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Autore: Gobbigliaverde    14/11/2014    0 recensioni
DAL TESTO:
Un lampo verde squarciò il buio e la figura crollò a terra con un tonfo sordo.
 Per un istante il suo cuore cessò di battere. Come dopo una secchiata d’acqua gelida, uno ad uno i suoi muscoli presero a tremare. Un grido le salì lungo la gola mentre si gettava verso la persona accasciata terra, morta.
* * *
Che cos'hanno in comune un pronipote di Lord Voldemort e una Nata Babbana? Apparentemente nulla, ma a volte i sogni possono sorprenderci...
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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L’aggettivo “accogliente” non era tra i più appropriati per descrivere l’ufficio della preside. Da quello che si raccontava, prima della nomina della professoressa McGranitt, nella stanza c’erano molti più mobili e oggetti magici. Si diceva che il Professor Severus Piton, praticamente una leggenda, avesse portato via tutto da quel posto perché qualsiasi cosa era impregnata dell’essenza del preside precedente: Albus Silente. Era uno spazio ampio, aveva solo una scrivania al centro e i quadri dei presidi del passato appesi alle pareti.
    Adorava osservare il comportamento di quei personaggi storici. Loro sembravano piuttosto seccati dall’essere costantemente guardati con occhi adoranti, tranne un paio forse, tra cui anche Silente. Ogni tanto ci aveva anche scambiato qualche parola, non era niente male come persona. In sostanza, quell'ufficio era l’unico posto dove la solitudine lo abbandonava. Si sentiva come in una bolla, protetto da tutte le sofferenze che lo assillavano. Rapito dai movimenti sinuosi di uno dei dipinti, il giovane non si accorse della presenza della professoressa che lo osservava.
    — Benvenuto Riddle. — Tutte le volte che lo incrociava, la McGranitt lo squadrava dall’alto in basso, e non avrebbe mai smesso di pronunciare quel nome con tutto quel disprezzo. Ogni volta la sua voce lo risucchiava come un pensatoio, nei ricordi del passato.
    L’aveva incontrata per la prima volta, esattamente sette anni prima, il primo di settembre, una giornata che i bambini babbani odiano, ma i piccoli maghi e streghe aspettano con ansia. Il primo giorno di scuola. Il primo anno ad Hogwarts era stato un disastro per Christopher Austin Riddle. Il ragazzo ricordava fin troppo bene la cerimonia dello smistamento, le labbra della McGranitt che non riuscivano a pronunciare il suo nome, e la folla silenziosa che lo fissava. E soprattutto il cappello parlante che si era rifiutato di assegnarlo ad una casa. Così il collegio docenti aveva deciso di farlo studiare comunque nella scuola, tenerlo sotto controllo fino a quando non sarebbe stato pronto per fare parte di una delle quattro case. Ricordava il disprezzo che gli altri studenti gli avevano riservato i primi mesi, e anche il modo con cui molti facevano finta di ignorarlo. Erano passati sette anni da quel giorno e il suo dormitorio era ancora quello stanzino angusto e maleodorante dove leggeva i suoi meravigliosi libri, immaginando di poter vivere in uno di quei luoghi fantastici, lontano da lì.
    — Oggi verrai assegnato ad una casa, assieme agli studenti del primo anno — asserì secca la preside, strappandolo nuovamente ai suoi pensieri.
    Christopher strabuzzò gli occhi. — C-cosa? — sussurrò stupito e irritato nello stesso tempo. Possibile che si era convinta che lui non era un essere spregevole come tutti volevano credere solamente dopo sette anni?
    — Hai capito benissimo, Riddle. — La preside sorrise freddamente calcando il tono su quel nome.
    Riddle. Se avesse davvero dovuto rispondere alla domanda di quel libro, adesso aveva la certezza di che cos’era ‘Riddle’. Era un’etichetta che gli era stata data per indicare che lui era solo l’ultimo scarto di una dinastia estinta, e non sarebbe mai diventato qualcosa di più. I crimini commessi dagli uomini del suo passato macchiavano il suo nome, e di conseguenza lui stesso, facendolo sentire come se fossero suoi crimini. Non sarebbe mai stato come gli altri. Non sarebbe mai stato guardato diversamente. Pareva quasi che lui fosse un nemico comune da sconfiggere, anche se in realtà di colpe non ne aveva. Ma secondo gli altri lui era come un promemoria su una cosa da dimenticare. Un’inutilità. Un ostacolo. Ecco cos’era ‘Riddle’.

 

— Facciamo così: il primo ad essere assegnato alla nostra casa diventerà il mio migliore amico — rise Winter, appoggiando i gomiti sul tavolo imbandito, cercando di accontentare Megan che stava diventando sempre più pressante.
    — Dopo di me, ovviamente — la corresse Meg, torturandosi una ciocca di capelli con le dita, e seguendo con sguardo annoiato la cerimonia dello smistamento.
    — Ovviamente — ribadì Winter, strizzandole un occhio. Sapeva perfettamente che sarebbe stato molto difficile fare una nuova amicizia. Lei aveva la fama di “quella strana”, e non se la sarebbe tolta di dosso tanto facilmente. Forse con qualche novellino di undici anni sarebbe riuscita a parlare, almeno per i primi dieci giorni dall’inizio della scuola.
    I ragazzino erano tutti in piedi, a semicerchio, attorno allo sgabello su cui posava il cappello parlante, mentre la McGranitt faceva il suo solito discorso di benvenuto.
    — Ti sei mai chiesta cosa direbbe il cappello se riprovassimo ora, a mettercelo in testa? — domandò Winter con voce sommessa, immersa nei suoi pensieri.
    Meg scrollò le spalle. — Grifondoro. Gli Weasley sono Grifondoro da sempre.
    La mora rimase a osservare il cappello che se ne stava immobile sullo sgabello in legno. — Mi chiedo spesso se non abbia sbagliato. In quattro anni di scuola non mi sono dimostrata poi tanto coraggiosa e leale.
    Un sussurrio alle sue spalle la fece trasalire. — Salve a tutti, cosa mi sono perso? — bisbigliò una voce solleticandole l’orecchio. Winter arrossì, vedendo il sorriso smagliante di Tristan Potter fare capolino affianco al suo viso. — A parte la bellezza di questa ragazza, si intende — aggiunse, prendendo posto affianco a lei.
    Megan roteò gli occhi e fece una smorfia disgustata. — Ho bisogno di un iniezione di insulina prima che il diabete mi uccida — bofonchio tra se. — Non ti sei perso niente, cugino.
    Lui si scosto le ciocche di capelli scuri indomabili che gli ricadevano sugli occhiali rettangolari, attendendo che una delle due ragazze aggiungesse qualcosa. Era il primo figlio di Albus Severus Potter, e frequentava il sesto anno come Megan.
    — Andiamo, mi odi davvero così tanto? — sogghignò, increspando le labbra in un sorriso furbo, in un modo che fece diventare le gambe molli a Winter più di quanto non le avesse già. Possibile che potesse esistere tanta bellezza in un solo ragazzo?
    Winter si costrinse a reprimere un sorriso notando il guizzo negli occhi verdi del ragazzo.
    Megan le lanciò un’occhiata ostile prima di rispondere per le rime al cugino, appoggiato con i gomiti al tavolaccio in legno e proteso in avanti, con la cravatta rossa e oro che penzolava sopra il piatto vuoto.
    — Probabilmente sì, dopo che mi hai rovinato lo scherzo della vita, quest’estate — disse la rossa stizzita. Winter non sapeva di cosa si trattasse, ma se si parlava di scherzi, Potter doveva averla fatta davvero grossa. Insomma, come si poteva pretendere di rovinare uno scherzo alla figlia di Fred Jr Weasley e passarla liscia?
    Sul volto di Tristan si dipinse un sorriso malevolo. — In ogni caso non ero qui per te — disse con una smorfia. — volevo chiedere a Pym se le andava di fare un giro al Lago Nero, sta sera.
    Winter si voltò di scatto, strabuzzando gli occhi. — Io… Credo di sì — biascicò.
    — Io non credo proprio invece — sentenziò Megan. Winter la fulminò con lo sguardo, ma l’amica proseguì imperterrita. — Deve prima vincere una scommessa, ovvero farsi amico il primo Grifondoro che verrà chiamato, poi, forse, verrà a fare un giro con te — disse con un’espressione vagamente divertita. — E avrete la mia benedizione — ghignò infine.
    Tristan stava per aggiungere qualcosa, ma la McGranitt finì di parlare, e lui si trovò ad essere ignorato da entrambe le ragazze, che seguivano lo smistamento con molta attenzione.

 

La sala grande era gremita di persone che festeggiavano l’arrivo dei nuovi arrivati, ma Christopher non trovava nulla per cui festeggiare. Erano solo altre persone che si sarebbero aggiunte all’elenco infinito di ‘quelli da evitare’. Probabilmente gli faceva comodo starsene nel suo sgabuzzino, senza nessuno con cui condividere la stanza e la giornata. Chi diavolo glie lo faceva fare di parlare con gli altri studenti? Erano passati sette anni e era diventato ancora più misantropo di quanto non lo fosse stato prima. Ma forse quelle cose le pensava solo perché era terrorizzato dall’essere scartato di nuovo, esattamente come la prima volta.
    — Dixie Mason! — La McGranitt aveva iniziato a chiamare i ragazzi uno ad uno. Dixie era una bambina mora, curiosa, con mille lentiggini che venne smistata assieme alle sue due sorelle gemelle Dena e Dolly in Tassorosso.
    — Matt Palmer!
    Ogni volta che qualcuno veniva chiamato dalla voce amplificata della preside, da tutte le case si levava un grido, indifferentemente da dove sarebbe finita quella persona.
    — Corvonero!
    La voce del cappello suonava ancora più forte, e questo non era un bene, lui avrebbe voluto che nessuno lo vedesse, figuriamoci se voleva che tutti sapessero in che casa era stato smistato.
    — Christopher Austin Riddle… — pronunciò la voce della McGranitt, tremante, e mille bisbigli sostituirono l’umore di festa che si era creato. Il ragazzo si sedette sullo sgabello, con gli occhi di tutti puntati addosso. Il cappello parlante non diceva nulla. Era solo appoggiato sulla sua testa, in silenzio. Sembrò passare un infinità di tempo, ma alla fine si decise.
    — GRIFONDORO! — tuonò il cappello. I bisbiglii che fino a pochi secondi prima avevano riempito la sala, si congelarono nell’aria, e il suo cuore sembrò cessare di battere.

  
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