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Autore: Kary91    11/11/2014    5 recensioni
[Sebastian Odair (figlio di Finnick)|Post-Mockingjay|Mini Long]
Lo era anche in quel momento, pensò il ragazzo, mettendo a confronto se stesso e il padre. Entrambi indossavano solo i jeans e sembravano perfino avere una postura simile, nonostante lui fosse a braccia conserte, mentre Finnick aveva le mani nelle tasche. Si somigliavano; non eccessivamente, ma in maniera comunque evidente.
Erano come Peter Pan e la sua ombra.
***
“Avrebbe scelto di crescere, per me?” mormorò infine. Non ebbe bisogno di specificare di chi stesse parlando: sapeva che Lyla avrebbe capito. “Mi avrebbe amato, come amava mia madre?”
“Forse anche di più” rispose la ragazza, facendo scivolare le dita fino a sfiorare il collo. “Probabilmente ha incominciato a volerti bene ancor prima che esistessi. E te ne vuole ancora.”
“Come?” replicò il ragazzo tornando a chiudere gli occhi, sentendosi improvvisamente stanco. “Mio padre è morto.”
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Bimbo Cresta-Odair, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Peter Pan del Distretto 4.'
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Il figlio di Peter Pan

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Act 2 – Remembering Childhood

4| Eccoti qua, Peter

«Forget them, Wendy. Forget them all. Come with me where you’ll never, never have to worry about grown-up things again.»

― Peter Pan, 2003

 

L’estate di Sebastian, l’anno del suo sedicesimo compleanno, trascorse tutta più o meno allo stesso modo. Le notti si susseguivano l’una all’altra, ospitandolo alla baia, fino a quando il freddo non incominciava a farsi troppo insistente perfino per lui. Qualcosa era cambiato, tuttavia, nei suoi vagabondaggi notturni lungo la spiaggia. Durante l’ultima settimana era capitato di rado che trascorresse le sue serate in solitudine: Lyla passava a trovarlo sempre più spesso, le volte in cui non restava al faro per mitigare i momenti di tristezza del padre. Le loro conversazioni erano diventate ormai parte del suo rituale notturno, tanto quanto il vento o le onde agitate dalla sua spinta.

“Lo sai come si chiama questo posto?” gli chiese Lyla una sera, mentre erano entrambi intenti a bagnarsi i piedi sulla riva.

Sebastian esitò per un istante, prima di rispondere.

“Non conosco il nome vero” ammise infine, “Ma mia madre e tuo padre la chiamano la Baia delle Impronte Dimenticate.”

Lyla annuì.

“Sai, dicono che la sera le persone morte camminino sulla spiaggia” mormorò poi, chinandosi per immergere le mani nell’acqua. Sebastian fece una smorfia.

“Inquietante.”

“E che al mattino i loro cari trovino sulla sabbia le impronte di chi hanno perso. Da bambina cercavo sempre quello di mio nonno e dello zio Killian.”

Sebastian non rispose, limitandosi ad ascoltare in silenzio. Un paio di giorni prima Lyla gli aveva raccontato qualcosa sul passato della sua famiglia: suo nonno, il padre di Adrian e Killian, era stato capitano di una nave da trasporto merci – una delle poche, prima della rivolta, che smerciava il pesce a Capitol City. Sebastian sapeva che suo nonno paterno, Gannet, aveva fatto un lavoro simile, prima di morire. In una giornata un po’ burrascosa il signor Harbor era partito per raggiungere la capitale e non aveva mai fatto ritorno. Da allora, sua moglie non era più stata la stessa; trascorreva gran parte delle sue giornate alla baia, con lo sguardo immerso fra le onde, come se ancora attendesse il ritorno del marito. Quel racconto aveva colpito molto Sebastian; mentre Lyla gli parlava dello sguardo spento di sua nonna e dei suoi silenzi interminabili, lui non aveva potuto fare a meno di pensare a sua madre e alla tristezza che dominava l’aspetto sempre più fragile della donna.

“Spesso trovavo due paia di impronte vicine, una più grande e l’altra decisamente più piccola” proseguì la ragazza, per nulla turbata dalla conversazione a senso unico che stava avendo: ci era abituata, ormai. Capitava spesso che Sebastian si estraniasse, troppo abituato a fare affidamento solo su se stesso e sui propri pensieri. “Sono sempre stata convinta che fossero le loro.”

Ancora una volta, il ragazzo non disse nulla. La questione delle impronte lasciate sulla spiaggia dalle persone care che non c’erano più non gli era del completamente nuova – era una di quelle leggende popolari che tutti, al Distretto 4, avevano sentito menzionare almeno una volta. Ed era anche sicuro di aver cercato le impronte di suo padre sulla sabbia assieme ad Annie, da piccolo. Solo, non aveva voglia di parlarne.

“Vedo che non sei ancora riuscito a trovare il tuo pensiero felice, Peter-non-Peter” osservò ad un certo punto Lyla, accennando all’espressione seriosa del coetaneo. “Di questo passo non raggiungerai l’Isola Che Non C’è  nemmeno con tonnellate di polvere di fata.”

Il ragazzo roteò gli occhi e si allontanò dalla riva per sdraiarsi sulla sabbia asciutta.

“Mi chiamo Sebastian” ricalcò per l’ennesima volta, prima di mascherare uno sbadiglio con la mano. “Pensavo che ti fossi arresa con questa storia di Peter Pan.”

Lyla scosse la testa e sorrise con fare sbarazzino.

“Affatto. E stasera ti metterò alla prova.”

“Come? Buttandomi giù da uno scoglio per vedere se spicco il volo?”

La ragazza roteò gli occhi e lo raggiunse.


“Facendoti ridere” rispose, afferrandogli una mano per convincerlo ad alzarsi. “Dai, vieni con me!”

 

Sebastian chiuse pigramente gli occhi e si rifiutò di muoversi. Lyla gli tirò il braccio per un po’, fino a quando il giovane non si convinse a seguirla. Lo guidò verso la riva e poi più distante, non badando ai risvolti ormai fradici dei  jeans di entrambi.

 

“Io non rido molto” si sentì in dovere di ricordarle il ragazzo, indirizzando un’occhiata perplessa all’acqua che gli arrivava poco sotto il polpaccio.

 

Lyla gli indirizzò il solito sorrisetto sbarazzino.

 

“Me ne sono accorta.”

 

“E non soffro il solletico” aggiunse Sebastian, stringendosi nelle braccia, per proteggersi dagli schizzi di acqua fredda.

 

Lyla lo ignorò e continuò a camminare. Il giovane la inseguì con lo sguardo per qualche istante, prima di scuotere il capo e convincersi ad andarle dietro.

L’aveva ormai raggiunta, quando qualcosa si frappose sul suo cammino, facendolo inciampare. Cadde sulle ginocchia e cercò di attutire il colpo con le mani, bagnandosi fino al torace.  Imprecò a denti stretti, sfregandosi i palmi graffiati e si accigliò nell’intercettare l’espressione divertita di Lyla. La ragazza incominciò a ridere, punzecchiandolo con il suo sorriso più malandrino del suo repertorio.

“Mi hai fatto lo sgambetto?” sbottò Sebastian. La giovane fece spallucce.

“Pensavi davvero che facendomi fare la figura dell’imbecille mi avresti fatto ridere, o era tutta una trappola per cercare di sbarazzarti di me?” borbottò il ragazzo, stringendosi le braccia contro il petto. “Avrei potuto fracassarmi la testa.”

Lyla rise di nuovo, prima di sollevare un po’ d’acqua con la mano per tirargliela addosso.

“Non fare il bambino…” lo punzecchiò, quando Sebastian incominciò ad allontanarsi, per evitare gli schizzi.

“Io sono un bambino[1]…” replicò ironicamente lui, stringendosi nelle spalle. “…Sono il figlio di Peter Pan, no?”

Lyla gli sorrise e poi riprese a camminare verso l’acqua più profonda. Ancora una volta Sebastian tentennò per un po’, prima di convincersi a raggiungerla: faceva comunque troppo freddo per restare fermi e non aveva nulla con cui asciugarsi.


“Ci beccheremo una polmonite” commentò infine, camminando un po’ distante da Lyla, per evitare che lei gli giocasse un altro brutto scherzo.

“…Disse il ragazzo che passeggiava mezzo nudo per la baia ogni notte” lo prese in giro la ragazza, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

 

Sebastian roteò gli occhi.

“Non mi sono mai ammalato, fino ad ora” replicò, immergendo una mano nell’acqua. Schizzò in direzione della giovane che trasalì, colta di sorpresa. Lyla ricambiò subito il gesto, sollevando parecchia acqua. Prima che Sebastian riuscisse a schizzarla di nuovo, la ragazza scattò in avanti per sfuggirgli.

“Questa me la paghi” la minacciò l’amico, traendo un lungo respiro prima di immergersi in acqua. Si gettò al suo inseguimento, ignorando le sferzate d’acqua che Lyla gli stava indirizzando.

“Attento a te, Uncino!” lo avvertì la giovane, quando Sebastian le arrivò alle spalle per bloccarle le braccia.

“Uncino a chi?”

L’afferrò per la vita, trascinandola verso di sé. Cercò di immergerle la testa nell’acqua, ma nel divincolarsi Lyla gli sferrò involontariamente una gomitata contro il petto. Sebastian mollò la presa, soffocando un’imprecazione a denti stretti.

“Scusami!” esclamò all’istante la ragazza, spostandogli le braccia per controllare il punto colpito. Sembrava davvero dispiaciuta, ma era evidente, nonostante l’espressione colpevole, che stesse facendo del suo meglio per non scoppiare a ridere. Sebastian si finse offeso.

“Sei pericolosa” borbottò, massaggiandosi la zona arrossata sul torace. Lyla gli scostò la mano, per adagiare le dita contro il suo petto. Il ragazzo si irrigidì appena, prima di rilassarsi a quel tocco; la pressione leggera dei suoi polpastrelli a contatto con la sua pelle era delicata come ali di falena; come la ninna nanna che Lyla aveva cantato per lui qualche settimana prima. Lentamente il tocco si trasformò in una carezza e Sebastian provò la stessa sensazione piacevole che avvertiva quando il vento gli solleticava la pelle le sere come quella, alla baia.

Lyla gli sorrise – la mano ancora adagiata contro il suo petto. Per un attimo sembrò sul punto di dire qualcosa, ma non lo fece: si limitò a immergere le dita libere nell’acqua. L’istante successivo aveva già ripreso a schizzare Sebastian, cogliendolo di sorpresa una seconda volta.

“Sei proprio una fata…” osservò in quel momento il ragazzo, ricambiando il colpo per costringerla a fermarsi. Lyla cercò di ripararsi con le braccia, ma Sebastian riuscì a bloccarle i polsi, attirandola nuovamente a sé. “…Rompipalle e dispettosa come Trilly e compagnia…”

“Ogni Peter Pan che si rispetti ha bisogno di una fatina rompipalle…” replicò la ragazza, prima di lasciarsi sfuggire un gridolino, quando Sebastian riprese a schizzarla. Strizzò gli occhi e cercò di divincolarsi, mentre l’amico la bloccava contro il suo petto, per impedirle di difendersi.

“Tutto questo è sleale!” si lamentò.

“Ti arrendi?” la canzonò il ragazzo, sorridendo divertito. Lyla cercò di rispondere, ma fu costretta a richiudere subito la bocca per difendersi da un nuovo attacco d’acqua.

“Sto per darti un’altra gomitata” farfugliò più in fretta che poté, fra uno schizzo e l’altro. La sua frase gli fece allentare la presa per un istante, e la giovane ne approfittò per scattare in avanti. Riuscì a nuotare per qualche metro, prima che Sebastian la raggiungesse. Questa volta era preparata e rispose ai suoi schizzi. Il ragazzo la sollevò con facilità, pronto a bloccarle nuovamente le braccia per difendersi in caso ce ne fosse stato bisogno.

Impiegò una buona manciata di secondi a rendersi conto che Lyla aveva smesso di schizzarlo; non stava nemmeno cercando di sfuggirgli. La giovane aveva incrociato i polsi dietro al suo collo, per sorreggersi, e lo osservava con un insolito brillio di trionfo nello sguardo. Rideva ancora, nella solita maniera aperta e sbarazzina che sembrava pervadere ogni cosa che le appartenesse. Aveva il sorriso di una persona che si accorge di aver vinto e, non appena il respiro cominciò a mancargli, Sebastian si rese conto che le cose stessero andando veramente così.

Perché lui stava ridendo.

Rideva da un pezzo, ormai, ma ci fece caso solo quando si accorse di avere il fiato corto e gli angoli delle labbra indolenziti, a forza di tenerli inarcati verso l’alto. Rise ancora, contagiato dal sorriso vistoso di Lyla. Scosse la testa in un rassegnato cenno di resa e, finalmente, riuscì a regolarizzare il suo respiro.

Lyla, a quel punto, si liberò dalla sua presa, senza scostare le braccia dal collo del ragazzo. Una delle sue mani scese ad accarezzargli il petto, nel punto in cui lo aveva colpito poco prima. Il suo sguardo sembrò dissolversi nel nulla per qualche istante, come se fosse assorta in qualche pensiero tutto suo. Infine, la giovane fece risalire i polpastrelli fino a sfiorare il volto di Sebastian e ripeté lo stesso gesto con l’altra mano. Le sue dita percorsero con delicata attenzione i suoi lineamenti; rincorsero il profilo delle sue guance e tracciarono il contorno delle sue labbra, prima di  salire ancora, a sfiorargli con dolcezza le tempie. Infine la ragazza sorrise, scostandogli con tenerezza un ciuffo di capelli dalla fronte.

“Eccoti qua, Peter[2]” mormorò, immergendo le dita nell’acqua per intrecciarle a quelle di Sebastian. Il ragazzo scosse la testa, prima di stringere le mani della giovane.

“Non sono Peter Pan” la contraddisse ancora una volta, mordendosi un labbro: il suo tono di voce aveva perso un po’ della convinzione iniziale.

Lyla gli rivolse un’occhiata malandrina.

“Se non sei Peter Pan allora, di certo, saprai cos’è un bacio[3]” lo canzonò, appoggiandosi a lui.

Sebastian sorrise. Adagiò la fronte alla sua e contemplò per qualche istante il guizzo sbarazzino che ancora accendeva lo sguardo di Lyla.

“Sì, credo di saperlo” confermò, rinforzando la presa sulle sue mani, prima di lasciarla andare. Le accarezzò una guancia con il dorso delle dita e la attirò a sé, adagiando le labbra alle sue.

La sensazione piacevole che tanto amava e associava al vento lo sorprese all’improvviso, mentre le mani di Lyla tornavano a scorrere lungo il suo torace. Le sue carezze gli percorsero il petto, sfiorando quel peso che Sebastian aveva cresciuto dentro di sé fin da quando era bambino. Per un attimo lo percepì in maniera nitida, stuzzicato com’era dai suoi tocchi, ma sembrò pesare di meno del solito, come se qualcuno lo stesse sostenendo assieme a lui. Anche la voragine che avvertiva al centro di sé stesso si restrinse per un istante, modellata dalle carezze e dai baci di Lyla. Se qualcuno l’avesse osservata in quel momento, avrebbe riconosciuto in lei un’ombra, più che un frammento di nulla.

Un’ombra dispettosa, che punzecchiava costantemente il suo proprietario.

L’ombra di un ragazzino che non voleva crescere.

 

«Beh, Benvenuto all’Isola Che Non C’è, Peter Pan da grande.»

― Hook Capitan Uncino, 1991

*

Tornare a casa quella sera fu più facile, rispetto ai giorni precedenti. Sebastian si sentiva pieno: l’apatia aveva abbassato il tono di voce, lasciandolo libero di godersi il silenzio della notte senza sentirsi triste o malinconico.

Attraversò la cucina al buio e raggiunse il bagno a tentoni per cercare un asciugamano. Ne prese uno e incominciò a strofinarsi i capelli, prima di tornare in corridoio. Una luce fioca proveniva dalla stanza di sua madre e il ragazzo ipotizzò che fosse andata a dormire con l’abat-jour accesa, come faceva ogni tanto, quando gli incubi agitavano i suoi sogni. Finì di asciugarsi alla meno peggio e raggiunse la stanza della donna, per assicurarsi che stesse bene.

La trovò addormentata, i capelli castani a incorniciarle il volto. La mano destra era appoggiata al comodino, non troppo distante da una delle due fotografie che adornavano il mobile.

Sebastian si sedette sul bordo del letto, non badando ai propri jeans ancora fradici, e afferrò la cornice. L’immagine all’interno raffigurava i suoi genitori al loro matrimonio. Erano giovani e i loro sguardi radiosi facevano venir voglia di sorridere al solo guardarli. La gioia provata da entrambi in quel momento era così evidente da fare quasi male. Se Sebastian avesse dovuto spiegare a qualcuno cosa significasse essere perdutamente innamorati, probabilmente gli avrebbe mostrato quella fotografia. Si soffermò con lo sguardo sul volto allegro di suo padre; sfiorò con i polpastrelli quei lineamenti ben definiti come Lyla, quella sera, aveva fatto con il suo viso.  Aveva un sorriso genuino, in aperto contrasto con l’aria accattivante che assumeva spesso in foto. Sembrava davvero un ragazzino, in quello scatto: un ragazzino felice.

Sebastian spostò poi la sua attenzione verso la figura di Annie, teneramente abbracciata al neo-marito. La sua semplicità e la gioia evidenziata dal suo sguardo la rendevano incredibilmente bella. Sebastian non aveva mai avuto l’occasione di conoscere quella ragazza dal sorriso allegro e lo sguardo luminoso; era fuggita quando era morto suo padre, lasciando solo il suo fantasma a prendersi cura della creatura che portava in grembo. Il figlio di Peter Pan.

Il ragazzo sistemò la fotografia al suo posto e si passò le dita tra i capelli umidi, prima di voltarsi verso la madre. Con delicatezza le prese la mano ancora appoggiata al comodino e gliela sistemò sotto il lenzuolo. Il pensiero della fotografia dei suoi genitori gli fece tornare in mente le parole scherzose di Lyla di quella sera: la menzione al suo pensiero felice, quel qualcosa di essenziale per poter raggiungere l’Isola Che Non C’è.

Sebastian non aveva mai avuto un pensiero felice; c’erano stati momenti di serenità improvvisa, attimi che gli avevano strappato un sorriso. C’erano le persone come Lyla che avevano il dono di farlo sentire bene con poco, scacciando un po’ di quell’apatia che avvertiva di tanto in tanto. Ma questo era quanto e immaginava che per la maggior parte delle persone fosse così.  Non per sua madre, però.  Annie Cresta ce l’aveva un pensiero felice, l’aveva sempre avuto. Era impresso lì, in quella fotografia, ma uno stupido scherzo del destino gliel’aveva portato via, spegnendo i suoi occhi e adagiando un peso sul petto di Sebastian.

Il ragazzo inspirò con forza, prima di chinarsi sulla donna. La baciò sulla guancia e osservò le sue palpebre fremere, prima che lo sguardo assonnato di sua madre si posasse su di lui. Un lieve sorriso ammorbidì l’espressione triste di Annie. Quando gli parlò, lo fece per pronunciare l’unica parola che suo figlio aveva bisogno di sentirle dire da tempo.

“Sebastian” mormorò, accarezzandogli una guancia. “Come mai sei sveglio a quest’ora? E perché…” si interruppe, passando una mano fra i capelli del figlio. Una punta di apprensione le attraversò il volto. “…Come mai sei tutto bagnato?”

“Non è niente, mamma”.

Sebastian zittì le sue preoccupazioni con un sorriso.

“Sto bene. Adesso cerca di dormire ancora un po’”.

Restò vicino a lei per qualche altro minuto, fino a quando Annie non si convinse che stesse bene e smise di fare domande.

Mentre le palpebre della donna tornavano a chiudersi, Sebastian le augurò la buonanotte e strinse la sua mano un’ultima volta. Prima di lasciare la stanza scoccò un’ultima occhiata alla foto del matrimonio dei suoi genitori. Spostò poi lo sguardo in direzione della mensola sopra il comò, dove una manciata di cornici di legno mostravano un bimbetto di tre o quattro anni, che sorrideva esibendo una finestrella fra i denti.

Evocò il ricordo di Annie che gli sorrideva dall’altra parte dell’obbiettivo e le passeggiate fatte assieme di tanto in tanto, quando era ancora molto piccolo. Pensò a sua madre che lo chiamava per nome, che se lo sedeva sulle ginocchia per fargli il solletico.

Ricordò un’Annie che gli raccontava di suo padre, senza mai confonderlo con lui.

Ricordò una madre che lo vedeva – lo vedeva per davvero. E un se stesso che rideva, mettendo in mostra il suo sorriso sdentato.

Forse un tempo erano quelli, i suoi pensieri felici.

 

«Non puoi proteggerti dalla tristezza senza proteggerti anche dalla felicità.»

  Jonathan Safran Foer, Molto Forte, Incredibilmente Vicino.



 


Note finali.

Ed eccoci qui con il nuovo capitolo, quello che chiude il secondo atto! Penso che questo sia stato in assoluto il più difficile da scrivere <.< Un po’ per via dell’evolversi del rapporto fra Sebastian e Lyla (che sono sempre più pazzi xD) e un po’ perché sono affezionatissima alla scena di Hook che mi ha ispirata e che mi commuove sempre (quella del bimbo sperduto che tocca la faccia di Peter prima di convincersi che sia proprio lui <3). La lotta in acqua dei due ragazzi è un po’ banale, ma ci tenevo a includerla per riallacciarmi a un’altra citazione di Hook che è già stata accennata nei discorsi di Lyla e che verrà ripresa nel prossimo capitolo.

La storia del nonno di Lyla ricorda incredibilmente quella del papà di Finnick, Gannet, che come lui è partito per il mare e non è più tornato. Footprints in the Sand (la storia in cui si parla anche dei genitori di Finnick) è nata un paio di mesi dopo questa e mentre la scrivevo non ho fatto molto caso all’analogia con ciò che è successo al Signor Harbor: mi è venuto poi in mente dopo xD Si è quindi venuto a formare un altro parallelismo fra il passato delle famiglie di Lyla e Sebastian. Anche la leggenda della baia è stata inserita in Footprints, dove è Mags a raccontare a un piccolo Finnick delle impronte.

 

Ringrazio infinitamente le persone che hanno recensito lo scorso capitolo <3 Nel pomeriggio corro a rispondervi!

Intanto, siamo ormai a più di metà della storia.  Gli ultimi capitoli saranno più brevi (tranne forse il prossimo) e tireranno in un certo senso le somme del racconto!
Spero tanto che questa parte vi sia piaciuta!

Un abbraccio e a presto!

Laura



[1] Questo è un altro piccolo riferimento a un dialogo di Hook, fra Peter Pan e suo figlio Jack.

[2] La scena di Lyla che tasta il volto di Sebastian e la frase che pronuncia fanno riferimento a una delle scene più iconiche del film Hook: qui trovate la scena.

[3] Nella favola di Peter Pan, quando Peter  arriva a casa Darling, Wendy si offre di dargli un bacio. Peter distende la mano, poiché non sa cosa sia un bacio  e pensa che la ragazzina stia per dargli qualcosa. 

   
 
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