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Autore: RosenrotSide    27/10/2008    2 recensioni
Bill Kaulitz non è uno stinco di santo, suo fratello Tom non scopa come un riccio, il timido Gustav non è poi così timido e quando vuole parla a raffica e Georg Listing, l'hobbit che tutti prendono di mira, è quello più furbo e che conquista più ragazze. Se erano questi i ragazzi che conoscevate, dimenticateveli. Io che lavo la loro biancheria tutti i giorni posso giurarvelo davanti ad ogni Dio esistente.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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YOOOO
Anche qui il capitolo 21 ù.ù
miss hiphop, ti ho accontentata per quanto riguarda sapere di più su Edmond, ma mi spiace, per ora non è previsto che si innamori, anzi, rimarrà ancora per un pò nell'oscuro e tornerà più avanti XD
Sono contenta che tu riesca ad entusiasmarti e a seguire tutti i personaggi con lo stesso interesse, la vita non si concentra solo su una persona, così anche in questo scorcio di vita che voglio scrivere i personaggi si moltiplicano sempre di più. Spero di essere in grado anche in futuro di tenere le redini di questo gioco.
lilylemon, per quanto riguarda la foto di Charlie: è l'unica che non mi ha mai pienamente soddisfatto, perchè, hai ragione tu, il mio personaggio è molto più ribelle e molto più "spacca-schermo" che quella ragazza della foto, ma siccome di Charlie in giro non se ne trovano, anche per l'immagine ho avuto qualche difficoltà. Nonostante tutto, ho tenuto quella come modello perchè quella risata è la risata di Charlie, precisa.
Ti ringrazio molto per aver recensito *-*
Per la scena hot, non so che altro dirti se non grazie per averla apprezzata, grazie davvero, è molto importante per me quel capitolo, ci ho messo mesi a scriverlo e ho iniziato quando ancora la ff era agli inizi. Spero di trovare altre recensioni, perchè questa mi ha fatto davvero un immenso piacere!
CowgirlSara,
Come anche lilylemon sei scusatissima XD Devo confessarvi però che quando ho iniziato a postare qui, ero abbastanza scoraggiata perchè tutte le mie amiche di scuola che frequentano il sito mi avevano detto che era una sorta di "culla primordiale" di ff e che se non ero apprezzata qui, non valeva la pena continuare a scrivere. Ma ho fatto finta di niente e ho continuato a postare, che mi costava? Ho incontrato delle critiche, degli apprezzamenti e finalmente la mia determinazione è stata premiata, quindi vi ringrazio moltissimo di aver lasciato un segno nelle mie recensioni. Non sono una ragazza sicura di sè al limite, quindi gli apprezzamenti mi fanno sempre piacere ^^
(sono contenta che anche a te sia piaciuta la scena con Bill <3) Per quanto riguarda Charlie, sono convintissima che nella tua critica ci sia qualcosa che mi possa davvero aiutare: (vai con lo spiegone XD) sin da quando ero piccola ed ho iniziato a scrivere, i miei racconti erano piuttosto fantasy, elfi, maghi ecc., ero grande fan del Signore degli Anelli e quindi tutte le atmosfere strane, anche piuttosto offuscate o magari troppo fuori dalla realtà della ff derivano da questo. Devo aggiungere qualcosa di assolutamente intrigante e fiabesco dapperutto, altrimenti mi sento persa e in questa storia l'ho fatto con Charlie, non perchè davvero il Lost Heaven fosse così dannatamente inquietante o il Sanitarium così fuori dal tempo e dal luogo, ma perchè tutto ciò è visto dalla sfera emozionale dei personaggi. Devo dire che questa mia mania deriva anche dai romanzi sudamericani, i miei preferiti in assoluto: lì le atmosfere non sono mai definie, sembrano intatte dal tempo, sanno di fiabesco.
Ovviamente, non mi è mai saltato in testa di copiare da nessuno nè tanto meno di paragonarmi a Marquez o alla mia amatissima Allende, semplicemente tutto ciò mi ha molto influenzata.
Però è vero, rendo la narrazione pesante, non credo sia difficile all'estremo da comprendere, ma anche io quando correggo devo rileggere una seconda volta XD
Quindi cercherò di alleggerire un pò, perchè una lettura noiosa non ha mai attirato nessuno.
Grazie mille!

21.
All the things they said


Charlie fece strada al fratello, che, come se fosse a casa sua, posò la borsa nell’unico angolo libero del tavolo della cucina ed inizio a sbottonarsi il cappotto.
Dirigendosi verso il frigorifero in cerca di qualcosa da bere da offrirgli, la ragazza indagò: -Come mai a New York?-
-Lavoro, cos’altro?-
-Te l’ha mai detto nessuno che lavorare fino a farsi succhiare il sangue non ha mai giovato a nessuno?- lo stuzzicò Charlie, con un sorrisino irritante.
-Te l’ha mai detto nessuno che condurre una vita dissoluta come la tua non è altrettanto salutare?- rispose a tono Edmond.
-Io non conduco una vita dissoluta!- rise di cuore la ragazza, versando dell’acqua in due bicchieri sbeccati e offrendone uno al fratello.
-Oh sì, invece- le sorrise in risposta lui, bagnandosi le labbra con il liquido trasparente –Da quant’è che non ci vediamo?-
-Due anni-
Due anni senza suo fratello e quattro senza la sua famiglia; non le erano mancati neanche un po’, ma Ed si era fatto vivo ogni tanto, non lasciandole, come avrebbe voluto, rimuovere completamente il ricordo dei suoi primi sedici anni di vita. Era cocciuto, suo fratello, anche più di lei.
Era più grande di dieci anni esatti, quindi non era mai stato il fratello con cui giocare o fare i compiti al pomeriggio, né da coinvolgere in fantasie infantili: era stato il tipo di fratello che trovava gratificante insegnarle tante cose, come andare a cavallo o sputare come un maschiaccio, ma che non sopportava se lei, magari anche in un momento poco propizio, piombava in camera sua per farsi leggere una storia o per giocare con i suoi preziosi videogiochi. Nonostante tutte le litigate e le botte che si erano dati (Charlie aveva il vantaggio di poter facilmente colpire basso), Edmond era innamorato della sua adorabile e bellissima sorellina come lo sono in genere i fratelli e per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa.
-E tu? Non lavori?- le domandò ancora Ed.
-A dire il vero, torno adesso da un colloquio di lavoro- lo informò la sorella, guardandolo storto.
-Ma davvero?- si finse stupito il ragazzo, con una risata.
-Proprio così, lavorerò in un posto dove si aiutano gli alcolizzati e tutti quelli che ne hanno bisogno-
-C’è da stupirsi: non avrei mai pensato che la mia altezzosa sorellina si abbassasse a tanto. Già con il servire ai tavoli temevo di averti persa, ma questo credo sia ancora più disonorevole per sua maestà!-
-Vaffanculo!- esclamò Charlie, scaldandosi.
-Te lo ricordi come ti chiamavano tutti? La “contessa”! Anche quando ormai eri grande ti facevi sempre servire e riverire; m ricordo anche che ti facevi fare il bagno dalla domestica!-
Charlie stava per ribattere sdegnata, quando un “miao” alla porta fece alzare lo sguardo di entrambi sul povero Tu-Bill, che entrava in quel momento nel garage dopo il suo giretto quotidiano nel quartiere; la bestiola fece un salto vedendo un intruso nella casa e rizzò il pelo, allarmata. Lotte gli andò incontro e lo prese in braccio, rassicurandolo con dei baci affettuosi sulle orecchie pelose e ritornando poi dal fratello, porgendogli per gioco l’animale, mentre questo continuava a gridarle di tenere quella bestiaccia lontana: Ed non aveva mai sopportato i gatti e in più era tremendamente superstizioso, convintissimo che quelle povere bestiole dal pelo nero come Bill fossero streghe trasfigurate.
-Io lo metto giù, ma tu ora la smetti con le domande stronze, altrimenti gli dirò di attaccarti- lo minacciò Charlie con un sorriso, permettendo al micino di scendere e andare a rifugiarsi nella sua cuccia di cartone, soffiando contro l’intruso.
-Va bene, niente più domande stronze- acconsentì l’altro, guardando storto il piccolo gatto, che ora si stava leccando copiosamente una zampa –Come stai?-
Charlie sorrise al fratello e si coricò sul divano, poggiandogli la testa bionda in grembo: -Devo dire che me la cavo abbastanza bene. Tu invece?-
-Anche io; sono a New York per un importante causa di un mio cliente e da Boston fino a qui non è mica una passeggiata, così mi sono detto: perché non andare dalla mia sorellina ribelle?-
Charlie tirò un cuscino in testa al fratello, ridendo: ribelle. Nella sua perfetta famiglia, lei era questo e da quattro anni era consapevole che il suo nome, se veniva pronunciato da chicchessia, era sempre accompagnato da una smorfia di disgusto. Se ci fosse stato un albero genealogico della famiglia Dawson, il suo nome sarebbe stato cancellato, fatto sparire nel nulla. Per così poco, poi! Per la sua libertà.
-E il tuo amico?- Ed tirò i capelli della sorella per richiamare la sua attenzione.
Charlie si sollevò, guardandolo con gli occhi nocciola sgranati: -Quale amico?-
Non poteva saperlo, sapere di lui. Nessuno sapeva di Tom, esclusa Mimi, che era lontana e poi, a sua volta, Mimi non sapeva che lei avesse un fratello. E perché qualcuno avrebbe mai dovuto saperlo?
La parola amico che Edmond aveva usato le suonò molto strana.
Tom era un amico? No, sicuramente no, anzi, dopo la loro ultima discussione, era diventato un nemico. Nemico della sua libertà. Charlie si ritrovò a pensare seriamente, senza averlo fatto fino a quel momento, ai giorni passati; aveva mandato il ricordo solo a Mimi, alla rabbia che sentiva dentro, seguita a tutta la malinconia per essere stata lasciata sola da quella che considerava sua sorella di sventure, ma mai aveva riformulato il nome di Tom, come se il suo cervello lo avesse tenuto lontano per autodifendersi, al pari di un antivirus, paladino della sanità mentale. E lui, aveva mai pensato a lei?
Come se mi importasse, poi, si disse.
"Dovrebbe, invece. Perché, qualcun altro ti avrebbe salvata dalla tua perdizione? Sì, perdizione e dissolutezza, ecco i principi della tua vita, Ed ha ragione cara. Qualcun altro avrebbe avuto il coraggio di oltrepassare il paradiso perduto per salvarti da uno stupro di gruppo a cui andavi incontro consapevole, ma troppo distante da te stessa per rifiutarlo? Non credo tesoro, non credo"
La sua coscienza era sempre molto stronza con lei: le parlava con voce zuccherosa, pizzicandole le guance come si fa con i bambini e chiamandola con appellativi sdolcinati, ma sentivi che la sua vocettina era carica di ironia e disprezzo, sentivi che ti stava prendendo in giro. La sua coscienza assomigliava tanto alla voce stronza e odiata di sua madre.
"Cavalcarlo, questo è stato il tuo pensiero fisso, pulcino mio, altrimenti, perché guardare sempre il mondo dalla prospettiva del suo bacino? Pensavi fosse un cavallo per caso? Un destriero che ti avrebbe guidato nella tua lotta per la libertà? Non è mica un rivoluzionario francese, poverina! Eppure, tu volevi cavalcarlo, magari allontanarti al galoppo con una nuova speranza, una nuova vita, come quella che sta crescendo nel grembo della tua amica e che sarà felice, madre e figlia lo saranno. E tu stai a guardare, povero tesoro. Non te lo sei cercato?" (nessuna allusione al sesso con la parola “cavalcare”, vedetela sotto un altro aspetto n.d.a)
Edmond tacque, vedendo il volto così confuso e corrucciato della sorella a quella sua domanda. La stessa ruga d’espressione che le segnava la fronte quando da piccola rifletteva sul bene ed il male come le imponeva il sacerdote della Chiesa in cui andavano ogni domenica, ora le solcava la pelle rosea. Il fratello, conoscendo la portata della battaglia che il cervello, ma soprattutto il cuore della sua Charlie stavano combattendo, si nascose nel retroscena, continuando a tacere.
“Mi fai talmente compassione che vorrei essere capace di amarti un pochino io” "Sei tu che mi fai compassione, non riesci neanche ad amare te stessa, vorresti amare un ragazzo così? Così complicato, così ambito? Così fragile? Tenti invano di salvare te stessa, ti fai salvare da lui e poi non lo ringrazi"
No, non lo aveva ringraziato. L’aveva disprezzato e frainteso. E pure baciato.
-Brucia- le aveva detto quando gli stava passando il cotone sulle palpebre.
-Lo so- gli aveva risposto e infatti lo sapeva bene. E’ bello truccarsi, ma poi brucia.
Charlie si riscosse dai suoi pensieri, girandosi piano verso il fratello muto e lanciandogli un occhiata confusa: -Qual-quale amico?-
-Il ragazzo con cui stavi l’ultima volta che ti ho vista, due anni fa-
-Oh, non lo vedo più- mormorò la ragazza.
Ed annuì, facendo ciondolare il capo tra le spalle e lanciando un’altra occhiata alla ragazza: non la vedeva da tanto tempo e, inevitabilmente, gli sembrava ancora più perduta. Quello che non aveva mai capito di lei era questa sua voglia di imporsi su tutto e tutti, la sua ostinazione nella ricerca del giusto. Lui aveva imparato ad ingannarlo e nasconderlo, ottenendolo di nascosto, senza rumore. Charlie, invece, viveva di rivoluzione, con tutti gli scoppi di guerra, le grida, i pianti della lotta cronica contro ciò che il suo senso di giustizia e libertà non poteva tollerare.
Quando era piccola, si ribellava ai castighi immeritati con tanta foga e tanta rabbia, che concludeva i suoi insuccessi contro gli adulti staccando la testa alle sue bambole e tagliuzzando i loro vestiti; Edmond, invece, aveva sempre chinato furbamente la testa davanti alle autorità, guadagnandosi il perdono con salamelecchi e finto pentimento. Per questo loro madre lo adorava.
-Impara, Lotte e smettila di combattere una battaglia troppo grande per te- la derideva il fratello.
Ovviamente, la ragazza non gli aveva dato retta e alla violenza aveva imparato a rispondere con la violenza e ad usare denti ed unghie per difendersi.
Edmond si alzò dal divano e recuperò la borsa nera dal tavolo, porgendola poi alla sorella: -E’ un regalo; spero che il tuo numero di piede sia rimasto il trent’otto-
Charlie accettò la busta squadrando il fratello con curiosità e annuendo alla sua affermazione, per poi curiosare dentro. Tirò fuori una scatola bianca da scarpe decorata con scritte dorate e in rilievo e poi un pacchetto di carta velina ornato da un grande fiocco, anch’esso dorato.
-Ed, ma, non dovevi!- recitò a memoria la formula di cortesia che gli avevano insegnato a dire quando riceveva un regalo, rigirandosi tra le mani il fragile pacchetto che, visto il peso e la consistenza, doveva contenere dei vestiti.
-Rimarrò qui a New York per una settimana o più, spero che mi verrai a trovare e per farlo, visto che non alloggio in una discarica, forse ti converrebbe indossare qualcosa di più elegante- la provocò il fratello.
Charlie gli fece il verso, storcendo impercettibilmente la bocca mentre estraeva dalla scatola le decolté con laccio che Ed aveva pensato (male) di comprarle. Era da tanto che non ne vedeva un paio o,almeno, nelle vetrine dei negozi di New York articoli del genere facevano sempre la loro bella figura, ma era da tanto che non ne vedeva uno sapendo di possederlo. Seppure questo le provocasse un insensato senso di felicità, non volle darla vinta al fratello e ribattè: -Per tua informazione, sono entrata in uno dei migliori alberghi della Principale ricoperta di stracci e svenuta, quindi, non credo ci saranno problemi se mi presenterò con una tuta e le scarpe da ginnastica-
Edmond la guardò stupito e Charlie si rese conto di aver parlato un po’ troppo; troncò sul nascere la domanda che il fratello le avrebbe posto da un momento all’altro scartando anche il pacchetto: come aveva immaginato, conteneva un vestito, molto semplice a dire la verità, blu scuro con due grandi spacchi ai lati.
-Bè, grazie- gli sorrise, accarezzando la gonna vellutata dell’abito.
Il fratello le sorrise trionfante: -Prego. Ora scappo Lotte, ci vediamo-
Infilò rapidamente il cappotto senza allacciarlo, si chinò per dare un bacio sulla testa bionda della sorella e, senza aggiungere altro, uscì dal garage con la stessa serietà e alterigia che avrebbe potuto usare per uscire dignitosamente da uno dei suoi soliti alberghi a cinque stelle.

*



Più Georg ci pensava, più si dava dello stupido; come poteva essersi fidato di Natasha ed aver poi chiesto il suo aiuto in una questione di cui si sarebbe dovuto occupare da solo?
Era lui che provava qualcosa per Anya, non sua cugina.
Quando ancora abitava ad Amburgo e studiava al conservatorio, aveva una ragazza, si chiamava Sophie. Ora, non sapeva più niente di lei: né come aveva finito gli studi, né cosa aveva deciso di fare dopo il diploma, né se il suo cane era guarito dopo essere stato investito da un’auto, né se i suoi genitori si erano poi separati. Non sapeva soprattutto se aveva continuato ad andare alla loro panchina nei giardinetti ed era la prima cosa che gli veniva in mente se gli capitava di ripensare a lei.
Era stato molto preso da Sophie; quando ancora non era famoso e il suo aspetto non lo interessava più di tanto, erano poche le ragazze che avevano la volontà di andare oltre alla sua corazza di timidezza e scontrosità. Lei ci era riuscita con un solo sorriso; le mancava un canino, ma era tanto dolce lo stesso.
Tra le tante cose, di lei gli piaceva come si preparava per uscire: apriva l’armadio e poi accarezzava tutti gli abiti appesi, facendoli ondeggiare in un caleidoscopio di colori e poi ne sceglieva uno ad occhi chiusi; quando si truccava, faceva delle facce buffe per mettersi il mascara e poi gli lasciava pettinarle i capelli.
Georg era convintissimo che sarebbe finito per sposarla, ma a rovinare tutto ci pensarono i Tokio Hotel, anzi, prima di tutto i Kaulitz. Il ragazzo conosceva già Gustav ed erano molto amici, ma non era preparato al confronto inevitabile con il mondo dei gemelli. Non poteva negare neanche ora, dopo tanti anni in cui si era fatto bagaglio dei loro difetti e stranezze, che fossero due ragazzi molto particolari. E molto belli.
Per sopravvivere e non sotterrare la propria autostima tre metri sotto terra, Georg aveva dovuto convincersi che era ormai ora di abbandonare il suo aspetto da orso; i “sei bellissimo” di Sophie non bastavano più e non sarebbero bastati in ogni caso.
All’uscita del loro primo singolo, lei aveva smesso di chiamarlo e lui era stato troppo occupato per andare a casa sua a pettinarle i capelli. Era finita così.
Quando poi la carriera dei Tokio Hotel era stata ufficialmente battezzata da mille impegni e un nuovo modo di vivere le giornate sempre più occupate, era arrivata Anya; ragazza più diversa da Sophie non poteva esistere.
Era stato il primo a fare amicizia con lei, perché un giorno l’aveva trovata per caso in camera che piangeva; gli era venuto in mente che quando la sua ragazza era triste o agitata, riusciva a calmarsi solo con un abbraccio e così aveva fatto con Anya. Quando stringeva Sophie faceva sempre molta attenzione, era talmente fragile che temeva di romperla se avesse esagerato, ma lei, sotto ogni punto di vista, pareva fatta di pietra.
Dopo un poco di dondolio tra le braccia di quel ragazzo che conosceva a malapena, Anya si era asciugata le lacrime con il dorso della mano e, giustamente, si era sentita in dovere di raccontargli i suoi crucci. Così Georg era venuto a sapere dell’infanzia difficile della ragazza, di come fosse stata costretta dalle circostanze a crescere fin da subito, di suo padre sparito nel nulla dopo la sua nascita e di sua madre, alcolista e disperata, che era finita in un centro di disintossicamento dal quale non era più uscita, lasciando Anya in balia dei servizi sociali che, dopo molto combattere, l’avevano affidata agli zii materni.
Da quella mezz’ora passata a raccontare e ascoltare, erano diventati amici; per il resto, Anya non poteva soffrire l’ansioso e crucciato Tom, che si faceva bello agli occhi di tutti anche a discapito degli altri e disprezzava Bill, che pur all’inizio sembrava pendere dalle sue labbra. Quando Anya era in circolazione, il ragazzino si distraeva dal mondo circostante contando i nei sulle braccia di lei, quante volte rideva e quante alzava la voce; se aveva i capelli raccolti in qualche modo strano, se si era messa la gonna rossa che a lui piaceva tanto vederle indossare.
Poi, nessuno sapeva perché e nessuno si era preso il tempo tra le mille cose da fare per chiederselo, Bill aveva smesso di guardarla così e aveva iniziato a frequentare ragazze su ragazze che, in un modo o nell’altro, per questo o per quello, sembravano assomigliarle, come se volesse farle dispetto.
Georg voleva parlare alla ragazza, doveva trovare il tempo e il modo per farlo, prenderla da parte e dirle che gli dispiaceva essere stato così assillante e stupido da non capire che quello che in realtà erano e dovevano rimanere erano gli amici di sempre. Ne era quasi del tutto convinto.
-Hei Georg, smettila di sbavare!- la voce di Tom lo colpì come uno schiaffo improvviso sul didietro; Georg si voltò verso il rasta, appena passato con una delle sue numerosissime chitarre al collo ed esordì, come appena tornato dal pianeta Marte: -Eh? Che dici?-
-Lasciamo perdere. Pensare per te è difficile, povero, non dovrei prenderti in giro così!-rincarò la dose il gemello cattivo Kaulitz, sghignazzando. Georg lo guardò in cagnesco, prima di mandarlo gentilmente a cagare. Vedere gli occhi di uno dei gemelli, non quello a cui aveva pensato fino a quel momento, ma comunque uguali e profondi allo stesso modo, però, gli fece venire un’idea strana.
Si voltò di scatto verso Bill, già salito sul palco per il soundcheck e tutto preso dal suo giubbino nero.
In quegli ultimi giorni, già dalla festa, gli era sembrato che gli stessi occhi che ora il ragazzo si stava sfregando per il sonno e che quel giorno si era truccato da solo, avessero smesso di ignorare Anya. La seguivano fin troppo assiduamente.

Mancava ancora Gustav, poi avrebbero iniziato.
Quello era il loro ultimo giorno di prove e Bill aveva indossato gli abiti che già aveva scelto per le tappe del tour; sarebbero stati quelli dalla prima data fino all’ultima, per viaggiare il più leggeri possibile, ma soprattutto perché sul retro delle T-shirt erano state applicate delle apposite cerniere per permettere al ragazzo di cambiarsi rapidamente senza rovinare l’impalcatura laccata dei suoi capelli.
Indossarli lo faceva già sentire sballottato dall’andamento del tourbus, in uno dei tanti camerini in attesa di salire sul palco, sotto la pioggia di coriandoli della canzone finale; era un modo per entrare di nuovo nella parte, ciascuno aveva il suo: Gustav aveva comprato nuovo scotch per i calli, Georg aveva messo da parte i videogiochi che si sarebbe portato dietro, Tom aveva fatto lavare tutte le sue mutande per infilarle in valigia; quest’ultimo rituale implicava, per sua sfortuna, un grande lavoro da parte di Anya e, come ricompensa, Tom le aveva fatto preparare il suo posto preferito per assistere al soundcheck: una sedia davanti al palco con succo di frutta e uno scatolone per appoggiare i piedi. Ad Anya piacevano più i soundcheck che i concerti, perché se c’era una cosa che aveva il supremo potere di farla capitolare lunga distesa su un divano con la testa che girava a mille, quella cosa era il caos delle fan ai concerti.
Erano i periodi di massima tensione per lei: il lavoro non le pesava più di tanto, ma viaggiare in bus era un grande sacrificio. Non era mai riuscita ad ambientarsi e mai lo avrebbe fatto: non sentire la terra stabile sotto i piedi per tanto tempo le dava la nausea.
L’unica gioia di quel periodo era il vedere posti nuovi, perché lei, al contrario dei ragazzi e della stessa cugina, si poteva prendere la fantastica libertà di uscire dall’hotel a fare quattro passi per le città in cui sostavano.
Tutto questo sarebbe stato invece nuovo per Mimi: la ragazza non aveva la minima idea di cosa volesse dire saltare da un posto all’altro come cavallette per mesi, senza la possibilità di fermarsi quando la testa iniziava a girare troppo e il senso del tempo e della realtà andavano perduti. La sensazione di avere il mondo a portata di mano era piacevole solo per i primi tempi, poi iniziavi a chiederti quando finalmente quel fastidioso potere sarebbe finito.
-Allora, cominciamo?- vociò Bill rivolto ai tecnici, incrociando le braccia al petto.
-Sì Bill, un attimo di pazienza, manca ancora Gustav-
-Ma dove si sarà cacciato?- esclamò il cantante, guardandosi per la millesima volta alle spalle, come aspettandosi che il ragazzo sarebbe apparso all’improvviso con una nuvoletta di fumo rosa e uno scampanellare da genio della lampada.
-Ti ho acceso il microfono, inizia a scaldarti!- gli urlò uno fra i tanti tecnici.
Anya succhiò forte dalla cannuccia del suo succo, fissando lo sguardo sul ragazzo: era perfettamente al centro del palco, perfettamente davanti a lei e continuava a guardarla; prendeva il microfono e le lanciava un’occhiata, tossicchiava e sollevava gli occhi su di lei, si levava la giacca e la osservava da sopra la spalla. Sapeva che anche lei lo stava guardando, che, nonostante fingesse di essere presissima dal succo, non poteva fare a meno di seguire i suoi movimenti. E poi girava la testa intorno, per vedere se qualcuno potesse disturbare la loro intesa: nessuno, Natasha era nel guardaroba con Mimi, Georg era all’estremità del palco ad accordare il basso con Tom, Gustav ancora non si faceva vedere e tutti gli altri erano impegnati con i preparativi, i tecnici con le luci e i computer, David e Dujna a discutere davanti ad una tazza di caffè fumante.
Essendosene accorto a sua volta, Bill mosse un passo verso la ragazza, fino ad arrivare al limitare del palco: -Allora, domani partiamo- le sussurrò con malcelata noncuranza. Anya sorrise maliziosa, giocando con la cannuccia.
-Scaldati Bill- gli intimò, spietata.
-Ma, dopo, riusciamo a stare… sì, a stare un po’ insieme?- le chiese lui, guardandosi intorno con circospezione e parlando in modo che solo lei potesse sentirlo.
-E come?- fu la risposta ironica della ragazza.
Bill si morse il labbro inferiore: -Non lo so, potremmo…- ma Anya lo interruppe.
-Vediamo Bill-
Lo sai che mi piacerebbe, avrebbe voluto aggiungere, ma in quel momento Tom raggiunse il fratello con la chitarra al collo e già le mani pronte per suonare con lui, ignaro della preziosità di quello che aveva interrotto. Bill annuì allo sguardo allusivo del fratello e recuperò il microfono dalla cassa su cui lo aveva appoggiato.
Tom attaccò con gli accordi di una delle poche canzoni che Anya, loro spettatrice, apprezzava: Der Letzte Tag. Bill tossicchiò un paio di volte prima di iniziare a cantare, interrompendo la melodia con vari schiarimenti di gola che, lo sapeva, ma non riusciva a farne a meno, peggioravano solo la situazione.
Pigolando, il ragazzo arrancò fino al ritornello e lì, nonostante tutta la sua buona intenzione, la sua voce si esaurì con un suono strozzato e anche Tom si fermò, stonando e guardando stranito il gemello. Bill corse alla sua bottiglietta d’acqua, trangugiandone una lunga sorsata e cercando di nuovo Anya con lo sguardo.
-Tutto ok Bill?- lo interpellò il fratello, sistemandosi la visiera del cappellino, come faceva sempre per denunciare un certo nervosismo. Tom era il più ansioso di tutto il gruppo, addirittura diventava morboso quando cadeva nel panico. Bill era più appariscente nel manifestare la tensione, ma Tom era una bomba ad orologeria pronta ad esplodere; faceva diventare i capelli bianchi a metà della troupe, diventava insopportabile,ti infastidiva con i suoi se e i suoi ma, si attaccava alle gonne come un bambino piccolo.
E se si trattava di suo fratello, la questione degenerava in assoluta pazzia, in iper-protezionismo, in crisi di asma psicologica.
-Sì- annuì Bill –Riproviamo, sono solo poco caldo-
Georg, che aveva finito di accordare il suo strumento, con cui aveva avuto delle complicazioni per il volume del suono troppo alto, raggiunse i due gemelli con un sorriso per Anya e, accordatosi con gli altri, iniziarono a suonare un’altra canzone. Ma anche questa volta, la voce di Bill si infranse alle prime battute. Il ragazzo sembrò tremare di collera e incomprensione nel momento in cui sentì la propria voce cadere come un animale ferito e gli sguardi sconcertati che gli lanciarono i suoi due amici lo innervosirono ancora di più.
Provò ad emettere suono, ma senza successo e allora gettò il microfono per terra: se Tom era il gemello ansioso, Bill era quello affetto da crisi di ira e stizza irrefrenabili. Chiuse le mani a pugno e si accanì contro la sua voce, provando a fare dei deboli vocalizzi con le lacrime agli occhi.
Proprio in quel momento, tutti quelli che fino ad allora avevano lavorato per i conti propri senza arrecare disturbo, non trovarono niente di meglio da fare che fermarsi a guardare apprensivi il ragazzo; David si alzò, rischiando di rovesciare la sua tazzina e far cadere a terra la sedia, non capendo cosa stesse succedendo.
Anche Anya si alzò, scrutando il ragazzo che batteva i piedi a terra per il nervoso, causato anche dall’improvviso silenzio che gli portava un’attenzione non desiderata. Sarebbe scoppiato ad imprecare, ossessionato dal suo maledetto perfezionismo se Anya non fosse intervenuta, salendo sul palco senza una parola e picchiettando rumorosamente con i tacchi delle scarpe sugli scalini.
-Andate a provare più in là, per piacere- ordinò a Tom e Georg, che, un po’ stupiti e ancora preoccupati per il loro cantante, si avviarono verso un altro angolo del palco; fece poi un cenno secco a tutta la troupe, imponendo di farsi gli emeriti cazzi loro. Infine, si rivolse a Bill con sguardo severo: non poteva sopportare le sue crisi da bambino; il ragazzo si quietò subito, come un cagnolino ammaestrato.
-Senti male?- gli chiese.
-Fastidio, più che altro- rispose lui a bassa voce.
-Non è niente di preoccupante, non serve fare tante scene- lo rimproverò Anya –Sciogli le spalle-
Bill scrollò piano le braccia, ruotando anche il collo teso. L’ira che lo aveva assalito era scemata di colpo davanti alla ragazza e alla sincera attenzione che gli stava dando, senza preoccuparsi di essere vista o quant’altro. Era piacevole essere rasserenato dalla sensazione di fiducia che lei gli trasmetteva. Anya aveva seguito alcune lezioni di canto e dizione che un’esperta aveva impartito a Bill quando il ragazzo aveva iniziato a cantare anche in inglese e si era mostrata talmente interessata da imparare qualcosa a sua volta.
-Bene. Ora lascia cadere la mandibola e respira profondamente con il diaframma- gli intimò gentilmente, poggiando una mano sugli addominali alti di Bill, che rabbrividì interiormente a quel contatto. Obbedì, docile, ma non potè fare a meno di appoggiare la sua mano su quella di lei e stringerla con dolcezza. Anya arrossì contro il suo volere, ma non si spostò di un centimetro, respirando con lui per guidarlo.
Dopo un quarto d’ora passato a cercare la preziosa ed inseparabile macchina fotografica, Gustav fece la sua attesa apparizione sul palco, ignaro di aver fatto aspettare tutti; nel ritrovarsi una così singolare scena davanti agli occhi, il ragazzo spalancò la bocca, incredulo, ma soprattutto colpito. Ognuno era impegnato per conto suo, si sentivano solo le note della chitarra e del basso in mezzo ad un silenzio irreale.
Immortalò subito tutto quello che l'obbiettivo della sua alleata poteva contenere, corrucciato per non poter imprimere su carta anche la sensazione straordinaria che infondeva quel silenzio strano; poi volse lo sguardo alla sua batteria.
Impegnati a discutere sottovoce dell’accaduto tra loro, Tom e Georg non erano stati abbastanza accorti da notare che Mimi, lasciata sola Natasha, meravigliata e incuriosita da quell’ambiente pervaso da una così piacevole aura di frenesia e imminenza, aveva iniziato a passeggiare tra i fili e il disordine del palco, finendo poi per sedersi, dopo un capogiro, sullo sgabello della sacra ed inviolabile batteria di Gustav, di cui il ragazzo era molto geloso. Si era fatto aiutare a montarla dal suo tecnico di fiducia qualche giorno prima ed era legge non scritta che, all’infuori di qualche privilegiato, lo strumento non andava sfiorato da nessun’altro.
Georg fece uno scatto quasi involontario verso la ragazza, per avvertirla del grave sacrilegio che stava compiendo, ma Gustav, che l’aveva notata prima di loro, si avvicinò a Mimi con un sorriso, scattandole una foto e salutandola gentilmente.
-Come stai?-le chiese, tranquillissimo. Georg lanciò un’occhiata preoccupata verso Tom, che scrollò le spalle, molto più in pensiero per suo fratello e già assorto nelle possibili e nefaste conseguenze che quell’incidente avrebbe potuto portare a tutto il tour.
-Bene- gli rispose Mimi, sistemandosi la frangetta che si era fatta tagliare da Oliver.
A rompere il silenzio, la voce di Bill, che stava provando Monsoon aiutato da una poco sicura Anya, li raggiunse come l'annuncio della Terra Promessa; tutti, nella sala, tirarono un sospiro di sollievo e finalmente poterono tornare al loro lavoro chiacchierando allegramente.
-Ecco io dovrei…- biascicò Gustav, indicando lo sgabello su cui era seduta la ragazza –Dovremmo provare-
-Oh!- Mimi saltò in piedi, scusandosi e prese la macchina fotografica dalle mani del batterista, dirigendosi verso le scale del palco.
-Allora?- urlò Gustav agli altri, sedendosi al suo posto –Proviamo sì o no?-
Bill raggiunse gli altri con un sorriso soddisfatto e subì con allegria le pacche di incoraggiamento che Georg e Tom gli batterono sulle spalle; Anya tornò al suo posto, al suo succo e riprese a succhiare forte dalla cannuccia, facendo cenno a Mimi di raggiungerla.


Perdonate gli eventuali errori. Ali
  
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