Il figlio di Peter Pan
Act 2 – Remembering Childhood
4| Eccoti qua,
Peter
«Forget them, Wendy. Forget them all.
Come with me where you’ll never, never have to worry about grown-up things
again.»
― Peter Pan, 2003
L’estate di Sebastian, l’anno del suo
sedicesimo compleanno, trascorse tutta più o meno allo stesso modo. Le notti si
susseguivano l’una all’altra, ospitandolo alla baia, fino a quando il freddo
non incominciava a farsi troppo insistente perfino per lui. Qualcosa era
cambiato, tuttavia, nei suoi vagabondaggi notturni lungo la spiaggia. Durante
l’ultima settimana era capitato di rado che trascorresse le sue serate in
solitudine: Lyla passava a trovarlo sempre più spesso, le volte in cui non
restava al faro per mitigare i momenti di tristezza del padre. Le loro conversazioni
erano diventate ormai parte del suo rituale notturno, tanto quanto il vento o
le onde agitate dalla sua spinta.
“Lo sai come si chiama questo posto?”
gli chiese Lyla una sera, mentre erano entrambi intenti a bagnarsi i piedi
sulla riva.
Sebastian esitò per un istante, prima
di rispondere.
“Non conosco il nome vero” ammise
infine, “Ma mia madre e tuo padre la chiamano la Baia delle Impronte
Dimenticate.”
Lyla annuì.
“Sai, dicono che la sera le persone morte
camminino sulla spiaggia” mormorò poi, chinandosi per immergere le mani
nell’acqua. Sebastian fece una smorfia.
“Inquietante.”
“E che al mattino i loro cari trovino sulla
sabbia le impronte di chi hanno perso. Da bambina cercavo sempre quello di mio
nonno e dello zio Killian.”
Sebastian non rispose, limitandosi ad
ascoltare in silenzio. Un paio di giorni prima Lyla gli aveva raccontato
qualcosa sul passato della sua famiglia: suo nonno, il padre di Adrian e Killian, era stato capitano di una nave da trasporto merci
– una delle poche, prima della rivolta, che smerciava il pesce a Capitol City. Sebastian sapeva che suo nonno paterno, Gannet, aveva fatto un lavoro simile, prima di morire. In
una giornata un po’ burrascosa il signor Harbor era partito per raggiungere la
capitale e non aveva mai fatto ritorno. Da allora, sua moglie non era più stata
la stessa; trascorreva gran parte delle sue giornate alla baia, con lo sguardo
immerso fra le onde, come se ancora attendesse il ritorno del marito. Quel
racconto aveva colpito molto Sebastian; mentre Lyla gli parlava dello sguardo
spento di sua nonna e dei suoi silenzi interminabili, lui non aveva potuto fare
a meno di pensare a sua madre e alla tristezza che dominava l’aspetto sempre
più fragile della donna.
“Spesso trovavo due paia di impronte
vicine, una più grande e l’altra decisamente più piccola” proseguì la ragazza,
per nulla turbata dalla conversazione a senso unico che stava avendo: ci era
abituata, ormai. Capitava spesso che Sebastian si estraniasse, troppo abituato
a fare affidamento solo su se stesso e sui propri pensieri. “Sono sempre stata
convinta che fossero le loro.”
Ancora una volta, il ragazzo non disse
nulla. La questione delle impronte lasciate sulla spiaggia dalle persone care
che non c’erano più non gli era del completamente nuova – era una di quelle
leggende popolari che tutti, al Distretto 4, avevano sentito menzionare almeno
una volta. Ed era anche sicuro di aver cercato le impronte di suo padre sulla
sabbia assieme ad Annie, da piccolo. Solo, non aveva voglia di parlarne.
“Vedo che non sei ancora riuscito a
trovare il tuo pensiero felice, Peter-non-Peter” osservò ad un certo punto
Lyla, accennando all’espressione seriosa del coetaneo. “Di questo passo non
raggiungerai l’Isola Che Non C’è nemmeno
con tonnellate di polvere di fata.”
Il ragazzo roteò gli occhi e si
allontanò dalla riva per sdraiarsi sulla sabbia asciutta.
“Mi chiamo Sebastian” ricalcò per
l’ennesima volta, prima di mascherare uno sbadiglio con la mano. “Pensavo che
ti fossi arresa con questa storia di Peter Pan.”
Lyla scosse la testa e sorrise con fare
sbarazzino.
“Affatto. E stasera ti metterò alla
prova.”
“Come? Buttandomi giù da uno scoglio
per vedere se spicco il volo?”
La ragazza roteò gli occhi e lo
raggiunse.
“Facendoti ridere” rispose, afferrandogli una mano per convincerlo ad alzarsi.
“Dai, vieni con me!”
Sebastian chiuse
pigramente gli occhi e si rifiutò di muoversi. Lyla gli tirò il braccio per un
po’, fino a quando il giovane non si convinse a seguirla. Lo guidò verso la
riva e poi più distante, non badando ai risvolti ormai fradici dei jeans di entrambi.
“Io non rido molto” si sentì in dovere
di ricordarle il ragazzo, indirizzando un’occhiata perplessa all’acqua che gli
arrivava poco sotto il polpaccio.
Lyla gli indirizzò il solito sorrisetto
sbarazzino.
“Me ne sono accorta.”
“E non soffro il solletico” aggiunse Sebastian,
stringendosi nelle braccia, per proteggersi dagli schizzi di acqua fredda.
Lyla lo ignorò e continuò a camminare.
Il giovane la inseguì con lo sguardo per qualche istante, prima di scuotere il
capo e convincersi ad andarle dietro.
L’aveva ormai raggiunta, quando
qualcosa si frappose sul suo cammino, facendolo inciampare. Cadde sulle
ginocchia e cercò di attutire il colpo con le mani, bagnandosi fino al
torace. Imprecò a denti stretti,
sfregandosi i palmi graffiati e si accigliò nell’intercettare l’espressione
divertita di Lyla. La ragazza incominciò a ridere, punzecchiandolo con il suo
sorriso più malandrino del suo repertorio.
“Mi hai fatto lo sgambetto?” sbottò
Sebastian. La giovane fece spallucce.
“Pensavi davvero che facendomi fare la
figura dell’imbecille mi avresti fatto ridere, o era tutta una trappola per
cercare di sbarazzarti di me?” borbottò il ragazzo, stringendosi le braccia
contro il petto. “Avrei potuto fracassarmi la testa.”
Lyla rise di nuovo, prima di sollevare
un po’ d’acqua con la mano per tirargliela addosso.
“Non fare il bambino…” lo punzecchiò,
quando Sebastian incominciò ad allontanarsi, per evitare gli schizzi.
“Io sono un bambino[1]…”
replicò ironicamente lui, stringendosi nelle spalle. “…Sono il figlio di Peter
Pan, no?”
Lyla gli sorrise e poi riprese a
camminare verso l’acqua più profonda. Ancora una volta Sebastian tentennò per
un po’, prima di convincersi a raggiungerla: faceva comunque troppo freddo per
restare fermi e non aveva nulla con cui asciugarsi.
“Ci beccheremo una polmonite” commentò infine, camminando un po’ distante da
Lyla, per evitare che lei gli giocasse un altro brutto scherzo.
“…Disse il ragazzo che passeggiava mezzo
nudo per la baia ogni notte” lo prese in giro la ragazza, portandosi una ciocca
di capelli dietro l’orecchio.
Sebastian roteò gli occhi.
“Non mi sono mai ammalato, fino ad ora”
replicò, immergendo una mano nell’acqua. Schizzò in direzione della giovane che
trasalì, colta di sorpresa. Lyla ricambiò subito il gesto, sollevando parecchia
acqua. Prima che Sebastian riuscisse a schizzarla di nuovo, la ragazza scattò
in avanti per sfuggirgli.
“Questa me la paghi” la minacciò l’amico,
traendo un lungo respiro prima di immergersi in acqua. Si gettò al suo
inseguimento, ignorando le sferzate d’acqua che Lyla gli stava indirizzando.
“Attento a te, Uncino!” lo avvertì la
giovane, quando Sebastian le arrivò alle spalle per bloccarle le braccia.
“Uncino a chi?”
L’afferrò per la vita, trascinandola
verso di sé. Cercò di immergerle la testa nell’acqua, ma nel divincolarsi Lyla
gli sferrò involontariamente una gomitata contro il petto. Sebastian mollò la
presa, soffocando un’imprecazione a denti stretti.
“Scusami!” esclamò all’istante la
ragazza, spostandogli le braccia per controllare il punto colpito. Sembrava
davvero dispiaciuta, ma era evidente, nonostante l’espressione colpevole, che
stesse facendo del suo meglio per non scoppiare a ridere. Sebastian si finse
offeso.
“Sei pericolosa” borbottò,
massaggiandosi la zona arrossata sul torace. Lyla gli scostò la mano, per
adagiare le dita contro il suo petto. Il ragazzo si irrigidì appena, prima di
rilassarsi a quel tocco; la pressione leggera dei suoi polpastrelli a contatto
con la sua pelle era delicata come ali di falena; come la ninna nanna che Lyla
aveva cantato per lui qualche settimana prima. Lentamente il tocco si trasformò
in una carezza e Sebastian provò la stessa sensazione piacevole che avvertiva
quando il vento gli solleticava la pelle le sere come quella, alla baia.
Lyla gli sorrise – la mano ancora
adagiata contro il suo petto. Per un attimo sembrò sul punto di dire qualcosa,
ma non lo fece: si limitò a immergere le dita libere nell’acqua. L’istante
successivo aveva già ripreso a schizzare Sebastian, cogliendolo di sorpresa una
seconda volta.
“Sei proprio una fata…” osservò in quel
momento il ragazzo, ricambiando il colpo per costringerla a fermarsi. Lyla
cercò di ripararsi con le braccia, ma Sebastian riuscì a bloccarle i polsi,
attirandola nuovamente a sé. “…Rompipalle e dispettosa come Trilly
e compagnia…”
“Ogni Peter Pan che si rispetti ha
bisogno di una fatina rompipalle…” replicò la ragazza, prima di lasciarsi
sfuggire un gridolino, quando Sebastian riprese a schizzarla. Strizzò gli occhi
e cercò di divincolarsi, mentre l’amico la bloccava contro il suo petto, per
impedirle di difendersi.
“Tutto questo è sleale!” si lamentò.
“Ti arrendi?” la canzonò il ragazzo,
sorridendo divertito. Lyla cercò di rispondere, ma fu costretta a richiudere
subito la bocca per difendersi da un nuovo attacco d’acqua.
“Sto per darti un’altra gomitata”
farfugliò più in fretta che poté, fra uno schizzo e l’altro. La sua frase gli
fece allentare la presa per un istante, e la giovane ne approfittò per scattare
in avanti. Riuscì a nuotare per qualche metro, prima che Sebastian la
raggiungesse. Questa volta era preparata e rispose ai suoi schizzi. Il ragazzo
la sollevò con facilità, pronto a bloccarle nuovamente le braccia per
difendersi in caso ce ne fosse stato bisogno.
Impiegò una buona manciata di secondi a
rendersi conto che Lyla aveva smesso di schizzarlo; non stava nemmeno cercando
di sfuggirgli. La giovane aveva incrociato i polsi dietro al suo collo, per
sorreggersi, e lo osservava con un insolito brillio di trionfo nello sguardo.
Rideva ancora, nella solita maniera aperta e sbarazzina che sembrava pervadere
ogni cosa che le appartenesse. Aveva il sorriso di una persona che si accorge
di aver vinto e, non appena il respiro cominciò a mancargli, Sebastian si rese
conto che le cose stessero andando veramente così.
Perché lui stava ridendo.
Rideva da un pezzo, ormai, ma ci fece
caso solo quando si accorse di avere il fiato corto e gli angoli delle labbra
indolenziti, a forza di tenerli inarcati verso l’alto. Rise ancora, contagiato
dal sorriso vistoso di Lyla. Scosse la testa in un rassegnato cenno di resa e,
finalmente, riuscì a regolarizzare il suo respiro.
Lyla, a quel punto, si liberò dalla sua
presa, senza scostare le braccia dal collo del ragazzo. Una delle sue mani
scese ad accarezzargli il petto, nel punto in cui lo aveva colpito poco prima.
Il suo sguardo sembrò dissolversi nel nulla per qualche istante, come se fosse
assorta in qualche pensiero tutto suo. Infine, la giovane fece risalire i
polpastrelli fino a sfiorare il volto di Sebastian e ripeté lo stesso gesto con
l’altra mano. Le sue dita percorsero con delicata attenzione i suoi lineamenti;
rincorsero il profilo delle sue guance e tracciarono il contorno delle sue
labbra, prima di salire ancora, a
sfiorargli con dolcezza le tempie. Infine la ragazza sorrise, scostandogli con
tenerezza un ciuffo di capelli dalla fronte.
“Eccoti qua, Peter[2]”
mormorò, immergendo le dita nell’acqua per intrecciarle a quelle di Sebastian.
Il ragazzo scosse la testa, prima di stringere le mani della giovane.
“Non sono Peter Pan” la contraddisse
ancora una volta, mordendosi un labbro: il suo tono di voce aveva perso un po’
della convinzione iniziale.
Lyla gli rivolse un’occhiata
malandrina.
“Se non sei Peter Pan allora, di certo,
saprai cos’è un bacio[3]”
lo canzonò, appoggiandosi a lui.
Sebastian sorrise. Adagiò la fronte
alla sua e contemplò per qualche istante il guizzo sbarazzino che ancora
accendeva lo sguardo di Lyla.
“Sì, credo di saperlo” confermò, rinforzando
la presa sulle sue mani, prima di lasciarla andare. Le accarezzò una guancia
con il dorso delle dita e la attirò a sé, adagiando le labbra alle sue.
La sensazione piacevole che tanto amava
e associava al vento lo sorprese all’improvviso, mentre le mani di Lyla
tornavano a scorrere lungo il suo torace. Le sue carezze gli percorsero il
petto, sfiorando quel peso che Sebastian aveva cresciuto dentro di sé fin da
quando era bambino. Per un attimo lo percepì in maniera nitida, stuzzicato
com’era dai suoi tocchi, ma sembrò pesare di meno del solito, come se qualcuno
lo stesse sostenendo assieme a lui. Anche la voragine che avvertiva al centro
di sé stesso si restrinse per un istante, modellata dalle carezze e dai baci di
Lyla. Se qualcuno l’avesse osservata in quel momento, avrebbe riconosciuto in
lei un’ombra, più che un frammento di nulla.
Un’ombra dispettosa, che punzecchiava
costantemente il suo proprietario.
L’ombra di un ragazzino che non voleva
crescere.
«Beh, Benvenuto
all’Isola Che Non C’è, Peter Pan da grande.»
― Hook Capitan Uncino, 1991
*
Tornare a casa quella sera fu più
facile, rispetto ai giorni precedenti. Sebastian si sentiva pieno: l’apatia
aveva abbassato il tono di voce, lasciandolo libero di godersi il silenzio
della notte senza sentirsi triste o malinconico.
Attraversò la cucina al buio e
raggiunse il bagno a tentoni per cercare un asciugamano. Ne prese uno e
incominciò a strofinarsi i capelli, prima di tornare in corridoio. Una luce
fioca proveniva dalla stanza di sua madre e il ragazzo ipotizzò che fosse
andata a dormire con l’abat-jour accesa, come faceva ogni tanto, quando gli incubi
agitavano i suoi sogni. Finì di asciugarsi alla meno peggio e raggiunse la
stanza della donna, per assicurarsi che stesse bene.
La trovò addormentata, i capelli
castani a incorniciarle il volto. La mano destra era appoggiata al comodino,
non troppo distante da una delle due fotografie che adornavano il mobile.
Sebastian si sedette sul bordo del
letto, non badando ai propri jeans ancora fradici, e afferrò la cornice.
L’immagine all’interno raffigurava i suoi genitori al loro matrimonio. Erano
giovani e i loro sguardi radiosi facevano venir voglia di sorridere al solo
guardarli. La gioia provata da entrambi in quel momento era così evidente da
fare quasi male. Se Sebastian avesse dovuto spiegare a qualcuno cosa
significasse essere perdutamente innamorati, probabilmente gli avrebbe mostrato
quella fotografia. Si soffermò con lo sguardo sul volto allegro di suo padre;
sfiorò con i polpastrelli quei lineamenti ben definiti come Lyla, quella sera,
aveva fatto con il suo viso. Aveva un
sorriso genuino, in aperto contrasto con l’aria accattivante che assumeva
spesso in foto. Sembrava davvero un ragazzino, in quello scatto: un ragazzino
felice.
Sebastian spostò poi la sua attenzione
verso la figura di Annie, teneramente abbracciata al neo-marito. La sua
semplicità e la gioia evidenziata dal suo sguardo la rendevano incredibilmente
bella. Sebastian non aveva mai avuto l’occasione di conoscere quella ragazza
dal sorriso allegro e lo sguardo luminoso; era fuggita quando era morto suo
padre, lasciando solo il suo fantasma a prendersi cura della creatura che
portava in grembo. Il figlio di Peter
Pan.
Il ragazzo sistemò la fotografia al suo
posto e si passò le dita tra i capelli umidi, prima di voltarsi verso la madre.
Con delicatezza le prese la mano ancora appoggiata al comodino e gliela sistemò
sotto il lenzuolo. Il pensiero della fotografia dei suoi genitori gli fece
tornare in mente le parole scherzose di Lyla di quella sera: la menzione al suo
pensiero felice, quel qualcosa di essenziale per poter raggiungere l’Isola Che
Non C’è.
Sebastian non aveva mai avuto un
pensiero felice; c’erano stati momenti di serenità improvvisa, attimi che gli
avevano strappato un sorriso. C’erano le persone come Lyla che avevano il dono
di farlo sentire bene con poco, scacciando un po’ di quell’apatia che avvertiva
di tanto in tanto. Ma questo era quanto e immaginava che per la maggior parte
delle persone fosse così. Non per sua
madre, però. Annie Cresta ce l’aveva un
pensiero felice, l’aveva sempre avuto. Era impresso lì, in quella fotografia,
ma uno stupido scherzo del destino gliel’aveva portato via, spegnendo i suoi
occhi e adagiando un peso sul petto di Sebastian.
Il ragazzo inspirò con forza, prima di
chinarsi sulla donna. La baciò sulla guancia e osservò le sue palpebre fremere,
prima che lo sguardo assonnato di sua madre si posasse su di lui. Un lieve
sorriso ammorbidì l’espressione triste di Annie. Quando gli parlò, lo fece per
pronunciare l’unica parola che suo figlio aveva bisogno di sentirle dire da
tempo.
“Sebastian” mormorò, accarezzandogli
una guancia. “Come mai sei sveglio a quest’ora? E perché…” si interruppe,
passando una mano fra i capelli del figlio. Una punta di apprensione le
attraversò il volto. “…Come mai sei tutto bagnato?”
“Non è niente, mamma”.
Sebastian zittì le sue preoccupazioni
con un sorriso.
“Sto bene. Adesso cerca di dormire
ancora un po’”.
Restò vicino a lei per qualche altro
minuto, fino a quando Annie non si convinse che stesse bene e smise di fare
domande.
Mentre le palpebre della donna
tornavano a chiudersi, Sebastian le augurò la buonanotte e strinse la sua mano
un’ultima volta. Prima di lasciare la stanza scoccò un’ultima occhiata alla
foto del matrimonio dei suoi genitori. Spostò poi lo sguardo in direzione della
mensola sopra il comò, dove una manciata di cornici di legno mostravano un
bimbetto di tre o quattro anni, che sorrideva esibendo una finestrella fra i
denti.
Evocò il ricordo di Annie che gli
sorrideva dall’altra parte dell’obbiettivo e le passeggiate fatte assieme di
tanto in tanto, quando era ancora molto piccolo. Pensò a sua madre che lo
chiamava per nome, che se lo sedeva sulle ginocchia per fargli il solletico.
Ricordò un’Annie che gli raccontava di
suo padre, senza mai confonderlo con lui.
Ricordò una madre che lo vedeva – lo
vedeva per davvero. E un se stesso che rideva, mettendo in mostra il suo
sorriso sdentato.
Forse un tempo erano quelli, i suoi
pensieri felici.
«Non puoi
proteggerti dalla tristezza senza proteggerti anche dalla felicità.»
― Jonathan Safran
Foer, Molto
Forte, Incredibilmente Vicino.
Note finali.
Ed eccoci qui con il nuovo
capitolo, quello che chiude il secondo atto! Penso che questo sia stato in
assoluto il più difficile da scrivere <.< Un po’ per via dell’evolversi
del rapporto fra Sebastian e Lyla (che sono sempre più pazzi xD) e un po’ perché sono affezionatissima alla scena di
Hook che mi ha ispirata e che mi commuove sempre (quella del bimbo sperduto che
tocca la faccia di Peter prima di convincersi che sia proprio lui <3). La
lotta in acqua dei due ragazzi è un po’ banale, ma ci tenevo a includerla per
riallacciarmi a un’altra citazione di Hook che è già stata accennata nei
discorsi di Lyla e che verrà ripresa nel prossimo capitolo.
La storia del nonno di Lyla
ricorda incredibilmente quella del papà di Finnick, Gannet,
che come lui è partito per il mare e non è più tornato. Footprints in the Sand (la storia in cui si parla anche
dei genitori di Finnick) è nata un paio di mesi dopo questa e mentre la scrivevo
non ho fatto molto caso all’analogia con ciò che è successo al Signor Harbor:
mi è venuto poi in mente dopo xD Si è quindi venuto a
formare un altro parallelismo fra il passato delle famiglie di Lyla e
Sebastian. Anche la leggenda della baia è stata inserita in Footprints,
dove è Mags a raccontare a un piccolo Finnick delle
impronte.
Ringrazio infinitamente le
persone che hanno recensito lo scorso capitolo <3 Nel pomeriggio corro a
rispondervi!
Intanto, siamo ormai a più di
metà della storia. Gli ultimi capitoli
saranno più brevi (tranne forse il prossimo) e tireranno in un certo senso le
somme del racconto!
Spero tanto che questa parte vi sia piaciuta!
Un abbraccio e a presto!
Laura
[1] Questo
è un altro piccolo riferimento a un dialogo di Hook, fra Peter Pan e suo figlio
Jack.
[2] La scena di
Lyla che tasta il volto di Sebastian e la frase che pronuncia fanno riferimento
a una delle scene più iconiche del film Hook: qui trovate la
scena.
[3] Nella favola di Peter Pan, quando Peter arriva a casa Darling, Wendy
si offre di dargli un bacio. Peter distende la mano, poiché non sa cosa sia un
bacio e pensa che la ragazzina stia per
dargli qualcosa.