Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: sapphire     09/11/2014    3 recensioni
Sherlock guardò ancora Mary troppo lontana da loro perché potesse sentire.
-Me l’hai promesso John-
-Promesso cosa?-
-Che saresti stato felice-
-Lo sarò. Quando nascerà mio figlio sarò davvero molto felice-
-Era implicito con Mary-
John scosse la testa -Non posso-
-Hai perdonato me John e ti ho fatto molto più male-
-Come lo sai?-
-Lo so-
Ultimo episodio della terza stagione totalmente stravolto.
John non riesce a perdonare Mary per avergli mentito su chi è veramente e legge i file sulla chiavetta USB scoprendo cose che mai avrebbe voluto sapere.
E mentre Sherlock lo spinge a perdonarla lui non riesce nemmeno a guardarla in faccia. Ma il bambino c’è , esiste ed è l’unica cosa che lo tiene legato alla moglie, una moglie che rischia di morire di parto.
Johnlock
3 capitoli completa
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
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Amanda parte I
Titolo: Amanda
Paring: Johnlock.
Generi: Drammatico, angst, romantico.
Avvertenze: slash
Rating: giallo
Beta: il mio cervello
Trama: Ultimo episodio della terza stagione totalmente stravolto.
John non riesce a perdonare Mary per avergli mentito su chi è veramente e legge i file sulla chiavetta USB scoprendo cose che mai avrebbe voluto sapere.
E mentre Sherlock lo spinge a perdonarla lui non riesce nemmeno a guardarla in faccia. Ma il bambino c’è , esiste ed è l’unica cosa che lo tiene legato alla moglie, una moglie che rischia di morire di parto.
Capitoli: 2 + epilogo
 
Note iniziali:  Per chi amasse il personaggio di Mary avviso “lasciate ogni speranza oh voi c’he entrate”! o fuggite sciocchi, come preferite! XD Insomma se Mary vi piace e non volete vederla soffrire cambiare storia!
Ovviamente il titolo è stato scelto è per rendere onore all’attrice che interpreta Mary nella serie e che io trovo sia semplicemente perfetta nonostante abbia rovinato le mie fantasie johnlockiane -.-
L’ho divisa in tre capitoli perché word mi segnava più di 60 pagine e non ho il dono della sintesi -.-
Spero con tutto il cuore di aver reso i personaggi IC anche se ammetto  è stato difficile soprattutto con Sherlock.
La storia inizia a partire dalla 3x03 quando Sherlock ritorna in ospedale per l’emorragia dovuta alla ferita.
Auguro buona lettura a tutti  i lettori(?)/ lettrici.
 
Desclimer : Nulla di tutto ciò è mio ma appartiene a Sir Conan Doyle, alla BBC a ai rispettivi autori cui rendiamo grazie per averci donato cotanta bellezza. Amen.
La storia è di mia invenzione scritta senza scopo di lucro.
 
 
 
Amanda
 
 
PRIMA PARTE
 
Maggio
 
 
<< Come faccio? Come diamine faccio ad andare avanti, eh? Come faccio ad alzarmi ogni mattina e guardarla negli occhi senza vedere te steso a terra esanime? >>
<< L'hai scelta, John >> fu la lapidaria risposta di Sherlock.
John lo guardò intensamente per diversi secondi prima di crollare seduto su una sfortunata sedia verde in plastica abbandonata accanto al letto.
Sherlock faceva fatica a respirare in quel momento ed era uno strazio per lui restare seduto a guardarlo annegando nei sensi di colpa, senza sapere cosa fare per farlo stare meglio.
<< Si. Ho scelto lei >> sussurrò emettendo un fremito nel sospirare << L'ho scelta e adesso non so nemmeno perchè >> ammise.
<< No, lo sai >> ribatté chiudendo gli occhi << la ami John e hai scelto perchè è più simile a te di quanto avessi immaginato >>
Sherlock emise un sospiro stanco: la morfina stava facendo effetto e il suo corpo debilitato stava cedendo al sonno. John capì che avrebbe avuto poco tempo: doveva parlargli subito, prima che le flebo lo stordissero.
<< Ho letto i file sulla chiavetta usb >>
Sherlock sgranò gli occhi e indirizzò lo guardo verso di lui, sorpreso << Perché? >>
<< Dovevo farlo >>
Sherlock rimase in attesa sforzandosi di restare lucido e vigile ancora per qualche
minuto << ho aperto quei dannati file e aveva ragione. Ho smesso di amarla prima di arrivare alla fine >>
<< John... >> sussurrò con un filo di voce <<  ho accettato il suo caso >>
<< Tu vuoi arrivare a Magnussen >>
<< Sì ... anche >>  respirò profondamente ignorando la dolorosa fitta al torace << Mary ha bisogno del nostro aiuto. I documenti in mano a Magnussen potrebbero- >>
<< Ti ha sparato, Sherlock! >> gridò soffocato.
<< Mi ha salvato la vita. Avrebbe potuto uccidermi e non l’ha fatto. Risolverò il suo caso >>
John osservò il viso dell'amico distendersi e con un gesto premuroso gli sistemò il cuscino sotto la testa dandosi tempo per controllare attentamente la nuova cicatrice che svettava sul suo torace.
<< Come faccio a perdonarla? >> domandò tornando a sedersi composto sulla sedia, ignaro di essere ascoltato.
<< Hai perdonato me >>  mormorò Sherlock prima di addormentarsi.
 
 
 
 
La trovò seduta davanti al tavolo della cucina, immobile e silenziosa, avvolta in una sottile vestaglia rosa.
Teneva la testa china su una tazza di tè oramai fredda respirando a scatti.
Piangeva.
John pensò a come sarebbe stato facile, prima che la verità li schiacciasse, abbandonare le chiavi nell'ingresso e percorre i pochi metri fino alla cucina e avvolgere le braccia attorno alle sue spalle stringendola a sé dolcemente. Con lei era sempre stato semplice interpretarne i gesti, gli sguardi e rivolgerle gesti amorevoli, banali e nello stesso tempo essenziali.
La osservò ancora, chiedendosi perché si fosse dato la pena di tornare a casa.
Il bambino. Certo, il bambino, perché per quanto potesse odiare sua moglie in quel momento, non poteva ignorare l'essere che le cresceva dentro.
Altro non aveva desiderato che una famiglia dopo la morte di Sherlock e non aveva desistito nemmeno dopo la sua ricomparsa, nemmeno dopo averlo perdonato. Era stato tanto egoista da voler vedere il proprio sogno realizzarsi? Perché doveva essere punito in quel modo così crudele?
Un’intera vita per meritarsi lei.
Sherlock aveva spiegato che l’aveva scelta sapendo inconsciamente il pericolo che rappresentava, assuefatto da uno stile di vita adrenalinico, assuefatto dal rischio.
Forse aveva ragione, ma lei non sarebbe dovuta essere così. Sarebbe dovuta essere una persona normale, felice, sorridente, bella, spensierata e intelligente tale da contrastare l’aura spericolata di Sherlock. Non aveva chiesto un’assassina spietata. Non aveva chiesto una donna capace di ferire mortalmente il suo migliore amico.
 
 
Mary non si mosse di un centimetro aspettando che fosse lui a parlare per primo.
<< Immagino ti debba ringraziare- esordì tagliando il silenzio glaciale che regnava in casa- in fin dei conti Sherlock è vivo. Di nuovo in ospedale, ma vivo >>
<< John >> lo chiamò con una nota di pura disperazione nel tono di voce.
<< Non riesco a perdonarti. Non riesco neppure a sopportare la tua presenza al momento >>
Mary si riscosse e, voltandosi, incontrò gli occhi del marito, glaciali, scuri di rabbia. << Ma ti ho scelta. Dio solo sa perché ho scelto di meritare te come compagna e non ho intenzione di tirarmi indietro >> parlò rude ignorando le lacrime della donna.
<< E’ questa la mia punizione?  Un marito che mi odia e una casa gelida? >>
<< Puoi sempre scegliere di andartene, ma non te lo permetterei. In grembo porti mio figlio e farei qualsiasi cosa per lui, per tenerlo al sicuro. Lui non merita il mio rancore >>
<< John … >>
<< Hai sparato a Sherlock! >> urlò con il viso infiammato di rabbia al solo sentire il suo nome pronunciato dalla donna << Sherlock è in ospedale attaccato ad una flebo perché tu gli hai sparato! >>
<< Non avevo scelta! >>
<< Potevi scegliere di non rovinarmi la vita >>  Mary tremò di un pianto a stento trattenuto << E sai qual è la cosa assurda? Che lui ti difende. Vuole aiutarti, risolvere il tuo caso >>
Mary restò in silenzio per qualche secondo esaminando l’espressione furente di John pronto ad urlare ancora se ne avesse sentito il bisogno. Restò in silenzio perché sapeva di meritarsi tutta la sua ira, la sua frustrazione e la delusione di scoprire di non conoscere la propria compagna come si credeva.
<<  Hai... Hai letto i file? >> John rispose con un silenzio greve. Si voltò muovendo due passi verso la camera da letto degli ospiti.
<< Grazie a te Sherlock avrà bisogno di aiuto e ho intenzione di assumermi questo compito prima che ci pensi Mycroft >>  concluse chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
 
Secondo i medici era vivo per miracolo ed erano stati abbastanza benevoli nel dare una prognosi di trenta giorni. Sherlock non era un paziente facile da trattare con i suoi continui lamenti a proposito della noia e delle morfina che gli infermieri avevano improvvisamente fatto sparire dalle flebo sostituendola con blandi antidolorifici.
John aveva passato la mattinata a parlare con i dottori e a subire gli attacchi testuali di Mycroft e Lestrade ed ora non gli restava altro da fare che ascoltare gli sproloqui del suo migliore amico, sveglio e vigile nonostante il dolore costante al petto.
Una macchina, giurò di avere di fronte.
<< Perché sei qui, John? Non dovresti essere a casa a lavorare sul tuo matrimonio? >> lo aggredì il detective mentre tentava disperatamente di togliersi gli elettrodi dal torace.
John sospirò spazientito e lo fermò prima che potesse azzardare ad alzarsi dal letto.
Era sveglio da soli  due giorni e già voleva riaddormentarlo a suon di pugni.
Non bastava il gelo della sua dimora in periferia e il suo rancore verso Mary che andava acuendosi sempre più, ora c'era anche Sherlock con il suo infantile modo di fare il malato e le continue aggressioni verbali .
<< Sherlock. Non mi rendere la vita più difficile di quello che già è. Hai avuto un'emorragia interna e benché parli non sei ancora fuori pericolo >>
<< Hai parlato con Mary? >> esordì il detective incerto sul porre o meno quella domanda.
John si rabbuiò tornando a sedersi sulla sedia verde e Sherlock interpretò il suo silenzio << Devi perdonarla John >>
<< Mi hai chiesto di fidarmi. Non ti perdonarla  >>
<< E’ tua moglie. Stai per diventare padre. Hai sempre desiderato una famiglia. >>
<< Che non comprendeva una donna traditrice e assassina >>
<< Smettila di comportati così. Sapevi esattamente che tipo di donna fosse ancora prima di sposarla >>
<< Sì e mi odio per questo >> parlò trattenendo a stento un gemito d’angoscia << odio l’ essere attratto solo da sociopatici e assassini >>
Sherlock lo ignorò volgendo il capo verso la sacca della flebo il cui liquido trasparente scendeva lentamente, goccia dopo goccia in modo ipnotico.
<< Cosa c'era in quella chiavetta? >>
 << La lista delle sue competenze e degli ordini ricevuti. E’ nata in Ucraina. Il suo vero nome è Aida >>  parlò con un nodo in gola << Aida … >>
Sherlock si infossò nel letto ospedaliero, meditando .
<< Ucraina. Avrei detto Moldavia, ma- >>
<< Sherlock! >> Il detective si zittì per qualche secondo scrutandolo profondamente nel modo in cui spesso  metteva in soggezione le persone è che John apprezzava perché sapeva che quel tipo di sguardo precedeva una domanda o un'affermazione brillante.
<< Che cosa hai intenzione di fare? >> ed eccola, la domanda chiave, a cui non poteva dare una risposta.
<< Non lo so >> disse << aspetta mio figlio Sherlock... mia moglie aspetta un bambino e io non riesco nemmeno a guardarla in faccia >> John si passò le mani sul volto, distrutto.
<< E ti ha sparato. Dopo tutto quello che ho passato quando ti credevo morto, lei ti ha sparato >>
Sherlock trattenne il respiro colpito da quelle parole.
<< Non - non aveva altra scelta >> rispose incerto.
<< Poteva non mentirmi >>
<< E l'avresti amata lo stesso se avessi scoperto la verità? >>
<< No >>
<< Sbagliato John – ammiccò lievemente cogliendo in fallo l’amico -non sono pratico di sentimenti, ma so che prima o poi andrai avanti. La perdonerai >>
<< Non dopo quello che ho letto >>sussurrò tristemente.
<< Non avresti dovuto farlo >> lo ammonì duramente << Mary ti ha dato la possibilità di scegliere e tu hai fatto l’ultima cosa che avresti dovuto fare. Avresti dovuto lasciare quei file esattamente dov’erano. Nel suo passato >>
<< Tu sai sempre tutto, vero? >>
Sherlock sospirò pesantemente << Solo il suo nome in codice e alcuni  dei suoi obbiettivi >>
<< Amanda >> lo interruppe piegando le labbra in una smorfia di disgusto << aveva quattro anni. C'è un intero fascicolo su di lei, un rapporto dei servizi segreti Russi. Catalogato come incidente. Ora dimmi Sherlock, come posso perdonare mia moglie dell’omicidio di una bambina di quattro anni figlia dell'ambasciatore portoghese? >>
Sherlock cercò di mettersi seduto pensando velocemente ad una risposta. Non la trovò e per una volta decise di tacere. Qualsiasi cosa sarebbe risultata ridicola da dire in quel momento.
<< Non ce la faccio >> John si passò ancora le mani sul viso, stanco e spossato dalla situazione.
<< Non c'è niente che io possa fare John. Non rinchiuso qui. Fermerò Magnussen...-
<< In questo momento, quello stronzo è l'ultimo dei miei problemi >>
Sherlock aggrottò la fonte, incerto: << Dubito che i file in mano a quell’uomo non siano rilevanti per te >>
<< Magnussen potrebbe anche dare quei documenti a Lestrade e starei a guardare >>
<< Non essere assurdo >>
<< Ho bisogno che tu mi dica cosa devo fare perché non ce la faccio >> ammise e Sherlock contemplò per qualche attimo il viso dell’amico. Non erano molte le opzioni valide o accettabili e, seppur era vero che aveva fatto rimettere a posto la poltrona del dottore a Baker Street, non poteva permettergli di scappare. Aveva giurato di proteggerli e lo avrebbe fatto a qualsiasi costo nonostante questo gli causasse un dolore acuto al petto che non aveva ancora trovato il tempo di definire.
John lo guardò totalmente annientato.
<< Torna da tua moglie, John >> l'uomo esitò << fallo per tuo figlio >>
 
 
 
Dicembre
 
Mary per la prima volta dopo tanti anni ebbe di nuovo paura; una paura cieca che la paralizzò contro lo schienale del divano di casa Holmes.
Si toccò il ventre gonfio e prese un respiro per calmarsi.
John stava rigirandosi tra le mani la chiavetta Usb davanti ai suoi occhi guardandola con aria turpe. Mesi e mesi di silenzio e ora il momento era arrivato. Aveva passato ogni singola notte a pensare ed immaginare una risposta da parte di John – mi perdonerà, non lo farà, vorrà il divorzio, vorrà vedermi sparire- il quale preferiva evitarla anziché degnarla di una parola. Ed ora era lì davanti a lei con il caminetto scoppiettante alle spalle e il suono di una composizione classica nell’aria.
<< Dimmi se hai letto i file >>
John non disse nulla sbattendo la piccola scatolina argentata sul tavolino accanto al divano.
<< John. Hai letto i file? >> ripeté con gli occhi carichi di lacrime.
<< Mesi fa >>
Mary singhiozzò abbassando lo sguardo << Oh Dio, no … >>
<< Sei stata tu a consegnarmela >>
<< Non avrei mai sperato che la aprissi >> si alzò in piedi a fatica sorreggendo il peso del pancione con una mano asciugandosi le lacrime con il palmo dell’altra. << Perché ora? >>,
<< E’ Natale >> rispose John amaramente << era Natale anche quel giorno, vero? Quando uccidesti Amanda >>
Mary sgranò gli occhi colpita << Era stato un … errore. Dio, John non passa giorno che non mi penta di quello che ho fatto. Per questo motivo ho cambiato vita diventando Mary >>
<< Aveva quattro anni per l’amor del cielo! Come fai a dormire la notte? >>
Bill Wiggins si affacciò alla porta, controllando la situazione con circospezione. Se il suo nuovo amico Sherlock aveva architettato quel pranzo natalizio in famiglia per far riconciliare i due sposi aveva fallito miseramente. Tornò in soggiorno continuando a mescolare il punch con un cucchiaio d’argento.
<< Ma è questo che sei, vero? Un’assassina >>
<< Non potrai mai perdonarmi, vero? >>
John sospirò << Forse un giorno potrei perdonare il tuo passato, forse potrei perdonarti l’avermi mentito, ma non potrò mai perdonarti di aver ferito Sherlock. No … non posso, non ci riesco e non dirmi che non avevi scelta perché potevi benissimo scegliere di non prendermi in giro fin dall’inizio >>
Non replicò leggendo in lui tutta la rabbia e la delusione che perpetrava dai suoi occhi << Che cosa hai intenzione di fare? >>
<< Recupererò i documenti che Magnussen ha su di te. L’ultima cosa che voglio è mandarti in prigione proprio adesso che hai mio figlio in grembo. Non ha bisogno di una madre dietro alle sbarre colpevole di pluriomicidi o sequestro di persona. Ma sappi che lo faccio solo per mio figlio. Sono stato chiaro? >> Mary si morse le labbra a sangue versando calde lacrime di disperazione << Io e te abbiamo chiuso >>
L’attimo dopo svenne accasciata contro di lui.
John la sistemò in modo che non cadesse ed aspettò Sherlock.
 
 
Quando uscirono dalla porta principale l’elicottero era già atterrato sopra la brughiera.
John non nascose la sua ansia sfregandosi le mani e tentando di ignorare il laptop che Sherlock sorreggeva a mezz’aria.
Mesi e mesi di preparazione per attuare un piano che aveva il sessanta percento di possibilità di fallire e solo in quel frangente John si chiese perché lo stesse facendo.
<< Spero che il tuo piano funzioni >>
<< Lo spero anche  io >>
John esitò prima di aprire il cancello del cortile << Vuoi che tua moglie sia al sicuro? >> lo incentivò il detective regalandogli un’occhiata aspra.
<< Voglio che mio figlio sia al sicuro >> precisò << e davvero credevi che la perfetta vita matrimoniale dei tuo genitori fosse d’esempio per me? Per farmi cedere e perdonare Mary? >>
Sherlock sospirò e camminò verso l’elicottero a passo svelto << Ci ho provato. Ma avevo anche bisogno di una scusa per attirare Mycroft fuori da Londra e un pranzo in famiglia dopo la mia recente degenza in ospedale era la scusa perfetta >>
John prese un respiro e salì sul velivolo indossando le cuffie di protezione << Dopo che avrò riavuto i documenti di Mary dovrai scegliere, John. Lei non sarà più in pericolo e dovrai scegliere >>
<< L’ho già fatto >> ammise tristemente immaginando le future difficoltà a cui sarebbe andato in contro.
Avrebbe dovuto chiedere il divorzio? E il bambino? Lo avrebbe lasciato nelle mani della donna che sapeva essere stata un’assassina? Sarebbe dovuto tornare a Baker Street?
L’unica sua certezza era che non avrebbe mai più voluto dividere la vita con Mary.
Aveva cercato di trovare in sé tutte le motivazioni possibili per restare, morte quando aveva preso consapevolezza che non voleva realmente trovarne una altrimenti non avrebbe mai letto i file sulla chiavetta. Aveva semplicemente deciso di smettere di amarla.
<< John >> lo chiamò Sherlock << una mossa falsa e violeremmo la sicurezza del Regno Unito e verremmo incarcerati per altro tradimento. Magnussen è l’uomo più pericoloso che abbiamo mai incontrato e le probabilità di successo sono contro di noi >>
<< Perché facciamo tutto questo il giorno di Natale? >>
<< Il piano era questo John. Ne abbiamo discusso a lungo! >>
<< Ma è Natale! >>
<< Mi sento così anche io >> John gli lanciò un’occhiataccia << oh, tu intenti che è davvero Natale. Hai portato la pistola? >>
<< Sì … è nel giubbotto >>
<< Bene >>
Mai avrebbe immaginato che il sorriso che gli rivolse in quel momento sarebbe potuto essere l’ultimo. Mai avrebbe immaginato che potesse accadere una cosa del genere.
 
                                                        ***
 
<< Mi dispiace. Non avrà l’occasione di fare l’eroe questa volta, Signor Holmes >>
<< Oh, si informi. Non sono un eroe! Sono un sociopatico iperattivo! Buon Natale! >> e la pallottola esplose nel cervello di Charles Augustus Magnussen.
Il rumore degli elicotteri e della voce di Mycroft Holmes fecero tornare John Watson alla realtà, una realtà in cui il suo migliore amico gli aveva rubato la pistola dalla tasca del giubbotto per uccidere il loro nemico.
Il cuore gli scoppiò nel petto mentre il panico si faceva strada nel suo corpo con una violenza tale da lasciarlo confuso e tremante.
<< Gesù Cristo, Sherlock! Cosa hai fatto!! >> gli urlò contro disperato senza ascoltare gli ordini di stargli lontano.
Sherlock Holmes era appena diventato un assassino. Per lui, per Mary e per il bambino. Tenne le mani dietro la testa, respirando pesantemente con il vento violento provocato dagli elicotteri che tagliava la sua pelle e feriva i suoi occhi.
<< Sherlock … no! Maledizione no!! >>
<< Porta i miei saluti a Mary, John! Dille che è al sicuro ora >>
<< Non sparate, non sparate! Ripeto non sparate!! >>
<< Perdonala John. Meriti di essere felice >>
<< Oddio Sherlock! >>
<< Promettimi che sarai felice!! >> urlò con tutto il fiato che aveva in gola voltando il capo verso di lui per guardarlo intensamente con fiera determinazione e una punta di disperazione negli occhi lucidi.
Sulle guancie di John caddero due lacrime << Te lo prometto >>
 
 
Gennaio
 
 
 
Mary era presente in quella pista di decollo, muta e dispiaciuta, tesa ad osservare suo marito salutare Sherlock Holmes l’uomo che nonostante tutto, nonostante le sue bugie e l’aggressione subita le aveva salvato la vita distruggendo la propria.
Era un uomo straordinario, un uomo che capì di non meritare nella sua vita. Un uomo che in un modo machiavellico e a dir poco assurdo meritava solo John.
Lo salutò con un cenno del capo e un sorriso di pura gratitudine consapevole che quando e se fosse tornato a Londra lei non sarebbe più stata Mary Watson.
 
John ignorò il cenno del capo di Sherlock e aspettò che Mycroft si allontanasse per dire con imbarazzo evidente << Eccoci qua >> pentendosi  poi di aver osato borbottare  una cosa così stupida.
Sherlock accennò un sorriso amaro.
Sapevano entrambi come sarebbe finita, che le parole scambiate in quella pista d’atterraggio sarebbero potute essere le ultime e quella consapevolezza stava scavando ad entrambi un cratere al centro del petto.
<< William Sherlock Scott Holmes >>
<< Come? >>
<< E’ il mio nome. Nel caso tu e Mary->>
<< Non c’è più nessun io e Mary. E comunque non darei mai a mio figlio il tuo nome >>
<< Peccato. Ne sarei stato onorato >>
John rise e Sherlock lo imitò.
Si guardarono attorno per qualche secondo in silenzio.
<< Non so davvero cosa dire >>
<< Nemmeno io >>
Sherlock guardò ancora Mary troppo lontana da loro perché potesse sentire.
<< Me l’hai promesso John >>
<< Promesso cosa? >>
<< Che saresti stato felice >>
<< Lo sarò. Quando nascerà mio figlio sarò davvero molto felice >>
<< Era implicito con Mary >>
John scosse la testa << Non posso >>
<< Hai perdonato me John e ti ho fatto molto più male >>
<< Come lo sai? >>
<< Lo so >>

Gli occhi cristallini di Sherlock si posarono sui suoi scuri di rabbia e disperazione appena trattenuta.
<< Non cercare scuse per lasciarla. Cerca un motivo per restare invece >> gli suggerì.
<< Perché? >>
<< Perché io non ci sarò più John >>
John sgranò gli occhi e finalmente capì. Capì che Sherlock aveva già intuito molto prima di lui ciò che gli aveva nascosto per il bene del suo matrimonio e della sua sanità mentale. Capì e ne rimase sconvolto.
L’attimo dopo cercò di ignorare quel peso al centro del petto.
Sherlock accennò un altro sorriso.
<< Trova un modo per perdonarla. Fallo per me >>
<< E’ proprio per te che non posso farlo >>
Sherlock alzò gli occhi al cielo.
<< Sentimenti >>
<< Dove andrai adesso? >>
<< Est Europa. Una missione sotto copertura >>
<< Per quanto tempo? >>
<< Sei mesi, secondo mio fratello. Non sbaglia mai >>
John trasalì << E poi? >>
<< Chi lo sa >>
John prese un respiro profondo verso il cielo cercando di calmarsi.
Gli stava dicendo addio. Sherlock Holmes questa volta gli stava dicendo addio per davvero. 
<< John, c’è una cosa che devo dirti >> aggiunse dopo qualche secondo lasciando che trasalisse di nuovo per l’aspettativa che s’inseriva fra quelle parole << e te la voglio dire da sempre e non l’ho mai fatto. Dato che è improbabile che ci rivedremo di nuovo, tanto vale che te la dica >>
John si immobilizzò in attesa sperando e non sperando che dicesse quelle parole che si aspettava dicesse. E poi, cos’ altro avrebbe dovuto dire in quel momento?
<< Sherlock è in realtà un nome femminile >> e rise.
John ridacchiò esasperato e divertito al tempo stesso.
<< Non è vero >>
<< Valeva la pena provarci, fosse femmina >>
<< Non lo so. Mary non è mai andata a fare un controllo >>
<< Dovreste andarci >>
<< Tanto non chiamerò mio figlio come te femmina o maschio che sia >>
Sherlock sorrise e gli tese le mano inguantata.
<< Ai migliori momenti insieme, John >> sussurrò.
John la strinse con forza e l’attimo dopo se lo tirò addosso. Lo abbracciò sotto lo sguardo stupito di Mycroft e dispiaciuto di Mary.
Sherlock lo lasciò fare e per la prima volta nella sua vita ricambiò un abbraccio.
<< Non voglio dirti addio >> sussurrò John con un filo di voce.
<< Mantieni la promessa John >> e lo allontanò da sé. Gli voltò le spalle e salì sull’aereo.
***
 
 
 
L’Inghilterra era già nel panico quando Sherlock Holmes tornò a Baker Street dopo due giorni di intenso lavoro a fianco di Mycroft e del primo ministro che non sapeva di avere la gonorrea presa da una escort di dubbia provenienza qualche settimana prima.
John non aveva avuto il tempo di provare felicità per il ritorno di Sherlock o di far luce sui suoi sentimenti, perché aveva passato gli ultimi due giorni con lui a camminargli accanto, a rintracciare l’origine del video ed analizzarlo per capire se fosse vero.
<< E’ morto davanti a me! >>
<< Ne è sicuro signor Holmes? >>
<< Certo che ne sono sicuro! >>
<< Poteva essere un trucco? >> domandò John.
<< Quale trucco? No, no! C’è qualcun altro dietro tutto questo e scoprirò chi è! >>
Avevano rimesso piede a Baker Street dopo settantacinque ore, spossati, affamati e pensierosi.
John non aveva vestiti lì e il disperato bisogno di farsi una doccia lo costrinse ad alzarsi dalla sua poltrona e rimettersi in marcia verso la periferia.
<< Puoi restare >> gli disse Sherlock con il violino già in mano.
<< Ho bisogno di vestiti. Torno domani mattina. Aspettami e guai a te se osi andare a Scotland Yard da solo >>
John evitò la signora Hudson mentre scendeva le scale  e non vide il sorriso di Sherlock nascere e morire sulle sue labbra.
 
 
 
Varcò la soglia di casa alle undici e quaranta sperando con tutto il suo cuore di trovare Mary addormentata in camera da letto così da non doverla guardare e discuterci.
Non aveva ancora avuto tempo in quei tre – quasi quattro – giorni frenetici di pensare ad una soluzione concreta che facesse uscire il loro rapporto da quell’empasse.
Nei mesi precedenti avevano vissuto come separati in casa, parlandosi solo per necessità urgenti come spesa e oggetti per il bambino mentre lui e Sherlock organizzavano il ricatto a Magnussen.
Aveva promesso a Sherlock di essere felice, ma non di dover esserlo con lei.
Mentre girava per casa alla ricerca dei vestiti puliti, John, si ritrovò a riflettere su quando fosse cambiato Sherlock negli ultimi mesi e quanto la freddezza e l’egocentrismo avessero lasciato spazio a emozioni e sorrisi.
Aveva sacrificato la sua libertà per aiutare sua moglie andando oltre o ignorando i suoi sentimenti. Tutto pur di proteggerlo, nonostante tutto.
Mary non si era meritata un simile trattamento.
Scorse la sua figura in soggiorno. Non era addormentata, solo accucciata sul divano con le mani sul ventre e il viso contorto dalla tristezza. Una manciata di fascicoli giacevano sul tavolino davanti a lei.
John infilò le mani nelle tasche preparandosi a discutere.
<< Sherlock mi ha telefonato >> gli disse con un filo di voce << Mi ha spiegato tutto e mi ha detto che eri al sicuro alla sede dell’IM6 >>
Di nuovo Sherlock che metteva loro prima di sé stesso.
Cosa gli stava accadendo?
<< Bene >> fece per voltarsi e dirigersi in bagno quando Mary lo chiamò.
<< John. Dobbiamo parlare >>
<< No >>
<< Non puoi evitarmi per sempre >>
<< Non voglio parlarne, non ora che Moriarty pare essere vivo e in vena di mandare in rete la sua faccia da schiaffi per spaventarci a morte! >>
<< John >> il tono delle donna fu perentorio e l’uomo cedette voltandosi e sprofondando nel divano davanti al suo con freddezza e rigidità posturale.
Mary lo guardò dritto negli occhi e gli passò i fascicoli che giacevano sul tavolo.
Il medico osservò la sua espressione preoccupata e prese i fogli leggendone il contenuto.
Una piccola fotografia nera era stata appuntata in un angolo della prima pagina.
Gli occhi di John, inaspettatamente, si inumidirono di lacrime ma nella penombra della stanza Mary non lo notò.
Accarezzò l’immagine con il pollice e ne definì i tratti. Si vedeva il naso, la bocca e il profilo di una mano e finalmente la sua futura paternità cominciò ad assumere un significato reale. Si sentì padre di quel piccolo e sbiadito profilo che si intravedeva nella foto.
Spostò gli occhi e lesse il resto.
<< E’ una bambina >> mormorò accennando un sorriso di pura estasi << E sana ed è femmina … è meraviglioso >>
Mary non si mosse né accennò a scomposi davanti a quelle parole << John. Leggi il resto, per favore >> e lo fece. I suoi occhi da velati di lacrime divennero secchi e vitrei, sgranati ed agitati.
Rilesse il responso del medico più di dieci volte prima di osare respirare e guardare sua moglie.
<< Non c’è … non c’è possibilità di errore? >> domandò con un filo di voce. Si accorse di tremare.
Mary scosse la testa << Ne sono sicuri. Dovrò stare a riposo per i prossimi due mesi e tenere sotto controllo pressione e - >>
<< So come funziona >> proruppe mordendosi poi le labbra. Non voleva essere così brusco, non adesso che aveva scoperto la possibilità di non vedere nascere la loro bambina. Non ora che Mary poteva morire.
Serrò gli occhi e una parte di lui si chiese cosa avesse mai fatto nella sua vita di così orribile da meritarsi una simile tragedia.
<< Un bravo medico sarà in grado di evitare emorragie improvvise. Chiamerò Mycroft. Conosce molti dottori validi >> concluse risoluto perché in quel momento pianificare ed aggrapparsi a vane speranze era l’unica cosa che poteva fare per non impazzire.
<< Immagino che dopo tutto io mi sia meritata una simile condanna >> gli disse lei, con il viso contratto da una smorfia di dolore.
Trasalì << Mi dispiace … Mary, mi dispiace. Nonostante tutto non devi dubitare che mi dispiaccia per te. Sei mia moglie e non voglio che ti accada niente >> la rassicurò << Te lo giuro … te lo giuro. Farò il possibile >>
John rabbrividì con il cellulare già in mano ignorando le repliche di Mary. Non sentì cosa aveva da dire, né se ne curò. I sensi di colpa lo tormentarono per tutto il tempo che intercorse a fare una telefonata.
Mycroft rispose dopo due squilli.
 
                                                        ***
 
È femmina.
Congratulazioni. SH
Willelmina potrebbe piacerti. SH
John ignorò l’ultimo messaggio che gli era stato inviato e ne digitò un altro lapidario, conciso e terribile.
Placenta Previa. [1]


Mycroft me l’ha detto. Troverà un bravo chirurgo. Non è così grave. La placenta previa ha un’incidenza del 0,5 e l’1,7% e una mortalità del 4-8%. Mary starà bene. SH
Hai già fatto ricerche? JW
Ne dubitavi? SH.
No, John non  ne dubitava affatto.
                                                        ***
 
 
Lestrade li subissò di domande appena misero piede a Scotland Yard.
Nessuno dei due aveva una valida risposta soprattutto alla prima : com’era possibile che Moriarty fosse vivo.
Sherlock ne dubitava fortemente e cercava in tutti i modi di ragionare e pensare a valide alternative.
John si sentì sommerso di problemi: prima Mary e i suoi segreti, Sherlock e i sentimenti che sembrava aver imparato a manifestare, la possibilità di un parto difficile e di una finale drammatico e per ultimo Moriarty.
<< Mycroft mi ha fatto gentilmente sapere che mi occuperò a tempo pieno di questo caso e una volta risolto non mi esilierà in est Europa >> lo informò il detective una volta tornati alla sede centrale dell’IM6 dove il ministro in persona aveva riservato loro un ufficio in cui lavorare lontano dai corridoi principali per non causar disturbo a Sherlock.
<< Potrebbero volerci mesi a rintracciare la provenienza del video >>
<< Probabile >>
<< E se non riuscissi a risolverlo? >>
<< Io ho sempre risolto tutti i casi >> sbottò apparentemente offeso da quella domanda.
<< Prima di tutto non è vero; secondo: questo caso è diverso >>
<< Ti prometto che non morirò, John >> scherzò e il dottore si incupì di colpo a sentir parlare di morte. In quel momento avrebbe tanto voluto dargli un cazzotto: sua moglie era a casa a riposo e lui non faceva altro che pensare a cosa sarebbe potuto succedere, all’uomo che gli aveva portato via Sherlock che forse era vivo e lui scherzava.
Sbuffò e tirò giù i pugni<< Dovrei stare accanto a Mary >>
<< E allora vai >>
<< E tu? >>
<< Me la caverò. Cercherò di essere il più gentile possibile e di non prendermi la gonorrea >>
<< Sherlock! >>

Il detective tornò serio << Si chiama Kevin Ferguson. E’ uno dei migliori chirurghi ostetrici dell’Inghilterra. Vi aspetta venerdì alle diciotto al Portland Hospital[2]  >>
<< Una clinica privata? Stai scherzando? >> tuonò John sconvolto << Come diavolo faccio a permettermela? >>
<< Non ti preoccupare. Ho già risolto tutto >>
John si passò una mano fra i capelli sorpreso.
<< Grazie. Io non so come … >>
<< Chiamala Willelmina e siamo pari >>
John dopo tanti giorni rise << Ah, maledetto il giorno in cui hai imparato a scherzare, Sherlock! >>
 
                                                          ***
 
 
John strinse involontariamente la mano a Mary quando il dottor Ferguson iniziò a parlare mettendoli al corrente della situazione.
Spiegò loro quali possibilità avevano, quali problemi potevano insorgere e quali metodi usare per non rischiare un parto prematuro.
I rischi che la bambina nascesse morta a causa di un’emorragia erano altissime, non lo negò, così come non negò la gravità di quella patologia per una donna dell’età di Mary e dello stato avanzato della gravidanza, tale da far preoccupare anche lui.
Ferguson era un dottore in gamba, ne aveva sentito parlare quando alcune sue vecchie college di lavoro avevano avuto figli: potevano fidarsi di lui e del suo giudizio. Per questo motivo quando egli suggerì di fare un cesareo
entro la fine della trentaduesima settimana né lui né Mary ebbero niente da ridire.
Aspettare oltre sarebbe stato troppo pericoloso, lo sapevano entrambi.
<< Sono fiducioso >> aveva aggiunto, mentendo palesemente per rassicurarli.
Mary rimase stoica per tutto il tempo.
John fremette per tutto il tempo.
Uscirono dalla clinica svuotati di qualsiasi emozione e John dopo mesi di totale freddezza nei suoi confronti la abbracciò sussurrandole parole rassicuranti all’orecchio.
Mary pianse fra le sue braccia chiedendogli ancora scusa.
John finse di perdonarla e finse di non essere disgustato da sé stesso.
                                                       
 
***
 
 
Chiuso nel suo palazzo mentale Sherlock non udì la porta del 221B aprirsi e chiudersi né i passi che anticipavano l’entrata della persona che stava salendo le scale.
Aveva tre cerotti di nicotina addosso perché quello stava diventando un problema intricato da risolvere e aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile.
 
Moriarty.
Aveva passato due anni a scovare i seguaci di quel demone lontano dalla sua città e dalla sua vita, lontano da John  mentendo, nascondendosi e soffrendo insieme a lui ed ora sembrava che l’incubo fosse ricominciato.
Appariva freddo e imperturbabile davanti agli agenti dell’MI6 e davanti a John sommerso dai problemi e dalle prospettive di un futuro infelice, ma Mycroft aveva capito, gli aveva letto dentro, scrutando la sua ansia. E ciò gli dava immensamente fastidio soprattutto perché manifestava la sua preoccupazione con telefonate e improvvise apparizioni a Baker Street.
Non poteva credere che Moriarty fosse vivo, ma aveva indagato a lungo sull’infinita lista di suoi stretti collaboratori e sapeva bene che qualcuno gli era sfuggito qualcuno a cui non aveva dato importanza, qualcuno che in quel momento si stava divertendo a impaurire Londra, qualcuno che aveva le stesse capacità di Jim e meno mezzi a disposizione.
Aveva voluto lanciare un messaggio, perché?
Mary Watson bussò allo stipite della porta e Sherlock si riscosse aprendo gli occhi di colpo.
Si mise seduto osservando incuriosito la donna che gli stava di fronte con il viso stanco e le occhiaie marcate a dimostrazione delle ore di sonno spese ad immaginare la sua morte.
Sherlock non emise verbo.
Si alzò dal divano e andò in cucina porgendole una sedia comoda su cui far gravare il suo peso per riposarsi.
Al settimo mese e mezzo di gravidanza la pancia era evidente, ma l’uomo non si soffermò ad osservarla per più di due secondi preferendo guardarla negli occhi. Erano tristi, dedusse, stanchi. Non era arrabbiata per ciò che le stava accadendo, solo rassegnata.
<< Gradisci del tè? >>
<< Non posso, grazie lo stesso >>
Sherlock annuì e si sedette sulla poltrona nera pronto ad ascoltare qualsiasi cosa avesse da dire perché, in fin dei conti, era quello il motivo per cui si trovava lì. Doveva comunicargli qualcosa di importante, qualcosa che probabilmente riguardava John, così importante da ignorare i consigli del medico di stare a riposo.
Sapeva che sarebbe stato un discosto difficile quello di Mary e la prova di ciò era l’assenza di John che in quelle settimane non l’aveva mai lasciata, assumendosi di colpo il compito di marito che aveva rifiutato per ripicca nei confronti della moglie che gli aveva mentito.
Aveva capito il suo segreto? Per questo era lì?
<< Ho bisogno di parlarti, Sherlock e ho bisogno che tu non ne faccia parola con John >>
Altre menzogne.
Il detective annuì incrociando le dita fra di loro, in attesa.
<< John non mi ha perdonata e non lo farà mai. E non posso biasimarlo per questo. Mi resta accanto per il bene della bambina e perché si sente in colpa. È un uomo eccezionale, un uomo che ha sofferto così tanto da non riuscire a sopportare altro dolore >>
Sherlock si morse la lingua pur di non parlare ed interromperla anche se avrebbe avuto un’infinità di cose da dire in quel momento.
Mary lo guardò dritto negli occhi.
<< Sono qui per ringraziarti Sherlock. Per quello che hai fatto, per avermi salvato la vita per essere stato il testimone di nozze di John e per averci protetti >>
<< Mary … >>
<< No. Lasciami finire. Ci sono delle cose che ti devo chiedere e ho bisogno di chiedertele ora, prima che sia troppo tardi >>
Il detective sospirò e annuì trattenendo una smorfia di tristezza.
<< Ami John? >>
A quelle parole Sherlock trasalì sgranando gli occhi, mostrandosi a disagio.
Perché ora? Si chiese, se lo hai sempre saputo?
Passarono diversi secondi prima che trovasse la forza di annuire e ammettere la verità davanti a lei.
<< Lo proteggerai, sempre? >>
<< Sì >>
<< Lascerai che torni a vivere qui se lo desidererà? >>
<< Sì >>
Mary deglutì e sorrise agonizzando di felicità e dolore. Sherlock notò quegli ossimori farsi largo nel suo volto e con un gesto istintivo le prese le mani incoraggiandola a proseguire.
<< Proteggerai nostra figlia come fosse anche tua? >>
Non esitò << Sì >>
<< Mi prometti che saranno felici? >> le lacrime di Mary bagnarono le sue mani.
<< Farò tutto ciò che posso per fare in modo che lo siano >>
Mary annuì e si lasciò andare in un sorriso liberatorio.
<< Grazie. Avevo bisogno di saperlo >>
Sherlock le porse un fazzoletto e lei si asciugò gli occhi.
<< John sa che sei qui? >>
La donna scosse la testa.
<< Morirò Sherlock >>
<< Non credo. Il dottor Ferguson è- >>
<< Non c’è niente che il dottor Ferguson possa fare per salvarci entrambe. John ha fatto finta che non sia vero per tutti questi giorni, ma sappiamo entrambi che sarà costretto a fare una scelta.  >> parlò duramente senza lasciar spazio a repliche di alcun genere << non posso far soffrire John ancora. Non posso fargli prendere una decisione simile. Ho lasciato scritto al dottor Ferguson che in caso di complicazioni durante l’operazione salvi mia figlia >> Sherlock strinse i pugni << per questo ho bisogno che tu mi prometta che ti prenderai cura di loro perché io non ci sarò, nemmeno se John mi perdonasse davvero. Ho bisogno di essere sicura che sarai sempre presente per loro >>
<< Io- Io te lo prometto >> rispose senza fiato per dire altro.
<< E ovviamente non devi dire niente a John di tutto questo >>
<< Devo mentirgli? >>
<< No, solamente tenerlo all’oscuro >>
Mary si accarezzò la pancia nel punto esatto in cui la bambina aveva scalciato.
Sherlock ne divenne curioso e allungò una mano sfiorando con le dita il ventre percependo la vita sbocciare dentro quel corpo umano.
Promise ancora e ancora che l’avrebbe protetta per il resto della sua esistenza.
 
                                                        ***
 
 
 
Oggi è il giorno stabilito. JW
Sherlock si distrasse dalle ciance del tecnico informatico dell’IM6 osservando il testo con attenzione.
Erano già passate due settimane?
Tempo un minuto e gli arrivò un altro messaggio.
Come stanno procedendo le indagini? JW
Si sono arenate per colpa di un informatico incapace. SH
Il suddetto tecnico si sforzò di recuperare dei dati da un computer - trovato in un bagno della metropolitana di Londra -inutilmente. L’hard disk era stato cancellato appena acceso il computer.
Qualcuno lo aveva lasciato lì per sbaglio, ma chi avrebbe fatto un simile errore?
A meno che … il computer non fosse altro che un’esca per far sviare le indagini.
Il segnale del videomessaggio con la faccia di Moriarty era partito proprio da lì rimbalzando su server internazionali per settimane prima di riuscirne a identificarne la fonte.
Astuto, ma non abbastanza commentò Sherlock osservando il tecnico scuotere la testa dispiaciuto.
<< Lasci perdere il computer. Non è altro che un modo per sviarci  e speravo lo capisse prima di forzare la scheda madre con un sistema così idiota! >> asserì con tono perentorio e Mycroft annuì totalmente d’accordo.
Il tecnico stava già per ribattere oltraggiato ma lui lo fermò subito << e se non avesse pensato a tutto il tempo alla ballerina russa incontrata ieri sera forse sarebbe anche riuscito a sbloccarlo. Badi bene, ho detto forse! >> e si allontanò dalla stanza raggiungendo il fratello.
Mycroft gli rivolse un sorriso serafico << Ti vedo particolarmente in forma, fratello caro >>
<< Devo andare all’ospedale >>
<< Naturalmente. Una macchina ti sta aspettando al terzo piano interrato >>
Sherlock sospirò << Farò avere a John le tue condoglianze >>
<< Verrò a fargliele di persona appena mi sarà possibile >>
Sherlock prese l’ascensore scortato da un agente in borghese.
Sto arrivando, rispose.
Grazie. JW
 
 
 
 
 
All’interno del reparto di maternità si moriva dal caldo, ma Sherlock non si levò il cappotto di dosso lasciando che svolazzasse sotto il suo incedere veloce e sicuro verso la sala d’aspetto.
John era lì, con le mani affondate nei capelli e i gomiti sulle ginocchia, seduto su una delle sedie bianche.
Erano le quattro del pomeriggio – l’ora delle visite - e l’intera stanza era stata presa di mira dai parenti e amici delle partorienti. Erano tutti così sfacciatamente felici, così sorridenti e allegri che Sherlock dovette resistere da prenderne a pugni un paio solo per scaricare i nervi.
John udì i suoi passi e alzò la testa lasciandosi andare in un sospiro di puro sollievo.
Sherlock gli si sedette accanto in rigoroso silenzio aspettando che fosse John a parlare per primo.
<< Non mi hanno lasciato entrare. Le ho detto che la perdonavo e che saremmo stati una famiglia una volta nata la bambina >>
Sherlock annuì fra sé << Belle parole >>
<< Dovevo rassicurarla >> disse risoluto << andrà tutto bene >>
<< Ferguson è un b- >>
<< Smettila di ripetere che è un bravo dottore. Andrà bene. Punto >>
<< Volevo solo … >>
<< Sì, lo so. Scusami. È colpa mia, sono nervoso >>
<< Ne hai tutte le ragioni, John >>
John prese un respiro profondo per cercare di calmarsi.
<< Hai chiamato Harry? >>
<< Per quale motivo avrei dovuto? >>
<< E’ tua sorella >> gli ricordò il detective.
<< Alcolista che non è nemmeno venuta al matrimonio. No … meglio di no >> sputò fra i denti acido prima di respirare di nuovo e calmarsi.
<< Parlami delle indagini. Avete scoperto … >>
<< Non ora John >> lo interruppe prendendogli una mano e stringendola. Era calda, così calda rispetto alla sua gelida e tremante.
Il medico sussultò a quel gesto e decise di assecondarlo prendendosi ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Conforto.
In quel momento Sherlock crollò sotto il peso del segreto che era costretto a mantenere.
 
 
 
Il dottor Ferguson apparve oltre le porte di chirurgia ostetrica esibendo un’espressione dispiaciuta. John non lo notò subito. Aveva gli occhi chiusi e la mente concentrata nell’osservare la premura che Sherlock stava dimostrando avere nei suoi confronti: la mano ancora stretta alla sua, gli aveva persino dato la possibilità di appoggiare la fronte alla spalla pur di rassicurarlo.
E stava amando ogni secondo di più quella parte nascosta di lui, quella parte che nessuno aveva mai avuto il privilegio di conoscere.
Sherlock lo riscosse e John si tirò su di scatto notando il chirurgo venir loro incontro.
Erano le sei di sera.
John capì e finse di non capire. Aspettò che il medico aprisse bocca prima di disperarsi.
<< Dottor Watson >> lo chiamò << La bambina è nata. Ora si trova in terapia intensiva. Sta bene e ha solo bisogno di ricevere ossigeno per qualche ora >>
<< Ma è sana? >>
<< Sana. Due chili di peso. Dieci nella scala Apgar >>
John sospirò. Sherlock rimase immobile accanto a lui.
<< E mia moglie? >>
Il dottor Ferguson scosse la testa.
<< Si trova in terapia intensiva ora e non voglio nasconderle che è molto grave. Ha avuto un’estesa emorragia interna e un danno ai reni non indifferente. Stiamo facendo il possibile, ma temiamo danni multi organo - >> John smise di ascoltarlo.
Crollò sulla sedia e pianse.
 
 
 
Mary Watson morì all’una e ventisette del 23 gennaio.
 
                                                        ***
 
Sherlock Holmes era visibilmente a disagio in quel momento.
Monopolizzato dalla signora Hudson, che lo sommergeva di domande a proposito della bambina, non sapeva cosa fare. Era totalmente estraneo a simili faccende umane.
Cosa avrebbe dovuto dire? Quale aggettivo avrebbe dovuto usare per descriverla?
Mycroft gliene suggerì un paio via messaggio, ma li ignorò perché bellissima e stupenda erano epiteti che poco si addicevano alla figlia di John.
Avrebbe avuto bisogno di coniare un nuovo termine per descriverla.
Lei era molto più che bella e stupenda, più che intelligente e – per l’amor del cielo- dolce.
Lei era tutto. Ed era perfetta.
La signora Hudson trillò allegra guardandola agitarsi nella culla per neonati accanto ad altri ignoti bambini che non risplendevano della sua stessa luce.
<< E John, come sta caro? >>
Sherlock sospirò stancamente.
La notte prima Mary era morta riuscendo a rivolgere a John un ultimo sorriso stanco prima di lasciarsi andare.
John non era uscito dalla sua stanza fino all’alba persuaso infine dagli addetti all’obitorio già pronti a portare il cadavere della donna nella cella mortuaria.
Mycroft si era offerto di organizzare il funerale, ma aveva rifiutato con un no secco perché quello era compito suo e suo soltanto.
Non aveva ancora trovato il coraggio di scendere al piano di sotto per vedere sua figlia, entrare nella nursery e prenderla in braccio.
<< Male. Ma ce la farà >> rispose bilanciando bene il tono di voce.
La donna annuì asciugandosi una lacrima di puro dispiacere osservando con occhi tristi la bambina nella culla 004.
Un bip distrasse il detective dalla contemplazione della piccola Watson.
Sono sicuro che sarai all’altezza del compito, fratello. MH
Sherlock infilò il cellulare in tasca e sospirò.
Dentro la sua testa il Mind Palace stava per essere riorganizzato per fare spazio anche alla bambina: avrebbe buttato via qualche ricordo, magari quelli riguardanti Mycroft da bambino. Sorrise.
Sì, la bambina di John era decisamente più bella di un fratello panciuto.
 
 
Lestrade arrivò alle undici di mattina, trafelato, seguito da e una Molly Hooper con il viso rigato di lacrime e un sorriso mesto in viso .
<< Sherlock >> disse il primo stringendogli la mano.
<< E’ stato Mycroft, vero? >>
L’ispettore annuì rassegnato << Mi dispiace tanto. John come l’ha presa? >>
<< Talmente bene che non è ancora sceso a vederla >> ribatté sarcastico.
<< Ci vorrà del tempo. Non avrei mai pensato che Mary potesse - >>
<< Mary è stata coraggiosa. Ha scelto di salvare lei piuttosto che la sua vita >> spiegò diligentemente.
<< Possiamo vederla? >> domandò Molly e Sherlock le indicò la culla.
<< E’ meravigliosa >> esalò lei << assomiglia a John, ma la bocca è … >>
<< Di Mary. Cerca di non farglielo presente >>
Molly lo guardò con aria curiosa << L’hai presa in braccio? >>
<< Avrei dovuto? >>
<< Beh, sarebbe carino se lo facessi >>
Lestrade trattenne un sorriso.
<< Non vorrei perdermi la scena >>
<< Non la prenderò in braccio. Molly rassegnati, Lestrade piantala di sorridere come un perfetto idiota >>
La signora Hudson cinguettò contenta quando la bambina sbadigliò assopendosi e Molly la seguì a ruota.
Sherlock Holmes sospirò scocciato e capì che quella sarebbe stata una lunga giornata.
 
 
 
 
Due mani si posarono sul vetro in plexiglass che divideva la nursery dal corridoio principale del reparto di maternità.
Osservò la coperta rosa avvolgere una bambina che non riusciva a vedere e si sforzò di restare lì anziché entrare. Non era pronto. Non era pronto a tutto quello.
Un bicchiere ricolmo di caffè nero e caldo apparve sotto il suo naso e John sussultò dalla sorpresa.
Guardò a lungo la figura alta del detective prima di riuscire a coordinare i pensieri e prendere il caffè con un grazie appena sussurrato.
<< Sei sempre stato qui? >>
Sherlock annuì.
<< Sono le dieci di sera >>
<< Non sono stanco >> mentì << lei è nella culla 004 >>
<< La riconoscerei fra mille >> disse trattenendo un gemito di puro amore << è bellissima >>
<< Lo è, non posso darti torto >> ammise << Oggi sono passati Lestrade e Molly >>
<< Capisco. Hanno visto la bambina? >>
<< Sì e sono del medesimo parere >>
John accennò un sorriso stanco. Aveva i capelli sfatti segnati dalla torture delle dita e due ombre violacee sotto gli occhi.
<< Mi sento come se un tir mi fosse passato sopra tre volte. Mi sento in colpa per essere felice che lei esiste e per non essere riuscito a perdonare Mary prima che … >>
<< Ti ama John. Ti amava così tanto da scegliere di salvare la vita della bambina piuttosto che la sua >>
A John sfuggì un singhiozzo. Appoggiò la fronte al vetro e prese un respiro profondo per calmarsi.
<< Non so se ce la posso fare >>
<< Non sei solo >>
Lo guardò stupito e occhi gli si riempirono di un’emozione che Sherlock non riuscì a capire: gratitudine, gioia? Speranza? Troppo difficile.
<< Avanti John. Devi conoscerla >> gli ordinò oltrepassando la porta della nursery.
L’infermiera fece capolino dalla stanza attigua e sorrise al padre in lutto facendosi strada fra le culle.
Non aveva bisogno che parlasse per essere capito e così la donna scoprì la bambina e la prese in braccio porgendogliela con una mossa esperta.
Non emise suono mentre veniva sballottata in aria e lasciata andare fra le braccia di una persona che ancora non conosceva. Emise un unico gemito di frustrazione e tornò a dormire.
John la guardò per un tempo che parve infinito.
La osservò, l’ammirò e ne scoprì i tratti innamorandosene ogni secondo di più.
Era diventato padre di una bellissima bambina nel giorno più triste della sua vita.
Sentimentalmente spaccato a metà la cullò annusando la sua pelle profumata, baciandole la mano stretta a pugno.
<< E’ perfetta >>
<< Concordo >> sussurrò << ma non puoi continuare a chiamarla “bambina” >> lo ammonì il detective indignato << devi trovarle un nome >>
<< Io e … io e Mary non abbiamo mai … sai parlato perché io … ero … oddio >>
L’infermiera gli indicò, in rispettoso silenzio, una sedia a dondolo poco distante e lui vi si sedette, troppo stanco per poter restare in piedi.
<< Hai bisogno di riposo >>
<< Amanda >>
<< Cosa? >>
<< Il suo nome è Amanda >>
John ripeté quel nome due volte per rendersi conto di quanto fosse perfetto.
Lo doveva alla piccola bambina a cui era stata strappata la vita dalla donna che aveva sposato. Glielo doveva.
Una vita per una vita.
<< Amanda >> sillabò Sherlock soddisfatto << deriva dal latino. Significa colei che deve essere amata. Sdolcinato, ma le si addice >>
John sgranò gli occhi << Anche il latino? C’è qualcosa che non sai? >> e si concesse di sorridere. Le guance si tesero dolorosamente.
Sherlock lo imitò.
L’infermiera tese le mani verso John per poter rimettere la piccola a posto nella sua culla.
<< Domani il dottore ha intenzione di dimetterla, dottor Watson. Non si preoccupi. Sta bene. Ha già preso tre grammi di peso nelle ultime ore >>
John annuì e osservò ancora la sua bambina e le piccole palpebre color lavanda chiuse attorno ai suoi occhi di cui ancora non conosceva il colore. Infine guardò Sherlock che se ne stava immobile vicino alla porta, visibilmente a disagio.
<< Aspetti un secondo >> sussurrò << Sherlock. Tu l’hai presa in braccio, vero? >>
L’uomo fece una smorfia apparentemente contrariata << No … >>
John distese le labbra formando una specie di strano sorriso << Prendila >>
<< Perché?! >>
<< Ho detto prendila. Non fare l’isterico >>
<< Non sono isterico, ma io e i neonati proprio non … >> John gliela passò attentamente facendolo smettere di protestare di colpo.

Quel peso caldo lo zittì subito.
Sherlock divenne una statua, gli occhi fissi sulla neonata addormentata, con il fiato quasi assente. Osò sfiorarle una mano con il pollice e ciò, unito all’espressione incredula dell’uomo, riempì il cuore di John di un’emozione finalmente bella e positiva.
<< Se sapevo che bastava questo per farti tacere … >>
<< Guai a te se lo dici a Mycroft o a Lestrade >>
John sorrise, scosse la testa e tornò a rivolgersi all’infermiera << Scriva Amanda sopra il suo certificato di nascita >> le disse con gentilezza guardando Sherlock destreggiarsi nel sorreggere con evidente impaccio sua figlia << Amanda Willelmina Watson >>
Sherlock sgranò gli occhi e per poco non svenne per la sorpresa.
John lo guardò seriamente, scoprendosi incantato da quella scena.
<< L’ho promesso a Mary >>
                                                                                        ***             
 
 
 
Il funerale fu triste e colorato.
John aveva capito di aver bisogno di aiuto il giorno in cui portò a casa Amanda e si accorse di non avere niente di pronto per accoglierla. Colto da un raptus di rabbia aveva scagliato le poche cianfrusaglie comprate contro la parete della sala da pranzo. Ma non aveva più lacrime da piangere.
Tornare lì, senza Mary, era stato uno strazio. Ogni cosa parlava di lei, dagli abiti lasciati con cura sul letto, alle fotografie, alle chiavi di casa abbandonate nel piattino vicino all’ingresso. Era stato sposato con lei sette mesi ed aveva trascorso gli ultimi quattro odiandola ed evitandola.
John aveva capito troppo tardi che lei sapeva di star morendo. Glielo aveva letto negli occhi l’attimo in cui, entrando nella stanza, gli aveva sorriso facendosi promettere tante cose, l’ultima di mettere Willelmina come secondo nome per onorare l’uomo che le aveva salvate. Poi aveva chiuso gli occhi e un bip straziante aveva riempito il silenzio. Avevano tentato di salvarla in tutti i modi possibili e John si era sentito così impotente e sconfitto da voler urlare, come quel lontano giorno nel deserto afghano quando aveva dovuto abbandonare un commilitone ferito a morte per curarne uno ancora in vita. La sensazione , ora, era diecimila volte più straziante, ma non era più arrabbiato. Non come lo era stato con Sherlock.
Mary non aveva meritato di morire in quel modo, ma chissà perché il destino aveva scelto per lei diversamente, punendola dei crimini di cui si era macchiata in passato.
John si sentì impotente davanti al pianto disperato di sua figlia, si sentì solo troppo esausto e triste per fare qualsiasi cosa perciò  chiamò l’unica persona di cui si poteva fidare.
Sherlock arrivò alle due del pomeriggio osservando con occhio critico lo stato in cui versava la casa e l’espressione distrutta di John, il quale ammise di non riuscire a farcela, esattamente come quel lontano giorno in ospedale davanti al letto di Sherlock. E così il detective aveva preso in mano la situazione chiamando il fratello.
Per questo motivo il funerale fu colorato. Era stato proprio Sherlock a scegliere fiori azzurri, rosa e gialli che inneggiavano alla vita piuttosto che alla morte e le persone presenti ne furono sollevate.
John osservò la bara in silenzio, assorto nei suoi pensieri.
Erano intervenute tutte le persone che avevano conosciuto Mary: da Molly Hooper e Lestrade, a Violet e Siger Holmes che quel mattino si erano offerti di badare alla bambina durante la celebrazione del funerale. C’era Mycroft, vestito con un completo nero ed elegante e persino Janine che in disparte assisteva all’evento. E Bill Wiggins ovviamente che aveva posato tre rose bianche al centro della bara per poi tornare vicino al suo nuovo amico Sherlock.
Nessuno di loro a parte Mycroft, Sherlock e John conoscevano la verità su Mary Morstan il cui nome era stato rubato da un’altra lapide. E così sarebbe dovuto restare per non infangarne la memoria agli occhi di chi le aveva voluto bene.
John non aveva più voluto parlarne e si era chiuso in un mutismo post-traumatico da manuale lasciando Sherlock completamente frustrato. Non aveva voluto commemorarla lasciando agli altri la possibilità di parlare di lei. E subito dopo la cerimonia aveva stretto Amanda fra le braccia dicendole di amarla.
 
 
<< Strana la vita, Sherlock. Meno di un anno fa suonasti al loro matrimonio ed ora organizzi il funerale della signora Watson >> commentò Mycroft passando al fratello una sigaretta fumata a metà.
Sherlock sbuffò fumo dal naso ignorando l’indelicato commento del maggiore << Hai intenzione di parlargli? >>
<< Ora o mai più. Deve lasciare Londra il più presto possibile >>
Mycroft annuì << Mummy sarà contenta >>
<< Hai già predisposto il trasferimento? >>
<< Cosa credi che abbia fatto tutta la mattinata? >>
Sherlock rispose con un gesto di stizza e andò a cercare John.
Lo trovò seduto su una panchina a pochi passi dalla tomba di Mary intento a parlare ad Amanda di qualcosa di assolutamente insignificante per lui.
Tanto non ti capisce, avrebbe voluto dire, ma si trattenne prendendo posto accanto a lui.
<< Grazie. Per tutto >> disse John commosso << è stato tutto davvero molto … colorato >>
<< Dobbiamo parlare >> lo interruppe appoggiandosi con la schiena alla ringhiera guardando un punto fisso oltre gli alberi del cimitero.
<< Di cosa? >>
<< Del tuo trasferimento >>
John si stupì << Quale trasferimento? >>
<< Il tuo John, non puoi restare a Londra. Con Moriarty probabilmente vivo, -come sostiene quell’inetto del ministro degli esteri- è troppo pericoloso restare per te e per Amanda. Devi andartene oggi stesso. Ti prometto che non sarà per molto >>
John alzò gli occhi su di lui << Alt Fermati un secondo! E dove diavolo dovrei andare? Amanda è troppo piccola per viaggiare >>
<< Mycroft ha già organizzato tutto >>
<< E tu? >>
<< Te l’ho detto. Devo continuare ad indagare >>
<< No >> sbottò furente.
<< John >>
<< No, niente John! Stiamo parlando di nuovo di te e dei tuo atti suicidi! Cosa inventerai questa volta eh? Un attacco di cuore, un avvelenamento, un annegamento? >> urlò destando Amanda dal sonno che pianse spaventata.
<< John calmati. Non sarà niente del genere. È solo per precauzione. Tu e Amanda andrete a vivere per qualche settimana nella tenuta dei miei genitori. Ti stanno già aspettando. Potrai avere la mia vecchia stanza. Sarete al sicuro da qualsiasi minaccia possa rappresentare quel messaggio di Moriarty o chi per lui. Alcuni uomini di Mycroft – quelli che io ho ritenuto meno incapaci- si assicureranno che siate al sicuro >>
John reagì a quel fiume di parole con uno sguardo incredulo << Hai – hai preso seriamente la storia del proteggerci >> mormorò quasi imbarazzato << e tu, sarai al sicuro? >>
<< Mycroft è stato piuttosto insistente su questo punto >>
<< Dovrei venire con te >>
<< Hai Amanda di cui occuparti >>
<< Lo so. Ma c’è il tuo nome sul suo certificato di nascita >> disse con un filo di voce calmando finalmente la bambina dal suo pianto isterico.
<< Questo non significa che tu possa venire con me >> concluse lui serafico <<  è una battaglia che devo finire da solo così com’è iniziata >>
John annuì scontento, indeciso, e si alzò seguendo Sherlock verso l’auto scura che li avrebbe portati in campagna.
Violet e Siger erano già dentro ad aspettare.
<< Sei sicuro che non sia un problema per loro? >>
<< Cosa, che tu abbia messo il mio nome al femminile sul certificato oppure il tuo soggiorno a casa loro? >>
John parve pensarci << Entrambe >>
Sherlock sbuffò un sorriso << Sali in auto John >>
<< Tu promettimi che non ti farai ammazzare >>
<< Lo prometto >> sbottò ruotando gli occhi al cielo.
<< E che tornerai >>
Sherlock a quel punto tornò serio e lo guardò a lungo soffermandosi qualche secondo su Amanda che finalmente mostrava i suoi occhi color blu cielo.
John aspettò quella promessa finché non fu pronunciata.
 << Tornerò >>
 
[1] La placenta previa è una condizione medica che causa forti emorragie durante il secondo trimestre di gravidanza dovuta al posizionamento della placenta nella parte bassa dell’utero. Ho trovato qui tutte le informazioni.
[2] Il Portland Hospital, secondo wikipedia, è uno degli ospedali privati di Londra, specializzato in ginecologia e ostetricia. E se lo dice lui io mi fido U_U Ovviamente il dottor Ferguson è un personaggio totalmente inventato. 

Note:
alcuni dialoghi iniziali li ho presi direttamente dalla 3x03, ma ho per esigenze di trama, cambiato qualcosa.
Se siete arrivati vivi fin qui vi meritate un biscotto.
Aggiornerò con la seconda parte domenica prossima =)
   
 
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