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Autore: thatswhatfriendsarefor    14/11/2014    11 recensioni
Dopo essere stata ferita al funerale di Roy, Kate si rifugia nella baita di suo padre e in se stessa.
Riuscirà davvero a rimanere da sola?
La nostra personalissima versione della 4x01 o meglio una ipotetica 3x25
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'E se l'inizio fosse stato diverso?'
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Capitolo 3 - Losche trame paterne

 

Mio padre entra in camera e mi viene a svegliare. Mi sembra di essere tornata bambina. Mi sento anche un po’ a disagio ad averlo nella mia stanza mentre sono ancora a letto. Sono troppi anni che non abbiamo più questo tipo di intimità e, nonostante in questi giorni di convalescenza qui alla baita abbia passato moltissimo tempo con lui, patisco più che mai la mancanza di mia madre. Avrei bisogno di parlare con qualcuno e non posso farlo neanche con Lanie. Non me la sento: è troppo coinvolta e non sarebbe obiettiva. L’altra sera la conversazione con papà ha preso una piega fin troppo confidenziale ma non potevo più mentirgli e soprattutto non posso più farlo con me stessa.

“Kate, sono le sette e mezza e io sto per andare via. Tornerò in serata. Rimani un po’ ancora a letto se vuoi, ma mettiti la sveglia sul cellulare altrimenti va a finire che neanche ti alzi questa mattina. E ricordati di non uscire di casa che quando verrà a bussare alla porta devi aprire tu: non ha le chiavi”. Mi saluta dandomi un bacio sulla fronte e mi porge il cellulare che, insonnolita, imposto perché suoni fra mezz’ora.

Provo a ribattere che non è necessaria la presenza della signora Buchanan, me la posso tranquillamente cavare da sola ma non serve a niente: lui è già uscito dalla stanza. Infine, tutto sommato passare del tempo con un’anziana signora che mi ha cresciuto tanti anni prima è il minore dei mali. Considero per un attimo la possibilità di confidarmi con lei ma escludo subito questa opzione. L’unica verità è che io non voglio parlare con nessuno, voglio solo stare con me stessa e cercare di mettere ordine nei miei pensieri.

La suoneria del cellulare mi riporta alla realtà ricordandomi la dura sessione in bagno che da lì a poco avrei dovuto affrontare. Faccio velocemente la doccia, seguendo scrupolosamente gli accorgimenti del dottor Culliford, avvolgo i capelli in un asciugamano e, facendo un grande respiro, lascio cadere l’accappatoio per terra. Mi sbendo lentamente concentrandomi sui movimenti, fino a quando anche l’ultimo lembo di garza viene via. Senza alzare gli occhi sullo specchio davanti a me, afferro l’occorrente per fare la medicazione e seguire le indicazioni del dottore. Se c’è una cosa che il cecchino non è riuscito a cambiare in me è il mio senso del dovere. Se fossi stata a New York forse avrei chiesto a Lanie di aiutarmi. O forse no. Se devo fare una cosa, la faccio. Inutile rimandare. Anche se vorrei tanto evitare tutto ciò. Inspiro profondamente e alzo lo sguardo sulla figura nuda riflessa davanti a me. Non posso trattenermi dal corrugare la fronte e stringere gli occhi poi mi avvicino ed eseguo con meticolosità tutto quello che devo fare. Non voglio sbagliare, voglio solo svolgere tutto correttamente senza dover passare un minuto di più a vedere il mio seno martoriato dalla violacea cicatrice circolare, grande come una moneta, e da quel taglio che ha rovinato per sempre la mia femminilità.

Ho altri segni sul corpo, sparsi un po’ ovunque ma nessuno mi ha mai prodotto quell’effetto.

Nessuno sfregio ha mai leso parte del mio essere donna, fino ad ora.

Una lacrima senza controllo scende veloce giù su una guancia, seguita dalla gemella dall’altra parte. Passo lentamente un dito su quelle vermiglie linee in rilievo e penso che non riuscirò più a farmi vedere, né tanto meno a toccare, da un uomo.

Non riesco più a controllare il mio pianto e la tristezza che mi attanaglia e sento subito una grande fitta nel petto.

Devo calmarmi.

Il mio cuore non può reggere allo stress, ancora per un po’.

Josh prima e Culliford poi, sono stati perentori in questo: poche emozioni, nessun affaticamento.

Il mio è un organo ferito che poco tempo fa ha smesso di battere e, come tale, lo devo trattare, almeno fino ad altri due mesi quando gli accertamenti mi diranno se potrò riprendere la mia vita normale di sempre.

 

Dopo aver fatto colazione e sistemato la mia camera, afferro il mio amico libro e mi siedo sul divano. Guardo il plaid che papà ha lasciato piegato sul bracciolo della poltrona e sto per prenderlo.

Mi fermo.

Non sono una malata.

Lo userò solo nel caso dovessi sentire freddo. Devo iniziare a reagire e a riprendermi almeno questi aspetti semplici della mia vita, poi per il resto ci sarà tempo.

Il suono di un tweet mi fa rialzare. Prendo il cellulare e sorrido. E’ Josh che vuole sapere come mi sento e come sto. Penso a come l’ho trattato e credo che averlo lasciato sia stata la cosa migliore che ho fatto per me e per lui. Non l’ho mai amato veramente ma abbiamo passato dei bellissimi momenti insieme, non posso negarlo. In un flash, ripercorro le scorribande in moto e quelle poche giornate libere per entrambi che siamo riusciti a trascorrere insieme. Ripenso alle sue mani sul mio corpo mentre mi accarezzano e un brivido mi riscuote.

Chissà fra quando potrò tornare a farmi amare.

Chissà se un giorno riuscirò a farmi toccare di nuovo da qualcuno senza sentirmi inadeguata, brutta.

Gli rispondo, digitando velocemente il messaggio e sono contenta che mi ha scritto che sta salvando vite umane. Quella è la sua missione, non la mia. Io ne ho un’altra ed è per questo che lasciarci è stata la scelta giusta. Non è vero che ho insistito perché ero sotto shock per aver rischiato la vita, le nostre strade non erano destinate ad incrociarsi e ne ero consapevole ormai già da un po’.

Sorseggio la tisana, lasciandomi cullare dal caldo, aromatico, vapore che mi avvolge e provo a immergermi inutilmente nella lettura in attesa che arrivi la signora Buchanan.

Anche oggi, ogni riga mi appare sfocata e dopo una mezz’ora mi accorgo di aver letto solo una pagina. Il tempo è passato senza che me ne accorgessi, mi impongo di spilluzzicare qualcosa e poi riaffondo annoiata sul divano. Per fortuna, dopo un po’, sento il campanello squillare. Alla fine sono contenta che mio padre abbia chiesto alla mia vecchia babysitter di venirmi a fare compagnia: papà non tornerà prima di stasera e sinceramente ancora non me la sento di uscire per la mia passeggiata da sola, non sono ancora sicura.

Apro la porta e rimango senza fiato.

Il battito del mio cuore sembra impazzito e non riesco a dire niente.

“Ciao Kate” la sua voce, il suo sorriso e quegli occhi.

Come ho fatto a privarmi di tutto ciò?

Lo smarrimento dura solo un momento e dentro di me sale una forte rabbia. Mio padre questa volta l’ha combinata grossa.

Non avendo ancora detto niente, sento chiedermi “posso entrare?”

“Sì, certo. Scusami… Sono solo un po’ sorpresa di vederti. Come….” chiedo, conoscendo già la risposta.

“Tuo padre mi ha chiamato ieri. Mi ha detto che ha preso il numero dal tuo cellulare e che doveva andare urgentemente a New York e mi ha chiesto se potevo farti un po’ compagnia.” Il suo tono è calmo, scandisce lentamente ogni parola perché cerca di capire dalla mia espressione se accetterò di farlo rimanere.

“Mi ha anche riferito di non averti avvisata. Quindi Kate, se non te la senti, io posso…”  la sua voce è poco più di un sussurro.

Una parte di me vorrebbe abbracciarlo, mi è mancato più di quanto io stessa voglia ammettere. L’altra parte di me è spaventata e non sa cosa fare.

“Entra, siediti. Posso offrirti un caffè?” chiedo più per prendere tempo e tenermi occupata.

“Caffè? Non dirmi che prendi il caffè? Puoi?” chiede preoccupato.

“No, io no” rispondo sconsolata. “Il caffè è ancora nei miei sogni e per un po’ mi devo accontentare della brodaglia” e indico la tazza ancora fumante che ho lasciato sul tavolino.

“E allora brodaglia, sia! Una anche per me”. Mi sorride e io mi sento morire, sciolta come neve al sole. Sarà la debolezza della convalescenza a rendermi così fragile emotivamente? Non lo so, ma sento che questo stato di cose è pericoloso. Provo a richiamare tutta la mia determinazione per non fare passi falsi.
Eppure sorrido, non riesco a non farlo, mentre riempio il bollitore elettrico. Non so proprio come comportarmi. In questo momento sono una contraddizione vivente di emozioni contrastanti.

“Kate, come stai? Speravo tanto di ricevere un sms, una telefonata ma mi sono dovuto accontentare di quella di tuo padre.”

Verso l’acqua nella teiera dove ho messo la bustina della tisana calmante che papà ha scelto per me: un mix letale di camomilla e valeriana. Castle dovrà davvero accontentarsi di questa brodaglia, ma chissà, forse è nervoso pure lui, una bevanda calda e rilassante può tornargli utile.

Gli porgo la tazza e mi siedo vicino a lui.

“Sto bene, insomma, fisicamente sto meglio e ogni giorno riesco a fare qualcosa in più”.

“Hai dolore?” mi domanda senza staccare mai gli occhi dai miei.

I nostri sguardi stanno conducendo una conversazione parallela a quella delle nostre labbra.

Ci stiamo studiando.

Le nostre anime si scrutano intensamente, sviscerando argomenti proibiti, mentre le nostre voci si mantengono su terreni neutri e argomenti banali.

“Sempre di meno. Ogni tanto qualche fitta che mi lascia senza fiato, ecco perché papà vuole che stia sempre con qualcuno. Mi dispiace che ti abbia fatto scomodare”.

La mia bocca gli sta dicendo questo.

I miei occhi gli stanno dicendo, invece, che sono tanto contenta di vederlo.

Lui va dritto al punto e capisco che tra noi è tutto cambiato e non potrà mai più essere come prima.

“Kate, te lo devo dire. Ho avuto tanta paura di perderti quando ti hanno colpito e mi sono reso conto di quanto l’idea di non averti più al mio fianco… “  fa un pausa e io spalanco gli occhi. Non avrà il coraggio di tirare fuori  proprio adesso fuori quello che mi ha detto al funerale di Montgomery? Trattengo il fiato e continuo ad ascoltarlo “…come partner. Insomma Kate io… io… sono tanto felice che tu sia viva, qui davanti a me, in carne e ossa. Più ossa che carne devo dire, sei dimagrita tanto.” Riprendo a respirare.

“Me la sono vista brutta, Castle! Mio padre però mi ha messo all’ingrasso” provo a usare il nostro tono usuale e a buttarla sullo scherzo.

Non mi risponde.

Ci guardiamo.

Le nostre anime continuano a duellare e non so quanto ancora posso tenere tutto dentro di me.

Sono debole in questo momento.

E’ per questo che non volevo vederti, Castle.

E’ per questo che non ti ho mai chiamato al telefono.

Perché sapevo che una volta che ti avrei avuto davanti, emotivamente fragile, non sarei riuscita a tenere a lungo la mia maschera di ferro.

Perché papà mi hai fatto questo?

Rick mi prende la mano e non parla.

Aspetta una mia reazione.

Sa che sto lottando con me stessa e mi sta lasciando tempo.

E’  un maestro in questo. Sa che non posso essere pressata altrimenti mi chiudo in me stessa definitivamente.

“Castle, devo fare la mia passeggiata quotidiana, mi accompagneresti?”

Sono riuscita a dire qualcosa ma sono consapevole che non potrò far finta di niente.

Ora che l’ho davanti a me, come faccio a negare che lo amo? 

 

Angolo delle autrici

Le losche trame paterne portano un inatteso ospite alla baita. Cosa succederà a Rick e Kate, che si ritrovano a condividere uno spazio ristretto, lontano da tutto e da tutti?

Mi sa che siamo diventate prevedibili a giudicare da quante di voi hanno capito che Jim Beckett stava telefonando a Castle!

Grazie per l’affetto con cui continuate a seguire questa storia! 

A martedì,

Debora e Monica

 

  
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