Fanfic su artisti musicali > Taylor Swift
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Autore: Readme    09/11/2014    3 recensioni
"Ma a otto anni, nessuno ti dirà che cantare è solo un bel sogno. A dieci anni, nessuno ti dirà che ovunque andrai, nulla in te andrà bene. A dodici anni, non ti confesseranno che nessuno crederà nella tua musica, perchè a nessuno interesserà davvero quella. A nessuno interesserà il tuo nome, perchè tu sarai solo la fidanzata di qualcuno, la puttana di turno. A quattordici anni, nessuno ti racconterà che il mondo della musica non è fatto di musica, ma di odio, invidia, cattiveria. A sedici anni, quando quella bambina ti riconoscerà per strada, non penserai che forse quando crescerà ti odierà, ti odierà per essere uscita con il suo idolo. E nessuno, ti chiederà mai ad otto anni, se ne varrà mai la pena".
Taylor lascia il mondo della musica dopo lo SNT. Non è la ragazza forte che tutti si aspettavano. Non dopo averle fatto sanguinare il cuore fino ad ucciderla.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Un solo momento.







 

Un ritornello risuonava in quello spazio angusto, s'intensificava come una scossa ogni volta che le sue labbra ritornavo a muoversi lì, nel posto al quale erano sempre appartenute. Sulle mie labbra. I sussurri che erano taciuti dopo che i dubbi e le paranoie si erano nascoste dietro i desideri del mio cuore, avevano dato spazio a quella colonna sonora che fuoriusciva dalle nostre gole, desolate di non poter ricevere aria a sufficienza. I polmoni bruciavano ed annaspavano, non reggevano il palpitare del mio cuore, vivo come non mai ancor più vicino alla sua fine. Le cicatrici che un tempo avevo nascosto con riguardo e lasciato sanguinare senza poter intervenire, perchè bruciavano – Oh, come bruciavano, mi facevano torcere nel sonno e provavano a riscaldare quel corpo così freddo al suo interno senza di lui – orano avevano smesso di martoriare quell'organo, ma erano pronte a riaprirsi non appena il dubbio avesse macchiato quel momento. Un momento. Un solo momento. Nient'altro.
 

Quando mi accorsi di sentire caldo, riaprii gli occhi e l'inferno che avevo dimenticato per un momento (un solo momento), ritornò a lambirmi con le sue fiamme. Ironico, perchè stavolta ero stata io ad allontanarmi da lui (o ancora, non mi ero io allontanata da lui? Non era troppo per me ? - pressione, pressione, pressione – ed il diamante invece di farsi più lucido e splendente, era diventato così fragile ed inutile per chiunque – tranne che per lui, lui, lui). Lo avevo gettato nell'inferno nel quale io mi ero fiondata, per vendetta, per poter essere l'ultima a ridere – a piangere, piangere, piangere (un solo momento) -, ma non ero ancora riuscita a capire che lui era – cosa? - tutto (per un solo momento lo era stato) e poi ero scappata. Perchè tutto non poteva andare bene (ma solo per un momento) ed allora me lo meritavo. Un altro passo in avanti e avrei richiesto un secondo giro di sola andata per l'inferno, perchè il mondo così freddo, senza di lui, non poteva essere affrontato. Ma avevo il disperato bisogno di farcela senza di lui, perchè prima o poi avrebbe visto e capito che non si merita questo. E che io non mi merito lui (un solo momento).

 

-“Taylor?” -

 

La sua voce reclamava il mio nome ed il segno che aveva inciso su ogni giorno della mia vita (non su un solo maledetto momento). Ma io potevo dargli solo questo. Per lui era sufficiente. Per me no. Perciò non mi mossi, ascoltai quel ritornello spezzarsi e perdersi, un po' come quest'amore si era perso per poi ritornare dalla sua stessa morte a perseguitarmi. Ma non se ne era mai andato (neanche per un momento). Bisognava lasciarlo andare, ma se poi sarebbe tornato? Cosa avrei potuto fare? Chiudere gli occhi e urlare finchè quelle note non avrebbero smesso di avere un senso per me.

 

-“Taylor?” -

 

Ma io non volevo un giro di sola andata per il paradiso, perchè ero già dannata.

Tesi la mia mano.

E lui non c'era più.

(L'ho mancato per un solo momento)


_________________________________________________________________________________________________

 

[Lunedì 10]

 

Soffocai la testa nel cuscino e per rendere i miei gemiti più silenziosi, provai a trattenere la bocca con le mani. La frangia incollata alla fronte madida di sudore, interferiva con la vista. Sommersa da una pile di coperte in piena primavera, un'ondata di confusione colpì la mia mente e sommerse ogni ricordo, fino a formare nelle orecchie bolle d'acqua che interferivano con i miei sensi.

 

-”Taylor?” -

 

Scattai immediatamente verso la direzione della voce che richiamava il mio nome. - “Sei tu, mi hai spaventato” -, un broncio si dipinse sulle mie labbra, quando gli occhi verdi di Ed iniziarono a fissarmi esplicitamente. Da quando ero lì? Quasi una settimana ormai, no, due giorni. Una notte. Non ricordo. So solo che quando sono ritornata al mio tavolo dopo la mia esibizione ai Brits, ero impassibile. (“Taylor, stai bene? Sembri... Sembri in uno stato catatonico” rideva con un tono preoccupato Ed). Ero riuscita a sopportare quell'ultima mezz'ora, a sorridere dopo la perdita della categoria alla quale ero nominata ed a applaudire. Non sentivo nulla. Un formicolio fastidioso intorpidiva ogni mio arto, mentre il cuore rallentava – rallentava -, sperando di far rallentare il dolore e l'odio ceco che provavo verso me stessa. Mi ero sentita così forte, matura, cresciuta. Mi ero detta che avevo superato quel periodo, che non ero la debole Taylor di un tempo. No, non lo ero. In realtà ero una bugiarda - stupida, stupida, stupida -. Perciò quando me lo richiese in un luogo più appartato (“Taylor”) non gli diedi modo di finire la sua frase, che i singhiozzi lacerarono il mio petto, le mani si aggrapparono alla sua giacca (“Taylor, non me la vorrai rovinare, è l'unica che ho” una sottile ironia che non era accompagnata da nessun sorriso) e le dita pungevano per il desiderio di potermi strappare quel vestito dal mio corpo, di poter togliermi di dosso ogni traccia della sua presenza – ed assenza -. Via, via via (“Via, via via, portami via, via via” ripetevo per tutta la strada verso casa). Ed ora ero lì, lo stesso relitto di due anni fa, lo stesso corpo stanco, privo di fuoco ed essenza. La stessa delusione che graffiava ed ammoniva ogni pensiero positivo.
 

Cosa fai quando smetti di credere in te stessa? Quando ti senti così piccola in confronto al mondo? Così insignificante, sostituibile, dimenticabile. Priva di abbastanza forza per poter farcela. Perciò Ed non parla più, mi accarezza i capelli annodati, mi accenna un sorriso e inizia a parlare di qualcosa. Qualcosa che ora non mi riguarda. E se anche fosse, meglio non ascoltare, perchè potrei infettarla con la mia codardia. E il problema non era mai stato lui, o l'altra, o i media. Ero solo io. Io, io io. Era meglio sottrarmi a quell'equazione che metteva in equilibrio la mia vita e provare a sostituire lui con me stessa. Dovevo farlo. E prima che potessi ancora farmi del male con quella rete di pensieri, le palpebre coprirono il mio mare e la voce di Ed si fece un sospiro.

 

[Giovedì 13]

 

L'acqua scorre fredda – la temperatura è calda, ma io non riesco a percepirne la differenza -, la maglia dei “The 1975” di Ed è del tutto bagnata, si aggrappa al mio corpo sottile e calca il perimetro delle mie ossa. Un conato mi fa storcere la bocca, provo a trattenermi, riesco solo a sentire lo scorrere dell'acqua – scorre, scorre, scorre -, senza riuscire a capire la differenza tra il salato delle mie lacrime e l'acqua del rubinetto. Infilo la testa tra le gambe piegate, le abbraccio con le braccia e non do vita a nessun rumore. Voglio urlare, urlare, urlare. Questa non sono io. Il bello che non so chi io sia. Chi sono io? Una volpe che scappa, scappa, scappa – fugge e perde la sua furbizia -.

Ho mentito, ancora. Qualcosa la sento, oltre il freddo che proviene dall'interno. Sento le parole di Ed martellare e fischiare nelle mie orecchie. Sento le sue mani che mi prendono con la forza dal letto, mi coricano sulla sua schiena e mi rinchiude qui.

(“Taylor, non m'interessa cosa Harry ti abbia fatto. Non so neanche se lui centri qualcosa, ma no, non lo puoi rifare. Non ti permetterò di distruggere ancora una volta la tua famiglia. Non ti permetterò di distruggere te stessa, dannazione. Dove sei finita Taylor? Mi hai mentito per tutto questo tempo? Sei questo tipo di persona? Davvero? Allora sei solo un riflesso Taylor, un fantasma. Non sei nessuno. Non voglio perdere tempo con il nulla. Perciò alza il culo, togliti i miei vestiti, vai fuori di casa mia e continua Taylor, continua. Congratulazioni, mi hai tradito. E non come Harry ha tradito te, perchè si Taylor, ti ha tradito, sono cose che succedono, cose che accadono, cose che possono essere riparate. Quello che tu stai facendo ad ognuno di noi è peggiore. Stai affondando Taylor, hai raggiunto il fondo e vuoi trascinarci giù con te. Ma io no, io mi tiro indietro e taglio la corda che ci unisce. Io non andrò all'inferno con te. Lo avrei fatto per te. Ma non con te”)

Tutto ciò che riesco a pensare, è che andrei all'inferno per Harry. Ma anche con lui. E mi odio, mi odio, mi odio. Perchè non posso più farlo. Non per gli altri, ma per me.

 

[Lunedì 17]

 

(“Sto bene mamma. Sto bene, sto bene, si, bene”) La mia non è del tutto una bugia, ma non ricordo cosa voglia dire bene senza nasconderci dietro qualcosa. Perciò improvviso. Non mi sento troppo in colpa. Guardo Ed che mi prepara il mio caffè (“Due zollette di zucchero, un goccio di latte”) e so che va bene. Non vuol dire che stia benissimo, ma non sto neanche morendo, non più. Va bene. So che prima o poi mi costringerà ad uscire ed a prendere quel caffè in un bar. Ma va bene. (Non solo per un momento). Chiudo la telefonata, l'odore di caffè si è diffuso per tutta la cucina, il telefono inizia a squillare di nuovo. (“Mamma, sto ancora bene!”)

Ma non è la mamma. E sento che non va bene. Non va bene. Non va bene. (Andava bene per un momento).

 

[Martedì 18]

 

Quando mi sveglio, sento che c'è un rumore strano in casa. Non è la caffettiera, non è il cellulare – il cellulare non suona più da ieri sera, staccato, rimosso, buttato -, ma sono più forte e i miei sensi si sono affilati. Mi alzo, mi avvicino allo specchio e il riflesso mi rimanda indietro un viso più roseo, le labbra più piene e uno sguardo assonnato. Indosso ancora i vestiti Ed, solo per andare a dormire. Mi rassicurano e non mi fanno sentire sola. Fa caldo, perciò una sua maglia mi scende come un pigiama lungo e sembro una ragazzina di Nashville durante l'estate. Forse sto ritrovando la persona che ero, senza però doverla imitare, ma superandola.

(“Ed, la vuole solo vedere”).

C'è qualcosa che non va – sento che c'è un rumore strano in casa -, mi avvio a piedi nudi in cucina e le voci si ammassano, incurvandosi in sussurri troppo impliciti. (“Era la sua voce al telefono, non siamo così stupidi Ed”) e poi ricordo di non essere una volpe, perchè manco di furbizia. Sono troppo lenta, perciò manco anche di velocità, non riesco a scappare. Harry mi prende per il polso e infilo ciò che sento nelle tasche dei miei sogni, capienti di roba che lo riguarda e vuoti di finali felici. Mi fermo, non cedo, ma non mi muovo. Lui allenta la presa, mi lascia andare. - “Ho voglia di un caffè da Starbucks” - esordisco, afferro la mia giacca, un lungo cappotto che avevo indossato la sera dei Brits. E' nero, ma se noti bene sulle maniche, macchie di mascara lo marchiano. Louis prova a fermarmi, ma è troppo debole (“Mi dispiace”) e non riesco a sentire il suo dispiacere. Harry mi guarda, il braccio ancora nella stessa posizione di quando mi ha afferrato il polso. Le labbra secche, il cuore muto e le azioni vuote.

- “Eri tutto ciò che desideravo” - (“Ma non così” concludo io)

 

[Mercoledì 10]

 

Lungi dal credersi, ero riuscita a ritornare in pista. Pronta a esibirmi nella prima tappa del Red Tour nella prossima settimana, mi accingevo a prepararmi. I capelli un po' più corti, il vestito celeste (mai verde) e il rossetto rosso. Affrontare un'intervista in diretta, era l'ultimo ostacolo da superare prima di iniziare a fare ciò per cui ho lottato fin da bambina.

- “Vincitrice di sette Grammys, con il suo ultimo successo mondiale “Red”, ecco con noi, Taylor Swift!” -, qualcuno mi da il via ed entro nello studio del GMA entusiasta, le labbra aperte in un sorriso sincero e la mano pronta a salutare più persone possibili. Mi accomodo in un salottino ed il presentatore mi bacia la guancia in segno di saluto. - “Siamo così entusiasti di averti qui con noi Taylor!” -

-“Anche io” - esclamo e dopo un forte applauso, le domande iniziano, alternate da battute sarcastiche. - “Taylor, dimmi, lo scorso mese hai partecipato per la tua prima volta ai Brits Awards, giusto?” - annuisco con un certo distacco e provo a non farmi trascinare dai ricordi. - “Pur non avendo vinto nulla, la tua esibizione ha lasciato il segno. Dicci Taylor, come mai a questa canzone hai accompagnato questa esibizione?” - la domanda mi lascia perplessa, nessuno mi aveva mai chiesto certe cose. - “Hm, questa canzone per me, è la più importante di quest'album. Descrive, sia dal punto di vista musicale che del testo, cosa provavo in quella determinata situazione. L'esibizione doveva calcare la differenza tra l'ingenuità che in un primo momento mi aveva colpito e la raccapricciante scoperta che avevo fatto. Mi sentivo tradita, inutile. E' una canzone molto dolorosa per me, anche se so che in troppi la reputano fatta a tavolino e per vendere. Cantarla ogni sera in questo tour darà prova della mia indole masochista. Ma lo faccio per ricordarmi di non ricaderci. Ne ero intossicata” - aggiungo confessandomi fin troppo. Il presentatore sta per continuare, quando viene interrotto da qualcuno da dietro le quinte - “Hm, c'è qui qualcuno che ha assolutamente bisogno di Miss Swift” - aggrotto la fronte confusa, non credo sia un fan, non interromperebbero mai un programma in diretta per questo. Quando il mio intervistatore da la pubblicità, capisco che non è uno scherzo architettato dal GMA e ne rimango ancor più confusa. Seguo la donna che ci ha avvisato di questa interruzione e ritorno dietro le quinte. (Per più di un mese, ho creduto che fosse finita, ne ero uscita pulita).

Harry mi fissa con uno sguardo duro, le mani strette a pugni e la mascella tesa. - “Cosa ci fai qui? Non vedi che eravamo in onda?” - sbotto io, trattenendo una nota irritata. - “Ho bisogno di parlarti immediatamente. Visto che le ultime cinque volte sei riuscita a sfuggirmi, questo era l'unico modo per ricevere la tua attenzione” - spiega lui ammorbidendo lo sguardo, ma rimanendo teso nel resto degli atteggiamenti. - “Miss Swift, un minuto e deve rientrare” - mi avvisano da lontano.

-“Visto? Non ho tempo. Chiama chi gestisce i miei impegni e prendi appuntamento” - concludo la conversazione rientrando nello studio appena in tempo. - “Taylor, stavamo parlando delle tue fantastiche esibizioni che potremo vedere per più di un'ora durante una delle tappe del tuo tour mondiale!” - le urla dei fans rinvigoriscono il mio sorriso e provo a scacciare dalla mentre la sua figura stabile, immobile, come se avessi voluto che invece mi seguisse. Sono pulita, basta. - “Si, inizierò tra pochi giorni e sono a dir poco eccitata al momento. Non riesco a trattenere l'entus...” -

-“Signore, non può entrare! Sono in onda!” - la voce stridula della donna di prima è inutile, Harry Styles entra nello studio del GMA causando in un primo momento sbigottimento ed infine urla. Nessuno sa bene cosa stia succedendo, io si. Sto per crollare, che Dio mi aiuti ora. Non posso crollare. Non so se riuscirei a rialzarmi.

Ma mi alzo, ora, lo faccio - “Harry, ti prego, parliamo dopo” - gli sussurro, provando a non farmi sentire, ma il microfono attaccato sul mio corpo fa bene il suo lavoro. - “Si, parliamo. Ora” - mi prende per la mano e prova a trascinarmi dentro. Ma prima che ci riesca, lo lascio. Non intendo muovermi da lì. Vuole giocare a questo gioco? Lo faremo in due. Cederà lui per primo. - “Vuoi farlo qui? Va bene Taylor, facciamolo qui” - mi prende in contropiede.

- “Cosa vuoi fare qui? Non c'è nulla da dire o fare Harry. Ti voglio ricordare che non c'è più nulla da fare da così tanto tempo...” -

- “E mi hai dimenticato da così tanto tempo, da aver dimenticato anche perchè dovevi farlo?” - prova a trattenersi, ma la sua voce è forte, arrabbiata... delusa.

-“Stai provando a dirmi che ti devo delle scuse per questo? Per esserne uscita?” -

-“Uscita? Uscita? Davvero Taylor? E quando? Quando mi hai baciato? Quando scappavi da me? Quando non volevi affrontare nulla? Non ci hai neanche provato!” -

- “Mi hai tradita! Mi hai tradita, mi hai tradita. Non hai nessun diritto di ammonire le mie azioni! Hai perso tutto quella sera Harry, ogni minima cosa!” - Urlo senza vergogna, consapevole fino in fondo delle conseguenze delle mie azioni. Ma non avevo più paura. Non più.

- “No Taylor. Non ti ho tradita. Non ce la facevi più. Non riuscivi a toccarmi senza che ti sentissi in colpa. Evitavi di vivermi, di viverci. Tu mi hai tradito quando hai scelto loro, a me. Ti ho solo dato un pretesto per non sentirti in colpa anche per questo” - La sua voce si affievolisce. Lui mente. Mente, mente, mente. Mi vuole ingannare. Cosa vuole da me. Cosa. Mi hai tolto tutto Harry. Cosa posso darti ancora?

- “Stai mentendo” - lo ammonisco.

- “No e lo sai bene. Tu stai mentendo a te stessa. E sai cosa Taylor? Sono abbastanza forte stavolta, ce la posso fare a farti superare ogni paura. Ce la possiamo fare insieme” - una sua mano si appoggia sulla mia guancia e me l'accarezza, prima di poter realizzare quel gesto, mi allontano.

- “Cosa vuoi da me?” -

- “Te” -

- “No” -

- “So che non vuoi ascoltarlo, ma devo dirtelo. Taylor, guardami, perchè sarà l'ultima volta. L'ultima, ricordi?” - annuisco, la gambe che vacillano e il naso arrossato.

- “Io ti amo e per me, sarai sempre tu” - piega le labbra in un sorriso e il verde dei suoi occhi si oscura.

- “Cosa vuoi da me?” - gli chiedo ancora con la voce che trema dalla paura.

- “Voglio che tu mi dica che non mi ami e giuro che ti lascerò andare” - solo ora mi accorgo che l'altra mano e incrociata alla mia. Le sue dita riempiono gli spazi che dividono l'un dall'altra le mie.

- “Non ti amo” - non mi ero abituata al suo tocco, mai. Perchè era stato parte di me, lo era stato fin dentro le viscere e vederlo lasciarmi, vederlo andare via per davvero, ha spezzato dentro di me qualcosa che nessuno potrà mai riparare. Perchè ha ragione e non si merita una donna come me nella sua vita. Una eterna indecisa. Un eterno fantasma. Non si dice che se si ama realmente qualcuno, lo si deve lasciare andare? Io l'ho lasciato andare così tante volte, ma non l'ho amato abbastanza, perchè sono tornata ogni volta. Troppo egoista.

Lui va via e mi risiedo, pronta a parlare del mio tour. Un tour dedicato al rosso, al rosso che acceca la mia visuale, che mi macchia da dentro e urla, urla, urla. Sono una donna egoista. - “Taylor, ma, ma, che sorpresa!” - mi guardo in giro, le dita che tremano, le gambe immobili. Rabbrividisco e vedo la folla intorno, è lontana, ma mi soffoca. Ma la amo quando sono lassù e finalmente mi capiscono. E quando sono quaggiù? Chi potrà riportarmi in superfice a respirare? (Un solo momento).

- “Un solo momento” - mi alzo e con le lacrime che rischiano di cadere – cadere, cadere, cadere -, corro, perchè sono una volpe ed è mio diritto fuggire.

 

Non c'è, non lo vedo, non c'è, non c'è. Andato, è andato, per sempre. Perso. Persa con lui. Chiamate qualcuno, oddio, amore perduto, aiuto, devo denunciare la scomparsa del mio respiro, dei miei polmoni, del rosso sangue che mi scorre tra le vene. Non c'è. La donna di prima dice che è andato, visto Taylor? Lo dice anche lei. Andato. Fuggo, fuggo, fuggo. Fuori, all'aria aperta, dimmi che sei lì, dimmelo, dimmelo. L'uscita principale degli studi è piena, colma, mi soffoca come dentro. Il cielo aperto è solo un luogo irraggiungibile che mi schernisce da lassù. Non posso giungervi senza ali, le ali le tengono solo gli angeli ed il mio angelo è andato, andato, andato. I fans urlano, mi reclamano ed io urlo e reclamo il suo nome. Mi do perduta, perduta. Lui è perduto. Due pezzi perduti che non combaceranno mai più.

E poi lo vedo, ingabbiato come me. Neanche un angelo può volare se una folla lo ingabbia. E corro, corro, corro. - “E' lui” - continuo a ripetermi, i tacchi che fanno rumore sull'asfalto e le lacrime che si asciugano sul viso per il vento. Lui mi vede da lontano, fermo, immobile. Poi inizia a camminare nella direzione opposta alla mia. Non andare, non, andare, non.

Si tiene accanto più fans possibili, si tiene accanto le mie paure peggiori qui sulla terra ferma. Non un angelo, un demone. E lo amo, lo amo, lo amo allo stesso modo.

-“Harry!” - urlo disperata e si ferma. Lo raggiungo e mi aggrappo alla sua giacca, come quando mi aggrappai a quella di Ed dopo il mio ennesimo crollo. Lo fisso negli occhi, accerchiata da sconosciuti che si allontanano imbarazzati. Lo schiaffeggio così forte da farmi sentire da chiunque. Lui continua a fissarmi, non demorde. Ostile, arrogante; dolce, premuroso, apprensivo. - “Ti odio così tanto, mi hai fatto crollare, sono crollata perchè eri irraggiungibile ed  ora sei qui. E sono troppo, troppo egoista per lasciarti andare e ti odio così tanto che ho finito per amarti e mi sono persa Harry, mi sono persa capisci? Ma sono qui, Harry sono qui e sono pulita, pulita dal resto e voglio solo te. Ti amo. Io, io ti amo” - non prendo fiato e quando finalmente lo faccio, lo bacio. Lo bacio lì, sotto quel cielo, accanto a chiunque, perchè ora siamo solo io e lui. Perchè non so dove andremo a finire, ne sono terrorizzata, ma per me sarà sempre lui, comunque vada.

 

Non per un solo momento.

 










 

Fine.
E' stato un piacere scrivere per e con voi.

Auguro ad Harry e Taylor
di ritrovarsi.
Un giorno.


*

  
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