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Autore: jomarch    26/10/2008    5 recensioni
Storia partecipante alla VI edizione del concorso di Acciofanfiction: Momenti Mancanti da I Doni della Morte. Harry ha cacciato via in malo modo Remus, vecchio amico di suo padre, che si era offerto di accompagnarlo nella sua missione, abbandonando così la sua famiglia. Sappiamo che Remus, alla fine, sceglie di restare accanto a Tonks e a Ted, ma come ha preso questa decisione? E soprattutto, come si è sentito dopo aver discusso con Harry e dopo aver lasciato Dora? Perchè di solitudine si può anche impazzire. Un Remus che ritorna sui suoi passi, un argomento di cui si è già parlato abbondantemente. Ecco la mia versione: un Remus meno controllato e un po' più umano, che riesce ancora a tirare fuori il suo lato Malandrino. Tra discorsi deliranti e confessioni solitarie, riflessioni e sensi di colpa, Remus farà la sua scelta: restare accanto alla sua famiglia, fino alla fine, qualunque cosa accada.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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OVER MY HEAD







L'aria fredda di novembre non veniva trattenuta dalle vecchie imposte tarlate che, anzi, sbattevano con violenza.

Un vento gelido penetrava nella stanza dalle pareti scrostate.

Tuttavia, l'uomo che sedeva ad un tavolo dalle gambe ballerine sembrava non accorgersene e, quando una folata più violenta spalancò la finestra, facendo entrare acqua di traverso, non si alzò nemmeno per richiuderla.

Fissava un punto imprecisato sul muro di fronte ed era come se non gliene importasse nulla di tutto quello che lo circondava, di se stesso, della sua vita.

Non pareva particolarmente vecchio, nonostante i capelli fossero già ingrigiti e le rughe gli solcassero la fronte. Osservandolo la prima impressione era quella di un uomo che la vita aveva reso vecchio anzitempo.

“A cosa bevi questa volta, Remus?” chiese a se stesso, reggendo in mano un bicchiere mezzo pieno di Odgen Stravecchio, come indicava la bottiglia posata sul tavolo.

A niente beveva, non stava bevendo a niente.

Stava facendo quello che, per anni, aveva rimproverato al suo amico Sirius, che, nell 'alcool, vedeva una soluzione a molti problemi: non si beveva solo per euforia, per condividere un momento, si beveva anche per non pensare, per dimenticare, per non dover fare i conti con i complicati grovigli della mente.

“Se foste qui, ragazzi, non ci credereste!

Io, il controllato e razionale Remus Lupin, che affogo nell' alcool i miei dispiaceri.

Riesco ancora ad immaginarmele, le vostre reazioni: il guizzo divertito negli occhi di James e la risata canina di Sirius. Sarebbe solo un attimo, però, poi, vi avvicinereste, prendereste due sedie che, tra l'altro, qui non ci sono nemmeno, e mi togliereste il bicchiere di mano.

Al che, tu, James mi chiederesti se va tutto bene, se c'è qualcosa che desidero dirvi.

Io rimarrei zitto per un istante, giusto il tempo di dire qualcosa come: “ Ecco io...”, prima di essere interrotto da quel terremoto di Sirius, che, dandomi una pacca sulle spalle, spazzerebbe via ogni mia titubanza, dicendo: “ Avanti, Remus! Non tenerti tutto dentro! Parla, noi siamo qui per questo!”

Siete sempre stati così, voi due, fin da quando avete scoperto il mio segreto.

La vostra esuberanza che, nel caso di Sirius rasentava addirittura l'invadenza, è sempre riuscita a vincere i miei silenzi e la mia timidezza.

Avrei parlato, l'avrei fatto, eccome. Voi mi avreste risposto che è naturale aiutarsi, fra amici. Che ci saremmo sempre stati, l'uno per l'altro.

Questo era quello che eravamo soliti dirci: “Ci saremo sempre. Qualunque cosa accada.”.

Ce lo dicevamo quando ancora vivevamo nell'illusione che le nostre vite fossero perfette.

Strano che anch'io pensassi una cosa simile,... avere una vita perfetta...

Eppure, c'è stato un tempo in cui lo credevo, in cui ne ero convinto.

Eravamo carichi di quell'arroganza che si possiede solo a vent'anni, quell'arroganza che è giusto avere a quell'età.

Oserei dire che è una vera e propria fortuna che, a quell'età, la si pensi così.

Sai, James, un po' lo invidio, tuo figlio.

Nonostante tutto quello che gli è successo, non si da mai per vinto, va avanti, tenace, per la sua strada, convinto di riuscirci, alla fine.

Convinto di poter mettere fine a questo orrore, convinto di poter cambiare il mondo.

Anche noi lo eravamo, alla sua età.

Ti somiglia, James. Ti somiglia così tanto.

Mi chiedo spesso da dove gli arrivi tutta questa forza. Forse non si è ancora reso del tutto conto di quanto ha perso, preso com'è dalla foga degli eventi.

Non ha avuto nemmeno il tempo di piangere.

Quando tutto questo finirà sarà terribile.

Spero di poterci essere io, ad aiutarlo.

Avresti dovuto farlo tu, ma ti giuro che farò del mio meglio.

Certo che sono proprio incorreggibile, eh Sirius?

Non sono nemmeno capace di sbronzarmi come si deve!

Bevo... e resto lucido... mettendomi a fare discorsi filosofici...

O forse no... forse sto delirando, per essere qui a parlare da solo, come se voi foste qui, come se poteste sentirmi e rispondermi, anche.

Credo di doverti porgere delle scuse, Sir, ora che ci penso.

A Grimmauld Place disapprovavo il tuo chiuderti in camera con una sana bottiglia di Odgen, degna confidente di pensieri nascosti, ottima compagna per pomeriggi solitari.

Ora capisco che stavi facendo esattamente quello che sto facendo io ora.

Cercare di non pensare...

E bè... se sono sbronzo, se non sono lucido, se deliro... tanto meglio!

Bisogna ammettere che però non sono nelle condizioni di quel terribile Capodanno del' 77.

Allora sì che ero sbronzo come una spugna...

Ho dei vaghissimi ricordi: c'era James che voleva gettarsi giù dalla torre, convinto com'era di poter volare anche senza scopa.

Tu, Sirius eri chiuso da qualche parte con non voglio sapere nemmeno chi...

Io urlavo che ero stanco di essere perfetto, che volevo riprendermi la mia adolescenza, che tutto il mondo doveva conoscere il vero Remus Lupin, quello che, su due piedi, con una capacità oratoria superiore a Cicerone, era in grado di inventare la balle più assurde per convincere la Minerva a non punirci per il mese successivo.

Poi, non so bene come, ci siamo ritrovati tutti e tre in bagno a vomitare...

Curioso... eravamo in posti diversi, eppure ci siamo ritrovati insieme... risvegliandoci al quinto piano la mattina dopo, dove ci ha trovati Peter, preoccupato per non averci visto in camera al suo ritorno ad Hogwarts.

Mi chiedo ancora come abbiamo fatto ad arrivarci... Sinceramente, preferisco non saperlo...

Poi però la scuola è finita...

Siamo cresciuti improvvisamente, abbiamo scelto di combattere: la nostra posizione non era nascosta a nessuno.

Tutti ad Hogwarts sapevano che, non appena diplomati, ci saremmo uniti a Silente, dopotutto, a tutti coloro che poi sarebbero diventati Mangiamorte, eravamo noti per essere i suoi leccapiedi.

Eravamo convinti che saremmo sopravvissuti tutti, a quella guerra.

Del resto, chi può separare i Malandrini?

Così, ripetevamo ogni qual volta qualcuno ci metteva di fronte alla realtà, di fronte al fatto che, presto o tardi, tutto sarebbe cambiato, la guerra si sarebbe frapposta a noi.

Eppure è bastato così poco...

Tutto è crollato in pochi minuti, come un bel castello di carte.

Ciò nonostante sono convinto che dentro di noi lo sapessimo, che fossimo ben consci di quanto stessimo rischiando, eravamo semplicemente troppo giovani per ammetterlo ad alta voce.

Sapevamo benissimo il pericolo che stavamo correndo.

Lo sapevate tu e Sirius, James, quando, andando contro ogni principio, voi, due Purosangue,avete deciso di sfidarli, scappando di casa e sposando Lily, la Sanguesporco, come la chiamavano loro.

Lo sapevo io, quando Silente mi mandava coi Lupi Mannari per scoprire che intenzioni avessero.

Soprattutto lo sapevate tu e Lily, James.

Vi siete sposati e avete avuto Harry, ugualmente, come per urlare al mondo che non avreste rinunciato a vivere.

Avete fatto bene... vorrei essere come voi.

Ma io non ce la faccio, ragazzi, io non ce la faccio.

Che padre potrei essere per questo bambino?

Io, un Lupo Mannaro...

Se anche non dovesse ereditare la mia maledizione, sarebbe allontanato da tutti.

Non ditemi che si tratta solo di un piccolo problema peloso.

Non sono tutti come voi.

Non tutti la penserebbero così.

A che vita lo condannerei?

Non dirmi anche tu che sono un codardo, James. Ci ha già pensato tuo figlio.

Ha ragione.

E' questo che sono.

Un vile codardo, che non ha nemmeno il coraggio di restare accanto alla sua famiglia.

Sì, Sirius, non urlare.

Dora è la mia famiglia.

L'ho abbandonata, ma la amo. La amo con tutto me stesso.

Non la farei mai soffrire, lo sai.

Anche quando voi due la prendevate in giro, io la difendevo sempre.

Ogni tanto mi sembra di rivederla, quella bambina con le trecce rosa cicca fuori posto, nella donna che ho davanti.

Se mi comporto così è solo per il suo bene...

Credeteci.”

Remus posò il bicchiere: era vuoto, ormai.

Prima di versarsene un altro controllò che la bottiglia non fosse vuota.

La agitò un po' prima di decretare che, invece, lo era.

Allora si alzò dalla sedia e si diresse verso una vecchia credenza, ne aprì un'anta, tirandone fuori una bottiglia nuova.

Si riavvicinò al tavolo e fece per aprirla, ma si bloccò.

“Mi faccio schifo.

Guardate come mi sono ridotto.

Mi reggo a mala pena in piedi, sto chiuso qui tutto il giorno.

Sono uscito solo un paio di volte, ed entrambe mi ha portato fuori Kingsley di peso.

E' che io non ce la faccio.

Non ce la faccio, davvero.

Vorrei disperatamente correre da lei ed iniziare a fantasticare sul nostro bambino, ma come posso?

Come posso far finta che vada tutto bene? Che non ci sia una guerra, che io non sia un mostro?

Io non ce la faccio.

Non c'è giorno che non pensi a lei, a voi, ad Harry... avrei dovuto aiutarlo di più, James, in questi anni.

Non solo non ho avuto il coraggio di stare vicino a tuo figlio, James, ma nemmeno di pensare al mio.

Che idea avete ora, di me?

Vi faccio schifo.

Mi faccio schifo.

Quando è nato Harry eravamo tutti al settimo cielo: non era solo figlio tuo e di Lily, era una speranza per tutti.

Era la testimonianza che bisognava continuare a lottare per un futuro migliore.

Harry era la luce nelle tenebre.

Era come se, da quel momento in poi, avessimo un motivo in più per andare avanti.

Come disse Lily, loro combattevano per qualcosa, noi per qualcuno.

James, mi ricordo quando ci rivelasti della Profezia.

Sirius prese a vagare nervosamente per la stanza, bianco in volto.

Quando tu gli dissi di calmarsi, lui iniziò ad urlare.

Ti ricordi tutto quello che gli gridasti contro, Sir?

Gli urlasti che era un egoista irresponsabile...

Mi colpì la tua sicurezza allora, James.

Dicesti che, se volevano mettere le mani su tuo figlio, avrebbero dovuto prima fare i conti con te.

Nessuno avrebbe potuto toccare la tua famiglia, fino a quando tu fossi vissuto.

In quel momento fui orgoglioso di essere tuo amico, James.

James Potter era un uomo e non un ragazzino borioso e viziato, che gioca a fare l'eroe, come pensavano in molti.

Mi ritenni onorato di essere tuo amico, perché io conoscevo il vero James Potter.

E ora, James? Ora cosa diresti di me?

Se anche tornassi da lei, non sono scuro che mi riaccoglierebbe.

L'ho abbandonata, l'ho lasciata sola.

Che razza di padre e di marito sarei?

Ti promisi di comportarmi bene con tua cugina, Sirius...

Quello che ho fatto mi pareva la cosa migliore.

Ma non ne sono più così sicuro.

L'ultima volta che ti vidi, mi dicesti che avrei dovuto iniziare a pensare un po' di più a me e alla mia felicità, sbarazzandomi dei miei inutili sensi di colpa.

“Non è una colpa essere innamorati, Rem. Solo niente scherzi. E' mia cugina.”

Quanto l'ho fatta penare, per una breve ed effimera felicità, poi...

Ero solito dirvi che siamo noi gli artefici del nostro destino, quando vi lamentavate per l'ennesima punizione...

Bè, bel destino che mi sono creato.

Non ho molto da lamentarmi...

Il modo per rimediare lo conosco.

Temo solo di non esserne in grado: in questo momento, mi sembra che tutto stia per crollare da un momento all'altro... o almeno, questo è quello che sento io, forse è perché mi gira un po' la testa, ora che ci penso.

In ogni caso, c'è bisogno di qualcosa che illumini tutto questo buio.

E' la mia famiglia.

Mi sento un idiota, mi chiedo perché l'ho fatto.

Dora e il bambino sono tutto quello che mi è rimasto.

Ho bisogno di loro e loro di me.

A mio figlio non importa di che natura sia suo padre. Gli basta averlo.

Che cosa ho fatto, ragazzi?

Devo tornare da loro...

Forse anche mio figlio è questo: è una luce nelle tenebre e, bè, se anche non lo fosse, non mi importa.

E' mio figlio ed è questo quello che conta.”

Remus si alzò. Chiuse la bottiglia di Odgen e la ritirò.

Mise il bicchiere nel lavello e poi spalancò le persiane.

Fuori c'era un freddo sole invernale.

Ciò nonostante c'era il sole, il temporale era passato.

C'era il sole e quello era importante.

Tutto il resto, erano discorsi senza senso.









  
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