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Autore: Gobbigliaverde    09/07/2013    0 recensioni
DAL TESTO:
Un lampo verde squarciò il buio e la figura crollò a terra con un tonfo sordo.
 Per un istante il suo cuore cessò di battere. Come dopo una secchiata d’acqua gelida, uno ad uno i suoi muscoli presero a tremare. Un grido le salì lungo la gola mentre si gettava verso la persona accasciata terra, morta.
* * *
Che cos'hanno in comune un pronipote di Lord Voldemort e una Nata Babbana? Apparentemente nulla, ma a volte i sogni possono sorprenderci...
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Buio. Il cuore le batteva all’impazzata. Era ad un passo dal saltarle fuori dal petto. Non era la paura a bloccarla, lo sapeva bene, eppure riusciva solamente a stare ferma immobile, pietrificata, senza muovere neppure un dito. Qualcosa glie lo impediva. Poteva solamente restare a guardare la figura inginocchiata a qualche metro da lei, illuminata da un unico fioco raggio di luna che filtrava dalla sola finestra presente nella stanza. Non poteva vedere il suo viso, ma percepiva che stava per accadergli qualcosa di grave, e non poteva aiutarlo. Era impotente, mentre una persona per cui sentiva un forte legame affettivo, pur non conoscendola, soffriva. Provò a dire qualcosa, ma la sua lingua pareva incollata al palato, esattamente come le braccia lo erano ai fianchi, e i piedi al pavimento. Un lampo verde squarciò il buio e la figura crollò a terra con un tonfo sordo.
    Per un istante il suo cuore cessò di battere. Come dopo una secchiata d’acqua gelida, uno ad uno i suoi muscoli presero a tremare. Un grido le salì lungo la gola, mentre si gettava verso la persona accasciata terra, morta.
    Infine, anche lo spiraglio di luce venne inghiottito dal buio.
    Prese un respiro profondo, come reduce da una lunga apnea. Si tirò a sedere, e si passò una mano sulla nuca rendendosi conto di avere la schiena madida di sudore. A tastoni sul comodino, facendo crollare qualche libro a terra, raggiunse l’interruttore della luce, che invase la stanza cancellando gli incubi della notte.
    Infilò le mani tra i lunghi capelli mori, appoggiando la testa tra di esse. Lanciò uno sguardo all’orologio appeso alla parete che segnava le cinque in punto, per poi spostare l’attenzione sulla scritta incisa sul suo avambraccio.
    Mudblood.
    Winter Pym fece un mezzo sorriso, ricordando il giorno in cui aveva deciso di fare quel tatuaggio. Quasi tutte le ragazze Grifondoro lo avevano, ad Hogwarts. Era stato il loro modo di onorare l’eroina Hermione Granger, morta due anni prima, all’età di settantanove anni.
    La ragazza scivolò fuori dal letto, avviandosi verso uno specchio appeso alla parete della sua camera. Poggiava sopra una carta da parati a quadrettoni che ricordava più una tovaglia da picnic. Inciampò più volte sulle numerose pile di oggetti non identificati sparsi sul pavimento, e rimase qualche istante ad ammirare il suo riflesso, voltandosi prima di fianco, poi nuovamente di fronte, avvolta nel suo pigiama lungo, grigio topo, con un gufo ciccione al centro della maglia.
    Fece una smorfia quando incrociò il suo stesso sguardo color nocciola nello specchio. Non sei carina come vorresti, non è vero? si rimproverò voltandosi di scatto, come per cancellare la sua stessa immagine dalla superficie liscia e riflettente.
    Si sedette svogliatamente sul letto, sapendo di dover attendere ancora un paio d’ore prima che sua madre si svegliasse per accompagnarla alla Wellesley House, la sua vecchia scuola babbana, dove c’era una via diretta per King’s Cross. Era il primo settembre, e i bagagli attendevano in un angolo di essere caricati sull’Hogwarts Express e partire con lei per il quinto anno. L’anno dei G.U.F.O.
    — Maledizione — sbuffò. Non era mai andata bene quando si trattava di esami. Tentò di reprimere l’ansia in un recondito angolo della sua mente, pur sapendo che in qualche modo sarebbe ritornata e avrebbe preso di nuovo il sopravvento. Doveva fare qualcosa.
    Si affacciò alla finestra osservando le stelle che punteggiavano ancora il cielo, indifferenti al fatto che aveva già incominciato ad albeggiare. La cittadina di Broadstairs - a due ore di corriera da Londra, per i babbani - era ancora assopita, ma presto la vita sarebbe ricominciata. Le case l’una vicino all’altra sembravano sorreggersi a vicenda, tutte diverse tra loro, alcune un po’ ottocentesche, altre con un aspetto medievale, altre ancora più moderne. Poi c’era la sua, piccola, abbarbicata su due piani, con un giardino sul retro che faceva crescere un’edera rigogliosa su tutta la facciata. Era grande abbastanza per i suoi genitori e le sue tre sorelle e lei, l’unica strega in famiglia. La sua famiglia l’aveva presa piuttosto bene cinque anni prima, quando era arrivata la lettera per Hogwarts. Scoprire dell’esistenza della magia era stata una sorpresa per tutti, compresa lei, eppure l’avevano sempre incoraggiata a perseguire i suoi obiettivi.
    Quando la sveglia suonò, alle sette in punto, le pareva che fosse passata un’era geologica intera da quando si era svegliata. La casa si era animata di un frenetico via vai, d’altronde era il primo giorno di scuola per tutti. La tromba delle scale era costantemente otturata dal passaggio di gente: le sue sorelle facevano a turno per utilizzare l’unico bagno, suo padre, da bravo babbano, vagava con la Gazzetta del Profeta in mano chiedendosi dove fosse sparito il tizio della foto in prima pagina, sua madre invece tentava invano di portarle una tazza di cioccolata calda al volo per poi trascinarla fuori ancora con lo spazzolino da denti in bocca, diretta alla Wellesley House.

 

Winter aveva appena preso posto sull’Hogwarts Express attendendo con pazienza la partenza, quando sentì delle grida provenire dal corridoio.
    — Permesso, FATE LARGO! E levati di mezzo, tu! DEVO RAGGIUNGERE QUELLA STRAMALEDETTA CABINA! — Le grida cessarono solamente quando alla porta si affacciò una ragazza trafelata, con un cespuglio di capelli rossi spettinati e una manciata di lentiggini sparse sul viso.
    Winter inarcò le sopracciglia. — Stai calma, o rischierai di farti venire un’ulcera solo per raggiungere il posto vicino al mio — rise, ma l’amica non si scompose. Chiuse la porta della cabina con un tonfo, sbattendola sul naso ad un ragazzino del secondo che aveva manifestato l’intenzione di volersi sedere affianco a lei, lasciandolo insoddisfatto dietro il vetro appannato dal suo stesso fiato.
    — Parliamo di cose serie. Primo. Hai intenzione di passare un altro anno da pazza reclusa tagliata fuori dal mondo, oppure vuoi partecipare alla vita normale, per una volta? — sputò acidamente la rossa schiarendosi la voce come se non fosse stata già abbastanza squillante. Incrociò le braccia al petto piegando la testa di lato, piantando i suoi occhi azzurri carichi di rimprovero in quelli color cioccolato di Winter.
    — Megan Weasley, non ci vediamo da mesi, e questo è il tuo modo di salutare la tua migliore amica? — La mora fece una buffa espressione imbronciata, ricambiando il suo sguardo con uno altrettanto intenso.
    — Si dà il caso che io sia la tua UNICA amica, non solo la tua MIGLIORE amica — la zittì Megan. — Ora rispondi alla domanda — ringhiò, andando dritta al punto.
    Winter roteò gli occhi sbuffando infastidita. — Certo Meg, farò la reclusa anche quest’anno sbavando dietro a tuo cugino, fingendo che sappia della mia esistenza — rise, scostandosi una ciocca di capelli che le era caduta sugli occhi.
    Megan scosse il capo. — Potter? Sai di piacergli, quindi piantala con queste storie. La seconda notizia è che ho trovato la mappa. Ma te la farò usare solamente se prometti di farti almeno un amico — la rimbecco, poi notò lo sguardo furbo di Winter. — Oltre a me, si intende — si affrettò ad aggiungere.
    La mora rimase paralizzata. — Vuoi dire la Mappa del Malandrino?
    La Weasley le diede un buffetto sul mento. — Chiudi la bocca e non sbavare. Sarà un anno fantastico.

 

La luce fioca della bacchetta tremolò per qualche istante, poi si spense lasciando il ragazzo al buio, immerso nel silenzio delle parole scritte sulla pagina di carta. Parole tanto forti da farsi strada nella mente del diciassettenne, ma non abbastanza da aprire la porta dello sgabuzzino delle scope dove il ragazzo stava rintanato. La solitudine lo avvolgeva come un mantello pesante e lo seguiva dappertutto, facendosi strada anche nel corridoio più affollato. L’unico appiglio che lo teneva ancora su quella terra erano i libri. In particolare quello che teneva aperto sulle ginocchia in quel momento. Aveva una copertina grossa e scura, ornata con scritte dorate che ne enunciavano il titolo e l’autore: Romeo e Giulietta, William Shakespeare. Il volume era aperto su una pagina ingiallita le cui parole erano rosse come la lava, illuminate da chissà quale incantesimo e sembrava esistessero solo loro per portare un po’ di luce nel buio carico di tristezza dello stanzino. Che vuol dire “Montecchi” ?
    Il ragazzo continuava a fissare quelle parole come se stessero riassumendo tutta la verità di una vita, della sua vita. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di far diventare reali quelle parole.
    La porta dello sgabuzzino sbatté violentemente contro il muro, interrompendo il corso dei suoi pensieri e una ragazza dagli occhi azzurri e i capelli di un biondo tanto chiaro da sembrare bianco, entrò con un’espressione compita sul volto.
    — Riddle. — Juliet Malfoy non aveva fatto né un passo in più, né uno in meno dalla soglia della porta. Continuava a osservare con aria di superiorità il ragazzo e il suo libro, ma lui sembrava non voler stare a sentire ciò che aveva da dirgli. Juliet aveva un portamento regale, maestoso, e decisamente superiore a qualsiasi essere presente sul pianeta Terra, e proprio per questo infastidiva tanto tutte le ragazze dal primo al settimo anno di Hogwarts. E la gelosia era alimentata anche dal fatto che era figlia di Rose Weasley e Scorpius Malfoy, quindi nipote dei leggendari Ron Weasley e Hermione Granger. E se non erano invidiose per questo, lo erano per i suoi capelli biondissimi, lisci come la seta, e perfetti come anche ogni altra parte del suo corpo. Un altro motivo di invidia poteva essere il fatto che tutti i giovani maghi erano pazzi di lei. Ma la cosa che più faceva strappare i capelli dalla testa alle ragazze era che Juliet Malfoy era fidanzata con Adrian Turner, il Grifondoro più bello del settimo anno, e, conclusi gli studi, si sarebbero sposati.
    — Che vuol dire “Riddle”? Non è né una mano, né un piede… — Eppure, tutte le qualità di Juliet non erano abbastanza per distrarre il ragazzo moro dal suo libro. 
    — Come cosa vuol dire “Riddle”? “Riddle” sei tu! Smettila di blaterare, la professoressa McGranitt ti sta aspettando. — La Grifondoro lo guardava a metà tra l’irritato e l’intimorito, con gli angoli della bocca piegati all’ingiù.
    Il ragazzo sollevò lo sguardo dalla sua lettura con aria seccata. — Voldemort era solo un mio lontano parente, io non faccio male nemmeno a una mosca. — asserì seccamente mentre si alzava dal materassino gonfiabile logorato dall’usura e dagli anni. Chiuse il volume che portava in grembo con un tonfo, e si avviò verso l’uscita.
    Juliet, con un gesto veloce, gli sfilò il libro dalle mani. Riddle la vide sorridere di sottecchi. — “Romeo e Giulietta”. Come mai leggi Shakespeare, Riddle? — chiese cercando di mantenere la sua aria severa.
    — È vietato dalle leggi del Ministero, o dal regolamento di Hogwarts? — sbottò il ragazzo sempre più infastidito da quella conversazione che stava durando fin troppo.
    — No, è solo che è uno dei pochi libri babbani che non ho ancora letto… — rispose lei cambiando argomento.
    — Puoi prenderlo, ma non rovinarlo — disse incamminandosi verso l’ufficio della preside. — Chi ti ha detto che Shakespeare era un babbano è un emerito idiota — aggiunse voltandosi all’ultimo istante, prima di scomparire dietro una svolta del corridoio.

  
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