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Autore: Simply96    11/11/2014    1 recensioni
Ciao a tutti! Prima storia su Ian e Nina, spero vi piaccia :) L'idea è quella di ripercorrere tutte le tappe della loro relazione fino a quando sono usciti "allo scoperto". La storia inizia dalle riprese della seconda stagione, quando si è iniziato a parlare di loro più come coppia.
Dal nono capitolo:
Il mio dito scivolò dalle sue palpebre fino al naso, poi delineò le mascella e risalì fino alle labbra.
Nel toccarle, Ian le dischiuse leggermente e il suo respiro caldo accarezzò i miei polpastrelli.
La mia pelle stava andando a fuoco sotto il suo sguardo.
Una voglia improvvisa m’investì il corpo.
Baciami.
Attenzione: all'interno potete trovare parti che sfiorano il Raiting rosso, ma non in modo esplicito. Per chi resta un pò imbarazzato davanti a certe scene, può sempre contattarmi per mp. Buona lettura :)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo diciotto
Terrible Paris



– Scommetto che ti serve un passaggio. –

Ian mi lanciò un’occhiata e io non riuscii a nascondere un sorrisetto colpevole.

– E da cosa l’avresti capito? – chiesi di rimando, inarcando un sopracciglio.

Lui si passò una mano fra i capelli, aprendo con un click la sua grande macchina nera.

– Dal fatto che mi stai seguendo e che stamattina ti ha portata qui Paul. – rispose aggrottando le sopracciglia, fermandosi davanti allo sportello.

Fingendomi offesa, incrociai le braccia.

– Va bene, allora credo che tornerò da Paul. Lui sì che mi tratta a dovere. – ribadii a mento alto.

Ian grugnì qualcosa sotto voce, poi andò dalla parte del passeggero e mi aprì addirittura la porta.

Scommetto che questo non te lo fa. – disse con aria di sfida. Io gli sorrisi, posando la borsa sul sedile. Prima che potessi entrare nella macchina, però, mi sentii prendere il braccio. Lo guardai con aria curiosa, ma lui ignorò quel mio sguardo.

Deciso, si avvicinò alle mie labbra. Il cuore tremò nel mio petto, mentre la sua mano si posava sul mio fianco.

Durò un solo istante, un attimo talmente breve da non poter nemmeno esser percepito. Ma la sensazione di vertigine che ne seguì dopo era tutta reale.

– Scommetto che nemmeno questo ti fa. – mormorò mantenendo gli occhi sui miei, alludendo al discorso di prima su Paul.

Sbuffai divertita, scuotendo la testa.

– Che galantuomo, Smolder – lo presi in giro, sedendomi sul morbido sedile.

Lui richiuse la porta e, dopo aver fatto il giro intorno alla macchina, si mise al posto del guidatore.

Uscì con la retromarcia dal vialetto di Casa Salvatore, per poi prendere la direzione di casa mia.

Le riprese stavano andando piuttosto bene. Il finale l’avevamo girato, dovevano solo montarlo e poi mandarlo in onda la prossima settimana.

The Vampire Diaries, la seconda stagione, andava ormai al termine, mentre la storia tra Damon ed Elena iniziava ad avere le prime basi. Avevo già girato molte scene di sesso con Ian, ma solo da migliori amici e nulla di più. Ora, come avrei fatto a farne altre, a toccare il mio… fidanzato, di fronte al mondo intero? A baciarlo, con la consapevolezza di avere numerosi occhi che ci scrutano. Quelle scene mi avrebbero del tutto imbarazzata, già lo prevedevo. Comunque, per ora non dovevo di certo preoccuparmi: l’unico bacio che Damon ed Elena si sarebbero scambiati non sarebbe stato nulla di così passionale. Si trattava solamente di posare le mie labbra sulle sue, nient'altro.

– Sai che domani parto per promuovere la mia fondazione di protezione, vero? – ruppe i miei pensieri Ian, senza lasciare lo sguardo dalla strada.

Feci sì con la testa.

– Un week-end a Parigi, no? – chiesi di rimando, prendendo il telefono.

– Sì, proprio lì. Ti andrebbe di venire con me? – chiese posando un gomito fuori dal finestrino, stringendo le labbra.

Lo guardai, inumidendomi le labbra e schiarendomi la gola.

– Viene mia madre, mi dispiace. – mormorai chinando la testa, sentendomi un po’ colpevole.

Lui sorrise, dandomi una leggera gomitata per tirarmi su.

– Falla venire con noi. – disse con una semplice alzata di spalle. Sgranai gli occhi, restando a bocca aperta.

– Io te e mia madre a Parigi? Nella città dell’amore?! Ma… Ian! – lo rimproverai ridacchiando e scuotendo la testa. Non ci pensavo nemmeno di fare una cosa del genere! La stampa poi che avrebbe pensato?

Lui sbuffò, visibilmente irritato dalla mia risposta. Oh, perfetto. Ero riuscita a stranirlo in meno di dieci secondi.
– Non ci vedo nulla di male, se poi viene anche mia madre. – commentò scrollando le spalle e aumentando la velocità.

Mi stava realmente proponendo una specie di… uscita a quattro? E per di più, con le nostre rispettive madri?

Non sapevo cosa rispondergli. Da una parte morivo dalla voglia di andare a Parigi con lui, ma dall’altra la stampa e i giornalisti mi stavano letteralmente fottendo la testa. Ogni mio movimento veniva ripreso da loro. Cosa sarebbe successo se fossi andata proprio a Parigi, con il mio presunto fidanzato e con le nostre madri? Sarebbe sembrata una vera e propria relazione.

– Non credo che mia madre avrebbe voglia. – mentii spudoratamente a mento alto, guardando altrove.

Lo sentii ridacchiare sottovoce, come per non farsi sentire. Cosa c’era di così tanto divertente?

Allungò la mano verso la mia. La prese, e per un momento credetti che volesse solo stare così. In realtà, prese ciò che tenevo ben stretto. Il mio cellulare.

Gli lanciai un’occhiata incuriosita, guardando cosa voleva fare.

Con la destrezza di un eccellente guidatore, iniziò a guardare nella mia rubrica.

Con un groppo alla gola afferrai il volante.

– Ian, ma sei matto? Non puoi usare il telefono mentre guidi. Guarda la strada, dai. – lo ammonii severamente mentre lo aiutavo a fare una curva. Ma, anche se il suo sguardo non toccava più la strada, sembrava conoscere quel percorso a memoria, tant’è che girò nel punto giusto senza nemmeno sfiorare il marciapiede.
Trovò un numero, non avevo la minima idea di quale fosse, e chiamò.

– Che fai? – gli chiesi tornando con la schiena contro il sedile, incrociando le gambe. Lui fece solo un gesto con la mano, come per zittirmi.
Dopo qualche secondo, sentii la voce di mia madre rispondere al mio telefono.
O. Mio. Dio.

– Ian! – lo sgridai sgranando gli occhi e linciandolo con lo sguardo. Stava realmente chiamando mia madre?

– Buongiorno, sono Ian Somerhalder! – rispose tutto sorridente lui, con quel suo fare amorevole che faceva cadere chiunque ai suoi piedi. Le sue tattiche per arruffianarsi la gente erano davvero infime, davvero.

Dall’altra parte non sentii più nulla, come se mia madre fosse rimasta senza parole. Probabilmente, era così.
– Nina mi ha detto che domani viene qui ad Atlanta – iniziò, riservando un’occhiatina – io invece dovrei andare a Parigi per lavoro. –

– Oh no, non si preoccupi. – fece alzando la mano. – Mi farebbe piacere che lei e Nina mi accompagnaste, tutto qui. Nulla di più. Ah, verrebbe anche mia madre. – concluse poi.

Ecco fatto. Sbuffai, poggiando la testa contro il sedile.

Sentii la voce di mia madre farsi acuta, poi ridere. Stava per accettare, e per di più era emozionata di stare al telefono con Ian Somerhalder. Delle volte si comportava peggio di un’adolescente, dovevo ammetterlo.

– Certo che vuole conoscerti, muore dalla voglia. – enfatizzò lui, scandendo bene le ultime. Poi sospirò, come se fosse deluso per qualcosa. – L’unica che non vuole venire è Nina. Oh, guardi, non me ne parli. - minuto di silenzio.

– E’ quello che penso anche io. Si fa troppi problemi. La stampa, i fotografi, blablabla. –

Inarcai un sopracciglio. Certo, come se fossi l’unica a preoccuparsi di quelle cose.

Ian restò una decina di secondi in silenzio, poi sorrise.
– Ma certo, non preoccuparti. D’accordo allora, scusami per il disturbo. Arrivederci! –

Con un sorrisetto che ormai troppe volte gli avevo visto in volto, chiuse il telefono e me lo ridiede.

Incrociai le braccia e volsi lo sguardo al finestrino. Avevo paura di quello che stava per dirmi.

– Ah, tua madre ha accettato. – m’informò prontamente batterellando le dita sul volante.

Ecco, lo sapevo.

Lasciai perdere fin dal principio quella conversazione. Anche se, a dirla tutta, mi sentivo come sollevata a quella notizia.
Un week end nella città dell’amore, Parigi, con Ian. Con il mio fidanzato.

Sorrisi di nascosto, mantenendo la facciata da dura.

– Va bene, ma niente smancerie in pubblico. – acconsentii tornando a guardarlo. Lui mi fece l’occhiolino, accostando davanti a casa mia.
Senza darmi il tempo di slacciarmi la cintura avvicinò le sue labbra alle mie. Socchiusi gli occhi, accarezzandogli la guancia.

Possibile che le mie mani non riuscissero a stare lontane dalla sua faccia?

Lui si staccò un poco, mantenendo gli occhi fissi.

– Ci vediamo domani. Tua madre prende l’aereo direttamente da Toronto. Ti passo a prendere verso le otto e mezza. Buonanotte. - mormorò sospirando.
Non so quale forza riuscì a smuovermi da quel sedile, perché quella sera era maledettamente bello. Mi schiarii la gola, accennando ad un sorriso, mentre sentivo il suo sguardo addosso.
Uscii dalla macchina e gli mandai un bacio con la mano, facendogli l’occhiolino. E dentro di me non vedevo l’ora che quella notte passasse in fretta, così avrei potuto rivederlo.

 

– Buongiorno – mi sorrise Ian – tesoro. - continuò poi a bassa voce.

Lo guardai sbieco.

– Quale concetto non hai capito di “niente smancerie in pubblico”? - domandai sedendomi accanto a lui sull'aereo.

Ian sorrise, illuminandomi la giornata. Dio, se era bello, quando sorrideva.

Mia madre si era subito trovata bene con la sua, e già erano immerse nei loro chiacchiericci sui sedili dietro i nostri.

– Sai, non pensavo accettassi. - disse d'un tratto lui, dopo qualche istante di silenzio.

Iniziai a sfogliare distrattamente il giornale.

– Cosa? - mormorai senza alzare lo sguardo dalla rivista. - Intendi...venire qui, a Parigi, con te? -

Ian si stiracchiò, levandosi gli occhiali da sole e penetrandomi con quegl'occhi chiari. Si sporse un poco verso di me, sfiorandomi per un istante la guancia con i polpastrelli.

Quanto avrei desiderato sentire ancora le sue mani sul mio viso.

Lo guardai, accennando ad un sorrisetto.

– Diciamo che le voci stanno già iniziando a girare su molte riviste, ma fin quando uno dei due non ammette pubblicamente che io e te non siamo semplici amici, possiamo stare tranquilli. Bè, più o meno. - risposi sospirando e indicando l'articolo che tenevo sotto mano.

Ian lesse le prime righe a bassa voce, poi sbuffò.

– Piantala di leggere quella roba, poi diventi isterica. - disse rubandomi dalle mani la rivista e posandola lontana da me.

Contestai cercando di riprendermela, lanciandogli occhiate poco amorevoli, ma lui ormai aveva deciso di non darmela.

Che poi, a dirla tutta, non è vero che divento isterica nel leggere certe cose.

Mh...forse un po'. Ma poco.

Il viaggio non durò molto. Non appena arrivammo a Parigi, ci dirigemmo verso l'hotel. Ian scaricò velocemente le valige nella sua stanza.

Che, guarda caso, era anche la mia.

Una matrimoniale, per dirla tutta.

Non protestai, lui faceva sempre a modo suo, e io lo amavo anche se compiva dei gesti così irrazionali.

Ci vediamo questo pomeriggio. Intanto riposati, il viaggio è stato stressante. - sorrise prima di lasciare la stanza.

Aprì la porta e fece per uscire. Tuttavia, dopo aver mosso il primo passo, si bloccò all'istante, come se si fosse scordato qualcosa.

Si voltò, guardandomi, mentre io restavo ferma davanti al letto, contraccambiando lo sguardo. Ian entrò, sbattendo la porta alle sue spalle.

Velocemente, pur mantenendo la sua delicatezza, prese il mio viso tra le mani. LO avvicinò al suo, senza fiatare, senza ripensamenti, senza parole.

Mi baciò. Allungai le mani sul suo petto, sentendo attraverso la camicia il battito del suo cuore che accelerava quanto il mio.

M'impossessai della sua bocca, della sua lingua. Lo volevo per me. Lo volevo mio e basta.

Si staccò. Sentivo il suo fiato, corto e caldo, contro le mie labbra. Mi sorrise, mentre io desideravo che continuasse a baciarmi.

– Devo andare. - mormorò, senza però fare un minimo sforzo per allontanarsi.

Fui io a staccarmi per prima, con un nodo alla gola.

– Ciao. - lo salutai, baciandogli debolmente la mascella.

Mi guardò, esitando, poi si voltò, andandosene.

 

Il pomeriggio lo passammo camminando vicini per le romantiche vie parigine. Quel posto era il paradiso, davvero. Era una delle capitali più belle che io avessi mai visto.

Mia madre e quella di Ian non avevano smesso un attimo di chiacchierare. C'era una sorta di sintonia tra di loro e questo non poteva far altro che darmi un certo piacere. Era come se avessi un'ulteriore conferma che la mia scelta di stare con Ian fosse perfetta.

Lui teneva un braccio attorno alla mia vita, non riuscivamo a non toccarci neppure per qualche minuto. Dovevo sentirlo vicino, accanto a me.

Arrivò la sera e, le rispettive madri, capirono che era il momento di lasciarci... soli.

Dopo cena decisero di rientrare in hotel, mentre noi due restammo ancora un po' in giro per Parigi. Credetti che nel buio, nella sera, nella notte ci saremmo potuti nascondere meglio dalle fan e dai giornalisti.

Invece no, perchè ciò che successe mi colpì profondamente.

– Ti va un gelato? - domandò lui, indicando con il mento una gelateria artigianale che dava su una via secondaria.

Lo guardai torva.

– Vuoi mettermi all'ingrasso, Smolder? - domandai pizzicandogli un fianco, per poi ridacchiare.

– Ma smettila, che sei perfetta. - commentò sbuffando lui.

No, tu sei perfetto. Lo sei davvero.

– Non rifiuterei mai al cibo, lo sai benissimo. Però è anche vero che oggi abbiamo... esagerato, non credi? - chiesi aggrottando la fronte.

Lui fece una faccia strana, prendendomi in giro.

– Si può sempre smaltire il tutto. - propose alzando le spalle.

Annuii riflettendo a quella sua considerazione.

– Domani probabilmente vado a correre. - dissi decisa.

Lui alzò un sopracciglio.

– Domani? Correre? - ripeté quasi indignato – Io proporrei una cosa molto più piacevole, lenta o veloce che sia, da fare questa notte stessa. - ammiccò sorridendo in modo malizioso.

Eh?

Lo guardai non capendo.

Lui sembrò imbarazzato, ma quel lieve rossore passò velocemente.

– Sai io e te, stanotte, letto matrimoniale, lenzuola, su e g... -

– Ian! - esclamai paonazza in volto.

Lui scoppiò in una fragorosa risata. Che razza di idiota, non poteva dire certe cose in pubblico. Non poteva dirle perchè io, in determinate circostanze, non riuscivo nemmeno a trattenermi dal saltargli addosso. Oh, che tu possa pagarla cara, Somerhalder.

– Sarebbe troppo strano. - commentai dopo qualche istante di silenzio.

Lui mi guardò dall'alto.

– E perchè? -

- Bè, mia madre, tua madre... - iniziai a bassa voce.

Lui inarcò un sopracciglio.

– E quindi? Non stanno nella nostra stanza, le ho prese separate apposta. Eccetto la nostra, ovviamente. -

Gli sorrisi. Stare lì a chiacchierare, a camminare tranquillamente con l'uomo che amavo era una cosa indescrivibile. Mi sembrava una passeggiata normale, tra persone normali, e non tra due star. Eravamo solo io e lui.

Più o meno.

Le nostre guardie del corpo si erano leggermente distanziate per lasciarci una maggior privacy, e questo fu l'errore cruciale che decisamente rovinò la serata.

Camminammo stretti ancora per un po', fin quando non risbucammo sulla via principale. Errore madornale.

In lontananza intravedemmo una massa di gente che, non appena ci notò, iniziò a dirigersi quasi correndo verso di noi.

– Ian, cosa... - iniziai, ma già sapevo cosa stava per succedere.

Paparazzi, giornalisti, Fan. C'erano tutti in quella stupida folla che ci aveva seguiti fin lì.

Ian mi prese ancora più saldamente. Facemmo per tornare indietro, ma altre persone ci vennero incontro.

Ci tagliarono la strada e, anche quelli che non si erano ancora accorti di noi, con quella confusione ci vennero addosso.

Ian non mi lasciò, nemmeno un istante, tenendomi stretta a lui.

Iniziarono a scattare foto, a porre domande. I paparazzi si ammucchiarono addosso a noi, le fan gridavano eccitate i nostri nomi. Parlavano in inglese, o almeno ci provavano. Mi sentivo soffocare.

D'un tratto persi la mano di Ian. Quella folla quasi disumana mi stava mangiando.

Sentivo mani, estranee, addosso Qualcuno mi tirò per i capelli, altre ragazze puntarono i loro telefonini su di me, attaccandosi al mio corpo per entrare in foto in cui non volevo per nulla apparire.

– Ian! - gridai, ma non ottenni risposta.

C'erano solo volti sconosciuti, flash accecanti, domande e microfoni di giornalisti. Non c'era nessun' altro. Ero sola, completamente.

Mi feci forza, spingendo contro le persone, cercando di uscire da quella cerchia infernale che, tuttavia, si rafforzava sempre di più. Le persone aumentavano e mi stavano schiacciando.

Non ce l'avrei fatta. Non ce la facevo. Troppi corpi, troppe urla. Non c'era Ian, e senza di lui le mie sicurezze svanivano.

Volevo solo tornare a casa, andare via da lì. Volevo solo che qualcuno venisse a prendermi, che qualcuno mi salvasse.

– Dobrev! -

Una voce mi destò da quella specie di trauma, ma non era Ian.

Vidi un omone scuro prendere con forza quelle ragazzine e spostarle, creandosi un varco.

La mia guarda del corpo Dean era finalmente arrivato, ma non sorrisi. Non ci riuscivo.

Si mise tra me e la folla, mentre altri uomini della sicurezza arrivarono. Ian era con loro, li aveva chiamati. Mi fecero passare cercando di ristabilire un'ordine quasi impossibile. Al ciglio della strada mi aspettava una macchina.

Vi entrai, con Ian dietro di me.

- Stai bene? - domandò preoccupato. Era sudato, delle piccole goccioline gli colavano dalla fronte aggrottata.

Non risposi. Iniziai a respirare con la bocca aperta, totalmente rigida contro il morbido sedile scuro. Pensavo allo yoga, alle lezioni in cui mi veniva insegnato una speciale tecnica di rilassamento.

In quel momento, però, non servivano ad un bel niente.

Iniziai a piangere.

– Nina... - mormorò lui, allungando una mano verso la mia spalla.

Mi avevano toccata, strattonata, spinta, presa. Mi avevano fatto foto, urlato nelle orecchie, obbligato a firmare fogli con stampata la mia faccia.

Era come se quella folla avesse preso una parte di me.

Questo era il lato estremamente buio ed abissale della carriera di un attore. Le persone invadenti, i paparazzi, gli stalker. Fortunatamente, quest'ultimi non erano ancora apparsi nella mia vita, ma più volte numerose celebrità devono guardarsi alle spalle, anche con le guardie del corpo vicine.

Non si è mai sicuri della propria incolumità, una volta dopo che il tuo viso è conosciuto in tutto il mondo.

La macchina partì. Per tutto il tragitto non proferii parola.

Ian mi stava accanto, stringendo delicatamente la mia mano, cercando di confortarmi come meglio poteva.

Non provavo odio per i miei fan, assolutamente. In quel momento sentivo più una specie di... terrore, di panico. Di paura. Non riuscivo semplicemente a capacitarmi di come le persone potessero, delle volte, esser così aggressive. Non capivo perchè mi avevano fatto questo, perchè ci avevano fatto questo.

La macchina si fermò davanti all'hotel. Lì, fortunatamente, era tutto tranquillo.

Ian scese velocemente prima di me, guardandosi attentamente in torno. Poi, passò dal mio lato, aprendomi lo sportello e proteggendomi con il braccio.

– Sto bene. - mormorai sottovoce, scostandomi un poco - Ho solo bisogno di aria. -

Lui non rispose, lasciandomi solo un po' di spazio, ma tenendomi con un braccio attorno alle spalle.

Restai ferma, in piedi, di fronte al grande portone dell'albergo. Sospirai, guardandolo.

Inconsapevolmente stavo ancora piangendo.

Prima che lui potesse dirmi qualcosa, o fare altro, lo abbracciai.

Strinsi forte, fin quando non sentii il suo odore travolgermi abbastanza da confondermi con lui.

– Era tutto perfetto. Mi dispiace, Nina. - sussurrò al mio orecchio, dandomi un leggero bacio alla guancia.

Gli accarezzai il capo, affondando le dita nei suoi lunghi capelli corvini.

– Fin quando sto con... te so che andrà tutto bene. - gli risposi sorridendo, calmandomi. Quell'abbraccio era la mia medicina. Ian stesso era la mia cura.

Lo amavo, mai come in quel momento.

Mi prese per mano e, senza guardarci intorno, senza curarci dei giornalisti o altro, entrammo.

 

 

– Nina... - mormorò Ian ad un certo punto nel buio, sotto le coperte, dopo aver fatto l'amore.

– Sì? - risposi accarezzandogli un braccio con i polpastrelli, sdraiata accanto a lui.

– Ti amo. -

Era buio, e lui non vide il mio rossore, la luce nei miei occhi, il mio sorriso. Ma so per certo che lo sentì.

– Anche io. -

Angolino:
Ok, ok. Ok.
Saranno.. uno, due anni che non pubblico qualcosa? Molto probabilmente questa Long non viene nemmeno più seguita dalle mie ex lettrici che, ovviamente, avranno perso le speranze in una mia pubblicazione... E invece ecco :') Meglio tardi che mai, no?
Comunque ecco, questo è il penultimo capitolo. Non ne sono molto convinta, ma almeno ho scritto qualcosa di... decente, dopo un paio d'anni che sono stata ferma, spero che la scrittura non sia troppo arrugginita .-. E che non sia OOC. Triste iniziare a scrivere una Long quando i due stanno ancora insieme, per poi finirla quando si sono già lasciati. Eh. Comunque, il prossimo dovrebbe essere il capitolo conclusivo, una sorta di epilogo.
Tornando a questo, eeessì. Ian, Nina, le loro madri, Parigi 2011. Un week end romantico, ma che finisce proprio in un terribile modo. Ian e Nina perseguitati da fan troppo invadenti che non conoscono il limite. Difficile da crederci, lo so... ma se avete voglia potete tranquillamente controllare voi stessi :)
Ci rivediamo presto, spero. E spero anche che qualcuna di voi passi a commentare, davvero :) Vecchia o nuova lettrice, almeno per spronarmi un pò a concludere questa lunga, ma romantica, storia. Un bacione!

Ian e Nina per le vie parigine!

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