Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Kary91    26/10/2014    4 recensioni
[Sebastian Odair (figlio di Finnick)|Post-Mockingjay|Mini Long]
Lo era anche in quel momento, pensò il ragazzo, mettendo a confronto se stesso e il padre. Entrambi indossavano solo i jeans e sembravano perfino avere una postura simile, nonostante lui fosse a braccia conserte, mentre Finnick aveva le mani nelle tasche. Si somigliavano; non eccessivamente, ma in maniera comunque evidente.
Erano come Peter Pan e la sua ombra.
***
“Avrebbe scelto di crescere, per me?” mormorò infine. Non ebbe bisogno di specificare di chi stesse parlando: sapeva che Lyla avrebbe capito. “Mi avrebbe amato, come amava mia madre?”
“Forse anche di più” rispose la ragazza, facendo scivolare le dita fino a sfiorare il collo. “Probabilmente ha incominciato a volerti bene ancor prima che esistessi. E te ne vuole ancora.”
“Come?” replicò il ragazzo tornando a chiudere gli occhi, sentendosi improvvisamente stanco. “Mio padre è morto.”
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Bimbo Cresta-Odair, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Peter Pan del Distretto 4.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

Il figlio di Peter Pan

gnshlkl

 

Act 2 – Remembering Childhood

3| Ti ricordi quella ninna nanna?

 

«That secret was a hole in the middle of me that every happy thing fell into.»

  Jonathan Safran Foer, Extremely Loud, Incredibly Close.

 

Il vento soffiava forte, spettinando le onde come ogni sera, quando Sebastian arrivò alla baia per la sua solita passeggiata notturna. Gli piaceva quando capitava; amava il mare agitato, perché dentro di sé era tutto troppo fermo, statico. Si sentiva apatico, quando trascorreva i pomeriggi in casa per tenere compagnia alla madre, e di tanto in tanto si sorprendeva a pensare che sarebbe impazzito anche lui, prima o poi, se non avesse avuto il pensiero delle sue nottate trascorse alla baia.

Non che non facesse nulla durante le sue giornate. Essendo estate non aveva scuola, ma durante il giorno lavorava dai Rivers, tre fratelli che possedevano un peschereccio. Ogni tanto usciva a fare surf con qualche collega o compagno di scuola, ma per la maggior parte del tempo se ne stava per conto suo. Preferiva le visite alla baia, la pesca in solitario sugli scogli e le sporadiche chiacchierate con Adrian Harbor, che faceva discorsi sempre più bizzarri, man mano che invecchiava.

Le sue passeggiate  notturne  lo risvegliavano un po’, specialmente quando il mare era così agitato come quella sera. Ciò nonostante, la solitudine di quei momenti lo faceva sentire incredibilmente malinconico, come se avvertisse la mancanza di qualcosa. Era una sensazione che non gli dispiaceva più di tanto: sapeva che,  se avesse  smesso di uscire la notte per andare alla baia, quella strana nostalgia che lo prendeva se ne sarebbe andata. E assieme a quei picchi di malinconia improvvisa avrebbe perso anche ciò che gli mancava, prima ancora di fare in tempo a capire cosa fosse.

Stava rimuginando su quella strana sensazione di nostalgia, quando un rumore catturò la sua attenzione. Sebastian si voltò incuriosito prima di sgranare gli occhi, sorpreso: una ragazza lo stava osservando, ferma a qualche metro di distanza da lui. I capelli biondissimi le danzavano attorno al corpo per via del vento, da quanto erano lunghi, e il vestito bianco le attribuiva un qualcosa di etereo, quasi evanescente, accentuato dai toni chiari della sua carnagione. Aveva un sorriso sottile, sbarazzino ed enigmatico al tempo stesso: come una fata, pensò il giovane, prima di scacciare infastidito quel pensiero.

In quel momento la ragazza incominciò ad allontanarsi. Sebastian aggrottò perplesso le sopracciglia e azzardò qualche passo verso di lei, ma lei incominciò a correre.

“Aspetta!” cercò di convincerla, smettendo di inseguirla. La ragazza si voltò per sorridergli, ma continuò ad allontanarsi, diretta verso il faro. Il giovane sbuffò e si lasciò cadere sulla sabbia, socchiudendo pigramente gli occhi; le poche volte in cui trovava qualcuno durante le passeggiate notturne, quello puntualmente si allontanava, lasciandolo nuovamente solo.

Era quello il motivo per cui trovava quei momenti in riva al mare così malinconici; era quella la sensazione che avvertiva, quando lasciava penzolare i piedi giù dagli scogli o si sedeva sulla sabbia con la sola compagnia delle onde: si sentiva solo. Aveva nostalgia di qualcuno che al suo fianco non c’era mai stato; se fosse suo padre, o un fratello mai nato, o sua madre – la parte vera di lei, quella che riusciva a vedere solo ogni tanto, nascosta dietro gli occhi spenti di Annie – Sebastian non lo sapeva. Ma quel qualcuno mancava e il vuoto che avvertiva al suo posto assorbiva tutto il resto. Era come un buco, che risucchiava ogni forma di emozione troppo forte, buona o cattiva che fosse. E così, tornava l’apatia.

Un ricordo un po’ opaco gli attraversò la mente: riguardava un episodio avvenuto almeno nove o dieci anni prima. Evocò lo sguardo diffidente di una bambina dai capelli biondi che lo osservava di nascosto. Quell’immagine continuò a punzecchiargli la mente per tutto il tempo che trascorse alla baia.

 

*

Sebastian dovette attendere la sera successiva, prima di incontrare di nuovo la ragazza dai capelli biondi. Era deciso a non lasciarla fuggire via, quella volta, e si era anche ripromesso di rincorrerla se ce ne fosse stato bisogno, a costo di fare la figura del pazzo o del maniaco. Lo innervosiva quel pensiero: non gli era mai piaciuto insistere con le persone. Lui, nella sua solitudine, ci stava bene. Ogni tanto il peso di tutti quei silenzi diventava insostenibile, ma al loro interno ci era cresciuto e li aveva resi la sua casa: non poteva farne a meno, ormai. L’assenza di solitudine lo attirava e spaventava al tempo stesso. Rincorrere qualcuno equivaleva a gettarsi in uno di quei corsi d’acqua strattonati dalla corrente; quella sera, tuttavia, non ebbe bisogno di farlo.

Quando raggiunse la baia, la ragazza era già lì, con le ginocchia strette al petto e lo sguardo rivolto al mare: sembrava quasi che lo stesse aspettando.

“Mi ricordo di te” azzardò Sebastian, sedendosi al suo fianco. C’era qualcosa di malinconico nel suo sguardo  che non aveva notato la sera precedente. “Sei Lyla, vero?”

Non ne era certo: l’aveva vista solo di sfuggita, di tanto in tanto, e si erano rivolti la parola solo una volta, prima di quella sera. Ma i suoi capelli chiari e il suo aspetto insolito, quasi fiabesco, erano difficili da confondere con quelli di qualcun altro.

L’espressione della ragazza si fece tutto a un tratto più vispa.

“E tu dovresti essere il figlio di Peter Pan”  rispose, sorridendo con aria malandrina. “Ma non mi hai ancora convinto: continui a non sembrarmi lui.”

Il giovane le rivolse un’occhiata seccata.

“Sebastian” la corresse, appoggiandosi i gomiti sulle ginocchia. “Mi chiamo Sebastian. Perché mi fissi e poi scappi via?” chiese poi.

La giovane si fasciò i capelli con le mani, sistemandoseli meglio sulla schiena.

“Mi incuriosisci” rispose infine, riprendendo a voltare lo sguardo in direzione del mare. “Speravo di sentirti ridere, una volta o l’altra, ma sei sempre così serio…”

Sebastian le scoccò un’occhiata perplessa: quella ragazza lo straniva e di molto. Di solito non aveva la tendenza a giudicare gli altri, visti i problemi di sua madre. Inoltre, lui stesso veniva spesso etichettato come bizzarro, per via della sua tendenza a isolarsi e le sue strane abitudini, come il voler andare in giro mezzo svestito anche quando faceva freddo o le sue capatine notturne alla baia. Ma Lyla era qualcosa di completamente diverso: nei modi di fare e in ciò che diceva sembrava ancora una bambina, ma di tanto in tanto il suo sguardo tornava a farsi malinconico e la ragazzina svaniva, lasciando il posto a un adulto qualsiasi, triste e impensierito.

“Perché mai uno dovrebbe ridere, guardando il mare?” osservò, tornando a voltarsi verso di lei.

“Perché è un gran bel gioco, ecco perché” rispose la ragazza, sotto lo sguardo sempre più perplesso di Sebastian. “Da bambina mi bastavano un po’ di onde alte, per essere felice; giocavo a saltarle o a rincorrerle, e nel farlo mi veniva spesso da ridere. Tu lo facevi, da piccolo?”

Sebastian scosse la testa.

“Beh, dovresti farlo adesso” commentò Lyla, stringendosi nelle spalle. “Ci starebbe proprio bene sul tuo volto.”

“Che cosa?”

“Una risata!”

Il giovane roteò gli occhi.

“Tu sei tutta matta” non riuscì a fare a meno di mormorare, passandosi una mano fra i capelli. Lyla si strinse nelle spalle: non sembrava se la fosse presa.

Rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno avvolto dai rispettivi silenzi. L’assenza di parole plasmò sul volto di Lyla l’espressione malinconica che Sebastian aveva notato al suo arrivo e questo, in qualche modo, lo turbò. Non gli piacevano le espressioni tristi: gli ricordavano quella spenta di sua madre.

“Che favola insulsa” mormorò dopo un po’, sdraiandosi sulla sabbia. La giovane gli rivolse un’occhiata interrogativa.

“Peter Pan” specificò Sebastian, prima di stringersi nelle spalle. “Che senso ha raccontare ai bambini che si può smettere di crescere, quando non è vero?”

“Che senso ha dire a un adulto cose come ‘Andrà tutto bene’ o ‘Chiusa una porta, si apre un portone’, quando non è detto che accadrà?”

“Che c’entra?” replicò Sebastian, passandosi una mano fra i capelli, per spolverarli dalla sabbia. “Quelle sono cose possibili.”

“Anche non crescere è possibile” obiettò Lyla, tornando a sorridere vispa. “A me è successo.”

“Buon per te, allora” ribatté il ragazzo, distogliendo lo sguardo. La giovane sospirò. Il suo sguardo si persero per qualche istante, occupato ad esaminare le onde.

“Tuo padre ci credeva, sai?” rivelò poi, catturando l’attenzione di Sebastian. “Papà mi ha raccontato di una volta in cui sono venuti a giocare assieme qui alla baia, quando era piccolo.”

Nel sentir nominare il padre, Sebastian sembrò irrigidirsi; la sua espressione mutò, lasciando trasparire una punta di ostilità.

“E tu che ne sai di mio padre?” chiese, in tono di voce secco. Lyla sospirò una seconda volta.

“Te l’ho appena detto, papà lo conosceva.”

“Come?” la interrogò ancora il giovane, alzando il tono di voce.

Lyla gli rivolse un’occhiata diffidente, visibilmente infastidita dal suo tono brusco. Sebastian non ci badò; parlare di suo padre non gli piaceva, soprattutto se a ricordarlo erano gli estranei. Aveva sempre l’impressione che tutti lo conoscessero meglio di lui – tutti, perfino quelli che non l’avevano mai incontrato. Chiunque, prima o poi, arrivava a mettere a confronto Finnick e Sebastian Odair: qualcuno era convinto che si assomigliassero molto, altri erano dell’idea che Sebastian avesse preso più dalla madre. In entrambi i casi, la conversazione finiva sempre per spostarsi verso Finnick e ciò che aveva fatto, sia durante gli Hunger Games che per la rivolta. Alle volte Sebastian aveva come l’impressione che i conoscenti meno stretti dei suoi genitori non sapessero parlare d’altro, al di fuori di quale bella persona fosse stata suo padre. Gli veniva spesso detto che avrebbe dovuto sentirsi orgoglioso di lui, ma nessuno sembrava disposto ad accettare che al figlio di Finnick Odair, del padre, importasse ben poco: sapeva di essere ingiusto, ma gli riusciva difficile provare affetto verso qualcuno che non conosceva nemmeno. Non poteva sentirsi fiero di suo padre, quando un padre, lui, non l’aveva mai avuto.

Eppure, per quanto lo infastidisse sentir parlare sempre e solo di Finnick, una parte di lui non si stancava mai di assorbire nuove informazioni. L’assenza del padre nella sua vita era parte di quel buco al centro di se stesso – il vuoto che trasformava ogni sua emozione più forte in apatia.

“Si sono conosciuti durante il Tour della Vittoria; l’anno dei sessantaseiesimi Hunger Games” spiegò Lyla, distendendo le gambe sulla sabbia. Sebastian fece mente locale per un istante, assimilando quelle frasi: suo padre aveva partecipato ai sessantacinquesimi; l’edizione  a cui si stava riferendo Lyla era stata la prima in cui aveva fatto da mentore.

“Mio zio Killian, il fratello di mio padre, era il tributo di quell’anno.” 

“Il fratello di Adrian è morto negli Hunger Games?” chiese conferma Sebastian. Aveva sentito parlare di Killian, qualche volta, e sapeva che era morto quando era appena un ragazzino, ma non gli era mai stato detto che avesse partecipato ai Giochi.

Lyla annuì; un lieve sorriso nostalgico le increspò le labbra.

“Lo chiamavano il piccolo guardiano del faro” rivelò poi, rivolgendo un’occhiata distratta alla torre che illuminava il mare ad intermittenza. “Tuo padre è stato il suo mentore. Erano entrambi molto giovani; più piccoli di noi.”

Sebastian tornò a cingersi le ginocchia, osservando assorto la luce intermittente del faro a cavallo delle onde; faceva fatica a immaginare suo padre da ragazzino: la maggior parte delle fotografie che aveva visto gli erano state scattate tra i diciotto e i ventitré anni, e ritraevano un giovane muscoloso e incredibilmente attraente.  Aveva visto qualche filmato della preparazione ai sessantacinquesimi Hunger Games e anche lì il padre gli era sempre sembrato più adulto dell’età che aveva – forse per via del modo in cui era stato truccato e vestito.

“Mio zio Killian adorava i racconti” proseguì Lyla. “Non si vergognava ad ammetterlo, nonostante fosse ormai troppo grande per parlare di favole.  Quando passi la maggior parte del tuo tempo su, al faro, non c’è nulla di più bello che guardare il mare e rilassarsi ascoltando qualcuno che canta o che ti racconta una storia.”

Quelle parole impressero addosso a Sebastian una fitta pungente di malinconia, la stessa che avvertiva quando passeggiava in riva al mare la notte: era nostalgia verso qualcosa che non aveva mai vissuto; l’immagine di una notte trascorsa a sorvegliare le onde dall’alto, in compagnia di qualcuno, piuttosto che accoccolarsi su uno scoglio in solitudine.

“La favola preferita di Killian era quella di Peter Pan; sai, nonostante si faccia sempre riferimento a Peter come a un bambino, in qualche  versione della storia si dice che avesse smesso di crescere più o meno a quattordici anni[1]; la stessa età che aveva tuo padre quando ha vinto gli Hunger Games.”

Lyla si interruppe, come se si aspettasse  un suo commento. Sebastian continuò a fissare il mare con sguardo assente e non aggiunse nulla, così la ragazza riprese a parlare.

“Forse era per quello che glielo ricordava: Peter Pan, dico. Finnick Odair ha dovuto vedersela con dei ragazzi ben più grandi di lui, nell’arena, così come Peter lottava contro i pirati. E ogni anno preparava a combattere un bimbo sperduto diverso: ragazzini come Killian.”

“Se tuo zio è morto negli Hunger Games, tu come fai a sapere tutto questo?” domandò a bruciapelo Sebastian, aggrottando le sopracciglia con fare cinico.

“Per via di mio padre; è stato lui a parlarmi di zio Killian, la prima volta che mi ha raccontato la favola di Peter Pan. E di Finnick Odair: tuo padre e il mio hanno parlato molto, quando si sono incontrati dopo il Tour della Vittoria. Papà era un bambino, all’epoca: penso sia stato quello il giorno in cui sono venuti a giocare qui alla baia.”

L’immagine di suo padre che Lyla stava disegnando nella sua testa era in netto contrasto con quella che si era costruito nel corso degli anni, incollando mentalmente assieme aneddoti e pezzi di conversazioni. Il Finnick Odair che veniva mostrato dai filmati degli emittenti di Capitol City e i Pass-Pro girati durante la rivolta era un giovane incredibilmente bello e popolare, noto a tutti per la sua vittoria agli Hunger Games in giovane età e per il suo carisma. Non aveva nulla in comune con l’eterno bambino vestito di foglie che non sapeva nemmeno cosa fosse un bacio. Erano poche le persone che avevano ricostruito per Sebastian l’immagine di un Finnick Odair che si avvicinava a quello raccontato da Lyla: una di queste era sua madre. Qualche volta, da bambino, Sebastian le aveva chiesto di parlargli di lui e Annie l’aveva accontentato, sorridendo malinconica al ricordo delle mani calde e forti premute contro le sue orecchie, nei momenti in cui la paura prendeva il sopravvento. O delle melodie che Finnick intonava a mezza voce per calmarla, facendola ridere perché, a detta di Annie, suo marito era stonato come pochi. Nenie che Sebastian non conosceva e non avrebbe mai sentito, perché suo padre, morendo, se le era portate via con sé.

“Ti ricordi quella ninnananna, Finnick?”

Annie sfiorò la mano del figlio.

“Quella che mi cantavi per zittire i brutti pensieri.”

“Sono Sebastian, mamma” mormorò il bambino, scuotendo stancamente la testa. “Era papà che cantava per te: io non conosco quella canzone.”

 

Il sorriso di Annie scomparve.[2]

 

“Gli assomigliava veramente, credo.”

La voce soffice di Lyla lo allontanò dalle sue riflessioni, riportandolo alla conversazione.

“Papà dice che in televisione sembrava un uomo adulto, ma che a guardarlo bene aveva il sorriso di un bambino. È per questo che speravo di vederti ridere” aggiunse, voltandosi verso di lui. “Per capire se gli assomigliassi. Forse sei davvero il figlio di Peter Pan; magari hai solo dimenticato il tuo pensiero felice” aggiunse in tono di voce scherzoso.

Sebastian distolse lo sguardo.

“Mi spiace deluderti, ma io non assomiglio a mio padre” dichiarò infine, stringendosi nelle spalle. “E nemmeno mi interessa essere come lui: non l’ho neanche conosciuto.”

“Se pensi di non conoscerlo, allora come fai a sapere che non gli somigli?” chiese Lyla, arricciando le labbra a formare un sorrisetto malandrino. Sebastian la fissò interdetto per un po’, sforzandosi di trovare in fretta le parole adatte per risponderle. Prima di riuscire ad aprire bocca, Lyla parlò di nuovo.

“Io non ricordo quasi nulla di mia madre” rivelò all’improvviso, sollevando la testa verso l’alto, permettendo al vento di accarezzarle il volto. “Se ne è andata quando ero molto piccola. Mio padre non parla mai di lei, ma mi capita spesso di domandarmi come stia. Vorrei sapere dove vive, cosa le piace fare. Se mi somiglia o se pensa mai a me…”

“Non ce l’hai con lei?” chiese Sebastian, tornando a voltarsi verso la ragazza. Al suo posto avrebbe provato rabbia, al pensiero di essere stato abbandonato. Incominciò a sentirsi nervoso, senza riuscire a comprenderne il perché. Lyla si strinse nelle spalle.

“Sono stata arrabbiata per un bel pezzo, ma poi ho deciso che non servisse a niente esserlo” rispose infine, sorridendo con dolcezza. “Preferisco voler bene alle poche cose che ricordo di lei.”

Una folata di vento stuzzicò entrambi, facendo rabbrividire la ragazza; Sebastian si sfregò il capo con espressione colpevole, al pensiero di non avere nemmeno una felpa da prestarle. Se avesse avuto troppo freddo, se ne sarebbe andata. E in quel momento si rese conto di non sentirsi ancora pronto a restare solo. Il silenzio delle tante notti trascorse alla baia fin da quando era bambino incominciava a sembrargli tutto a un tratto meno confortevole.

“C’è una cosa di lei che mi ricordo bene” esclamò in quel momento Lyla, riparandosi il corpo con le braccia. “È una ninna nanna che mia madre mi cantava spesso per aiutarmi ad addormentarmi.”

La parola ninnananna innescò dei ricordi dolorosi, in Sebastian. Se la sentì scivolare nel petto, aggiungendosi al peso che già avvertiva, ogni volta che indugiava con lo sguardo sull’espressione spenta di sua madre.

“Non la ricordi?” mormorò Annie, sgranando preoccupata gli occhi.

“Non la conosco, mamma. Papà è morto: non ha mai cantato per me.”

 

“Ti va di ascoltarla?”

Ancora una volta la voce di Lyla gli fornì un appiglio per sfuggire ai ricordi. Sebastian non rispose. La giovane lo osservò a lungo, prima di incominciare a cantare, tornando a voltarsi verso il mare.

«When you are all alone

Far away from home

There's a gift the angels send

When you're alone[3]»

 

Sebastian ascoltò in silenzio la prima strofa, ignorando il rumore del vento e il lamento delle onde in lontananza. Lyla aveva una voce semplice, ma intonata, che calzava a perfezione con la melodia malinconica che stava eseguendo. Qualcosa di quella scena – l’immagine di una sconosciuta che cantava per lui una vecchia ninna nanna – lo colpì e lo turbò e al tempo stesso. Pensò a sua madre e a tutte le volte in cui, da bambino, si era addormentato al suono della sua voce, prima che la donna si lasciasse andare lentamente, facendosi trasportare sempre più alla deriva dai ricordi – lontana da se stessa, da suo figlio. Pensò a tutte le volte che Annie gli aveva chiesto di cantare per lei una ninna nanna che Sebastian non conosceva e al peso che avvertiva nel petto, quando era costretto a risponderle con un: non posso. Pensò a suo padre, al vuoto che sentiva proprio di fianco a quel peso, e all’insolita nostalgia che provava verso qualcosa che non aveva mai avuto.

 

«Everyday must end

But the night's our friend

Angels always send a star

When you're alone»

 

 

E infine pensò che quella ninna nanna sapesse di lui; aveva la stessa cadenza malinconica dei suoi pensieri, e lo faceva pensare alle passeggiate notturne fino alla baia, segnate dalla solitudine. Sapeva di loro – di lui, di Lyla – e delle parole che si erano scambiati quella sera. Se la sentì scivolare nel petto per adagiarsi sul peso che avvertiva da quelle parti.

 

 

«And any star I choose

Watches over me

So I know I'm not alone

When I'm here on my own

Isn't that a wonder?

When you're alone

You're not alone

 

Not really alone»

Le parole della ninna nanna terminarono e Lyla mugolò la melodia per una strofa, prima di interrompere il canto. A quel punto la ragazza si alzò, scrollandosi via la sabbia dal vestito. Sebastian avvertì una fitta di delusione, nell’accorgersi che stava andando via.

“Aspetta…”  mormorò, trattenendola per il polso; si interruppe, non sapendo bene come proseguire.

Si sentiva strano: aveva un nodo alla gola e gli occhi gli pungevano, come se fossero sul punto di inumidirsi. Lyla gli sorrise con dolcezza e, per un istante, Sebastian riconobbe nel suo sguardo la stessa espressione che illuminava il volto di sua madre quando lo consolava, da bambino.

Sentì un tocco delicato sui capelli e una lieve stretta alla spalla; quando si girò da quella parte, la ragazza si stava già allontanando in direzione del faro.

“A domani, Peter-non-Peter” lo salutò scherzosamente, voltandosi un’ultima volta verso di lui.

Sebastian la osservò allontanarsi fino a quando non la vide più, stringendosi nelle braccia per ripararsi da una folata di vento più forte delle altre.

 

Impiegò diversi minuti prima di convincersi ad andare a casa; la malinconia che lo accompagnava ogni notte aveva incominciato a farsi più pungente da quando la giovane l’aveva salutato. Quella sera, tuttavia, non era sola; c’era qualcos’altro ad accompagnare i pensieri di Sebastian: una melodia.

 

Il suono dolce, ma nostalgico di una ninna nanna.

 

 

Note finali.

Anzitutto, ci tenevo tanto a segnalare che qualche giorno fa ho pubblicato la prima parte di un prequel (che ha due capitoli) di questa storia! S’intitola Footprints in the sand ed incentrato sul passato di Finnick, ma c’è qualche piccolo accenno che si lega a questo racconto: anche lì fa comparsa la famosa baia protagonista dei vagabondaggi notturni di Sebi, e ho cercato di intessere qualche altro parallelismo fra Finnick e la favola di Peter Pan. Viene anche detto da dove arrivi il nome di Sebastian.  E anche il nome di qualcun altro che, però, non ha ancora fatto comparsa u.u Sebastian stesso farà comparsa nell’ultima parte, come anche Annie. E niente, ci terrei tanto a ricevere un vostro parere!

Passando al  capitolo, so che forse è un po’ “meh”, ma c’erano un sacco di cose che andavano dette e ho dovuto condensarle tutte in questa parte. È incominciato il secondo atto e sono passati più o meno  dieci anni dai primi due capitoli; Sebastian ha più o meno 16 anni e ritroviamo anche Lyla, che ne ha quindici. È un po’ stramba, quella ragazza xD Ma il suo carattere un po’ svampito e bambinesco mi sembrava in linea con i toni un po’ fiabeschi/surreali della storia e, soprattutto, con la favola di Peter Pan.

La citazione iniziale è tratta dal libro “Molto forte, incredibilmente vicino” [in italiano è stata tradotta con: «Quel segreto era il buco al centro di me stesso dove cadeva ogni felicità.»] e ci tenevo a riprenderla nel testo del capitolo, perché mi la trovo molto adatta a descrivere lo stato d’animo di Sebastian. Caratterialmente credo che lui abbia rubato qualcosina sia al Jack di Hook (il figlioletto di Peter Pan/Robin Williams), in particolare per quanto riguarda i conflitti interiori nei confronti della figura padre, sia al Peter adulto.

E viene spiegato anche il collegamento fra la famiglia di Lyla e quella di Sebastian, grazie al suo racconto sullo zio Killian, che è stato il primo tributo a cui un giovanissimo Finnick abbia fatto da mentore. La sua storia era già stata raccontata in “Un bimbo sperduto” ma ho cercato di riprendere qualcosa per giustificare meglio il parallelismo fra la figura di Peter Pan e Finnick.

E niente, ho detto tutto! Un abbraccio e a presto!

Laura



[1] L’età di Peter Pan è incerta e varia a seconda dei vari adattamenti che sono stati fatti. Qualcuno pensa che Peter avesse smesso di crescere a quattordici anni, perché James Barrie, nello scrivere di Peter, è stato ispirato da un tragico episodio della sua infanzia (la morte del fratello quattordicenne, David) e una frase che disse sua madre in proposito: devastata dalla morte del figlio, la signora Barrie disse che l’unica cosa da cui poteva trarre conforto era l’idea che il suo bambino non sarebbe mai diventato grande.

[2] I flashbacks sono  brevi passaggi della flash fiction “Sebastian ascolta con gli occhi”.

[3] “When You Are Alone”, composta da John Williams. Fa parte della Colonna Sonora di Hook Capitan Uncino: è la canzone che canta la piccola Maggie, durante il periodo di prigionia sulla nave di Uncino. Qui trovate la scena.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Kary91