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Autore: Monijoy1990    14/11/2014    1 recensioni
Questo racconto rappresenta il proseguimento di "Love story". Quindi invito chiunque non lo abbia letto a farlo prima di iniziare.
Roberto è un ragazzo arguto e intelligente con un futuro già scritto a lettere cubitali nel suo destino e un sogno in minuscole chiuso in un cassetto. Avvocato, dottore o ingegnere questo ciò che vorrebbero i suoi genitori per lui. Ma cosa vuole davvero Roberto? Diventare un cantante. Così il Giappone diventerà la sua strada e la Kings Record la sua meta. Durante il suo viaggio verso il successo il destino gli tenderà tante sorprese improvvise. Riuscirà grazie alla sua arguzia e al suo buon cuore a superare le sue insicurezze? Tra triangoli amorosi e amicizie inaspettate, sarà in grado di realizzare il suo sogno? Troverà la sua strada?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 8

 

UNA POSSIBILITA’ PER CAMBIARE

 
 
 
 
 
Tokyo
 
Il giorno della competizione era finalmente arrivato. Roberto nella sua camera, seduto sul letto, stringeva nervosamente tra le mani un cappello blu come il freddo cielo invernale.
“Cosa diamine mi è preso? Come ho potuto permettere a un’altra ragazza di baciarmi? Probabilmente si è trattato di un momento di debolezza, nient’altro. Entrambi ci trovavamo in una situazione complicata e credo sia normale perdere il controllo.” Distendendosi sul materasso e portando il cappello al petto, Roberto sospirò vistosamente.
“Devo chiarire con lei prima che si ripresentino altri fraintendimenti. Mi basta avere Kei come nemico non vorrei inimicarmi anche Toshi.” Più tranquillo si risollevò, ripose il cappello sulla scrivania e uscì dalla casa dei suoi nonni. Prima della gara avrebbe chiarito con Nami.
 
Kei era con gli altri del gruppo nel garage di Take. Stavano riprendendo la coreografia mentre da bravi spettatori Toshi e Take li osservavano in silenzio. Kei continuava a modificare passi e a inserire elementi nuovi. Era insoddisfatto e abbastanza nervoso. Ovviamente nessuno dei presenti era a conoscenza del vero motivo della sua agitazione. Kei, voleva a tutti i costi rimuovere quella dannata immagine dalla testa. Voleva diventasse presto solo un brutto ricordo, e comportandosi in quel modo sperava di poterci riuscire. Voleva scrollarsi dal cuore quei sentimenti ingombranti che adesso gli pesavano troppo sulla coscienza. La cosa più importante per lui era vincere quella dannata competizione. Solo così si sarebbe liberato di Roberto una volta per tutte.
Un flashback improvviso lo riportò indietro a quel bacio tra Roberto e Nami, e a quel senso di tradimento e frustrazione che aveva provato. Eppure quell'inaspettato contatto, non era la sola cosa che aveva scoperto quella dannata sera. Dopo essere uscito a festeggiare con gli altri, aveva pensato di fare due passi per schiarirsi i pensieri. Cosi, senza una meta precisa, si era ritrovato ancora una volta davanti quel dannato palazzo alla Kings Record. Entrando di soppiatto nell’edificio aveva spiato Roberto e Nami allenarsi. Così, senza volerlo, aveva scoperto con quale arma Nami aveva intenzione di colpirlo per far vincere Roberto. Avrebbero usato dei salti nella coreografia. Lui non li aveva mai perfezionati, purtroppo, per quanto non volesse ammetterlo, le sue braccia erano state sempre troppo deboli per compiere quei volteggi complicati. Non pensava che Nami sarebbe arrivata a sfruttare le sue debolezze in quel modo e soprattutto per aiutare il primo arrivato della situazione.
«Kei, non dovremmo modificare la coreografia. Ieri ha funzionato bene…»  tentò di convincerlo Jona.
«Non dire sciocchezze, non vinceremo mai così…» gli rispose scostandolo in malo modo e facendosi spazio al centro della pista, tentando per l’ennesima volta di portare a buon fine un Powermove: una mossa che prevede una rotazione sull’asse centrale del corpo. Ma il carico sulle sue braccia questa volta non fu trattenuto tanto da permettergli di completare l'evoluzione così Kei si ritrovò a terra. Nella caduta il suo braccio urtò violentemente sul pavimento freddo, causandogli una fitta allucinante.  Shin corse subito verso suo fratello, seguito dagli altri tre.
«Kei, tutto bene? Ti sei fatto male?» chiese il più piccolo aiutando il fratello a sollevarsi mettendosi seduto. Kei aveva gli occhi stretti per il dolore.
“Maledizione, non adesso. Non oggi. Porca miseria…”
«Ragazzi, fatemi passare… » si fece largo attraverso gli altri Take, con sguardo clinico osservò il braccio di Kei. Provò a sfiorarglielo appena e solo a quel tocco leggero, Kei esplose in una smorfia di dolore per nulla rassicurante. La situazione non sembrava essere delle migliori.
«Penso ci sia qualcosa di rotto, dobbiamo andare in ospedale immediatamente» concluse allontanando la sua mano dal braccio dell’amico.
«Non posso. Prima dobbiamo esibirci…» obbiettò Kei sollevandosi dal pavimento e imponendosi sugli altri con arroganza.
«Non essere ridicolo, ballando in queste condizioni cosa speri di ottenere? Primo peggioreresti le cose e secondo ti garantisco che non riusciresti a stare al passo con loro» cercò di convincerlo il più grande indicando Shin e Jona alla sua destra.
“Maledizione… ha ragione” Kei reclinò il capo sconfitto e strinse i denti. Shin gli si avvicinò e con una mano sulla sua spalla  cercò di rassicurarlo.
«Non devi preoccuparti, anche se siamo solo in due riusciremo a batterlo. Puoi contare su di noi. Adesso però fatti accompagnare in ospedale» cercò di convincerlo.
Kei, suo malgrado, acconsentì. A quegli occhi imploranti e preoccupati non era capace di dire no.
 
Nami era davanti al locale. Aspettava nervosamente l’arrivo di Roberto. Dopo quel bacio di ringraziamento non sapeva come comportarsi. In realtà non sapeva neanche perché lo avesse fatto. Lui era fidanzato, come aveva potuto essere così sconsiderata? Doveva chiedergli scusa.
Proprio in quel momento Roberto la raggiunse. Avanzava a testa alta e sguardo fiero, non c’era imbarazzo o incertezza nei suoi occhi, e questo le diede la forza di affrontarlo più sicura di quello che gli avrebbe detto.
«Roberto, senti, per quello che è successo ieri… » improvvisò, ma lui la interruppe prima che potesse proseguire.
«Cancelliamolo, abbiamo solo avuto una piccola sbandata. Non ricapiterà più quindi adesso non pensiamoci troppo e entriamo. Abbiamo una gara da vincere.. » concluse superandola e entrando nel locale. Nami un po’ delusa da quelle fredde parole lo seguì.
Erano dietro le quinte. Roberto non faceva altro che giocare con il labbro inferiore, sfiorandoselo con il pollice, fu in quel momento che Nami notò quella ferita.
«Cosa ti è successo al labbro? » gli chiese avvicinandosi e scostandogli dolcemente la mano dal viso. Quel contatto mise Roberto a disagio ancora una volta, tanto che fu costretto a volgere il suo sguardo altrove per non farglielo notare. .
«Nulla, non preoccuparti».
«Come può essere nulla? Qualcuno ti ha picchiato ieri notte? » gli domandò preoccupata avvicinandosi sempre di più.
«Davvero, non è importante..» la scostò infastidito.
«Non sarà stato mica Kei… » gli chiese con occhi sottili come fessure. Roberto tornò a guardarla in viso.
«Non devi preoccupartene adesso» Nami strinse i pugni e corrucciò le sopracciglia infuriata come non mai.
«E no, questa me la paga cara. Certi modi dovrebbe conservarseli per chi se li merita, che diritto aveva di colpirti?» Roberto esitò perplesso. Dopotutto quel cazzotto, per certi versi, se lo meritava.
«Lascia stare… » cercò di convincerla appoggiandosi a una parete e facendo spallucce, ma Nami non era pronta a lasciar correre la cosa. Senza aggiungere altro si allontanò da Roberto. Doveva parlare con Kei. Per quanto non sopportasse la presenza di Roberto, che diritto aveva di picchiarlo?
 
Kei era appena arrivato con gli altri. Toschi e Take si erano allontanati per primi, a fargli compagnia erano rimasti solo Shin e Jona. Sedendosi sciattamente sul divano rosso il ragazzo con il ciuffo scuro sul volto incrociò le braccia all’altezza dello stomaco. Su una delle due c’era una bella ingessatura. Grazie al cielo il danno non era grave. Tempo una settimana e si sarebbe potuto liberare di quell’opprimente blocco bianco al braccio sinistro.
«Kei, noi andiamo a prendere da bere. Hai voglia di qualcosa? » gli chiese premuroso suo fratello.
«Non ho voglia di niente» replicò scontroso l’altro ruotando la testa altrove. Shin lanciò uno sguardo perplesso verso Jona che fece spallucce anticipandolo e muovendosi in direzione del bancone.
«Arriviamo subito» lo rassicurò un ultima volta Shin prima di seguire l’amico biondo.
Kei li vide allontanarsi insieme. Odiava il loro atteggiamento apprensivo, era veramente soffocante.
“Diamine non ci voleva proprio…” pensava mentre con la mano destra si tastava la candida ingessatura.
Nami avanzava a passo spedito tra i ragazzi ammucchiati dietro le quinte in attesa del loro turno. Finalmente, tra tanta confusione, scorse in lontananza Kei seduto sul divano rosso con una espressione frustrata sul volto. Avanzò decisa nella sua direzione, quando a pochi metri si arrestò. In quel momento, si accorse che Kei aveva un braccio ingessato.
«cosa ti è successo?» esordì con aria sorpresa.
«non dirmi che adesso sei tornata a preoccuparti per me? Davvero ti importa cosa mi è successo? Ma non essere ridicola, più che angosciarti per me  faresti meglio a concentrarti sul tuo nuovo fidanzato» completò  storcendo il muso indispettito. In quel momento Nami si ricordò del motivo che l’aveva portata fin lì.
«Perfetto, visto che ci siamo allora, ti chiedo di non azzardarti più a infastidirlo. Mi delude sapere che l’unico modo di competere che conosci sia attraverso la violenza. Sono stata proprio una stupida. Per tutto questo tempo ho creduto che fossi diverso, ma a quanto pare mi sbagliavo. Quando capirai che dubitando degli altri in questo modo l’unico a cui farai del male è te stesso…? perché non concedi mai una possibilità a chi ti sta vicino? Perché devi sempre dubitare degli altri? Non tutti sono nati per ferirti… »
«fiducia? possibilità? Proprio tu mi parli di queste cose…? sai benissimo che non posso fare determinati passi e hai deciso di usare questa mia debolezza per sconfiggermi. Hai appena dimostrato a entrambi che, fino ad oggi, ho fatto bene a non fidarmi degli altri e soprattutto di te. Della gente che ti addolcisce con bei gesti e belle parole non ci si dovrebbe mai fidare, perché sarà proprio quella gente a feriti alle spalle appena ne avrà l'occasione.  Alla fine ti sei dimostrata  falsa e ipocrita proprio come tutti gli altri…»
«Sei stato tu ad aver iniziato questa storia. Che bisogno avevi di mettere in discussione le capacità di Roberto? Quello a non aver mostrato fiducia, fin dall’inizio negli altri, sei stato tu. Adesso non dare a me la colpa delle tua cocciutaggine. Ah, quasi dimenticavo, da questo momento dimenticati della Nami che ti seguiva come un cagnolino per tutto il tempo. Non accadrà più. Grazie per avermi aperto gli occhi. Adesso so che posso meritare di meglio. Di un ragazzo diffidente, ostinato, orgoglioso e egoista come te non so più che farmene…» detto questo Nami si voltò allontanandosi tra la folla. Voleva solo scappare prima che lui potesse notare le sue lacrime. Non voleva dirgli quelle parole, ma nel profondo quello era proprio ciò che pensava. Era stanca di inseguire una persona che non sarebbe mai riuscita a ricambiare quello che provava. Che senso aveva continuare in quel modo?
Kei non riuscì a trattenersi questa volta, non poteva rimanere fermo lì a guardarla mentre gli voltava le spalle per la terza volta. Prima nel garage di Take mano nella mano con Roberto, poi la sera prima davanti la Kings Record e adesso anche al Blue Night.  Si alzò senza dar ragione al suo orgoglio ferito e la inseguì fino all’uscita del locale. Erano nel parcheggio esterno quando la fermò trattenendola per un polso. Lei si voltò colta di sorpresa da quella presa improvvisa. I suoi occhi erano lucidi e carichi di rancore, non disse nulla ma bastarono il dolore e la sofferenza che ci si poteva leggere dentro a disorientare Kei.
Lentamente la presa sul braccio sottile di lei si fece più debole, approfittando di quel momento di incertezza Nami si divincolò e con convinzione si voltò ancora una volta allontanandosi da quell’amore folle e insano che gi aveva procurato solo ferite.
“Che senso ha amare un freddo blocco di ghiaccio? Per quanto calore potrei dargli alla fine sarei io l’unica a morire congelata. Un blocco di ghiaccio non può abbracciarti non può riscaldarti il cuore e io sono stanca di credere che un giorno questo possa accadere. Kei non cambierà mai, non lo ha fatto fino ad oggi e non lo farà mai, non di certo per me… ”. Con una mano Nami si asciugò una lacrima mentre si muoveva rapida verso l’uscita del parcheggio. Non sapeva dove stava andando ma voleva solo allontanarsi da lui.
Kei rimase fermo ad osservare l’unica ragazza che lo avesse amato allontanarsi per sempre da lui. Quante possibilità le aveva concesso Nami? Tante, ma lui non era mai stato capace di coglierle, e adesso era troppo tardi.  A causa di quegli occhi non era stato capace di dirle quello che veramente provava. Probabilmente quella era stata la sua ultima occasione per farlo ma come un codardo, come un egoista l’aveva lasciata andare via ancora una volta; forse perché era più facile sopportare l’idea che fosse stato lui a lasciarla andare e non che lei lo avesse abbandonato dicendogli addio per sempre.
“Perdonami se quello che ho saputo darti è stato solo un amore velenoso. Spero davvero, che lui possa restituirti la felicità che non sono mai stato capace di darti io.”Sconfitto ritornò all’interno del locale.         
Nami fece ancora pochi metri prima di fermarsi. Si voltò appena in tempo, per notare  Kei allontanarsi in direzione del locale.
“Avrò fatto davvero la cosa giusta? Sarò davvero, capace di dirgli addio?” con una mano si tastò il petto.
“Si, sono stanca di amare senza essere amata. Adesso voglio un ragazzo che mi coccoli che si preoccupi per me che mi difenda… Sono stanca di essere solo io a fare questo genere di cose”. Improvvisamente un pensiero si intromise prepotentemente nelle sue riflessioni auto-motivanti.
“Maledizione la gara!” rapida si mosse verso il locale.
 
 
Shin e Jona si stavano riscaldando. Ancora due gruppi e dopo sarebbe stato il loro turno.
Kei li raggiunse trascinandosi a spalle basse con uno sguardo perso e vuoto tipico di chi ha perso ogni motivazione. Shin lo raggiunse.
«Fratellino, tra un po’ sarà il nostro turno… » lo aggiornò eccitato.  Kei incontrò gli occhi vivaci del fratello, avrebbe voluto davvero incoraggiarlo con un bel sorriso ma in quel momento i muscoli del suo viso erano letteralmente paralizzati.
«In bocca al lupo, io vi aspetterò direttamente fuori, vicino la consolle» completò assente lui, superandoli con le mani nelle tasche anteriori e chiuso a riccio su se stesso. Era come se quell’ossessivo interesse per la vittoria avesse improvvisamente smesso d’importargli.
Jona si avvicinò a Shin, «cosa gli prende?» gli chiese sollevando un sopracciglio scettico. L'altro fece spallucce prima di spronare l’amico a seguirlo verso il palco. L’esibizione stava per iniziare. La musica partì, Shin e Jona provavano a portare avanti la coreografia ma in due era davvero dura, soprattutto a causa dello sguardo insoddisfatto della gente radunata lì che si aspettava anche la presenza di Kei sul palco, come la sera precedente. Molte ragazze erano visibilmente deluse da quell'assenza. Dopo non pochi problemi i due ballerini in scena, terminata la loro esibizione, raggiunsero frustrati Kei vicino la consolle dove Toshi diligentemente remixava le tracce audio. Dopo il loro ci sarebbe stato anche il momento di Roberto.
Nami arrivò appena in tempo. Avanzando tra la folla delusa per la precedente esibizione, raggiunse la prima fila. In ansia cercò qualcuno sulla pista. Aveva paura di essere arriva troppo tardi e che Roberto si fosse già esibito, ma soprattutto era preoccupata che quelle voci scontente fossero per lui. Era terrorizzata all’idea che qualcosa, durante l’esibizione, non fosse andata come avrebbe dovuto.
Proprio nel momento in cui Nami sbucò dalla folla accalcata intorno al palco, anche Roberto fece il suo ingresso in pista. Con un sorriso complice ammiccò a Nami che più sollevata lo ricambiò. Kei aveva notato i loro sguardi incontrarsi ma cercò di ignorarli. La musica partì.  Con entusiasmo Nami iniziò a saltellare euforica portando il braccio in aria e scuotendolo a tempo di musica. L’esibizione iniziò sotto gli occhi scettici del pubblico, per loro Roberto era una vera novità. Un ragazzo apparso dal nulla senza una storia e con delle capacità ancora da dimostrare.
Le note si susseguirono trascinando e guidando i passi di Roberto e degli altri ballerini al suo seguito. Non ci furono sbavature, ogni passo veniva portato a termine con precisione. Toshi, sorpreso e preoccupato dalla reazione dell’amico, si voltò verso Kei. Lo stesso aveva lo sguardo freddo e impassibile come una statua di pietra mentre analizzava con scrupolo il nuovo protagonista della pista. Kei, nel profondo non sapeva se odiare Roberto perché gli aveva portato via l’unica ragazza che gli avesse dimostrato amore o più semplicemente, perché gli aveva appena distrutto la reputazione.
Per quanto detestasse ammetterlo a differenza sua, Roberto si era dimostrato un ottimo avversario. Aveva sbagliato a colpirlo così bassamente soprattutto con la storia di suo padre.
In quel momento l’esibizione si concluse e dalle urla entusiaste del pubblico fu facile intuire chi fosse il vincitore. Subito Nami corse verso Roberto, ce l’avevano fatta. Lui l’abbracciò felice sollevandola dal pavimento. Avevano appena vinto. Nessuno dei due poteva crederci. A modo loro avevano avuto la loro rivincita quella sera.
Con una mano stretta sull’ingessatura, Kei si allontanò afflitto e di cattivo umore, non indugiando oltre su quella scena che gli faceva terribilmente male al cuore. Shin aveva la bocca spalancata mentre fissava Roberto e Nami festeggiare per la vittoria, non poteva credere che qualcuno avesse appena sconfitto suo fratello.
Girandosi, notò che Kei si era appena dileguato, Jona al suo fianco gli fece segno di seguirlo. Entrambi raggiunsero Kei di spalle a pochi metri dall’ingresso delle quinte, con una mano sulla fredda parete bianca, che a capo chino fissava il pavimento.
 
Era lì a torturarsi all’idea che Nami gli avesse appena dato a vedere che chi aveva sbagliato tutto era lui. Era tutta colpa del suo ego e della sua diffidenza se si ritrovava con un braccio rotto, con una reputazione distrutta e con la donna che amava tra le braccia di un altro. Era stato troppo prevenuto ancora una volta verso gli altri e a pagarne le conseguenze era stato,  ancora una volta, solo lui.
“Forse ha ragione Nami, sarà arrivato il momento di cambiare?” Shin raggiunse suo fratello.
«Kei, l’hai visto? Come può vincere in una gara non alla pari come quella? Non preoccuparti ci rifaremo. Quel tipo ha avuto solo fortuna, se tu ti fossi esibito con noi non avrebbe vinto.»
«Shin finiscila, ha vinto lealmente. Anche se ci fossimo esibiti in tre ci avrebbe battuto nello stesso modo. La sua coreografia era migliore della nostra, anzi, della mia… Ora sono veramente stanco. Che abbia pure la sua occasione… » detto questo il più grande si dileguò lasciando gli altri due spiazzati a guardarlo andare via sconfitto per la prima volta nella loro vita. Entrambi anche senza dirselo condividevano il medesimo pensiero: a Kei doveva essere successo qualcosa già molto prima dell’esibizione, ma che cosa?
 
Il giorno seguente i ragazzi si riunirono alla buon’ora per organizzare i compiti per il loro debutto.
 
«Ragazzi io direi di dividerci i compiti. Toshi e Kei, voi vi occuperete di arrangiare la traccia audio per cinque voci, mentre io e Roberto ci occuperemo della coreografia. Per quanto riguarda te, Shin, mi chiedevo se potessi cercare cinque giacche adatte per l’esibizione, che siano comode e originali. Posso fidarmi di te?» il più piccolo con i suoi capelli nero inchiostro acconsentì a Take eccitato e inorgoglito da quell’incarico di responsabilità.
«Bene, per quanto riguarda te Jona, ho bisogno che tu ti metta in contatto con più giornalisti possibili e che diffonda la notizia sul web...» Roberto si intromise interrompendo Take.
«Jona, cerca di non essere troppo esplicito, si sa che la curiosità cresce di più se le notizie rimangono velate… dobbiamo incuriosire il pubblico…»
Jona si spostò il ciuffo dei suoi capelli dalla fronte con un sbuffo d’aria dalla bocca, poi sporgendosi oltre il suo corpo poggiando i gomiti sulle sue ginocchia, sorrise malizioso all’amico.
«Puoi fidarti di me, so come si conquista l’interesse del pubblico… »
«Perfetto» concluse a sua volta Take. I cinque ragazzi erano pronti a collaborare per la riuscita del loro piano.
 
 
 
 
 
Italia. (Quattro giorni dopo)
 
Clara era nel negozio che osservava impaziente l’ingresso, come calcolando in ansia il momento in cui quel sofisticato principe azzurro avrebbe rifatto la sua comparsa.
Purtroppo a farle visita quella mattina non fu l’affascinante ragazzo di cinque giorni prima ma Marika, la sua vecchia amica d’infanzia. Tra le braccia, poco sotto i suoi seni acerbi, teneva stretto un vocabolario di italiano.
Appena incrociò lo sguardo deluso dell’amica le sorrise maliziosa avvicinandosi al bancone e poggiando in malo modo il libro voluminoso su di esso. 
«Aspettavi qualcun'altro?» le chiese con malizia. Clara le aveva già raccontato di quel ragazzo affascinante e misterioso comparso qualche giorno prima e dopo sparito per sempre.
«Che senso ha aspettarlo? Tanto non tornerà mai…» completò delusa Clara, sospirando inquieta.  Marika prese uno sgabello e si sedette senza neanche chiedere il permesso all’amica. Ormai era un gesto abituale. Dopo la partenza di Roberto, aveva preso l’abitudine di raggiungere Clara dopo la scuola. Facevano la strada di ritorno a casa insieme. Era un modo come un altro per sentire meno l’assenza di Roberto, o più semplicemente era il pretesto per estorcerle qualche informazione su di lui da sua sorella. Dopo quel messaggio laconico non era più riuscita a contattarlo. 
«Come è andata la prima prova scritta?» le chiese Clara chiudendo la cassa e mettendo in ordine qui e lì.
«Bene, piuttosto hai sentito Roberto? È un po’ che non mi risponde ai messaggi… sono preoccupata» Clara tornò con i suoi occhi sull’amica. Con una mano le sfiorò la spalla.
«Sarà impegnato, dopotutto sta dando il meglio in questi giorni, deve portare a termine il suo piano, qualsiasi esso sia, entro questa settimana… Vedrai che dopo si metterà subito in contatto con te… non devi preoccuparti… » cercò di confortarla.
«Hai ragione mi sto facendo tanti pensieri per nulla…»
«So quello che Roberto prova per te, non devi preoccuparti è un ragazzo con la testa sulle spalle. Quando fa una promessa la mantiene, costi quel che costi…»
«Lo so » le accennò un sorriso malinconico prima di sollevarsi dallo sgabello e aiutarla a sistemare le ultime cose prima di chiudere il negozio.
Erano ormai fuori quando qualcuno improvvisante arrivò alle loro spalle. Era un ragazzo alto e affascinante, con dei capelli biondi e due grandi occhi chiari. Con il suo solito portamento sofisticato da uomo vissuto, salutò le due ragazze. Clara rimase ferma incredula, con le chiavi a mezz’aria ancora vicine alla serratura.
«Immagino di essere arrivato troppo tardi…» concluse rammaricato lui, portandosi una mano dietro la nuca.
Clara diventò rossa dal mento alla cima dei capelli.
«No, se vuoi posso ancora aprire la cassa…» Marika squadrò perplessa l’amica. Non era da lei essere così accondiscendente con i clienti ritardatari. Poi improvvisamente tutto divenne chiaro.
“Questo deve essere il ragazzo del mistero” constatò con interesse investigativo ammirando ogni suo dettaglio. Vedendo il modo con cui l’amica arrancava risposte imprecise, soppresse un sorriso. Era davvero divertente vederla alle prese con quell’imbarazzante sentimento chiamato amore.
«Non mi riferivo al negozio, parlavo di te. Vedo che sei in compagnia, quindi immagino sia inopportuno oltre che inutile chiederti di prendere un caffè insieme» Clara spalancò la bocca e per poco le chiavi non le caddero dalle mani. Non sapeva cosa rispondergli era completamente impreparata a una proposta di quel tipo.
«A dire il vero Clara, mi sono appena ricordata di avere un impegno. Ci sentiamo più tardi va bene?» le ammiccò complice Marika.
«Sicura? Non avrai problemi a tornare da sola a casa?» provò a trattenerla Clara agitata al pensiero di rimanere sola con quel ragazzo attraente.
«Non preoccuparti» la rassicurò l’amica, prima di salutare il ragazzo davanti a se e imboccare le scale mobili.
Clara in imbarazzo chiuse il negozio evitando in soggezione lo sguardo del ragazzo alle sue spalle.
“Cosa diavolo mi prende? Perché non riesco a guardarlo negli occhi? Clara devi calmarti. Altrimenti ti scambierà per una ragazzina imbranata…” con non poca difficoltà recuperò il suo autocontrollo voltandosi.
«Credo di non essermi ancora presentato. Io sono Luca Corda. È un piacere fare la tua conoscenza Clara»
«Conosci il mio nome?» gli domandò stupita lei.
«L’ho appena sentito dalla tua amica» le spiegò con un caldo sorriso sul viso. Clara arrossì per la brutta figura.
“È ovvio che non conoscesse il mio nome. Ma quanto sono cretina?”
«Che dici, andiamo?» le fece segno di anticiparlo da galantuomo.
«Certo» acconsentì lei prima di muoversi al suo fianco. Erano in un bar, davanti a loro si trovavano due fumanti tazze di caffè nero con una leggera schiumetta color ocra.
«Sono felice che la tua amica si sia inventata quella scusa per lasciarci soli. Avevo davvero bisogno di parlare con te.» iniziò prendendo a sorseggiare il suo caffè.
«Ah, si? E di cosa volevi parlarmi?» gli domandò lei esitante, reggendo ostentando con sicurezza il tono di quella conversazione, mentre sorreggeva tremante la tazzina bianca di caffè nella sua mano destra.
«Sei molto più carina del solito oggi, non so, penso che il caffè ti renda più bella…» notò lui poggiando la sua tazzina nell’apposito piattino sul tavolino del bar.
Clara arrossì ancora una volta deglutendo vistosamente.
«Non credo di essere così bella…» improvvisò portandosi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. I suoi capelli corti e lucenti non supervano la curva sottile della mandibola.
«Ti sottovaluti… » la interruppe lui sporgendosi oltre il tavolo e sfiorandole la commessura del labbro superiore, rimuovendole la rimanenza di schiuma ocra dal viso. Clara rimase immobile mentre quel ragazzo la sfiorava. Ci fosse stato Roberto lì si sarebbe sicuramente scagliato su di lui allontanandolo, ma adesso suo fratello non c’era e non vi era possibilità alcuna che qualcuno interrompesse quel momento. Il cuore nel suo petto batteva così forte che Clara aveva paura che da un momento all’altro potesse uscirle fuori dal petto. Sorridendole divertito Luca tornò al suo posto.
«Inizialmente ero interessato a te solo per questioni di lavoro ma adesso devo ammettere che mi diverte stare in tua compagnia. È una vera fortuna che il tuo bisn…». Proprio in quel momento il cellulare nella tasca di Clara squillò interrompendoli. Clara come ridestata da un bellissimo sogno lo recuperò dalla tasca dei suoi pantaloni. Era suo padre. Fissò il ragazzo seduto davanti a sé chiedendogli con lo sguardo il permesso di rispondere. Lui acconsentì e con un movimento elegante della mano la invitò a rispondere alla chiamata. Senza esitare Clara aprì la conversazione.
«Pronto. Dimmi papà… Roberto? È da un amico. Ma tu non dovevi tornare tra due giorni?» Clara spostava nervosamente il suo sguardo intorno a sé agitata.
«Al negozio? Si ti raggiungo subito…  non muoverti» detto questo chiuse la chiamata.
«Immagino che dovremo rimandare a un’altra occasione questa chiacchierata» concluse deluso il ragazzo.
«Mi dispiace, ma devo andare. È molto importante e non posso proprio rimandare»
«Non devi preoccuparti. Questo è il mio numero di telefono. Quando avrai tempo contattami.» Clara prese tra le sue mani il bigliettino da visita di quell’uomo e distrattamente se lo mise in borsa. Aveva davvero fretta di chiamare Roberto. Quel cambiamento improvviso non ci voleva. Doveva avvisarlo del ritorno anticipato di loro padre. Non gli restava molto tempo. Quella menzogna non sarebbe durata ancora per molto.
«Grazie, questi sono per il caffè » provò a lasciargli degli spiccioli sul tavolo, ma lui glie ridiede porgendoglieli bloccandole la mano e voltandola con il palmo verso l’alto.  
«Non dire sciocchezze, questo giro lo offro io. Vai pure»
Clara arrossì ancora una volta «Mi dispiace davvero, sarà per una prossima volta» concluse amareggiata prima di allontanarsi di gran fretta.
Il ragazzo rimase lì seduto ad osservarla mentre andava via in gran fretta.
“Si, questa ragazzina è davvero un tipo interessante… non aveva tutti i torti Salvatore…”
Mentre correva verso il negozio Clara scriveva una e-mail a suo fratello.
 
A Roberto.
Papà è tornato in anticipo. Sbrigati, non so per quanto ancora riuscirò a reggerti il gioco.
 
 
 
 
Tokyo
 
Toshi e Kei erano alle prese con il testo della canzone. Nello studio della Kings Record componevano le diverse varianti per cinque voci compresa la parte in rap di Kei. Avevano quasi finito il pezzo, ma c’era ancora qualcosa che non andava.
«Kei non sembra anche a te che manchi qualcosa?»
«Cosa intendi?»
«Non so, credo ci manchi una voce che dia potenza. Il pezzo per come lo abbiamo provato scorre abbastanza bene, ma ci manca qualcuno che spezzi con la monotonia d'impianto. Ci serve una voce che sappia fare degli acuti mozzafiato».
«Si, ma dove la troviamo adesso?»
Proprio in quel momento Shin fece il suo ingresso con due enormi scatoloni.
«Ragazzi ho trovato le felpe. Guardate, cosa ve ne pare?» chiese riponendo gli scatoloni sul pavimento, aprendoli e mostrandone il contenuto agli altri due.
«Sono perfette. Hai fatto davvero un buon lavoro» si congratulò Kei scompigliandogli i capelli.
«Woow ma sono firmati… avrete speso un bel po’… »
«Non ne abbiamo pagato neanche uno. Dicendo che le avrebbe indossate Jona ce li hanno praticamente regalati.»
«Piuttosto dov’è Jona? » gli domandò Toshi.
«Credo stia per salire» concluse richiudendo le scatole.
«Eccomi… » esordì il quarto componente con un gattino tra le braccia. Appena Shin si accorse di quell’ospite inatteso scoppiò in un grido così acuto da stonare chiunque si fosse trovato nell’arco di dieci metri.
«Portalo via… portalo via…» si nascose dietro Kei. Jona e Toshi rimasero lì fermi in silenzio e anche abbastanza perplessi ad osservarlo.
«Da piccolo un gatto gli è saltato addosso e da quel momento ha sempre avuto la fobia dei gatti» spiegò loro Kei.
«scusami Shin, ti dispiacerebbe gridare come hai fatto poco fa?» gli chiese Toshi sporgendosi interessato verso l’amico impaurito.
«Cosa?» lo riprese Shin con le lacrime agli occhi mentre fissava intimorito da dietro la sagoma di suo fratello, il gattino tra le braccia di Jona.  
Lo stesso sollecitato da uno sguardo di Toshi depose il gatto sul pavimento. Lo stesso avanzò ondeggiando e miagolando verso Shin, che tempestoso riprese a gridare. Kei irritato dalla mancanza di tatto dei suoi compagni allontanò con un piede dolcemente il gatto dai pantaloni di Shin, squadrando i due infuriato come non mai.
«Mi spiegate cosa della frase, Shin ha la fobia dei gatti, non avete capito?»
Toshi e Jona sorrisero soddisfatti.
«Penso di aver appena trovato la voce che mi mancava…» completò Toshi sfiorandosi il mento soddisfatto.
 
Take e Roberto avevano appena concluso gli ultimi passi. La coreografia progettata da entrambi aveva tenuto conto del recente infortunio di Kei, così i passi in cui erano interessati l’uso delle braccia erano stati ridotti al minimo. Altri due giorni e avrebbero messo in atto il loro piano. Jona aveva garantito loro anche l’attrezzatura necessaria per l’esibizione, con la collaborazione di Toshi li avrebbero recuperati dalla Kings Record. Adesso dovevano solo provare il pezzo e la coreografia.
«Roberto credo ti stia vibrando qualcosa» constatò Take vicino il tavolino dove avevano mollato i loro telefoni. Roberto corse ad aprire la posta elettronica. Era un messaggio da sua sorella. I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa mentre la mano che teneva stretto il telefonino crollava inerme verso il basso.
«Maledizione, questa  non ci voleva. Ho meno tempo di quello che credevo…» disse più parlando a se stesso.
«Cosa succede?» gli chiese Take asciugandosi con un movimento rapido le labbra dopo averle staccate dalla bottiglia di plastica adesso nella sua mano destra.
«Mio padre. È appena rientrato. Forse nella migliore delle ipotesi ho a malapena tre giorni prima che si accorga della mia assenza».
«Cavolo, penso che dovremo anticipare i tempi allora. Mando un messaggio agli altri ragazzi. Stanotte si prova e non voglio sentire obbiezioni. Se tutto va bene vedremo l’alba ballando e cantando» detto questo recuperò anche il suo di telefono digitando rapido un messaggio nella chat di gruppo.
 
Da Take:
Ragazzi, in via del tutto eccezionale inizieremo prima le prove.
Preparatevi a passare la notte nel mio garage. Portate tutto il necessario.
 
Da Toshi:
Ma, come mai questo cambio di programma improvviso?
 
Da Take:
Il padre di Roberto è tornato prima del previsto è c’è il rischio che salti tutto per colpa di un suo arrivo in Giappone. Dobbiamo agire prima che ciò possa accadere.
 
Da Kei:
Ok, io e Shin vi raggiungeremo sul tardi. Dobbiamo aspettare che JJ vada a dormire e solo allora potremo sgattaiolare via.
 
Da Jona:
Maledizione oggi avevo un appuntamento con un modella strafiga, non potete dirmi queste cose proprio adesso. Maledizione. Questa me la pagate. Comunque alle cose da bere ci penso io. Devo pur consolarmi con qualcosa. Ci vediamo tra un po’. :-p
 
Da Take:
A dopo ragazzi.
 
Da Toshi:
Ok, a dopo.
 
 
 
Erano le nove di sera e ognuno dei ragazzi a modo suo si preparava all’idea che quella sera avrebbero passato la notte in bianco. Shin e Kei aspettavano impazienti che JJ spegnesse la luce nel suo studio e andasse a dormire. Jona aveva appena finito di fare la scorta di super alcolici al supermercato. Take, aveva quasi concluso l'ennesima dose di rimprovero da parte di Andrea e Daisuke.
Toshi invece era ancora a tavola con i suoi genitori e sua sorella. In silenzio il ragazzone del gruppo rifletteva sull’arrangiamento della canzone.
“Chissà se andrà bene? Il fuori scena di Shin è stato proprio un miracolo capitato con un tempismo a dir poco perfetto”.
«Toshi, come vanno le prove?» lo richiamò Rio a capotavola con i capelli grigi e degli occhi sottili e severi nascosti dietro delle spesse lenti incorniciate da una montatura di osso nera, portandosi alla bocca un cucchiaio di zuppa di asparagi.
«Bene, bene » mentì Toshi evitando lo sguardo intransigente del padre.
«Ancora due settimane e potremo organizzare al meglio il debutto» concluse pieno di orgoglio.
«Rio, perché non lo lasci in pace almeno quando mangia?» si intromise Yori al suo fianco. Il suo viso fresco con il tempo si era riempito di poche rughe ma nonostante questo era ancora splendida.
Toshi le sorrise grato. Al fianco di Toshi Nami in silenzio fissava irrequieta suo padre. Gettato in malo modo il cucchiaio nel piatto si sollevò in piedi trascinando la sedia sul pavimento.
«Quando penserai anche al mio di debutto? Anche io non vedo l’ora di iniziare la mia carriera di modella e attrice. Eppure non fai altro che rimandare…»
«Nami calmati » la esortò sua madre.
«Uno dei motivi è proprio questo, non sei abbastanza paziente. Hai lo stesso temperamento impulsivo di tua madre, mi dispiace Nami ma devi ancora crescere. Quando sarai diventata abbastanza matura allora ne riparleremo, per il momento sognatelo. Perché non prendi esempio da tuo fratello. Si è allenato per anni senza sollevare mai obbiezioni.»
«Se pensi che lui sia così mirabile allora perché non gli chiedi cosa lui e i suoi amici stanno combinando in questi giorni?» proprio in quel momento Nami si portò le mani alla bocca. Come aveva potuto dire quelle cose? Toshi si immobilizzò all’istante squadrando nero in viso sua sorella gemella.
«Cosa significa Toshi?» gli chiese preoccupato Rio.
“Maledizione e adesso cosa mi invento”.
«La verità papà è che ultimamente ho messo un po’ da parte la preparazione per il debutto. Sai in città è arrivato Jona e noi ragazzi ci siamo un po’ lasciati andare. Ma non temere già da questa notte riprenderò gli allenamenti per recuperare. Anzi se non è un problema per voi andrei alla Kings Record per allenarmi» Rio squadrò perplesso suo figlio per pochi secondi ancora prima di rilassarsi affondando il cucchiaio nella zuppa.
«Come immaginavo tuo fratello ha davvero un elevato senso del dovere. Dovresti prendere esempio da lui Nami». Detto questo Toshi si sollevò dalla sedia salutando i suoi genitori e rivolgendo uno sguardo contrito verso sua sorella. Senza aggiungere altro uscì. Nami lo rincorse fermandolo appena in tempo per strada.
«Toshi, fermati. Dobbiamo parlare…»
«Ok, parliamo. Cosa c’è che non va in te? Perché hai detto quelle cose? Se non puoi essere felice tu allora non posso esserlo io? È questo quello che pensi? Ho finalmente trovato il coraggio di fare qualcosa solo per me stesso e tu arrivi e per poco non rovini tutto. Dove hai la testa?»
Nami tratteneva a stento le lacrime.
«Io non volevo. È solo che sono stanca di non andare mai bene per nessuno. Qualsiasi cosa faccia è sempre quella sbagliata. Non posso essere la ragazza che Kei vorrebbe ne la figlia perfetta che papà ha sempre sognato. Sono inutile. Tu a differenza mia sei sempre stato il preferito di papà mentre io ai suoi occhi valgo meno di niente. Lo so che ho sbagliato ma volevo che per una volta papà guardasse entrambi nello stesso modo. Perché deve farmi sentire sempre così piccola e inadatta ispetto a te? Perché deve ricordarmi ogni dannata volta che tu sei il figlio perfetto mentre io la figlia scapestrata? Perché, se entrambi alla fine vogliamo la stessa cosa devo essere solo io ad essere etichettata come la pecora nera?» dai suoi occhi scesero senza ritegno delle amare lacrime di rimorso, con le sue mani delicate Nami si coprì il viso.
Toshi comprensivo avvolse con le sue braccia forti il corpo esile della sorella.
«Adesso finiscila di piangere. Non sei inutile o almeno non lo sei per me» la spronò asciugandole con una mano le lacrime dal viso, mentre lei lo fissava colpevole.
 Come sempre Toshi le scompigliò i capelli amorevolmente.
«Sai, anche se non te lo ho mai detto, ti ho sempre invidiato, essere il preferito non è così piacevole come sembra. Anche io mi sono sentito intrappolato, e ho desiderato con tutto me stesso che qualcuno mi salvasse. Proprio perché ero il preferito mi sentivo costantemente in dovere di accontentare le ambizioni di nostro padre, mettendo da parte ciò che realmente volevo. Tu almeno sei sempre stata onesta sbandierando agli altri con sincerità quello che pensavi e quello che volevi. Io invece non sono mai stato capace di farlo. Ho sempre ammirato la tua determinazione. Spero che alla fine di questa storia riuscirò a dimostrarmi all’altezza dell’unica persona che stimo di più al mondo…»
«e chi sarebbe?» chiese Nami sciogliendo la stretta del fratello. Toshi con l’indice le colpì il nasino tondo e piccino.
«chi altri se non tu, sciocchina…» Nami recuperò rapida il suo sorriso.
«Adesso vado. Coprimi se papà decide di fare un salto alla Kings Record, d’accordo?»
«conta pure su di me » acconsentì con convinzione prima di salutare il fratello e rientrare nel portone del palazzo.
“Mi dispiace Nami. Hai un fratello davvero inutile. Perché non mi sono mai reso conto di quanto stessi soffrendo? Questa è la mia possibilità per cambiare non posso e non voglio più rinunciare a quello che voglio e questo sei stata tu a insegnarmelo”. Pensando questo si incamminò verso la fermata del bus. 
NOTE:
Scusate il ritardo, ma in questi giorni sono davvero stata con l'acqua alla gola. Comunque spero che questo capitolo possa avervi entusiasmato. Per farmi perdonare ho qualche fotina per voi. Sono i sei ragazzi al confronto con i loro genitori- zii. Eccoli qui. Un saluto caloroso alla prossima.
P.s. 
Perdonate qualche errore ma per non farvi aspettare oltre non ho riletto il capitolo. 



 
 

 

 
   
 
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