Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: NymeriaBS    10/11/2014    1 recensioni
"Nel cielo sopra Birmingham la luna, ormai quasi piena, è nascosta dal bagliore verde del Marchio Nero che troneggia su uno sfondo di fiamme e sangue. Rapido e insaziabile il fuoco divora il legno dei due pub, mentre al suo calore e alla sua luce duellano Auror e Mangiamorte in una danza dai ritmi frenetici e scanditi da lampi di luce verde. Non c’è tempo per riprendere fiato, se si esita un solo istante e si manca anche una sola battuta di quella danza letale si otterrà unicamente il riposo eterno. "
Questa storia partecipa al contest "Noi amanti degli O.C. Lunga vita al Personaggio Originale!" indetto da Emilia Zep sul forum di EFP.
Genere: Generale, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Rufus Scrimgeour
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Terzo capitolo
Dolore e follia
 
Il freddo braccava il suo corpo in una morsa implacabile, mentre la mente era costantemente immersa in quell’agonia che non le lasciava alcuno scampo. Perennemente in bilico fra realtà e incubo, le era difficile anche solo sopportare la situazione. Aveva perso il conto dei giorni, le ore avevano perso ogni significato e l’alternarsi degli astri aveva perfino cessato di esistere.
Lì, chiusa nella sua cella ad Azkaban, Nadezda aveva veramente capito il reale significato della parola follia. La brina avvolgeva senza sosta il suo corpo, indebolito e provato dalla prigionia che si protraeva solo da nove giorni, ma che a lei sembravano ormai secoli. Accovacciata nell’angolo della sua cella, cercava in questa maniera di far fronte al freddo che le penetrava le ossa e le ustionava la pelle. I vestiti che indossava non erano un’armatura abbastanza spessa contro il suo nemico; la pelle del collo e del volto era rossa, fredda e tesa, prossima alla spaccatura. Le mani quasi non tremavano più, il dolore diventava lancinante quando la pelle spaccata delle mani sfregava contro qualcosa. Il pagliericcio su cui dormiva era costantemente umido, l’unico spiraglio nel muro permetteva l’ingresso non solo dei raggi del sole, ma anche del vento gelido e –specialmente- della violenta pioggia che da giorni ormai imperversava, una tempesta che non dava cenno di smettere. Mai e poi mai nella sua vita avrebbe pensato che lei, una figlia dell’Unione Sovietica, sarebbe stata piegata dal freddo. Era il primo dicembre e il Generale Inverno era prossimo a compiere il suo arrivo, cavalcando inclemente quel vento impetuoso e vergando con il suo soffio quella figlia reclusa in una cella in condizioni misere. Lei, figlia e nipote di chi per ben due volte in poco più di un secolo ha avuto l’Inverno come alleato, abituata al freddo insostenibile dei territori russi dell’Unione Sovietica, nelle cui vene non scorre il caldo sangue proprio di ogni essere umano, ma il più freddo dei ghiacci, frutto della sua discendenza Invernale e della sua totale mancanza di umanità, proprio lei temeva di morire assiderata.
Come Napoleone e i suoi alleati avevano imparato nel 1812 che l’Inverno possiede armi che non è possibile contrastare, come i soldati tedeschi avevano avuto modo di testare sul fronte orientale fin dal 1941, anche lei ben presto avrebbe assaggiato le crudeli lame del gelo. Una figlia della patriottica città di Stalingrado, proprio quella città che più di ogni altra aveva avuto l’Inverno come fratello nel 1942- ’43, sarebbe stata piegata dal Gelo così come l’armata nazista.
Solo che, Nadezda lo sapeva bene, questa volta l’Inverno aveva un alleato in più dalla sua parte. Le temperature rigide di Azkaban sarebbero state anche tollerate a livello fisico, se solo non fosse stato che nella sua mente regnava il caos più assoluto. Tutte le certezze della sua vita erano crollate, non era nemmeno più certa della sua identità, mentre i momenti della sua infanzia si mischiavano e si confondevano con quelli della sua vita più recente, in un turbine di voci, emozioni e immagini che avevano come solo effetto quella di renderla folle.
Era bastato poco ai Dissennatori per piegarla. Non vi era più traccia in lei di qualsivoglia pensiero felice, né era più in grado di formularne uno coerente. Tutto aveva perso di significato. Il volto di Elias era già diventato sfumato, mescolandosi in una strana fusione con quella del padre, mentre dei suoi due figli non vi rimaneva altro che il suono dei loro nomi e il ricordo del dolore lancinante del parto, senza che ella avesse anche solo la possibilità di ricordare i loro volti.
Troppo tempo aveva passato da clandestina in giro per il Regno Unito, troppe volte aveva negato ai propri figli un abbraccio materno per il timore di sviluppare una debolezza o perché la stessa mano che avrebbe dovuto accarezzare il loro capo era impegnata nel porre fine alla vita di una persona con un unico, spietato lampo verde. Solo ora si rendeva conto delle sue mancanze, solo ora che quelle orride creature, figlie della follia e dell’orrore, avevano risucchiato qualsiasi sua gioia, il senso di colpa la opprimeva.
Il primo giorno aveva tentato di opporre resistenza tramite la barriera occlumantica che da anni le permetteva di proteggere la sua mente. La sua idea stava anche funzionando, ma ben presto dovette soccombere. Lei non aveva più nessuna speranza, niente a cui appigliarsi per rimanere lucida e non scivolare nel baratro senza fondo e senza ritorno della pazzia. Lentamente, la barriera occlumantica si era sgretolata mattone dopo mattone, in una lenta erosione che lasciava sempre più spazio allo squilibrio.
Questo s’insinuava, inesorabile, dentro di lei. Giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, abbracciava la sua mente e solleticava la sua ragione, spingendola in un moto costante e crudele a cedere. La sera del secondo giorno la sua ultima difesa contro il mondo esterno era capitolata, permettendo così che venisse portata a termine la razzia della sua felicità, mentre i gelidi artigli della follia scombinavano così ogni suo ricordo.
Si trattava di una morsa mentale che si ripercuoteva anche sul suo fisico, somatizzata con l’estremo dolore. Se solo fosse stata un po’ più umana, se solo avesse avuto qualcosa a cui sostenersi, la sua discesa sarebbe stata più lenta e dolce. Invece lei era solo il vuoto incarto di quel che un tempo era una persona viva, fatta di emozioni, gioie e dolori. Le difficoltà della sua infanzia, la sofferenza del distacco familiare, quella vita basata sull’omicidio l’avevano consumata prima lentamente, poi folgorandola in un solo istante e bruciandola senza lasciarle una via di scampo. Il biglietto di sola andata per l’oblio perenne era già stato timbrato e lei era salita su quel treno perfino in anticipo.
Il terzo giorno tutto aveva perso significato. Non era più cosciente del luogo in cui si trovava, né riusciva a capire se fosse mattina o sera. Lei fluttuava nel vuoto più totale, senza possibilità di redenzione o salvezza e con la sola compagnia del suo dolore.
 
Il processo fu fissato per il cinque dicembre. In quei giorni l’atrofizzazione aveva raggiunto livelli esponenziali, tanto che Nadezda quasi non soffriva più. Era vicina a quell’oblio che avrebbe garantito la pace perenne ma l’ultima parte della sua natura mortale, l’anima, la teneva ancorata, seppur in maniera sfuggente, al mondo reale, impedendole di trovar rifugio per sempre negli ameni e fittizi luoghi della sua mente.
In vista del processo aveva lasciato Azkaban, scortata all’interno del Ministero della Magia. Mentre gli arti orrendi e putrefatti dei Dissennatori le stringevano le braccia, trascinandola alla sedia a cui fu immediatamente incatenata, poté dare un solo sguardo all’ambiente. Non capì molto di quel che la circondava. Doveva essere una sorta di segreta, in cui regnava un’atmosfera cupa. Il Wizengamot era schierato davanti a lei, qualche Auror di guardia e non le ci volle molto per riconoscere quella recluta che le aveva causato tutto questo.
La testa, intanto, si lasciava andare a tic continui e inarrestabili, mentre le mani continuavano ad aprirsi e chiudersi, trovandosi ora per la prima volta in un luogo caldo dopo giorni. L’allontanarsi dei Dissennatori accelerò quel moto di disgelo. Raddrizzò ora la schiena, recuperando un po’ della sua fierezza, ma ormai era stata totalmente piegata. La prigionia ad Azkaban l’aveva rovinata una volta per tutte, schiacciata e distrutta dal quel sistema che ora si trovava ad affrontare.
« Nadezda Michailovna Baumann, è stata condotta di fronte al Tribunale della Legge Magica perché colpevole di aver preso parte alle file dei Mangiamorte, sostenitori di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. È stata catturata la notte del 21 novembre di quest’anno a Birmingham con ancora indosso la divisa Mangiamorte e in sede d’interrogatorio ha confermato la sua colpevolezza.
 « Ha passato gli ultimi giorni nel carcere di massima sicurezza di Azkaban e la pena per i suoi crimini è l’ergastolo. Questa pena potrebbe, tuttavia, essere riveduta qualora accetti di collaborare con il Ministero della Magia e ci fornisca informazioni utili sull’attività di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e dei suoi seguaci. Ha qualcosa da dichiarare? »
L’appena nominato capo del Dipartimento per l’Applicazione delle Leggi magiche, nonché giudice del Wizengamot, Bartemius Crouch Sr. pronunciò la formula di rito con la sua solita voce chiara. Gli occhi, protetti da occhiali, si sollevarono dalla pergamena per posarsi sulla figura della russa.
Nadezda alzò lentamente il capo verso di lui. Le labbra, spaccate, tremavano vistosamente, gli occhi erano gonfi e rossi, il volto sporco e pieno di graffi da lei stessa procurati nei momenti di disperazione più acuta. I capelli erano una massa informe e già si notava la mancanza di qualche ciocca, strappata durante la prigionia. Era dimagrita notevolmente e la debolezza del suo corpo era palese.
« S… sì. »
Un solo sussurro da parte della Mangiamorte fu necessario per scatenare un mormorio diffuso nell’aula, mentre subito ci si preparava per appuntare ogni parole della donna.
Nadezda si prese il suo tempo. Libera dal controllo dei Dissennatori, lentamente riprendeva fiato. Voltò di scatto il capo verso sinistra, osservando tutti i presenti, mentre lo sguardo volgeva poi verso destra in una semicirconferenza utile ad abbracciare con lo sguardo i vari giudici e ministeriali.
Un ultimo guizzo di rabbia e orgoglio brillò nei suoi occhi, mentre probabilmente qualcuno aveva già iniziato a capire quel che stava per accadere.
« Fottetevi. »
Un singolo ringhio, rivolto in maniera incondizionata a tutti, poneva fine ad ogni sua speranza di scampo. Lei, Nadezda Michailovna Baumann, non avrebbe mai e poi mai tradito l’Oscuro Signore. Aveva perso tutto quel che aveva di più caro, uno sconto sulla pena non avrebbe certo fatto la differenza, tanto più che dubitava anche solo di riuscire ad arrivare a fine anno.
Non aveva semplicemente nessuna ragione per cui vendersi al nemico combattuto fino alla fine. Tradire Lord Voldemort sarebbe significato anche tradire i propri ideali, gli insegnamenti del padre e, infine, lo stesso Michail Vertov. Tutto quello in cui credeva era rappresentato dalla figura di Lord Voldemort, non si sarebbe svenduta in questa maniera. Per quanto la follia l’avesse resa instabile, non era ancora arrivata al livello di compromettere la propria integrità.
E quasi a sostegno di quelle parole, rapide le labbra si strinsero fra loro, mentre i denti si abbatterono come due tagliole sulla propria lingua, iniziando poi a fare pressione.
« Nega quindi la collaborazione con il Minis… ?»
Crouch non fece in tempo a finire la frase che, senza permettere a chiunque di rendersene conto, Nadezda sputò per terra. Un impasto di sangue accompagnava quel che era evidentemente un pezzo della lingua della donna. Non si rifiutava semplicemente di collaborare in questo momento, ma semplicemente escludeva ogni possibilità di farlo in futuro.
Un suono gutturale, simile in tutto e per tutto ad una risata soffocata, echeggiò nell’aula del tribunale. La risata di Nadezda esprimeva tutto lo sprezzo che aveva nei confronti di quel sistema che aveva combattuto con tutte le sue forze, il suo gesto estremo altro non era se non un simbolo. Non si sarebbe piegata mai e poi mai alla collaborazione con gli stessi uomini di cui avrebbe voluto la pelle fino a qualche giorno prima, e la prigionia non aveva fatto altro che accentuare questa convinzione. Come avrebbe mai potuto aiutare gli uomini che l’avevano relegata ad una situazione di tortura perenne dalla quale non ne sarebbe mai uscita? Come avrebbe potuto trovare giovamento dal prostituirsi a favore di quel Ministero che per lei non aveva mai fatto assolutamente nulla se non renderle a vita un inferno?
Mentre si recideva la lingua a morsi, tutti i soprusi subiti a causa dei Babbani la motivarono nella sua azione. Non poteva rinnegare ogni sua azione, ogni goccia di sangue versato fino a questo momento, semplicemente per salvarsi da una situazione che di per sé non aveva alcuna via di scampo.
La risata si spense qualche secondo dopo, quando fecero ritorno i Dissennatori in aula, che l’afferrarono nuovamente per trascinarla nuovamente in prigione. Forse anche a causa del recente dolore lancinante provocato dal taglio della lingua il loro effetto fu decisamente minore. L’ultima immagine che il mondo magico tutto ebbe di Nadezda Michailovna Vertova-Baumann non fu altro che le fiamme ardenti dell’odio che incendiavano i suoi occhi ed un sadico sorriso insanguinato.
 
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: NymeriaBS