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Autore: Fidaide    28/10/2008    2 recensioni
Corre l'anno 1955... Qualcosa di strano accade a Malfoy Manor.
"La tensione crebbe palpabilmente. Pensieri tumultuosi mulinarono nel cervello di Hilda, che, abbrancata da una fitta di paura, si voltò di scatto, mentre il viso del maggiordomo, ritto dinnanzi a lei, sembrava essersi impietrito. Nelle loro vene il sangue fluiva veloce e raggelato.
Alla servitù non era concesso di entrare nella stanza delle armi, la camera preferita dei signori Malfoy, Abraxas e Lysiart, che conteneva una sfilza di stemmi e fucili Babbani, insieme con un mucchio di stampe antiche provenienti da tutte le parti del globo. Ma l’infermiera, colta dal terrore e dall'ansia, dimenticò ogni divieto. Afferrò la maniglia e spalancò la porta della sala sfarzosa. Ai suoi occhi si presentò uno spettacolo agghiacciante..."
Scritta a quattro mani da Fidia e Alaide.
Genere: Drammatico, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XXVIII

Gli attimi che succedettero la crisi epilettica furono saturi di una generale tensione che, per una causa inspiegabile, nessun volto lasciò trasparire. Si consumarono lunghi minuti insopportabili e soffocanti prima che le pupille grigio-azzurre di Abraxas si rimettessero a posto di scatto. Senza preavviso l’uomo, nel tentativo di occultare il proprio imbarazzo e recuperare il contegno perduto, cosa che gli riuscì in maniera esemplare, si resse in piedi e, chiesto il permesso ai banchettanti, andò ai lavandini per sciacquarsi il volto. Charlotte restò interdetta, coi piedi incollati per terra a pochi metri dall’entrata, ma la sua mente non fu capace di prendere alcuna decisione, malgrado, o forse proprio a cagione, di quella forza pressante che ribolliva nel suo animo in attesa di essere sfogata. Sapeva solo che il cuore le batteva con velocità inaudita, che non le importava un bel niente di Megan, di quegli occhi indiscreti e maligni intenti a sondarle il viso, dell’onore della famiglia Malfoy, del suo stesso senso di dignità; in quell’istante di massima confusione, tutto, ma proprio tutto, ruotava intorno ad Abraxas, e il resto occupava una posizione marginale e secondaria nell’universo dell’uomo verso cui nutriva un amore sconfinato e inesprimibile. Lanciò uno sguardo alle pietanze, ai volti seri e tranquilli dei commensali, che sembravano molto, forse troppo distanti da lei, poi ad Abraxas che andava via dalla sala, quindi nuovamente agli uomini e alle donne assiepati intorno al tavolo di ciliegio. Allora la strada giusta le si mostrò con una chiarezza tale da non lasciar adito a tentennamenti. Dimenticò l’ambiente avverso in cui aveva pranzato e, gettando alle ortiche il proprio decoro, emise un’imprecazione di accusa contro i commensali, ignorando tutto e tutti, dando le spalle alla tavola, seguendo poi l’amante con risolutezza fin troppo eccessiva mentre Megan si divertiva a pungolarla con occhiate bieche.
Laureen tirò su col naso, contraendo i muscoli del volto per partecipare adeguatamente al quadro di amarezza venutosi a creare e, nel contempo, distogliere l’attenzione dall’improperio di Charlotte.
«E’ uno spettacolo agghiacciante… Oh, povero Abraxas, in quelle tremende condizioni! Che dramma deve essere, per lui, vivere con la consapevolezza che da un attimo all’altro può coglierlo una delle sue crisi, producendo irreparabili conseguenze. – Si girò verso Megan, che le sedeva accanto. – Non è forse vero ciò che dico, mia cara? Tuo marito è proprio un uomo coraggioso.»
«Proprio coraggioso!» biascicò la donna, scattando in piedi immediatamente e cominciando a martellare il pavimento col tacco dei sandali, per poi seguire la scia del marito lasciandosi dietro un’ondata di palpabile stizza.
Deirdre cercò conforto occhieggiando tutto quello che le stava attorno, ma gli unici occhi pronti a consolarla appartenevano a Zephyrus, il quale la stava fissando con interesse morboso e doppi fini a lei ignoti. La saggista ricusò quello sguardo persistente e si smarrì con l’immaginazione nel cielo plumbeo, che aveva ripreso, dopo una precaria stasi, a rilasciare gocce d’acqua taglienti come lame.
“Un cielo tanto simile a quello che faceva da sfondo nell’incubo di stanotte!” pensò, mentre le parole di Svenson ancora le carezzavano il cervello con la delicatezza di demoni bugiardi.
“E in questa casa sempre alloggerà lo spirito di Necraha. Si impossesserà degli uomini deboli, li farà impazzire, li scuoterà con convulsioni e spasmi.” le disse una voce, rimpiazzata presto da un pensiero che affiorò nella sua mente all’improvviso.
Si era quasi dimenticata le parole di Abraxas Malfoy relative ai passaggi segreti del Manor.
«E' probabile che io non ne sia a conoscenza. Quando ereditai la casa, mio padre non fece accenno a passaggi.»
Era senza dubbio possibile, ed anzi molto verosimile, che il padrone di casa non avesse avuto notizia, in vita sua, degli accessi nascosti presenti nella vecchia magione, dei varchi e dei cammini segreti che le mura camuffavano e di cui si parlava nella piantina che lei aveva scovato all’interno della coperta di marocchino rosso giusto pochi minuti prima. Ciononostante, forse a causa della strana sensazione che la crisi epilettica aveva suscitato in lei, Deirdre si sentì portata a dubitare delle parole, prima giudicate veritiere, di Abraxas Malfoy. Si ripromise di chiedere il permesso, allorquando si fosse ristabilita la calma e dimenticata la crisi epilettica, di visitare il Manor parte a parte nella speranza di individuare i passaggi segreti cui la piantina accennava. Non era da escludere che presto sarebbe potuta spingersi fino a una scoperta sorprendente.


Quando passò dinnanzi ai bagni, Megan scorse Abraxas e Charlotte stretti l’un l’altro in un tenero abbraccio. In quell’istante, la sua vista si oscurò.
Le venne voglia di entrare, di restituire lo schiaffo a suo marito e alla bambinaia, di porre fine alle ingiustizie di cui era vittima e, se necessario, di urlare a squarciagola per esternare tutto quel dolore e tutta quella rabbia che teneva ingabbiati nell’angolo più recondito del suo cuore. Ma quando studiò gli occhi di Abraxas e per la prima volta sentì di essergli lontana, rimase ferma sulla soglia, a spiarli come un’infante triste cui è stato portato via il giocattolo più prezioso. La verità si presentava lucidamente agli occhi della signora Malfoy: quell’uomo attraente da cui era stato condotta all’altare non l’aveva mai amata, ed era inutile continuare a ingannarsi, fingendo che la situazione potesse essere ricucita se solo Charlotte si fosse allontanata dalla magione. Non era lei, non era la bambinaia che aveva fatto disamorare Abraxas, né la donna su cui avrebbe dovuto riversare il suo disprezzo; i colpevoli erano la vita stessa e, soprattutto, quel dio in cui da bambina aveva stolidamente creduto, quel dio che l’aveva fatta così brutta, misera e infelice. Le vennero in mente le frecciate di Laureen, le proprie invettive contro Abraxas e quel suo attaccamento adultero, le scene ridicole di cui si era resa protagonista per colpa di qualcuno che non le aveva mai voluto bene, nel vano tentativo di medicare una ferita insanabile.
“Megan, cosa hai avuto da questa vita?” si chiese.
Il sorriso di Lucius le balenò, come un raggio di luce, nella mente ottenebrata dal dolore, ma automaticamente vide il figlio piangere tra le braccia della bambinaia, con il suo pupazzo prediletto in mano.
«Credo di aver già avuto modo di dirti, Megan, che questo argomento è chiuso. Torna in camera.» E dopo un lungo periodo in cui la donna era andata alla deriva nell’oceano della disperazione, il suo odio le si ritorse contro, dilaniandole il cuore. Sentì la gola arsa, come chi ha urlato e soffocato le lacrime per ore intere.
Abraxas e Charlotte Zurrey si scambiarono un bacio. Correndo per gli anditi, con le lacrime che le rigavano il viso screpolato, piovendo giù sul pavimento levigato, Megan raggiunse il salottino estivo, chiuse la porta a chiave e si gettò sconsolatamente sulla panca di vimini.
“Voglio andare via! – si disse. – Il mondo è falso, crudele, cupido, ed io inutile, illusa e malvagia. Portami via con te, se esisti! Adesso! Adesso!”
Percepiva, nel dirsi queste parole, una forte pressione alle tempie che le faceva mormorare gioiosamente: «E’ finita, sto per morire. – Subentrava quindi la spiacevole consapevolezza di trovarsi ancora in quel mondo tanto abietto. – E anche se morissi? Nessuno piangerebbe per me, per l’inutile, illusa e malvagia Megan Dippet, tradita dal marito, scordata dagli amici.»
Più pensava alla propria vita, più sentiva di essere inutile, illusa e malvagia. Ad un tratto si ricordò di Lysiart, forse l’unico Malfoy che non si era comportato in modo spregevole nei suoi confronti. E che ne era di Lysiart? Marciva nella sua tomba, ridotto a una futile salma sbrindellata.
“Che vita magnifica ci hai donato! Oh, Dio, come potrei esserti grata? Non mi hai dato niente, preferendo gli altri a me.”
La bufera impazzava fuori dal Manor. Megan udì la voce di Abraxas che diceva: «Non può andarsene proprio ora, signorina O’Connor. Parola mia, è forse il temporale più spaventoso cui mi sia capitato di assistere in tutta una vita.»
Megan lasciò che il silenzio interiore la avvolgesse. Aveva trovato una poesia nel cassetto di Abraxas, qualche giorno prima. Lysiart doveva averla scritta in un momento di angoscia esistenziale. L’aveva letta tante volte che era riuscita a impararla a memoria. Cosa diceva?

«Come un topolino in gabbia,
Come un prigioniero ad Azkaban,
Così è il viver mio.
Soltanto oppressione
Anche là dove speravo di trovare libertà.
Oppressione.
Catene
Schiavitù.
Cos'altro è la mia vita se non un cadere da una prigione ad un'altra?
»

“Oppressione, catene, schiavitù.” rifletté Megan. “Non è forse anche la mia vita un soffocamento continuo?”
Ripensò all’altra poesia di Lysiart che conosceva.

L’infausta rovina,
il triste segreto.
La Burattinaia
si cela qui dietro.


Megan chiuse gli occhi. Nel buio della mente le si affacciarono immagini confuse. Charlotte… Ottilia… Patrick… Un quarto ricordo la spiazzò totalmente. Spalancò la bocca estasiata e saltò giù dal divanetto di vimini.
«E’ assurdo, impossibile! Eppure…»
Cinque minuti dopo, in camera propria, scriveva:

Cara Rosamund,
ho bisogno di parlarti al più presto ed in privato. Lascia che la tempesta si plachi, poi raggiungimi al Manor. Credo di aver capito cosa è successo a Lysiart. Ti spiegherò come ho fatto a tempo debito.

Tua affezionatissima,
Megan Malfoy.


Ripose frettolosamente penna e lettera in un cassetto, riuscendo, per fortuna, a non farsi scorgere da Abraxas, che avanzava nella sua direzione. Avrebbe mandato al più presto un gufo all’Auror.
Il caso, ne era certa, stava per essere risolto.


Abraxas, stremato dalla crisi epilettica, scelse di affondare sotto le coperte la propria stanchezza. Entrato in camera, vi trovò la moglie seduta allo scrittoio e rispettò il silenzio religioso in cui ogni oggetto pareva ravvolto, focalizzando la concentrazione su Megan con una sorta di fittizia noncuranza, prima di sdraiarsi, dimenticando poco dopo che gli sembrava di aver visto compiere alla moglie un gesto sbrigativo proprio nell’attimo in cui egli aveva oltrepassato la soglia.
Non per molto Megan fu in grado sopportare l’assenza di rumori in cui la stanza da letto sembrava assopita. Dapprima si alzò, scalpicciando seccamente ed espirando inquieta; poi, non contenta, sentì la voglia di instaurare un seppur banale dialogo col marito, malgrado l’incrollabile muro di inimicizia che si frapponeva nei loro rapporti quando uno dei due apriva bocca per fiatare, sentì la voglia di rompere quell’inerzia molesta, probabilmente allo scopo di convincere se stessa che la circostanza per cui soffriva non era destinata a protrarsi in eterno. Stavolta c’era un elemento ulteriore, qualcosa di fondamentale che avrebbe dovuto rivelare al marito. Sapeva chi era l’assassino di Lysiart e, ora come mai, le premeva annunciare a qualcuno la sua identità. Rosamund sarebbe arrivata solo qualche ora più tardi, forse nel tardo pomeriggio, e non era disposta ad attendere troppo tempo, poiché tanto più i segreti sono interessanti, tanto più, com’è ovvio, si vuole comunicarli. E Megan giudicava più che interessante il segreto che aveva scoperto. Quanto forte sarebbe stata la sensazione di appagamento allorché Abraxas le avesse detto che era nella giusta strada, che aveva scoperto l’assassino ed era stata sagace, non come quell’insolente di Charlotte Zurrey, sempre lì a balbettare frasi di difesa con quella sua manierosa e vomitevole dolcezza, a profondersi in gesti zuccherosi e parole adulanti, con l’aria fastidiosissima di un’innocente condotta al patibolo.
Suo marito stava nervosamente dormicchiando e si volgeva di continuo fra le coperte, sopraffatto ora ondate di calore, ora da brividi freddi. Megan ne fissò i lineamenti netti ma non grossolani, sognando ancora, e per l’ennesima volta, che quell’uomo avvenente la amasse e tagliasse i rapporti affettivi con l’estranea approfittatrice che lo aveva irretito.
«Abraxas…» disse Megan, ma ebbe paura della propria voce e sperò che il marito non l’avesse udita.
Scosse dunque la testa, di modo che, se Abraxas si fosse voltato verso di lei in quel momento, non avrebbe avuto cura di ciò che gli sembrava di aver udito, concludendo che si trattava di una faccenda futile per cui non valeva la pena di spendere energie.
“Ne parlerò a Laureen” pensò Megan, mordicchiandosi il labbro. Ma il ricordo delle parole crudeli che erano uscite dalle labbra della vecchia cugina dopo il pranzo la indussero a mutare proposito. Passò in rassegna tutti gli abitanti del Manor, ponderando da ogni lato la sua scelta. Nessuno le sembrava adatto ad ascoltare ciò che aveva intuito. E, in fondo, sentiva un bisogno bizzarro di tenere per sé quella verità svelata. Il piacere del rischio la convinse che per un po’ non avrebbe condiviso la sua scoperta.
“Se sapesse che so, mi ucciderebbe. Ma sarò abbastanza accorta da non farglielo intuire immediatamente.” si disse, guardando fuori dalla finestra chiusa.
Battaglioni di nubi guerreggiavano senza tregua nella volta plumbea, somigliante a un nero calice rovesciato. Si udiva il frullare di corvi e cornacchie nell’aria refrigerata di quell’infausta estate. Pioveva a dirotto e Megan, ferma, di fronte alla finestra, a meditare, non era affatto sicura che il gufo sarebbe arrivato dall’Auror sano e salvo. Decise comunque di provare a inviarlo, dato che il pensiero di riferire i suoi timori a Rosamund in parte la tranquillizzava, in parte la scuoteva con uno stimolo adrenalinico.
Cinque minuti dopo il gufo partì di volata, con la meta del tutto chiara in mente ed il fatidico biglietto legato alle zampe.


Al secondo piano, Deirdre deambulava lentamente con la cartina del Manor fra le mani. Sollevò la testa quando scorse, attraverso i vetri, le ali di un gufo che si affannava in mezzo alla bufera e non poté fare a meno di chiedersi chi l’avesse mandato. Per un attimo la paura che Abraxas fosse sveglio la assalì, insinuandole nell'animo l’intenzione di tornare indietro.
«Non posso. – proferì ad alta voce, per spronarsi a seguitare nella missione. – Sono in ballo, ormai…»
Sicuramente Abraxas l’avrebbe rimproverata, anche in maniera piuttosto aspra, se avesse scoperto quello che stava per fare.
Deirdre camminò a passo svelto fino a che non giunse davanti all’entrata del laboratorio.
La scritta “Vietato l’ingresso” campeggiava al centro della porta, con un’aria austera che conferiva all’ordine riportato una nota di perentorietà. Nondimeno la mano di Deirdre si posò sulla maniglia, che emise uno scatto secco, rivelando l’interno dello studio chimico.
Non aveva sperato di essere tanto fortunata. Abraxas, evidentemente con l’idea di tornare al laboratorio dopo pranzo, non aveva chiuso la camera e se n’era andato a dormire. Deirdre doveva approfittarne, risoluta com’era a far luce sul dubbio che la tormentava da tempo.
Non appena fu entrata, si chiuse la porta alle spalle e proseguì fra le volute di miasma che aleggiavano ovunque. Secondo la piantina, a pochi metri da lei si nascondeva un passaggio segreto.
Fece qualche passo, nel continuo timore di essere sorpresa. Infine arrestò la sua inquieta marcia dinnanzi al diploma da medimago del padrone di casa, appeso sopra un pezzo vuoto di parete, dietro cui, stando alla mappa che aveva snidato dalla coperta di marocchino, si celava un varco risalente ai tempi di Svenson.
Il muro, come Deirdre ebbe modo di notare, non presentava dei segni distintivi. Le mattonelle erano incastrate fra loro in modo assolutamente ordinario e non c’erano dettagli capaci di richiamare in maniera speciale la sua attenzione. Deirdre sapeva perfettamente che l’apparenza, specie in case misteriose come Svenson Manor, taceva il più delle volte segreti ed arcani.
Diede quattro colpi sul muro con il pugno chiuso, quindi attese, ma non accadde niente. Provò allora ad articolare la formula di un sortilegio, ed ebbe la sensazione che qualcosa si fosse mosso nella parete. Infine, ricordando il metodo che aveva utilizzato in altre circostanze affini per schiudere varchi magici, fece scorrere la punta della bacchetta lungo le scanalature del muro, le quali, in pochi attimi, rifulsero di una luce azzurrina.
La porta dell’accesso si spalancò senza produrre nemmeno il più fiacco rumore.
«Signor Malfoy, durante la sua permanenza in questa casa ha avuto notizia di passaggi segreti nascosti nelle pareti?»
«No. Quando ereditai la casa, mio padre non fece accenno a passaggi.»

“Bugie!” pensò Deirdre. “Indubbiamente il dottor Malfoy conosce questo passaggio, ed anche bene.”
Nella camera nascosta si trovava infatti una quantità spaventosa di ampolle, recipienti, boccette, fiale, vasi comunicanti, calderoni, scaffalature traboccanti di involucri in plastica. Ma ciò che più attirò l’attenzione di Deirdre furono quegli strani frutti verdi-giallasti, molto simili a mele, che si scorgevano in fondo alla stanza, appesi ad un uncino.
“Non dovrei essere qui!” ponderò con rammarico, urtando una grossa boccetta contenente un liquido denso e profumato, forse un'essenza di rose, che le inebriò il cervello e la paralizzò per diversi istanti. “Ma non importa! Se il dottor Malfoy voleva tenere nascosto questo passaggio, avrà mentito anche sugli altri. Ciò significa che…”
Accigliata, indicò con la bacchetta un accesso che, secondo la mappa, si apriva in una zona poco distante del secondo piano.
“…anche questo passaggio è certamente in funzione. Devo parlare con i padroni di casa stasera stessa.”


Il nubifragio ormai declinava, e le ombrose nubi, in un danza soave, migravano verso Oriente, simili a fenici dalle ali plumbee che seguano una melodia esotica, talvolta lacerate da morbide lame che aprivano finestre sullo sfondo. Macchie di forma mutevole, affrescate con la vernice di un cielo crepuscolare, si dilatavano e ramificavano in ogni direzione: le tonalità bluastre andavano a morire felicemente in laghi di nero pastoso e il connubio di diversi colori acquerellava ritratti paesaggistici di somma bellezza. A rilento le gocce d’acqua piovana colavano dal tetto della magione, infangando l’erba fresca del giardino, mentre impasti di terra ed acqua si spandevano a macchia d’olio sul terriccio inumidito. Pur essendosi quietata, l’atmosfera giurava un nuovo acquazzone estivo. Non si percepiva il minimo sentore d’afa, e ogni luogo era immerso in una dolce freschezza primaverile.
Megan Malfoy attraversò il giardino in direzione della cancellata; i suoi sandali lasciarono impronte ben definite sul terriccio, malleabile come cera fusa.
Rosamund Jameson l’attendeva oltre il muro di cinta, guardandosi intorno con palese trepidazione. Adesso che aveva scoperto ogni cosa sull’omicidio, Megan guardava l’Auror con occhi nuovi, sentendosi più sagace e ingegnosa di lei e non vedeva l’ora di comunicarle i dettagli sugli omicidi, i quali, ne era certa, l’avrebbero sconvolta. L’Auror salutò l’amica con calore, camminando sveltamente per il giardino. Percorsero un sentiero che serpeggiava lungo i margini del cortile e raggiunsero infine una radura fuori mano, attorniata da un miscuglio inestricabile di platani e ontani, molto discosta dall’entrata della magione. Mentre si appartavano, qualcuno, da una finestra del secondo piano, le scrutava col terribile sospetto che il suo piano stesse per essere sventato. Nel vedere Megan che scendeva con velocità inusitata per accogliere l’Auror, aveva intuito subito che qualcosa di strano era accaduto. Di lì a sospettare che la donna avesse compreso quanto c'era da comprendere il passo era stato breve.
«Ti sconcerterà, Rosamund. – esordì Megan, cogliendo l’occasione per esibire le sue encomiabili doti teatrali. – Voglio che nessuno ci senta, ed è per questo che ti ho condotta qui. Ho intenzione di non rivelare al mondo intero l’identità del colpevole, perlomeno non adesso. Sono riuscita a capire ogni cosa dopo una crisi epilettica di Abraxas. Mi ero rintanata nel salottino estivo. Dapprima la verità mi è sembrata fin troppo assurda. Quando ho avuto la certezza di essere approdata alla soluzione del mistero di cui tu ti stai occupando, mia cara Rosamund, non stavo più nella pelle.»
L’Auror annuì, esortando l’amica a rivelare il nome dell’assassino. Megan lo pronunziò molto in fretta, passando subito all’argomentazione della sua tesi. Proprio mentre la stava esponendo, sentì un ramo spezzarsi fra i cespugli, un’imprecazione sorda e uno scalpiccio. Si voltò appena in tempo per vedere una figura misteriosa che sgusciava nell’albereto della magione. I suoi gesti furono immediati, ma non giovarono a granché. Quando si aprì una breccia tra i cespugli, Megan dinnanzi a lei non vide che il profilo bieco della magione. La figura, chiunque fosse, si era dileguata.
«Torno subito.» disse all’Auror, che era rimasta nella radura col volto sbiancato, sconvolta dalla rivelazione di Megan.
Mentre la padrona si allontanava, Rosamund sentì affluire il sangue alla testa. Aveva il timore che qualcuno avesse udito la loro discussione. Era certa che un abitante del Manor si fosse nascosto per origliare e poi fosse fuggito.
Anche Megan era in ansia. Alzò gli occhi verso le finestre del secondo piano. Le tendine erano tutte chiuse. La figura che poco prima aveva osservato dall’alto Megan e Rosamund che si appartavano si era precipitata al pianterreno il più velocemente possibile, aveva attraversato il giardino, ascoltando parte della discussione fra le due donne. Accidentalmente aveva urtato una pietra, rovinando per terra e schiacciando un gruppo di sterpi con le ginocchia. La figura misteriosa era certa che Megan fosse partita subito per inseguirla; tuttavia la padrona di casa non l’aveva vista in faccia, su questo non c’era dubbio. Era sgattaiolata via dalla donna, entrando nel Manor prima che potesse ripercorrere il sentiero.
Dieci minuti più tardi, Rosamund, non vedendo tornare l’amica nella radura, entrò in apprensione. Si guardò intorno, cercandola con rapide occhiate, ma non riuscì a trovarla. Il nervosismo del suo animo sfociò in un gesto che denotava una sentita paura. Corse fino all’ingresso della magione, credendo di trovarvi l’amica. Non si ingannò. La signora Malfoy se ne stava dinnanzi all’ingresso, con gli occhi che saettavano sulla figura di Charlotte, quanto mai tranquilla e serena nella sua giacca felpata, portando Lucius in braccio.
«Che ci fa lei qui, signorina Zurrey?» aveva chiesto Megan accigliata.
«Ho portato in giardino Lucius come di consueto, signora Malfoy.»
«Sa che è vietato ascoltare le discussioni private.»
«Vuole forse accusarmi di un reato che non ho commesso? Non ho idea, realmente, della discussione alla quale si sta riferendo. Come ho avuto modo di dirle or ora, portavo a spasso Lucius.»
Rosamund giunse in quell’istante vicino all’amica, esclamando: «Credevo di non trovarti, Megan! Mi sono preoccupata.»
«Forse ho trovato la persona che abbiamo visto fuggire dalla radura, mia cara. Tanto per cambiare, è Charlotte Zurrey la ficcanasa.»
Rosamund si mostrò piuttosto imbarazzata. Charlotte Zurrey squadrò l’Auror dalla testa ai piedi e con estrema curiosità, mentre Lucius si dibatteva fra le sue mani.
Quel greve silenzio finì con l'ingresso in scena di Deirdre, che, dopo il temporale, andava via dal Manor. Megan si voltò per fulminare Charlotte, mentre Rosamund salutò cordialmente la bambinaia e la saggista. Il segreto nascosto sembrava aleggiare sulle quattro donne.


Ecco a voi un altro capitolo!
Un grazie particolare a Vekra e Thiliol per le loro spettacolari recensioni. Purtroppo non abbiamo il tempo necessario per rispondere come si dece alle vostre recensioni.
Un grazie a chi legge soltanto e a chi ha messo la storia tra i preferiti.

  
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