In questo
capitolo ci sarà un po’ d’azione. Spero non vi dispiaccia. Ringrazio tutti
quelli che continuano a seguire.
“Gideon
aspetta...” ma l’uomo gli dava le spalle proseguendo dritto per la sua strada,
senza voltarsi indietro.
Anche William
era uscito, dietro al figlio.
“Spencer,
dove vai? Spencer!”.
Reid si
voltò: da una parte c’era l’uomo che l’aveva lasciato, dall’altra quella che
gli era stata vicino negli ultimi anni.
“Gideon!!”
Gideon stava attraversando la strada, incurante dei richiami
del giovane.
Dalla
strada che incrociava Sunset street
sbucò un’auto grigia che rallentò stranamente nell’avvicinarsi al locale dove
un momento prima sedeva William.
Forse, se
non fosse uscito non l’avrebbe mai vista e sarebbe stata la sua fine.
Dall’auto
spuntò qualcosa di scuro, che emise un bagliore sinistro.
E mentre
l’eco delle raffiche di mitra andava spegnendosi, mandando in mille pezzi la
vetrata del locale, William riuscì a intercettare il figlio per un braccio e a
spingerlo dietro a
un cassonetto
dell’immondizia.
Richiamato
dagli spari Gideon si fermò, quasi in mezzo alla strada ed estrasse la pistola.
Ma non
fece in tempo a reagire, impegnato a evitare per un soffio l’auto in corsa che
fece un’inversione per tornare indietro a finire quello che aveva cominciato.
Gideon ne
approfittò per portarsi al riparo.
“Dobbiamo
andarcene di qui!” gridò William a Spencer.
“Adesso,
dobbiamo andarcene adesso!! Esclamò sbirciando l’auto che faceva
pericolosamente inversione.
“Aspetta,
aspetta, arriveranno i rinforzi…” fece Reid maledicendosi per aver lasciato nel
locale il suo zaino.
William
lo tirò per un braccio.
“Vieni
forza…non possiamo aspettare”
Nel
momento in cui si alzarono Gideon li vide “Ehi!”
Reid si
voltò per una frazione di secondo verso di lui.
L’auto
stava per tornare indietro.
Gideon li
raggiunse mentre voltavano l’angolo.
“Le
chiavi…le chiavi” farfugliò Reid mettendo una mano in tasca.
“Cosa?”
fece William dando un’occhiata alle sue spalle.
“Le
chiavi ecco, la macchina, dall’altra parte della…”
E in meno
di un secondo erano in auto, proprio mentre l’altro veicolo tornava indietro e
sventagliava contro di loro un’altra selva di pallottole.
“Vuoi
dirmi che diavolo vogliono da te quei…ci stanno seguendo” esclamò Reid
osservando l’auto dietro di loro.
“Non è il
momento delle spiegazioni” ribattè William sterzando
all’improvviso sulla destra, evitando per un pelo un camion di trasporti
eccezionali e finendo quasi sul marciapiede.
Il
cellulare di Gideon suonò.
Era
Garcia.
“Garcia,
sì sì..stiamo bene, siamo sulla 33°, sì è qui con me, ma dovete inviarci
rinforzi, subito, dove…dove stiamo andando??!Non lo so non…attento attento!!” gridò rivolto a William che aveva appena passato
un incrocio senza rallentare minimamente.
Il
cellulare gli sfuggì di mano “maledizione!!”.
“Dove
diavolo sta andando??!” urlò armeggiando col telefono, che non voleva più
saperne di accendersi.
“Sto cercando di seminarli non vede??!”
“Perché
ce l’hanno con lei? Cos’ ha fatto?”
Reid si
guardò intorno, erano finiti in un quartiere periferico. Si domandava se Garcia
sarebbe riuscita a trovarli.
Doveva
fare in fretta.
In quel
momento di udì uno scoppio “la gomma…” sussurrò e poi chiuse gli occhi.
Finirono
contro un idrante, da cui l’acqua cominciò a zampillare con forza.
Uscirono
dalla macchina, piuttosto malconci, ma ancora interi.
L’auto
che li seguiva frenò con una sgommata.
Scesero
tre uomini. Uno di loro con una pistola in mano puntata contro di loro esclamò
“piacere di rivederti William!”.
Si
risvegliò sul duro pavimento di una vecchia abitazione, almeno doveva essere
così dati i muri preda della muffa.
C’era
qualcuno che stava parlando, o litigando.
“No!! Non
se ne parla”
“E invece
dovete farlo, so come gestirli…dovete sbrigarvi, saranno qui a momenti…”
“Ehi”
Reid strizzò gli occhi e riconobbe le sagome del padre e di Gideon.
“Bentornato”
esclamò Gideon, poi tornò a rivolgersi a William “no, assolutamente no!!”.
“Che
cosa…” sussurrò Reid ancora confuso.
“Il tuo
simpatico genitore qui ha un piano…”
“Ehi
aspettate...” cominciò Reid, quella situazione non gli piaceva.
“Loro
vogliono delle cose da me” cominciò William.
“Questo
era evidente” osservò Gideon.
“Posso
prendere tempo e farvi uscire di qui, loro vogliono solo me”.
Gideon
scosse la testa dubbioso.
“Cosa
volete fare? Aspettare finché non ci troveranno? Non sanno nemmeno dove
siamo..i vostri colleghi ci metteranno un bel po’ e intanto…”
“Ci
troveranno…” mormorò Reid…dopotutto avevano trovato gente con meno indizi che
una sparatoria in pieno centro, sarebbero arrivati e…
“Quei
tizi lì fuori non scherzano” tornò alla carica William.
“Proprio
per questo non possiamo…”Gideon si interruppe sentendo dei passi provenire da
fuori.
“Deve
portarlo fuori di qui!” esclamò William parlando a Gideon ma guardando il
figlio.
In quel
momento Reid cominciò a capire e a scuotere la testa impercettibilmente.
“Mi
ascolti, posso prendere tempo, posso farlo, so delle cose che a loro
interessano. Posso farvi uscire, ma dovete lasciarmi tentare…”.
La porta
si aprì.
“Vi darò
quello che volte, ma lasciateli andare. Loro non c’entrano niente”.
Gli
uomini armati lo avevano guardato sprezzanti.
In fondo,
due vite in più o in meno non erano
niente per loro che si erano già macchiati di tanti crimini.
“Perché
dovremmo farlo?” domandò un uomo alto, con un passamontagna sul volto.
“Perché
quello che sa…” fece un altro, smilzo,
anche lui col volto coperto
“Non ve
lo dirò finché loro non saranno fuori da qui” esclamò William deciso.
“No…”
mormorò Reid e fece un passo in avanti.
Gideon lo
strattonò per un braccio.
“Vi ho detto che lo farò, lasciateli uscire”.
L’uomo
che sembrava il capo diede una scrollata di spalle “perché sei così sicuro che
li lasceremo andare?”
“Ho
fiducia” rispose piano William.
L’uomo
sogghignò.
Per lui,
dopotutto era un gioco.
L’avrebbe
accontentato e poi li avrebbe fatti fuori con calma.
Fece
segno agli altri di lasciarli andare.
Gideon
strinse più forte il braccio di Reid.
“Andiamo”.
Reid lo
guardò, perché, perché rinunciava così?
Gideon aveva
trattato con i più efferati criminali, con il killer del sentiero, poteva
riuscirci lui…
“Lasciami
“.
“Reid non
ricominciare”.
“Va’ con
lui” esclamò William, con un sorriso triste sul volto.
“No
aspetta cos’hai intenzione di…”
Si volse
verso Gideon e poi verso il padre.
Gideon
scambiò una breve occhiata con William, fu un attimo…
“No
..aspetta” Reid faceva resistenza, me erano quasi sulla soglia.
“Oh
maledizione!!!” esclamò William Reid passandosi una mano tra i capelli “Vattente!!vattente!!!” gridò con
quanto fiato aveva in gola “non mi serve un piagnucolone come te qui adesso,
vattene, vattene non mi servi” .
Reid lo
fissò allibito “ ma io…”
“Insomma
io mi sto stancato” fece uno degli uomini armati “perché non li facciamo fuori
e basta?”.
In quel
momento da fuori si udirono le sirene e una voce metallica, probabilmente
filtrata da un megafono che gridava: “Siete circondati!”.
Quello
che avvenne poi, successe molto in fretta.
Così in
fretta che Reid, pur con tutta la sua memoria fotografica non ne avrebbe
conservato solo qualche fuggevole ricordo che avrebbe preferito non avere.
L’uomo
alto tornò a puntare la pistola contro di loro, mentre gli altri due si
guardavano intorno, in cerca di una via di fuga.
Bastò
quell’attimo di distrazione, William, che era vicino allo spilungone ne
approfittò per spingerlo a terra.
“Via via”.
Partì un
colpo.
Grida
concitate, anche da fuori.
Stava per
scoppiare il caso.
L’ultima
cosa che sentì e vide fu William che urlava al di sopra delle grida e del
frastuono “Lo porti via, porti mio figlio fuori di qui!”
Gideon lo
spinse fuori, mentre dietro di loro esplodevano pezzi di vetro ovunque.
Rotolò giù
dalle scale con qualcuno avvinghiato sopra di lui, poi sbattè
forte la testa contro il duro selciato di cemento.
Cercò di
rialzarsi, ma una presa d’acciaio lo tenne giù “lasciami”.
Si voltò
verso l’abitazione dove si trovavano un momento prima e mosse qualche passo
prima che la vedesse prendere fuoco, esplodendo.
Reid fu
nuovamente spinto a terra, ma riuscì a tirarsi sù,
barcollando leggermente.
Mosse
qualche altro passo traballante, nonostante il calore sprigionato dall’edificio
fosse insopportabile.
Il tetto
crollò con un frastuono assordante.
Ai suoi
piedi c’era una sagoma informe, ma lui non la degnò di uno sguardo.
“Fermo
Reid, non puoi andare dentro!!” Due braccia robuste lo afferrarono da dietro.
Era Gideon che, zoppicante, era riuscito a raggiungerlo, prima che si
avvicinasse troppo.
Ricaddero
entrambi a terra.
“Non
posso lasciarlo lì”mormorava meccanicamente Reid “per piacere, per piacere, non
possiamo, non…”
“Non
guardare, Reid, non guardare “ sussurrò Gideon passandogli una mano sugli occhi
e tentando di trascinarlo via.
Lui si
divincolò, avrebbe guardato tutto lo spettacolo.
Morgan li
raggiunse.
“Per
favore, per favore…lui è lì”
“Tranquillo
Reid, è tutto finito” sussurrava Morgan sapendo che nessuna di quelle parole
arrivava all’amico.
Gideon si
voltò verso la casa in fiamme che agonizzava alle sue spalle.
Nessuno
poteva uscir vivo da un simile inferno.
“Come va,
ancora niente?”
Prentiss
fece no con la testa.
Gideon
annuì.
Ormai
erano trascorsi diversi giorni dal giorno dell’incendio, ma Reid si rifiutava
di parlare con loro.
In realtà
si rifiutava di parlare con chiunque, compresa la madre che era arrivata con un
aereo in tutta fretta.
Gideon
girò piano la maniglia ed entrò nella stanza, illuminata da una lieve penombra.
Reid era
vicino alla finestra, appoggiato alla parete.
“Reid…”
sussurrò piano per non spaventarlo.
Quello
che era successo naturalmente era tremendo, ma Gideon era consapevole che Reid
non avrebbe risolto niente standosene così.
Aveva
bisogno di parlare con qualcuno dell’accaduto… e poi c’era la madre.
Quella
faccenda era sfuggita loro di mano.
Adesso
c’era persino aperta un’inchiesta degli affari interni sul loro ruolo in tutta
la vicenda.
L’FBI si
domandava come avessero fatto due agenti a trovarsi coinvolti in una sparatoria
e in incendio di proporzioni immani.
Sfortuna
aveva voluto che l’abitazione dove erano stati condotti fosse situata vicino a un
deposito di legname.
Gideon si
passò nervosamente una mano tra i radi capelli.
“Rilassati”
si impose mentalmente “se capisce che sei turbato anche tu, lui lo sarà di
conseguenza”.
“Reid”
provò di nuovo per catturare la sua attenzione.
Quali
erano le parole adatte? Dove poteva trovare le frasi giuste per un’occasione
simile? E ce n’erano?
Non lo
sapeva, non aveva mai affrontato una cosa del genere, una cosa che lo
riguardasse così da vicino.
Ma sapeva
che doveva trovarle, da qualche parte…per lui…
“È inutile
che ci provi” lo anticipò il giovane.
Gideon ci
rimase di sasso.
“So
quello che vorresti dire…” tacque per un momento, poi continuò “che non è colpa
mia, certo lo so che non lo è…è tutto un gran pasticcio vero?” esclamò
voltandosi finalmente verso di lui e mordendosi un labbro.
Gideon
non potè negarlo.
Reid
annuì “già…”
“Tua
madre…” sussurrò Gideon e subito si pentì di aver introdotto quell’argomento.
Come poteva pretendere che il giovane si confrontasse con la madre, quando…
“Lo so”
rispose Reid piano “ devo parlare con lei vero?” e nei suoi occhi c’era
un’espressione così desolata che Gideon avrebbe solo voluto abbracciarlo.
Ma non lo
fece.
“Non devi
se non vuoi” fu tutto quello che riuscì a dire.
Reid
annuì e nei suoi occhi c’era solo una muta domanda che pretendeva una risposta,
ma Gideon non ce l’aveva.
Come
avrebbe potuto suggerirgli cosa dire a una donna in precarie condizioni mentali
che aspettava di sapere che il marito da poco ritrovato era morto e che non
sarebbe più tornato.
Era
troppo.
Era
troppo persino per lui.
“Mi
accompagneresti da lei?” domandò infine il giovane.
Non
appena lo vide lei lo abbracciò.
Poi gli
prese la testa tra le mani, scostandogli i capelli dal volto “stai bene?”
Lui
annuì.
“Non sai
quanto mi hai fatto preoccupare”.
Reid
annuì “ m-mi dispiace”.
“Bè sono contenta che tu stia bene” riprese la donna.
Reid
cercò di sorridere e la fece accomodare su una delle poltrone.
Lanciò
un’occhiata di sfuggita a Gideon, appoggiato a una parete con le braccia
incrociate sul petto.
“Mamma
c’è una cosa…”
Esitò. In
fondo, si trattava di poche, semplici parole, ma perché gli riuscivano così
difficili da pronunciare? L’aveva fatto altre volte, in altre occasioni, ma…
“T-ti ricordi che l’ultima volta che ci siamo visti abbiamo
parlato di papà vero?”.
Diana lo
guardò sorpresa, cominciando a torturarsi le mani “io…”
“Sai che
lui è venuto a trovarmi…”.
Lei annuì
confusa “ma cosa c’entra questo…”.
“Lui…è
venuto da me, perché aveva bisogno, ma io…non l’ho capito…” la voce gli tremò e
dovette sforzarsi per andare avanti “io l’ho mandato via”.
Lei lo
abbracciò “non devi preoccuparti di questo tesoro, vedrai ti perdonerà”.
Se solo
quell’abbraccio avesse potuto durare per sempre.
“No”
sussurrò lui scostandosi “non è possibile mamma. Non-non
è più possibile”.
La guardò
negli occhi vide la consapevolezza farsi
largo…”ma cosa?”.
Poi capì.
Lanciò un
urlo, profondo, sordo.