unico modo per andare avanti, entrare in contatto con loro, direttamente, conoscili, scoprili al meglio che puoi, che potete, ti prometto che non te ne pentirai anche per quanto riguarda gli altri segreti di questo posto... Se Emeric ha ucciso una volta in quel modo non lo farà di nuovo, non può esserne in grado, è emozionalmente distrutto è quello che dicono gli psicologi o sbaglio?»
«Non sbagli.» Di questo Kell era certa e una parte di lei si stava già muovendo per lanciarsi all’attacco come se quello che le stavano chiedendo non fosse un dato di fatto appena acquisito ma qualcosa di cui in realtà era stata cosciente fin dall’inizio.
«E come... dovremmo scegliere qualcuno di noi disposto a recitare questa parte.» Il pensiero corse veloce verso Anluan e Itsuko, poi addirittura verso se stessa.
«E Nikki, non dimenticare Nikki, dovrebbe essere più facile con lei, e se prendi Nikki prendi anche Emeric.»
«Giusto.» Kell annuì sempre più convinta.
«D’accordo, allora...»
E qualcuno bussò alla porta. 
Il battito cardiaco di Kell, in pieno tumulto fece una pausa spaventosamente lunga: «Aspetta.» Bisbigliò nella cornetta.
Infilò il telefono sotto la coperta e si alzò in piedi, con il cuore che neanche a dirlo ora batteva talmente forte da averla scossa da brividi di paura.
Afferrò la maniglia della porta azzurra. Aprì la porta, soltanto uno spiraglio, per permettersi di vedere chi fosse la persona che aveva bussato, mentre i suoi pensieri correvano già alla guardia notturna che nonostante le pareti insonorizzate poteva aveva udito gli squilli del telefono.
Ma si sbagliava.
Era Jeh.
Lo afferrò per la manica del pigiama e lo spinse nella stanza: «Mi hai fatto venire un colpo, maledizione Jesse!» Urlò sottovoce Kell sentendosi una specie di Cecely un po’ più alta, per altro, non lo chiamava mai Jesse.
Il sopracciglio nero coperto dalla benda rossa si sollevò leggermente oltre il bordo: «Ho visto la luce accesa e allora...» «Ssh!» Gli intimò Kell.
Raggiunse di nuovo il telefono frugando tra le coperte e mentre Jeh si sedeva sul letto guardandola confuso per poi appoggiare la testa al cuscino stancamente, intanto lei riprendeva a parlare con la Urlik mentre il ragazzo comprendeva.
«Capisco che volessi dirmelo subito ma la prossima volta chiama nel pomeriggio... magari dopo le cinque.» «Avevo bisogno dell’assoluta certezza di trovarti subito e non potevo aspettare, ogni minuto è prezioso, è arrivato qualcuno?»
«Tutto a posto, abbiamo finito?»
«Direi proprio di si, e mi aspetto di avere novità sul diario di Michael, domani spero.»
Si salutarono alla buona, poi Kell riattaccò.
Si sporse oltre Jeh per rimettere il telefono dentro al cassetto del comodino; buttò la testa all’indietro affondandola nel cuscino, in uno stato praticamente devastato, incapace di parlare.
«Sai che ora dovrai spiegarmi tutto?» Fece Jeh, tirando su un mucchio di coperte sotto suo preciso ordine manuale, ricoprendoli entrambi fino a quando l’ultimo lembo grigio di pigiama scoperto non sparì sotto il lenzuolo.
«Emeric vuole lasciare l'istituto, dobbiamo fermarlo, impedire a Nikki di cercare di ammazzarlo, spingerlo a confessare e se possibile farceli amici, altrimenti col cavolo che ci danno retta, il tutto entro la fine del mese... niente di straordinario.»
Jeh, steso dal lato sinistro del suo letto strabuzzò gli occhi, o meglio, l’occhio grigio brillante, la parte di cicatrice non nascosta dal cuscino gli si era stirata sulla faccia mentre sul collo si ripiegava in mille versi differenti.
«Scherzi Kell?»
Si seppellì alla svelta sotto il cuscino. 
Naturalmente era contentissima che lui fosse lì, ma magari se fosse arrivato due minuti dopo la fine della conversazione avrebbe potuto fare finta di niente.
Ecco, appunto, magari.
«Quindi...» Tentò lui, parlando a bassa voce: «E’ il momento di entrare nella vita dei sospettati.» Kell annuì togliendosi il cuscino dalla faccia e guardando il soffitto: «Non credevo saremmo arrivati a un punto così disperato, ma non possiamo lasciare che Emeric vada via, se lo fa, è finita.» Jeh sorrise appena: «Beh, ma pensaci un secondo, dovevamo estorcere la confessione a Emeric in qualche modo, entrarci in contatto direttamente in effetti era l’unico modo.»
«Jeh...» Kell saltò a sedere e lo guardò negli occhi, i tempi da ommeotafobico per lui erano finiti definitivamente: «Tu, Cecely e Victor non potete ficcarvi in questa faccenda, Cecely si arrabbierebbe di nuovo, Vic deve stare con lei per forza è troppo mentalmente confuso per esserci utile sul campo con tutto quello con cui ora deve combattere... e per quanto riguarda te, sai perfettamente che questo non è il tuo piano d’azione.» Jeh annuì abbassando lo sguardo: «E il tuo lo è?»
Kell si sforzò di sorridere: «Dovrà esserlo, da quando ti ho detto la verità su dove ti avessi visto prima, lo sai, le cose sono cambiate.» Jeh sorrise e le scoccò una leggera gomitata d’intesa, Kell rise: «Se voglio fare qualcosa lo farò e basta, non ti ho rivolto la parola dieci anni fa e per i dieci anni successivi ho pensato a come sarebbe stato se l’avessi fatto, quant’è assurdo?» Scompigliò i capelli neri e riccioluti del ragazzo spinta a liberare quell’impulso di moto d’affetto verso di lui che alle due di notte si trovava lì solo perché aveva visto la luce di camera sua accesa.
Se prima non sorrideva mai, specialmente con lei ora era quasi l’opposto: glielo disse perché ci credeva: «Ti assicuro che non si ripeterà più.»
Qualche minuto e diverse beccate dopo Jeh fece per alzarsi in piedi: «Kell, io vado...» era per metà già uscito dal letto e una parte di Kell in un certo senso era quasi sollevata, l’altra però le gridò le parole che lei stessa aveva detto al bambino sfigurato della sua infanzia appena un paio di minuti prima.
Arpionò il braccio di Jeh tirandolo con sicurezza mentre lui la guardava interrogativo, la cicatrice, orrenda e inquietante che spariva sotto la maglietta leggera del pigiama e le ombre scure che formava sul suo viso altrimenti pulito dovevano spaventarla, era un’increspatura profonda e non sapeva neanche in che punto esatto del suo corpo finiva ma in realtà a stento riusciva a vederla ora, a stento ne percepiva il male che tutti imbrogliava.
«Vuoi che...» Il suo tono di voce, sempre esitante la colpì, era diventato familiare: «Vuoi che rimanga?»
«Sì.» Rispose Kell e non ebbe nessuna paura del dirlo: «Rimani.» 
C’è troppo da cui scappare.









 
  
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