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Autore: flyingangel    25/10/2008    1 recensioni
"Amarti, il mio incubo. Che cosa nascondi dietro ai tuoi occhi?"
Chey è una ragazza come tante, ma qualcosa dietro l'angolo sconvolgerà la sua vita, e le farà vivere l'esperienza più eccitante, dolorosa, e pericolosa che abbia mai immaginato.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- DODICESIMO CAPITOLO -

*

Quando mi perdevo in quei pensieri, era ancora più difficile svegliarsi la mattina. Sbadigliai, ma non servì a nulla,
dovevo svegliarmi, dovevo alzarmi. Sbadigliai ancora.
Pensare a lui era peggio di qualsiasi droga, se mai ne avessi presa una. Era peggio, quando il suo viso dalla mia testa
non se ne voleva andare.
E provare a scacciarlo era pressoché inutile, come continuare a sbadigliare.
Aprii gli occhi e li richiusi un istante, per poi riaprirli. La semi-oscurità della stanza sbiadì dentro ai miei occhi in qualche
attimo, e mi alzai per aprire la finestra. La giornata di fuori faceva schifo, era tutto nuvole e grigiume. Guardai sul
comodino e diedi un’occhiata alla sveglia digitale. Non erano neanche le sette.
Sbuffai. Guardai fuori dalla finestra, ma non c’era nulla di bello che mi desse un tono allegro, quella mattina. Erano
sempre quelle cento nuvole sparse e quel grigio fumo, depresso.
Raggiunsi il piano inferiore e mi infilai in cucina, facendomi un toast. Quando uscì dal tostapane me lo scroccai in
bocca.
Era una cosa terribile continuare ad avere in testa un viso preciso di una persona, e non poterlo togliere, mentre
dovevi comunque continuare a vivere la tua vita.
“Chey, tutto bene?” mi si avvicinò Anne, con espressione preoccupata.
La guardai un attimo, alzando un sopracciglio e annuii.
“Sembri più strana del solito” mi scrutò, accigliata.
Scossi la testa. “No”.
“Se lo dici tu” abbassò lo sguardo sul suo piatto appena preparato. “Hai recuperato qualcosa a scuola, perlomeno?”
Annuii. “Sì, l’interrogazione era sufficiente”
Annuì anche lei. “D’accordo, bene. Allora ti manca qualcos’altro”
“Sì”. Decisamente qualcos’altro.
“Ha telefonato tua madre, ieri sera, mentre eri crollata nel letto. Ti cercava e ti voleva salutare”
“Ah” alzai le sopracciglia “grazie per avermelo detto. La saluterò appena la richiamo”
Annuì. “Certo, mangia ora”
Uscii da quella confortevole casa per immergermi nel freddo pungente di quella mattina, e guardai ancora una volta
il cielo, ma non era cambiato di una virgola.
Mi strinsi nel cappotto e inforcai la mia bici congelata nel garage. Arrivai a scuola, passando da casa di Jen non
l’avevo vista.
Entrai nella mia prima aula di quel giorno; avevo scienze.
Raggiunsi il mio posto a sedere, ma Jen non c’era. Presi il cellulare dalla tasca e le scrissi un messaggio.
“Jen, dove sei? Sono a scuola”.
Aspettai che mi rispondesse.
Passarono due ore, ma da lei nessuna risposta. Mi preoccupai. Che cosa poteva aver fatto?
Non poteva dirmelo subito se era malata? O se, cosa piuttosto strana, non aveva studiato?
Guardai di nuovo il cellulare. “Un nuovo messaggio”.
Lo lessi.
“Chey, scusa è che mi sono ammalata. Prendi anche per me gli appunti, grazie”.
“Fantastico” biascicai. Non bastava che dovessi recuperare, già difficile per me, ma pure seguire in diretta la lezione
e prendere appunti.
Sbuffai ripetutamente, senza farmi sentire.
Il professore doveva ancora entrare, e detti un’occhiata agli altri studenti.
Dalla porta aperta, in cui si entrava in aula, intravidi il viso di Loud e sgranai gli occhi, fremendo. Non poteva essere.
Doveva essere ancora nei miei sogni.
Guardai meglio, ma era lì. Era lì che mi fissava, mandandomi un sorriso a distanza. Lo ricambiai, e lui alzò una mano
allontanandosi.
Abbassai gli occhi sul mio banco ancora vuoto, e mi ci persi, sprofondando nei miei stupidi pensieri.
Perché doveva essere sempre lì? E se non l’avessi visto, mi sarebbe mancato?
Quando terminò scienze, mi fiondai alle macchinette; avevo una fame.
Clanc. Spinsi il bottone della merendina.
Clanc.
Si appoggiò alla macchinetta con un braccio e mi voltai di scatto verso di lui.
“Ciao” sorrise.
“Ciao” mormorai, così persa dai suoi occhi luminosi, dal non accorgermi che la mia merendina era già pronta da
prendere.
“Posso?” continuò, mentre i miei occhi non si volevano staccare dai suoi.
Annuii, continuando a guardarlo. Allungò una mano verso di me e fremetti. Poi la mise dentro al contenitore e ne
tirò fuori la mia merendina. Gli sfuggì un sorriso.
“Che avevi capito” mormorò, così a bassa voce, che quasi non lo sentii.
Imbarazzata, ero arrossita di mille tonalità. Guardai in basso e presi la mia merendina dalle sue splendide mani.
“Grazie”.
Sorrise di nuovo. “Non c’è bisogno di tutti questi convenevoli, con me”.
“Me ne vado” biascicai.
Alzò un sopracciglio, confuso. “Dove?”
“Come, dove? In classe”.
“Ma ancora non è suonata” mi fece presente.
Alzai le spalle, un po’ scossa da quella situazione.
“Non mi puoi scappare per sempre” quasi mi sorrise.
Lo guardai, stupita e ammaliata come sempre, come una povera deficiente.
“Dai, scherzavo” riprese. “Ma che hai fatto oggi?”corrugò le sopracciglia.
“Non ho dormito molto” alzai ancora le spalle, abbassando gli occhi.
Mi accarezzò una spalla. “Su, andrà meglio” mi salutò con uno sguardo e poi scomparve.
Ecco, l’aveva fatto di nuovo. Ora non se ne sarebbe andato di certo dalla mia testa, e io come facevo? Come
facevo a continuare quella giornata? E quelle successive, senza averlo impresso nella mia testa, come una povera
deficiente?
Cercai la mia prossima aula e guardai il banco vuoto accanto al mio.
Jen che si era ammalata, ma come aveva fatto, uffa…
Appoggiai il mento al palmo della mano e cercai, più o meno, di ascoltare la lezione e nel contempo, spostandomi
da sopra il palmo della mia mano al banco con i gomiti, di prender appunti.
La lezione passò strascicante, e dovetti guardare tremila volte l’orologio per controllare che almeno qualche minuto
fosse davvero passato.
Mi sembrava di essere ferma in un momento malinconico e senza tempo. Ma era impossibile.
Raggiunsi la mia bici, ancora fredda, e mi diressi a casa.
Quando mi buttai sul letto, la solitudine mi invase così bene, come una crudele coperta calda.
Nascosi il viso tra le braccia, incapace di rialzarmi, o di guardare altrove, se non al grigiume fumo fuori dalla finestra.
Quelle nuvole contornavano quel cielo come un tratto di pennarello, e lo tracciavano così bene che avrei detto di
essermelo solo immaginato. Forse, non era tutto reale, quando guardavo fuori.
Non volevo piangere, non volevo. Ma non sapevo perché sentivo quell’infinita tristezza, che ci sono quei momenti
in cui prende maggiormente, senza nessuna spiegazione.
Rrrr. Rrr. Rrr.
Mi voltai. Guardai il mio cellulare che vibrava sul comodino.
Incurvai le sopracciglia. Lo presi e lo aprii.
“Un nuovo messaggio”.
“Chey, vieni da me? Ti aspetto entro poco, se riesci. Loud”
Fremetti. No, non poteva essere.
Ributtai un’occhiata al cielo, fuori dalla finestra.
Uscii di fretta dalla casa, e inforcai la mia bici congelata, su per la collina e verso la sua villa.
Lo vidi, di fuori, ad aspettarmi e quando buttai la bici a terra, gli andai incontro, buttandogli le braccia al collo.
Lui mi strinse con la stessa intensità.
“Sono un po’ triste” gli dissi, tra i suoi splendidi capelli.
La sua mano mi accarezzò il viso e i capelli, così dolcemente che mi avrebbe sciolto.
Strofinai il naso contro il suo cappotto marrone, e lo sentii ancora più vicino a me, le sue mani mi toccarono i
fianchi e la curva della schiena, e lo avvertii anche da sotto il cappotto.
Strinsi le mie braccia attorno al suo collo, e poi lo abbracciai, tenendolo fermo contro di me. Non sapevo che cosa
stesse pensando di me.
Lo tirai ancora più verso di me, sentendo il suo corpo attaccato al mio. Lo guardai in viso, solo in quel momento e
mi accorsi che i suoi occhi erano lucenti come lucciole.
Sorrisi. Loud mi guardò un istante e sorrise.
Mi spostò i capelli dal viso e mi sorrise ancora. Strofinai il mio naso contro il profilo del suo mento e del suo collo…
Sentii le sue mani stringermi forte nei fianchi, contro di lui, così vicino, così vicino…
Mi appoggiai al suo collo, imprimendomi il suo profumo su di me.
Lo odorai e poi mi nascosi contro i suoi capelli lunghi, toccandoglieli e rastrellandoglieli con le dita. Sorrisi.
Loud mi guardò. Mi strinse ancora più forte. E io feci lo stesso, trattenendolo così fermo verso di me, contro di me…
Così fermo…
Lui chiuse gli occhi, contro la mia testa e si appoggiò lì, mentre io sentii il suo profumo tutto su di me, mentre lo
tenevo stretto abbracciandolo dalla schiena.
Mi sembrò che fossimo sospesi in una nuvola, o forse in una bolla, avevo paura che si potesse rompere, e che noi
potessimo cadere giù…giù…giù
Lo strinsi ancora più forte e sentii il calore del mio corpo contro il suo.
Lo baciai su una guancia e lui mi guardò, fissandomi. Fece lo stesso contro la mia guancia.
Non dissi nulla, e lui era come muto.
“Chey”
“Chey”
Avevo il suo profumo tutt’addosso, come qualcosa che non si potesse mai smacchiare o cancellare.
“Chey” ripetè la voce.
Il suo corpo non era caldo quanto il mio, ma era così bello poterlo stringere così forte, contro di me…
“Chey…”
Mi girai.
Era Jen.
“… ehm, in realtà ero venuta a trovare Antoine”
Sgranai gli occhi, sbigottita. “Come?”
Lei si voltò alla sua sinistra e vidi Antoine accanto a lei.
Corrugai le sopracciglia, lanciandole un’occhiata.
Guardai Loud, che mi fissava di rimando.
“Sarà meglio andare, scusami Loud” lui annuì impercettibilmente.
Andai da Jen e l’afferrai per un braccio.
“Se ci stai sulla mia bici, monta su”
“No, ho la mia” mi disse, accigliata.
“Okay, sali nella tua, ci vediamo” lanciai uno sguardo a loro due, che si allontanavano sempre di più da noi,
mentre pedalavamo velocemente giù dal pendio della collina.

*
Ringrazio tutti coloro che leggono e:

valevre ahahh è vero! :) grazieee spero piaccia anche questo.. .:)
  
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