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Autore: Sakyo_    09/11/2014    4 recensioni
[Dal quinto capitolo]
Eloise stava tremando.
Il guinzaglio di Demon scivolò via dalle mani di Castiel come conseguenza naturale dell’emozione appena nata in lui, e le sue mani si posarono così piano sulle esili spalle della donna, che tutto parve capovolgersi.
Quasi a chiedere permesso.
Quasi a voler esplorare l’inaccessibile.
Lei rimase inerme. Lui l’abbracciò da dietro. Più che un abbraccio, era un tocco leggero. Solo per farle avvertire la sua presenza.
Lei, così piccola e indifesa che non pareva possibile fosse proprio la professoressa.
In quel momento, in quel luogo avevano dato vita a qualcosa.
Qualcosa che non sarebbe dovuto essere.
Ma qualcosa che ormai, c'era.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Lysandro, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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7. Onde rumorose

Era quasi ora di cena e sembrava che tutta la città si fosse improvvisamente ricordata di dover fare la spesa.
Quando entrò nel supermercato, Eloise fu colta da un capogiro. Le luci fredde, il brusio di voci ininterrotto, i colori accecanti… Tutto era insopportabile.
Provò a camminare verso il reparto della frutta e della verdura, ma le parve un’impresa impossibile.
Passo dopo passo, il corpo le si faceva sempre più pesante. In qualche modo riuscì a mettere nel cestino alcune verdure e faticosamente arrivò alla cassa.
«Tesoro, ti senti bene?»
Vivienne, la cassiera che Eloise prediligeva e con cui faceva volentieri due chiacchiere ogni volta che si trovava lì, era visibilmente allarmata.
«Volevo fare la ratatouille, ma…»
Sentendo che le forze la stavano abbandonando, Eloise si appoggiò con entrambe le mani al tappeto scorrevole di fronte a lei.
Capendo che qualcosa non andava, Vivienne si affrettò a raggiungere la ragazza prima che cadesse. Non appena le toccò le braccia, strabuzzò gli occhi. Le bastò poggiarle un attimo la mano sulla fronte per rendersi conto che Eloise aveva un febbrone da cavallo.
«Sei bollente!» esclamò.
Intanto, alcune persone si erano accalcate intorno alle due, incuriosite.
«Non… Non preoccuparti, ce la faccio…»
«Non pensarci proprio»
Vivienne chiamò un collega e, spiegandogli la situazione, chiese di poter accompagnare la ragazza a casa.
Una volta fuori, la fece sedere su un muretto e si assicurò che fosse ancora sveglia.
«Corro a prendere la macchina, non muoverti»
Eloise chiuse gli occhi e si portò le mani sulle guance. Un violento brivido la fece sussultare. Effettivamente, la sua pelle era infuocata. Logico che non riuscisse nemmeno a stare in piedi.
Si morse le labbra pensando a quando, il giorno prima, si era messa a letto senza aver asciugato i capelli. Una scelta del genere in autunno inoltrato non poteva avere altre conseguenze che quella.
«Che idiota» mormorò tra se e se.
Poco dopo una macchina si fermò davanti a lei, ed Eloise si avvicinò alla portiera prima che Vivienne potesse scendere per aiutarla ad entrare.
«Ti porto a casa mia, va bene?» le disse la ragazza non appena l’altra salì a bordo.
«No, davvero. Sei stata fin troppo gentile ad aiutarmi, me la caverò da sola» pronunciò a fatica Eloise.
Vivienne le lanciò un’occhiata di sbieco, non troppo convinta.
Era una ragazza sui venticinque anni, alta ed eccessivamente magra. Aveva un sorriso contagioso che Eloise trovava gradevole. Sui lunghi capelli castani era presente qua e là qualche ciocca di un viola spento, che le attribuiva un’aria allo stesso tempo bizzarra e infantile. Gli occhi grandi, stanchi dopo una giornata lavorativa appena terminata, erano contornati da abbondante eyeliner nero e il mascara rendeva le sue ciglia talmente lunghe da sembrare irreali.
Arrivate davanti la porta di casa, Vivienne entrò senza troppi complimenti e si assicurò che Eloise si mettesse subito a letto. Dopodiché, guidata dalla flebile voce della padrona di casa, si fece strada in bagno e frugò nei vari cassetti alla ricerca dei medicinali per la febbre.
«Prendi questa e poi dormi» disse, mettendole una pasticca tra le mani e avvicinandole un bicchiere d’acqua.
Il tono non lasciava spazio ad obiezioni di alcun tipo. Ingurgitò la medicina e chiuse gli occhi per qualche secondo, sperando di sentirsi presto meglio.
«Ti ringrazio» disse, ma le sue parole vennero coperte da quelle squillanti della ragazza.
«Domani ti conviene chiamare il medico, anche se è una semplice influenza non si può mai sapere… Ah, chiama anche il lavoro. A proposito, che lavoro fai?»
«L’insegnante»
«Davvero?! Ma non sei troppo piccola?» Vivienne era sorpresa, e la bocca rimasta aperta dopo la domanda fece ridacchiare Eloise.
«Direi di no»
Al supermercato avevano scambiato solo qualche parola ogni tanto, ma Eloise sentiva un senso di tranquillità in sua presenza. Poteva sembrare invadente, ma la sua era semplice gentilezza. Quell’atteggiamento non la infastidiva per niente, anzi. Sentiva una particolare complicità con lei, era come se la conoscesse da sempre.
«In ogni caso, domani non azzardarti a mettere piede fuori casa» la ragazza, che non si era nemmeno tolta il cappotto, frugò nella tasca in cerca delle chiavi della macchina e una volta trovate, imitò un saluto militare causando altre risate.
«Se vuoi, posso prepararti qualcosa da mangiare» propose prima di andar via.
«Ho solo bisogno di una bella dormita»
Al suono della porta che si chiudeva, Eloise fece un respiro profondo. Aveva cercato in tutti i modi di risultare meno sofferente di quanto realmente fosse perché non voleva far preoccupare ulteriormente quella ragazza che era stata così gentile con lei. Si erano scambiate i numeri di telefono, poiché Vivienne aveva insistito affinché la chiamasse per ogni eventualità. Adesso che era andata via, diede libero sfogo ai sintomi del suo corpo febbricitante.
Controllò l’ora sul cellulare. Se avesse chiamato a scuola non avrebbe trovato nessuno, ma doveva assolutamente avvertire che il giorno seguente non si sarebbe potuta presentare al lavoro.
Si morse la lingua, pensando che aveva scelto proprio il momento peggiore per ammalarsi. L’indomani sarebbe dovuta esserci la verifica di storia.
Il suo forte senso del dovere la portò a cercare il numero privato del segretario delegato, a cui recapitò la notizia della sua assenza.
«Minacciali per bene da parte mia e dì loro che una verifica posticipata non li salverà dall’insufficienza a fine anno» si raccomandò, al telefono con Nathaniel.
«Ma, professoressa…»
Eloise scosse la testa, demoralizzata «Sto scherzando»
Riagganciò e si rigirò nel letto. Il torpore delle coperte le stava facendo venire sonno, ma la sua mente era ancora piuttosto lucida.
Aveva iniziato a sentire i primi segni di malessere quel pomeriggio a scuola, quando si era ritrovata in aula con Castiel. Scoprire che era rimasto lì dopo le lezioni per studiare la sua materia l’aveva in un certo senso lusingata. Era relativamente poco tempo che lavorava in quel liceo, ma già aveva avuto modo di capire che il rendimento scolastico del ragazzo non era affatto dei migliori. Di certo non sarebbe bastato un pomeriggio per recuperare la sua materia, ma aveva fatto un piccolo passo in avanti ed era inutile nascondere che aveva provato soddisfazione nel vederlo impegnato con il libro di storia.
Nonostante tutto, l’atteggiamento strafottente non era cambiato. Sembrava quasi che volesse mettersi alla pari con lei, sfidandola in continuazione. Quel giorno però, le era sembrato diverso dal solito. Quando le si era parato davanti, improvvisamente e senza un vero motivo, aveva ripensato al giorno precedente. Il segnale di protezione che le aveva trasmesso con quel leggero contatto nel parco aveva sortito il suo effetto. Ma le costava caro ammetterlo e percependo quei pensieri come pericolosi, aveva creato una barriera nella sua testa che impedisse a tali pensieri di prendere il sopravvento. Un tentativo che non era andato a buon fine, visto che nel momento in cui si era trovata da sola di fronte a lui la testa era subito andata a ripescarli.
Sbuffò, strizzando forte gli occhi per concentrarsi su altro. Il mal di testa aumentava sempre di più e l’unico modo per farlo passare era addormentarsi.
Quella notte sognò di costruire un grande castello di sabbia. C’era qualcuno vicino a lei, una presenza che però i suoi occhi non riuscivano a mettere a fuoco. Se avesse visto chi era quella persona, al suo risveglio avrebbe ricordato una cosa molto importante.
E di sicuro ne avrebbe sofferto infinitamente.
 
***
 
«Una Kronenbourg»
La ragazza dietro il bancone fissò inebetita i due clienti per una buona manciata di secondi e si riprese solo quando il più strambo tra i due le si rivolse in una maniera decisamente adatta alla sua figura.
«Milady, va tutto bene?»
A quel punto spostò lo sguardo su di lui e infine arrossì tutta d’un colpo. Dopo aver annuito con foga scattò di corsa verso le birre.
«Pare che tu abbia fatto colpo, vecchio mio» constatò diplomaticamente Lysandre, sorseggiando in tutta tranquillità il suo tè ai mirtilli.
«Eh?» Castiel si guardò intorno «Su chi?».
Da un paio di giorni, Lysandre stentava a riconoscere il rosso. Normalmente si sarebbe subito accorto della barista che non la finiva più di fissarlo, ma sembrava proprio che avesse la testa da un’altra parte.
«Sei strano, ultimamente»
Castiel poggiò le braccia sul bancone, pensieroso.
«La cosa veramente strana» esordì «è che una come la Laurent manchi a un compito in classe».
La barista tornò, stavolta più sicura di sé, e poggiò il boccale di birra davanti al rosso sfoderando un sorriso smagliante. Fu ignorata in modo così palese che se ne andò a servire un altro cliente con un’espressione decisamente avvilita.
«Anche i professori sono esseri umani» rispose Lysandre «probabilmente avrà avuto un imprevisto».
Castiel non rispose, prese il boccale e lo portò alle labbra, deglutendo lentamente.
«Sei preoccupato?»
Stavolta Lysandre si beccò un’occhiata fulminante.
«Perché dovrei essere preoccupato per una professoressa
L’amico assunse una finta espressione ingenua «Ah, non saprei… Forse perché prima di essere una professoressa, è una ragazza giovane e alquanto attraente?»
Castiel fece scivolare il suo sguardo altrove, ignorando le provocazioni dell’amico.
«Almeno oggi sei scampato a un’insufficienza certa»
«Mia nonna sarebbe stata più divertente di te, stasera»
Lysandre sorrise, richiamando poi la barista per chiedere se fosse possibile avere qualche biscottino al burro.
Il telefono di Castiel squillò. Lo prese dalla tasca, ma quando vide il numero sul display serrò le mascelle e lo rimise dentro.
Lysandre capì al volo la situazione e lo incitò a rispondere.
«Non puoi ignorare sempre le loro chiamate»
Il rosso sbuffò e ricacciò il telefono, portandoselo all’orecchio con fare brusco. «Che vuoi?»
Dall’altra parte si sentì una voce femminile.
«Da quando in qua ti importa di quello che faccio?»
Sentendo il tono con cui l’amico si rivolgeva alla madre, Lysandre si rabbuiò.
Passarono alcuni secondi durante i quali Castiel non disse una parola, finché non riattaccò congedandosi con un saluto glaciale.
Lysandre sapeva bene che non era per nulla facile affrontare quel discorso con lui e non voleva peggiorare l’umore dell’amico che era già abbastanza nero.
Tentò di riprendere la conversazione precedente e ricominciò a stuzzicarlo.
«Allora, pensi di andare a trovare la tua bella Laurent domani?»
A quel punto Castiel colse l’occasione per estrarre un foglietto dalla tasca della giacca. Lo mise sul bancone per farlo leggere a Lysandre. Quest’ultimo spalancò gli occhi, incredulo.
«Stai scherzando?»
In tutta risposta, un sorriso fermamente compiaciuto.
 
***
 
La minuscola chitarra di fimo stava prendendo forma tra le sue mani. Erano tre sere che vi si stava dedicando e finalmente era quasi finita.
Anne se la rigirò tra le piccole dita con espressione soddisfatta. Il giorno seguente avrebbe potuto iniziare a costruire il microfono.
Anche quell’anno per Natale, Castiel e Lysandre avrebbero ricevuto il loro regalo.
Mentre apportava le ultime modifiche al finto strumento musicale, alla ragazza tornò in mente la scena a cui aveva assistito il giorno prima.
Non sapeva spiegare il perché, ma sentiva che c’era qualcosa di sbagliato in quell’immagine.
Corrugò le sopracciglia, dubbiosa. Avrebbe voluto chiedere qualcosa a Castiel, ma non voleva fare la figura dell’idiota. Magari lui e la professoressa Laurent stavano semplicemente parlando di qualcosa inerente alle lezioni.
Però… L’atmosfera che aveva captato, era strana. Se fosse rimasta qualche secondo di più a spiare dietro la porta, avrebbe visto qualcos’altro?
Il sangue le si gelò nelle vene.
No, impossibile.
Si diede un paio di colpetti sulla testa per scacciar via quei pensieri.
«Anne, è pronto in tavola!» la chiamarono dal piano di sotto.
 Ripose con cura la chitarra in una scatolina sulla scrivania e osservandola sorrise dolcemente.
«Arrivo!»
In cuor suo, la speranza era più viva che mai.
 
***
 
Armata di pigiama a fiorellini e copertina sulle spalle, Eloise vagava per la casa senza trovare pace. Grazie alle medicine la febbre era scesa, ma il raffreddore e i dolori alle ossa la facevano sentire una vecchia nevrotica.
In televisione non c’era nulla di guardabile e non era dell’umore giusto per leggere un libro.
Si abbassò per cercare un film decente tra i vari dvd riposti nello scaffale della tv.
Niente, li aveva visti e rivisti mille volte.
Le venne improvvisamente voglia di andare in videoteca, ma in quelle condizioni non era proprio il caso. Sospirò, annoiata.
D’un tratto l’occhio le cadde su alcune vecchie cassette riposte dietro le custodie dei dvd. Ne prese un paio per leggerne i titoli e sentì una fitta al cuore.
Estate seconda liceo
Quella scritta le fece riaffiorare alla mente così tanti ricordi che la voglia di riviverli fu devastante.
Con mani instabili inserì la videocassetta nel registratore e premette play.
I pochi secondi di attesa furono carichi di aspettativa, come se Eloise avesse dimenticato che quegli eventi erano ormai incisi nella sua vita e non c’era modo di poterli cancellare.


Una giornata di luglio. Il sole cocente, il mare, un gruppo di giovani amici si gode le tanto attese vacanze estive.
Tre ragazze e tre ragazzi.
Le prime stese sugli asciugamani per abbronzarsi, gli altri rincorrono un pallone.
Tra di loro, una sedicenne Eloise. I capelli neri lunghi fino alle spalle, l’espressione allegra nell’ascoltare le chiacchiere di un’amica.
Uno zoom sul suo viso, e poi i suoi occhi al centro della telecamera.
«Simon!»
Un richiamo con tono severo ma imbarazzato.
«Sei bellissima, Ellie»
La ragazza bisbiglia qualcosa alle amiche, poi si alza dall’asciugamano e rincorre la telecamera, il viso imbronciato che occupa tutto lo schermo.
Risate, urla divertite, il sottofondo del mare e delle sue onde rumorose.
La telecamera passa ad un altro paio di mani, ora in primo piano Simon ed Ellie.
Lei si volta per sfuggire alle riprese, lui la prende dolcemente per le spalle.
«Dai, fatti vedere»
Una smorfia della ragazza e poi un bacio tra i due. Il fischio di approvazione dell’amico dietro la telecamera.
Poi, lo schermo torna scuro.

Eloise rimase immobile a fissare quel nero, il volto non tradiva emozioni.
Non c’era il tempo di pensare, perché qualcuno aveva suonato il citofono.
Si alzò dal divano e si trascinò piano alla porta.
«Sì?»
«C’è un pacco per lei» fu l’unica risposta che provenne dall’apparecchio.
Eloise aprì il portone e poi aspettò di sentire i passi del postino dietro la porta.
Il suo cervello non realizzò immediatamente ciò che i suoi occhi videro.
Ma quando lo fecero, la sua voce aumentò di svariate ottave.
«Cosa diavolo ci fai tu qui?!»


 
Note dell'autrice:
A una settimana di distanza, ecco il settimo capitolo!
E' uscito fuori uno scorcio del passato di Eloise: Simon (si pronuncia alla francese, con l'accento sulla o). Come avrete capito, è il suo ex fidanzato.
Inoltre, Castiel è un bambino cattivo che risponde male alla mamma.
Chi sarà mai il falso postino che si è presentato a casa della prof?
In realtà è facilmente intuibile...xD
Fatemi sapere cosa ve ne pare!

Sakyo
  
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