Il figlio di Peter Pan
Act 2 – Remembering Childhood
3| Ti
ricordi quella ninna nanna?
«That
secret was a hole in the middle of me that every happy thing fell into.»
― Jonathan Safran Foer, Extremely Loud, Incredibly
Close.
Il vento soffiava forte, spettinando le
onde come ogni sera, quando Sebastian arrivò alla baia per la sua solita
passeggiata notturna. Gli piaceva quando capitava; amava il mare agitato, perché
dentro di sé era tutto troppo fermo, statico. Si sentiva apatico, quando
trascorreva i pomeriggi in casa per tenere compagnia alla madre, e di tanto in
tanto si sorprendeva a pensare che sarebbe impazzito anche lui, prima o poi, se
non avesse avuto il pensiero delle sue nottate trascorse alla baia.
Non che non facesse nulla durante le
sue giornate. Essendo estate non aveva scuola, ma durante il giorno lavorava
dai Rivers, tre fratelli che possedevano un
peschereccio. Ogni tanto usciva a fare surf con qualche collega o compagno di
scuola, ma per la maggior parte del tempo se ne stava per conto suo. Preferiva
le visite alla baia, la pesca in solitario sugli scogli e le sporadiche
chiacchierate con Adrian Harbor, che faceva discorsi sempre più bizzarri, man
mano che invecchiava.
Le sue passeggiate notturne lo risvegliavano un po’, specialmente quando
il mare era così agitato come quella sera. Ciò nonostante, la solitudine di
quei momenti lo faceva sentire incredibilmente malinconico, come se avvertisse la
mancanza di qualcosa. Era una sensazione che non gli dispiaceva più di tanto: sapeva
che, se avesse smesso di uscire la notte per andare alla
baia, quella strana nostalgia che lo prendeva se ne sarebbe andata. E assieme a
quei picchi di malinconia improvvisa avrebbe perso anche ciò che gli mancava,
prima ancora di fare in tempo a capire cosa fosse.
Stava rimuginando su quella strana sensazione
di nostalgia, quando un rumore catturò la sua attenzione. Sebastian si voltò
incuriosito prima di sgranare gli occhi, sorpreso: una ragazza lo stava
osservando, ferma a qualche metro di distanza da lui. I capelli biondissimi le
danzavano attorno al corpo per via del vento, da quanto erano lunghi, e il
vestito bianco le attribuiva un qualcosa di etereo, quasi evanescente,
accentuato dai toni chiari della sua carnagione. Aveva un sorriso sottile,
sbarazzino ed enigmatico al tempo stesso: come
una fata, pensò il giovane, prima di scacciare infastidito quel pensiero.
In
quel momento la ragazza incominciò ad allontanarsi. Sebastian aggrottò
perplesso le sopracciglia e azzardò qualche passo verso di lei, ma lei
incominciò a correre.
“Aspetta!”
cercò di convincerla, smettendo di inseguirla. La ragazza si voltò per
sorridergli, ma continuò ad allontanarsi, diretta verso il faro. Il giovane
sbuffò e si lasciò cadere sulla sabbia, socchiudendo pigramente gli occhi; le
poche volte in cui trovava qualcuno durante le passeggiate notturne, quello
puntualmente si allontanava, lasciandolo nuovamente solo.
Era
quello il motivo per cui trovava quei momenti in riva al mare così malinconici;
era quella la sensazione che avvertiva, quando lasciava penzolare i piedi giù
dagli scogli o si sedeva sulla sabbia con la sola compagnia delle onde: si
sentiva solo. Aveva nostalgia di qualcuno che al suo fianco non c’era mai
stato; se fosse suo padre, o un fratello mai nato, o sua madre – la parte vera
di lei, quella che riusciva a vedere solo ogni tanto, nascosta dietro gli occhi
spenti di Annie – Sebastian non lo sapeva. Ma quel qualcuno mancava e il vuoto
che avvertiva al suo posto assorbiva tutto il resto. Era come un buco, che
risucchiava ogni forma di emozione troppo forte, buona o cattiva che fosse. E
così, tornava l’apatia.
Un
ricordo un po’ opaco gli attraversò la mente: riguardava un episodio avvenuto
almeno nove o dieci anni prima. Evocò lo sguardo diffidente di una bambina dai
capelli biondi che lo osservava di nascosto. Quell’immagine continuò a
punzecchiargli la mente per tutto il tempo che trascorse alla baia.
*
Sebastian dovette attendere la sera
successiva, prima di incontrare di nuovo la ragazza dai capelli biondi. Era
deciso a non lasciarla fuggire via, quella volta, e si era anche ripromesso di
rincorrerla se ce ne fosse stato bisogno, a costo di fare la figura del pazzo o
del maniaco. Lo innervosiva quel pensiero: non gli era mai piaciuto insistere
con le persone. Lui, nella sua solitudine, ci stava bene. Ogni tanto il peso di
tutti quei silenzi diventava insostenibile, ma al loro interno ci era cresciuto
e li aveva resi la sua casa: non poteva farne a meno, ormai. L’assenza di
solitudine lo attirava e spaventava al tempo stesso. Rincorrere qualcuno
equivaleva a gettarsi in uno di quei corsi d’acqua strattonati dalla corrente;
quella sera, tuttavia, non ebbe bisogno di farlo.
Quando raggiunse la baia, la ragazza
era già lì, con le ginocchia strette al petto e lo sguardo rivolto al mare:
sembrava quasi che lo stesse aspettando.
“Mi ricordo di te” azzardò Sebastian,
sedendosi al suo fianco. C’era qualcosa di malinconico nel suo sguardo che non aveva notato la sera precedente. “Sei
Lyla, vero?”
Non ne era certo: l’aveva vista solo di
sfuggita, di tanto in tanto, e si erano rivolti la parola solo una volta, prima
di quella sera. Ma i suoi capelli chiari e il suo aspetto insolito, quasi
fiabesco, erano difficili da confondere con quelli di qualcun altro.
L’espressione
della ragazza si fece tutto a un tratto più vispa.
“E tu dovresti
essere il figlio di Peter Pan” rispose,
sorridendo con aria malandrina. “Ma non mi hai ancora convinto: continui a non
sembrarmi lui.”
Il giovane
le rivolse un’occhiata seccata.
“Sebastian”
la corresse, appoggiandosi i gomiti sulle ginocchia. “Mi chiamo Sebastian.
Perché mi fissi e poi scappi via?” chiese poi.
La
giovane si fasciò i capelli con le mani, sistemandoseli meglio sulla schiena.
“Mi
incuriosisci” rispose infine, riprendendo a voltare lo sguardo in direzione del
mare. “Speravo di sentirti ridere, una volta o l’altra, ma sei sempre così
serio…”
Sebastian
le scoccò un’occhiata perplessa: quella ragazza lo straniva e di molto. Di
solito non aveva la tendenza a giudicare gli altri, visti i problemi di sua
madre. Inoltre, lui stesso veniva spesso etichettato come bizzarro, per via della
sua tendenza a isolarsi e le sue strane abitudini, come il voler andare in giro
mezzo svestito anche quando faceva freddo o le sue capatine notturne alla baia.
Ma Lyla era qualcosa di completamente diverso: nei modi di fare e in ciò che
diceva sembrava ancora una bambina, ma di tanto in tanto il suo sguardo tornava
a farsi malinconico e la ragazzina svaniva, lasciando il posto a un adulto
qualsiasi, triste e impensierito.
“Perché
mai uno dovrebbe ridere, guardando il mare?” osservò, tornando a voltarsi verso
di lei.
“Perché
è un gran bel gioco, ecco perché” rispose la ragazza, sotto lo sguardo sempre
più perplesso di Sebastian. “Da bambina mi bastavano un po’ di onde alte, per
essere felice; giocavo a saltarle o a rincorrerle, e nel farlo mi veniva spesso
da ridere. Tu lo facevi, da piccolo?”
Sebastian
scosse la testa.
“Beh,
dovresti farlo adesso” commentò Lyla, stringendosi nelle spalle. “Ci starebbe
proprio bene sul tuo volto.”
“Che
cosa?”
“Una
risata!”
Il
giovane roteò gli occhi.
“Tu
sei tutta matta” non riuscì a fare a meno di mormorare, passandosi una mano fra
i capelli. Lyla si strinse nelle spalle: non sembrava se la fosse presa.
Rimasero
in silenzio per qualche istante, ognuno avvolto dai rispettivi silenzi.
L’assenza di parole plasmò sul volto di Lyla l’espressione malinconica che
Sebastian aveva notato al suo arrivo e questo, in qualche modo, lo turbò. Non
gli piacevano le espressioni tristi: gli ricordavano quella spenta di sua
madre.
“Che
favola insulsa” mormorò dopo un po’, sdraiandosi sulla sabbia. La giovane gli
rivolse un’occhiata interrogativa.
“Peter
Pan” specificò Sebastian, prima di stringersi nelle spalle. “Che senso ha
raccontare ai bambini che si può smettere di crescere, quando non è vero?”
“Che
senso ha dire a un adulto cose come ‘Andrà tutto bene’ o ‘Chiusa una porta, si
apre un portone’, quando non è detto che accadrà?”
“Che
c’entra?” replicò Sebastian, passandosi una mano fra i capelli, per spolverarli
dalla sabbia. “Quelle sono cose possibili.”
“Anche
non crescere è possibile” obiettò Lyla, tornando a sorridere vispa. “A me è
successo.”
“Buon
per te, allora” ribatté il ragazzo, distogliendo lo sguardo. La giovane sospirò.
Il suo sguardo si persero per qualche istante, occupato ad esaminare le onde.
“Tuo
padre ci credeva, sai?” rivelò poi, catturando l’attenzione di Sebastian. “Papà
mi ha raccontato di una volta in cui sono venuti a giocare assieme qui alla
baia, quando era piccolo.”
Nel
sentir nominare il padre, Sebastian sembrò irrigidirsi; la sua espressione
mutò, lasciando trasparire una punta di ostilità.
“E
tu che ne sai di mio padre?” chiese, in tono di voce secco. Lyla sospirò una
seconda volta.
“Te
l’ho appena detto, papà lo conosceva.”
“Come?”
la interrogò ancora il giovane, alzando il tono di voce.
Lyla
gli rivolse un’occhiata diffidente, visibilmente infastidita dal suo tono
brusco. Sebastian non ci badò; parlare di suo padre non gli piaceva,
soprattutto se a ricordarlo erano gli estranei. Aveva sempre l’impressione che
tutti lo conoscessero meglio di lui – tutti,
perfino quelli che non l’avevano mai incontrato. Chiunque, prima o poi,
arrivava a mettere a confronto Finnick e Sebastian Odair:
qualcuno era convinto che si assomigliassero molto, altri erano dell’idea che
Sebastian avesse preso più dalla madre. In entrambi i casi, la conversazione
finiva sempre per spostarsi verso Finnick e ciò che aveva fatto, sia durante
gli Hunger Games che per la rivolta. Alle volte
Sebastian aveva come l’impressione che i conoscenti meno stretti dei suoi
genitori non sapessero parlare d’altro, al di fuori di quale bella persona
fosse stata suo padre. Gli veniva spesso detto che avrebbe dovuto sentirsi
orgoglioso di lui, ma nessuno sembrava disposto ad accettare che al figlio di
Finnick Odair, del padre, importasse ben poco: sapeva
di essere ingiusto, ma gli riusciva difficile provare affetto verso qualcuno
che non conosceva nemmeno. Non poteva sentirsi fiero di suo padre, quando un
padre, lui, non l’aveva mai avuto.
Eppure,
per quanto lo infastidisse sentir parlare sempre e solo di Finnick, una parte
di lui non si stancava mai di assorbire nuove informazioni. L’assenza del padre
nella sua vita era parte di quel buco al centro di se stesso – il vuoto che
trasformava ogni sua emozione più forte in apatia.
“Si
sono conosciuti durante il Tour della Vittoria; l’anno dei sessantaseiesimi Hunger Games” spiegò Lyla, distendendo le gambe sulla
sabbia. Sebastian fece mente locale per un istante, assimilando quelle frasi:
suo padre aveva partecipato ai sessantacinquesimi; l’edizione a cui si stava riferendo Lyla era stata la prima
in cui aveva fatto da mentore.
“Mio
zio Killian, il fratello di mio padre, era il tributo
di quell’anno.”
“Il
fratello di Adrian è morto negli Hunger Games?”
chiese conferma Sebastian. Aveva sentito parlare di Killian,
qualche volta, e sapeva che era morto quando era appena un ragazzino, ma non gli
era mai stato detto che avesse partecipato ai Giochi.
Lyla
annuì; un lieve sorriso nostalgico le increspò le labbra.
“Lo
chiamavano il piccolo guardiano del faro” rivelò poi, rivolgendo un’occhiata
distratta alla torre che illuminava il mare ad intermittenza. “Tuo padre è
stato il suo mentore. Erano entrambi molto giovani; più piccoli di noi.”
Sebastian
tornò a cingersi le ginocchia, osservando assorto la luce intermittente del
faro a cavallo delle onde; faceva fatica a immaginare suo padre da ragazzino:
la maggior parte delle fotografie che aveva visto gli erano state scattate tra
i diciotto e i ventitré anni, e ritraevano un giovane muscoloso e
incredibilmente attraente. Aveva visto
qualche filmato della preparazione ai sessantacinquesimi Hunger
Games e anche lì il padre gli era sempre sembrato più adulto dell’età che aveva
– forse per via del modo in cui era stato truccato e vestito.
“Mio
zio Killian adorava i racconti” proseguì Lyla. “Non
si vergognava ad ammetterlo, nonostante fosse ormai troppo grande per parlare
di favole. Quando passi la maggior parte
del tuo tempo su, al faro, non c’è nulla di più bello che guardare il mare e
rilassarsi ascoltando qualcuno che canta o che ti racconta una storia.”
Quelle
parole impressero addosso a Sebastian una fitta pungente di malinconia, la
stessa che avvertiva quando passeggiava in riva al mare la notte: era nostalgia
verso qualcosa che non aveva mai vissuto; l’immagine di una notte trascorsa a
sorvegliare le onde dall’alto, in compagnia di qualcuno, piuttosto che
accoccolarsi su uno scoglio in solitudine.
“La
favola preferita di Killian era quella di Peter Pan;
sai, nonostante si faccia sempre riferimento a Peter come a un bambino, in
qualche versione della storia si dice che
avesse smesso di crescere più o meno a quattordici anni[1]; la
stessa età che aveva tuo padre quando ha vinto gli Hunger
Games.”
Lyla
si interruppe, come se si aspettasse un
suo commento. Sebastian continuò a fissare il mare con sguardo assente e non
aggiunse nulla, così la ragazza riprese a parlare.
“Forse
era per quello che glielo ricordava: Peter Pan, dico. Finnick Odair ha dovuto vedersela con dei ragazzi ben più grandi di
lui, nell’arena, così come Peter lottava contro i pirati. E ogni anno preparava
a combattere un bimbo sperduto diverso: ragazzini come Killian.”
“Se
tuo zio è morto negli Hunger Games, tu come fai a
sapere tutto questo?” domandò a bruciapelo Sebastian, aggrottando le
sopracciglia con fare cinico.
“Per
via di mio padre; è stato lui a parlarmi di zio Killian,
la prima volta che mi ha raccontato la favola di Peter Pan. E di Finnick Odair: tuo padre e il mio hanno parlato molto, quando si
sono incontrati dopo il Tour della Vittoria. Papà era un bambino, all’epoca: penso
sia stato quello il giorno in cui sono venuti a giocare qui alla baia.”
L’immagine
di suo padre che Lyla stava disegnando nella sua testa era in netto contrasto
con quella che si era costruito nel corso degli anni, incollando mentalmente
assieme aneddoti e pezzi di conversazioni. Il
Finnick Odair che veniva mostrato dai filmati degli
emittenti di Capitol City e i Pass-Pro girati durante
la rivolta era un giovane incredibilmente bello e popolare, noto a tutti per la
sua vittoria agli Hunger Games in giovane età e per
il suo carisma. Non aveva nulla in comune con l’eterno bambino vestito di
foglie che non sapeva nemmeno cosa fosse un bacio. Erano poche le persone che
avevano ricostruito per Sebastian l’immagine di un Finnick Odair
che si avvicinava a quello raccontato da Lyla: una di queste era sua madre.
Qualche volta, da bambino, Sebastian le aveva chiesto di parlargli di lui e
Annie l’aveva accontentato, sorridendo malinconica al ricordo delle mani calde
e forti premute contro le sue orecchie, nei momenti in cui la paura prendeva il
sopravvento. O delle melodie che Finnick intonava a mezza voce per calmarla,
facendola ridere perché, a detta di Annie, suo marito era stonato come pochi.
Nenie che Sebastian non conosceva e non avrebbe mai sentito, perché suo padre,
morendo, se le era portate via con sé.
“Ti ricordi quella
ninnananna, Finnick?”
Annie sfiorò la mano del
figlio.
“Quella che mi cantavi per
zittire i brutti pensieri.”
“Sono Sebastian, mamma”
mormorò il bambino, scuotendo stancamente la testa. “Era papà che cantava per
te: io non conosco quella canzone.”
Il sorriso di Annie scomparve.[2]
“Gli
assomigliava veramente, credo.”
La
voce soffice di Lyla lo allontanò dalle sue riflessioni, riportandolo alla
conversazione.
“Papà
dice che in televisione sembrava un uomo adulto, ma che a guardarlo bene aveva
il sorriso di un bambino. È per questo che speravo di vederti ridere” aggiunse,
voltandosi verso di lui. “Per capire se gli assomigliassi. Forse sei davvero il
figlio di Peter Pan; magari hai solo dimenticato il tuo pensiero felice”
aggiunse in tono di voce scherzoso.
Sebastian distolse lo sguardo.
“Mi spiace deluderti, ma io non
assomiglio a mio padre” dichiarò infine, stringendosi nelle spalle. “E nemmeno
mi interessa essere come lui: non l’ho neanche conosciuto.”
“Se pensi di non conoscerlo, allora
come fai a sapere che non gli somigli?” chiese Lyla, arricciando le labbra a
formare un sorrisetto malandrino. Sebastian la fissò interdetto per un po’, sforzandosi
di trovare in fretta le parole adatte per risponderle. Prima di riuscire ad
aprire bocca, Lyla parlò di nuovo.
“Io non ricordo quasi nulla di mia
madre” rivelò all’improvviso, sollevando la testa verso l’alto, permettendo al
vento di accarezzarle il volto. “Se ne è andata quando ero molto piccola. Mio
padre non parla mai di lei, ma mi capita spesso di domandarmi come stia. Vorrei
sapere dove vive, cosa le piace fare. Se mi somiglia o se pensa mai a me…”
“Non ce l’hai con lei?” chiese
Sebastian, tornando a voltarsi verso la ragazza. Al suo posto avrebbe provato
rabbia, al pensiero di essere stato abbandonato. Incominciò a sentirsi nervoso,
senza riuscire a comprenderne il perché. Lyla si strinse nelle spalle.
“Sono stata arrabbiata per un bel
pezzo, ma poi ho deciso che non servisse a niente esserlo” rispose infine, sorridendo
con dolcezza. “Preferisco voler bene alle poche cose che ricordo di lei.”
Una folata di vento stuzzicò entrambi,
facendo rabbrividire la ragazza; Sebastian si sfregò il capo con espressione
colpevole, al pensiero di non avere nemmeno una felpa da prestarle. Se avesse
avuto troppo freddo, se ne sarebbe andata. E in quel momento si rese conto di
non sentirsi ancora pronto a restare solo. Il silenzio delle tante notti
trascorse alla baia fin da quando era bambino incominciava a sembrargli tutto a
un tratto meno confortevole.
“C’è una cosa di lei che mi ricordo
bene” esclamò in quel momento Lyla, riparandosi il corpo con le braccia. “È una
ninna nanna che mia madre mi cantava spesso per aiutarmi ad addormentarmi.”
La parola ninnananna innescò dei ricordi dolorosi, in Sebastian. Se la sentì
scivolare nel petto, aggiungendosi al peso che già avvertiva, ogni volta che indugiava
con lo sguardo sull’espressione spenta di sua madre.
“Non la ricordi?” mormorò Annie, sgranando preoccupata gli occhi.
“Non la conosco, mamma. Papà è morto: non ha mai cantato per me.”
“Ti
va di ascoltarla?”
Ancora
una volta la voce di Lyla gli fornì un appiglio per sfuggire ai ricordi.
Sebastian non rispose. La giovane lo osservò a lungo, prima di incominciare a
cantare, tornando a voltarsi verso il mare.
«When you are all alone
Far away from home
There's a gift the
angels send
When you're alone[3]»
Sebastian ascoltò in
silenzio la prima strofa, ignorando il rumore del vento e il lamento delle onde
in lontananza. Lyla aveva una voce semplice, ma intonata, che calzava a
perfezione con la melodia malinconica che stava eseguendo. Qualcosa di quella
scena – l’immagine di una sconosciuta che cantava per lui una vecchia ninna
nanna – lo colpì e lo turbò e al tempo stesso. Pensò a sua madre e a tutte le
volte in cui, da bambino, si era addormentato al suono della sua voce, prima
che la donna si lasciasse andare lentamente, facendosi trasportare sempre più
alla deriva dai ricordi – lontana da se stessa, da suo figlio. Pensò a tutte le
volte che Annie gli aveva chiesto di cantare per lei una ninna nanna che
Sebastian non conosceva e al peso che avvertiva nel petto, quando era costretto
a risponderle con un: non posso. Pensò
a suo padre, al vuoto che sentiva proprio di fianco a quel peso, e all’insolita
nostalgia che provava verso qualcosa che non aveva mai avuto.
«Everyday
must end
But the night's our
friend
Angels always send a
star
When you're alone»
E infine pensò che
quella ninna nanna sapesse di lui; aveva la stessa cadenza malinconica dei suoi
pensieri, e lo faceva pensare alle passeggiate notturne fino alla baia, segnate
dalla solitudine. Sapeva di loro – di lui, di Lyla – e delle parole che si
erano scambiati quella sera. Se la sentì scivolare nel petto per adagiarsi sul
peso che avvertiva da quelle parti.
«And any star I choose
Watches over me
So I know I'm not alone
When I'm here on my own
Isn't that a wonder?
When you're alone
You're not alone
Not really alone»
Le parole della ninna nanna terminarono
e Lyla mugolò la melodia per una strofa, prima di interrompere il canto. A quel
punto la ragazza si alzò, scrollandosi via la sabbia dal vestito. Sebastian avvertì
una fitta di delusione, nell’accorgersi che stava andando via.
“Aspetta…” mormorò, trattenendola per il polso; si
interruppe, non sapendo bene come proseguire.
Si sentiva strano: aveva un nodo alla
gola e gli occhi gli pungevano, come se fossero sul punto di inumidirsi. Lyla
gli sorrise con dolcezza e, per un istante, Sebastian riconobbe nel suo sguardo
la stessa espressione che illuminava il volto di sua madre quando lo consolava,
da bambino.
Sentì un tocco delicato sui capelli e
una lieve stretta alla spalla; quando si girò da quella parte, la ragazza si
stava già allontanando in direzione del faro.
“A domani, Peter-non-Peter” lo salutò scherzosamente, voltandosi un’ultima volta
verso di lui.
Sebastian la osservò
allontanarsi fino a quando non la vide più, stringendosi nelle braccia per
ripararsi da una folata di vento più forte delle altre.
Impiegò diversi
minuti prima di convincersi ad andare a casa; la malinconia che lo accompagnava
ogni notte aveva incominciato a farsi più pungente da quando la giovane l’aveva
salutato. Quella sera, tuttavia, non era sola; c’era qualcos’altro ad accompagnare
i pensieri di Sebastian: una melodia.
Il suono dolce, ma
nostalgico di una ninna nanna.
Note finali.
Anzitutto, ci tenevo tanto a segnalare
che qualche giorno fa ho pubblicato la prima parte di un prequel (che ha due capitoli) di questa storia! S’intitola Footprints in the sand ed
incentrato sul passato di Finnick,
ma c’è qualche piccolo accenno che si lega a questo racconto: anche lì fa
comparsa la famosa baia protagonista
dei vagabondaggi notturni di Sebi, e ho cercato di intessere qualche altro
parallelismo fra Finnick e la favola di Peter
Pan. Viene anche detto da dove arrivi il nome di Sebastian. E anche il nome di qualcun altro che, però,
non ha ancora fatto comparsa u.u Sebastian stesso
farà comparsa nell’ultima parte, come anche Annie. E niente, ci terrei tanto a
ricevere un vostro parere!
Passando al capitolo, so che forse è un po’ “meh”, ma c’erano un sacco di cose che andavano dette e ho
dovuto condensarle tutte in questa parte. È incominciato il secondo atto e sono
passati più o meno dieci anni dai primi
due capitoli; Sebastian ha più o meno 16 anni e ritroviamo anche Lyla, che ne ha quindici. È un po’
stramba, quella ragazza xD Ma il suo carattere un po’
svampito e bambinesco mi sembrava in linea con i toni un po’ fiabeschi/surreali
della storia e, soprattutto, con la favola di Peter Pan.
La citazione iniziale è tratta dal
libro “Molto forte, incredibilmente
vicino” [in italiano è stata tradotta con: «Quel segreto era il buco al centro di me stesso dove
cadeva ogni felicità.»] e ci tenevo a riprenderla nel testo del capitolo, perché
mi la trovo molto adatta a descrivere lo stato d’animo di Sebastian.
Caratterialmente credo che lui abbia rubato qualcosina sia al Jack di Hook (il
figlioletto di Peter Pan/Robin Williams), in particolare per quanto riguarda i
conflitti interiori nei confronti della figura padre, sia al Peter adulto.
E viene spiegato anche il collegamento fra
la famiglia di Lyla e quella di Sebastian, grazie al suo racconto sullo zio Killian, che è
stato il primo tributo a cui un giovanissimo Finnick abbia fatto da mentore. La
sua storia era già stata raccontata in “Un bimbo sperduto”
ma ho cercato di riprendere qualcosa per giustificare meglio il parallelismo
fra la figura di Peter Pan e Finnick.
E niente, ho detto tutto! Un abbraccio e a presto!
Laura
[1] L’età di
Peter Pan è incerta e varia a seconda dei vari adattamenti che sono stati
fatti. Qualcuno pensa che Peter avesse smesso di crescere a quattordici anni,
perché James Barrie, nello scrivere di Peter, è stato
ispirato da un tragico episodio della sua infanzia (la morte del fratello
quattordicenne, David) e una frase che disse sua madre in proposito: devastata
dalla morte del figlio, la signora Barrie disse che
l’unica cosa da cui poteva trarre conforto era l’idea che il suo bambino non
sarebbe mai diventato grande.
[2] I flashbacks
sono brevi passaggi della flash fiction “Sebastian ascolta
con gli occhi”.