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Autore: Uccellino Assurdo    17/11/2014    2 recensioni
Trieste ha una scontrosa / grazia. Se piace, / è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli occhi azzurri e/ mani troppo grandi / per regalare un fiore; /come un amore / con gelosia. (Umberto Saba, Trieste)
Trieste, 1914. Nella città "crocevia di popoli e di culture" per eccellenza la storia dei due fratelli Vargas, Romano ed Alice, che vedono la loro vita sconvolta dall'avvento della Grande Guerra e dell' amore...
Nota: presente Fem/Italia del Nord
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ecco che vi porto il V capitolo. So di essere molto lenta, ma il tempo che ho a disposizione non è mai molto e cerco di limare e ricontrollare più volte il capitolo prima di postarlo (anche se sicuramente ci saranno qui e lì refusi che mi sono sfuggiti). Ringrazio tutti coloro che, nonostante i suoi molti limiti e difetti, continuano a leggere questa fan fiction e, come al solito, invito chi voglia lasciare messaggi, commenti, recensioni ed insulti a farlo pure; non possono che farmi piacere!

A tutti una buona lettura e alla prossima (spero presto!).

Cap. V

Da qualche tempo a quella parte il comportamento di Alice destava in Romano una preoccupazione non indifferente; non si poteva dire che la sorella fosse triste o spenta ma ultimamente era più tranquilla del solito: guardava trasognata il nulla, sorrideva e arrossiva da sola, spesso la vedeva scribacchiare nel suo vecchio album da disegno, alternava momenti di mutismo sognante ad altri in cui cantava quelle sue ridicole canzonette senza senso.

«Devi credermi, ha qualcosa di strano; rimane imbambolata per ore, non mi risponde quando le parlo, sembra che stia nel mondo dei sogni…il colmo è arrivato ieri sera!»

«Che ha fatto?», chiese Antonio.

«Ha scotto la pasta!», rispose tetramente Romano.

«Oh, Virgen Santa…».

«Ebbene sì, è troppo strana, anche se…». Si fermò dal dire quello che stava pensando in quel momento, ma la verità era che Alice gli sembrava più bella. Anche quella mattina, a colazione, la ragazza aveva una luce particolare negli occhi, un sorriso più incantevole del solito, un aspetto più fresco: forse era l’abitudine che aveva preso di lì a qualche tempo di sciogliere i capelli o acconciarli con nastri e fermagli, e ultimamente metteva più cura nel vestire; avrebbe potuto sbagliare, ma a Romano sembrò di aver intravisto addirittura un filo di trucco. Ma doveva essere una sua impressione. Era sicuramente solo una sua impressione.

Ad Antonio faceva piacere che Romano si confidasse così con lui. «Chi lo sa…», disse, «secondo me è innamorata!»

Romano si girò verso lo spagnolo con sguardo di fuoco, «Inn…amorata?».

Una terribile consapevolezza iniziò a farsi strada nella sua mente. Non sarà…quel tedesco? Quel bastardo, maledetto, lurido mangiapatate, non poteva essere, era da escludere, non la sua sorellina, non Alice!

«Cosa c’è», chiese Antonio, accorgendosi di come l’amico dopo le sue parole fosse sprofondato in un umore nero, «se fosse così dovresti esserne felice, è una bella cosa essere innamorati!»

«Ci sono amori che è meglio che non nascano!»

«Cosa dici, perché?»

«Perché sono amori sbagliati, faranno solo soffrire». La sua mente tornò alle lacrime di sua madre, piangente e disperata, aggrappata a lui e ad Alice, il giorno in cui le comunicarono la morte del marito. Nessuno di coloro a cui voglio bene dovrà piangere più così, pensò quel giorno Romano.

Antonio dal suo canto rimase per un po’ in silenzio, poi si voltò verso l’amico e disse: «Io non sono nessuno per sapere cosa sia giusto o sbagliato, ma credo che nessuna forma d’amore possa essere considerata sbagliata, neanche quella che ti porta dolore. L’amore è l’unica cosa che ti fa sperare che il mondo non sia quella massa di disperazione e ingiustizia che tante volte sembra».

Romano non riuscì a rispondere.

II

Era arrivata l’estate. Il sole che entrava ogni giorno dalle finestre ormai sempre spalancate dell’ufficio del signor Ludwig era splendente e caldo, e questa sensazione veniva accentuata quando un’altra luce ancora più brillante invadeva la stanza.

«Buongiornooo!», cantilenava Alice, ogni mattina e si metteva allegramente al lavoro.

«Buongiorno, signorina…», rispondeva Ludwig, il più delle volte accennando un sorriso. Quel sorriso che aveva sorpreso Alice la prima volta era ora diventato molto più frequente e molto più bello di quanto lei avrebbe creduto. Anche se negli ultimi giorni Ludwig sembrava come agitato da qualcosa di incomprensibile.

L’occasione che aspettava e che nello stesso tempo temeva si presentò al rientro a casa quella sera. «Torna a casa da sola?»

«Sì!», rispose la ragazza sperando nella proposta che sarebbe effettivamente seguita.

«Se non la disturba possiamo fare un tratto di strada insieme, vado da quelle parti». Alice aveva capito che non era vero, e la cosa le fece immensamente piacere.

Camminavano in silenzio già da un po’ quando lei si rese conto che Ludwig, rosso in viso, sudava copiosamente e si asciugava continuamente con un fazzoletto ormai fradicio.

«Fa caldo, vero?»

«Oh sì, moltissimo. Non ho mai sentito tutto questo caldo», commentò lui; poi prese coraggio: «Sa, ho ricevuto giorno fa una lettera di mio padre dalla Germania».

«Oh, mi fa piacere! Non lo sentiva da molto? Sta bene?» rispose Alice come se si fosse trattato di un suo parente o conoscente.

«Non è per questo, lui mi ha proposto di tornare per un breve periodo in Germania per…», si schiarì la voce, «farmi conoscere una giovane donna che, a suo parere, sarebbe per me la moglie ideale. Non so perché ma si è convinto sia arrivato il momento di sposarmi».

Ad Alice si fermò il cuore. «E lei cosa ha risposto?»

«Ho rifiutato»

«Perché?»

«Gli ho scritto che ho già chiesto la mano ad una ragazza di cui mi sono innamorato e di cui attendo la risposta, e che quindi non avevo intenzione di sposare nessun altra fuorchè lei». Conciso, chiaro, diretto, esattamente come lui.

Quella strada inondata dalla luce del sole d’estate, che solo perché era insieme a Ludwig, sembrava il paradiso, si trasformò per Alice in un buio, freddo tunnel in cui ogni attimo passato divenne una tortura.

«Oh, i miei…i miei più sinceri auguri, signor Beilschmidt», riuscì a trarre fuori dalla gola, in uno spasmo.

Innamorato di una ragazza a cui aveva chiesto di sposarsi, forse era una di quelle belle donne tedesche, bionde e flessuose, eleganti e raffinate che ogni tanto vedeva passeggiare per la città, una donna che avrebbe fatto una magnifica coppia con lui. Cosa poteva aspettarsi allora lei, piccola e insignificante, goffa e petulante, che non sapeva far altro che piagnucolare e macchiare un intera stanza di caffè bollente. Eppure, perché adesso un dolore così forte le serrava il petto e la gola, tanto da non farla quasi respirare, perché non voleva far altro che arrivare il prima possibile a casa? Perché, nonostante il caldo di quel giorno, lei sentiva un freddo insopportabile attanagliarle il cuore?

«Spero che lei accetti la sua proposta, spero…», e non potè fermare le lacrime e i singulti, «spero che sia felice, perché…signor Beilschmidt, lei merita di esserlo e io…io sono…».

Ludwig si maledisse mentalmente e maledisse come fosse riuscito, nonostante le sue intenzioni, a farla scoppiare a piangere; niente da fare, non ci sapeva fare con i rapporti umani.

«Ma no, non ha capito niente! Aspetti!», e agitato la fece sedere su una panchina a un lato della strada. Vederla piangere a causa sua gli strinse il cuore; con uno sforzo che dovette sembrargli inumano le prese una mano fra le sua, grandi e tremanti. Cercò di guardarla negli occhi, sempre con voce fremente e agitata: «Io non sono bravo a dire le cose e non so come trattare con le persone, alla fine risulto sempre freddo o addirittura minaccioso, quindi questa non sarà una dichiarazione molto romantica».

Alice lo guardava con gli occhi ancora pieni di lacrime. «Quindi, ecco…», frugò nelle tasche nervosamente tirandone fuori una scatolina di velluto. «La ragazza di cui parlavo prima era lei… insomma, non so come si dice in italiano ma…Ich Liebe Dich! ».

Visto che Alice continuava a fissarlo muta, con i grandi occhi sgranati e stupefatti, reputò di dover essere più chiaro e, trattenendo il respiro, convogliando tutto il coraggio che stava abbandonandolo, ricercando le parole più adatte, buttò d’un fiato: «È riuscita a dare alla mia vita quella luce e quel calore che da troppo tempo mancava e che ho provato solo nei momenti in cui ho camminato al suo fianco… vuole continuare a camminare insieme a me per tutta la vita?»

Alice lo fissava ancora agghiacciata.

«Lei mi vuole rendere le cose ancora più difficili», sospirò disperato Ludwig. Stava iniziando a rilasciare la tensione accumulata: «Per favore dica qualcosa, qualsiasi cosa! Le sto dicendo che la amo…Ich Liebe Dich! ICH LIEBE DICH!!», gridò ormai esasperato e con la mente piena di emozioni sconosciute e per lui ingestibili.

Alice fece un micromovimento.

Sicchè Ludwig si aspettò che accadessero due cose: la prima, la più terribile, era che la giovane non accettasse, rifiutasse garbatamente la proposta dimostrandogli di aver equivocato, o peggio scappasse scandalizzata; la seconda era che, guardandolo teneramente ma timidamente negli occhi, annuisse silenziosamente mentre lui emozionato le metteva il semplice anello al dito. Be’, non accadde niente di ciò. Perché appena pronunciata l’ultima sillaba Alice tirò a sé Ludwig, premendo le labbra sulle sue, senza nessuna apparente intenzione di lasciarlo.

«Signorina, non..», annaspò lui, dopo un primo momento di languido abbandono, cercando imbarazzato ma a malincuore di divincolarsi, «non in mezzo alla strada!»

«Non sono più una signorina per te, sono Alice», rispose lei tenendoglisi ancorata, «e tu sei il mio Ludwig!»

III

La mattina di qualche giorno dopo, Alice si avvicinò al fratello con l’atteggiamento di chi sta il cercando il momento buono per parlare. «Romano, devo parlarti di una cosa»

«Adesso no, devo andare a lavorare», rispose Romano ormai quasi alla porta.

«No, preferirei stasera»

«Stasera ho da fare, è urgente?»

Alice lo guardò confusa per un attimo: da quando in qua suo fratello aveva da fare di sera? «Dove devi andare?»

«Quel bastardo spagnolo mi ha estorto la promessa di uscire insieme a lui e quegli esagitati dei suoi compari… »

La ragazza si illuminò di eccitazione. «Ah, Romano! Sono così contenta che tu abbia trovato degli amici! Lo sapevo che frequentare Antonio ti avrebbe portato soltanto bene. L’ho capito subito che eravate amici per la pelle!!», esclamò entusiasta e in movimento, dimentica della delicata notizia che aveva intenzione di riferirgli.

«Non sono affatto amici!», si affrettò di sottolineare, «mi ha costretto, e io per zittirlo una volta per tutte ho accettato. Ma non ti preoccupare, ho intenzione di tornare più presto che posso!»

In realtà le intenzioni di Romano avevano un doppio fine; aveva capitolato solo perché Antonio si era lasciato scappare l’eventuale presenza, quella sera, del fratello mangia patate maggiore, ovvero quell’onnipresente “signor Ludwig” che tanta preoccupazione stava iniziando a dargli. Voglio vedere in faccia e di persona questo crucco e sincerarmi che davvero i miei sospetti siano infondati… quando capirò che non è possibile che Alice abbia coinvolgimenti di qualsiasi tipo con quel tizio mi sentirò molto meglio.

«Vee, allora vai pure, fratellone! E divertiti, ti parlerò dopo!»

Quella sera, dopo aver sistemato il banco al mercato, Antonio e Romano si diressero al centro. Si trovarono ad una locanda che a quanto pare i tre amici frequentavano spesso. Era un posticino grazioso, dovette ammettere Romano, frequentato a prima vista da universitari, forse intellettuali, dove si beveva e mangiava in compagnia di un’orchestra molto simpatica. Credevo mi portasse in qualche bettola da ubriaconi, pensò.

«Guarda guarda», disse ironico Gilbert, «stasera anche il nostro triestino preferito ci onora della sua presenza!»

«Certo, buonasera Gilbert», rispose Romano non meno velenoso, «il tuo bernoccolo da padellata è guarito? La botta è risuonata per tutta la piazza, si vede che la padella ha colpito qualcosa di cavo»

«Taci, moccioso!», lo zittì, «tu e quella piccola gallina da combattimento! Certo che ha un bel caratterino», e ripensandoci si massaggiò il punto sulla testa dove era stato colpito. Peccato, perché se quella vipera non fosse stata così petulante e violenta, sarebbe stata persino carina; ci stava facendo giusto un pensierino prima della padellata.

«Non fare il solito», lo ammonì Francis, «e poi a me Romano piace molto! Vedrai, ti divertirai stasera!»

Con una rapida occhiata l’italiano controllò che ci fosse anche qualcuno di simile ad un tedesco con la compagnia, ma non era con loro a quanto pare.

«Gilbert, tuo fratello non è venuto», chiese Antonio.

«Macchè! Non è voluto uscire, ultimamente vive in un mondo tutto suo! Trieste lo ha rimbambito!»

Dannazione, sono venuto per niente! , pensò Romano.

«E lei invece è arrivata?», chiese a un tratto Antonio, guardandosi intorno.

«Oh, oui, ci sta aspettando al tavolo; guarda, proprio laggiù!» e Francis indicò il tavolo dove era seduta una ragazza che guardava nella loro direzione e agitava una mano. Era molto carina, alta, formosa, con morbidi capelli biondi e vispi occhi verdi; Romano si dimenticò dell’odiato e sconosciuto tedesco.

«Antonio! Ciao, sono felice di rivederti!», esclamò lei.

«Anche io, sei sempre più bella!», rispose, «vi presento: lui è Romano, lavora insieme a me; Romano lei è una nostra amica, Anri!»

«Piacere!», disse lei, manifestando un indubbio accento francese.

«Ah, ehm, piacere», rispose emozionato il ragazzo. «È francese?», chiese poi di parte ad Antonio.

«No, è belga! (1)», disse, «Lo avevo promesso a tua sorella, che ti avrei trovato la fidanzata!»

«Cosa vuoi dire, che l’hai portata per presentarla a me?!!»

«Io ti ho semplicemente invitato a una chiacchierata fra amici, poi suppongo possa accadere di tutto…», fece serafico lo spagnolo.

«Bastardo…»

«Ah, ah! Non ti piace?»

«Chi?!»

«Anri, secondo me formereste una coppia perfetta! È bella!»

Sì, era bella, molto bella, questo Romano lo doveva ammettere. E più volte quella sera, mentre i quattro amici bevevano e ridevano fra loro delle vecchie avventure e disavventure di cui Romano non poteva far parte, si era ritrovato a fissare il viso, le mani, il seno di quell’affascinante giovane che rideva spensierata, distogliendone subito gli occhi.

«E tu Romano, non dici niente? Non ha i detto una parola per tutta la sera», disse Francis, reso più allegro dal vino, «stiamo parlando solo noi! Raccontaci qualcosa!»

«Non ho nulla di divertente da raccontare», fece lui laconico.

«Mh, se sei così musone e scostante le ragazze si annoieranno subito a stare in tua compagnia», continuò nemmeno tanto serio il francese, prendendo un altro bicchiere.

«Io lo trovo molto carino, invece», disse Anri, sorridendogli in modo sbarazzino.

Romano avvampò. «Sentito, ragazzino?», fece Gilbert, «a quanto pare hai fatto colpo!»

Aveva notato che il locale era conosciuto e frequentato dai tre amici, perché qualche volta ragazzi e ragazze passavano dal tavolo dando un cenno o un saluto. «Ci venite spesso qui?»

Francis accese una sigaretta. «Sì, dal primo anno di università…»

«Perché tu vai all’ università?», chiese scettico.

«Sì, ci siamo conosciuti lì, io, Gilbert e Antonio!»

Questa poi. Voleva dire che quello spagnolo bastardo aveva frequentato l’università? Si era laureato? Le cose che lo riguardavano chissà perché sembravano sempre avvolte dal mistero, da una patina di ambiguità che Romano non si spiegava.

Le sue riflessioni vennero interrotte quando le luci della piccola sala vennero smorzate e l’ aria si riempì del suono di una dolce, lenta musica; l’orchestra aveva iniziato un pezzo languidamente romantico e già alcune coppie si erano alzate per prendere parte alle danze.

«Portatemi a ballare», disse Anri.

«Ti ci porta Romano»

«No, io non so ballare…»

Ma Anri si era già alzata porgendo la mano e il suo sorriso a Romano, che, col cuore in gola, si alzò gettando un ultimo sguardo ad Antonio. L’amico gli fece un segno d’assenso e lo guardò allontanarsi.

«Ma guardalo quel ragazzino, non sa neanche dove mettere le mani!», sghignazzava Gilbert, riempiendosi un altro boccale di birra. Infatti Romano era comicamente impacciato, non riusciva a sostenere lo sguardo della compagna, che ogni tanto gli diceva qualcosa ridendo. Un po’ alla volta si avvicinò a lei, poggiando le mani incerte sui suoi fianchi, mentre lei le cinse con le braccia le spalle iniziando a muoversi sinuosamente, seguendo la lenta musica.

Antonio guardava i due ragazzi uniti in quella sorta di abbraccio indugiante, li guardava e si disse che era tutto esattamente come doveva essere. Lui lì seduto e loro, soli, muti, uniti in un’ impenetrabile, languida, tenera musica; Anri che si stringeva sempre più vicina a Romano e lui che a poco a poco si rilassava contemplando, ad occhi chiusi, quell’attimo così diverso e nuovo. Sì, aveva fatto bene a portare lì Romano. Il suo Romano, che adesso ballava stretto ad una ragazza e sembrava così teneramente felice.

«Scusa», disse a un cameriere, «me ne porti un’altra, per favore?», indicando il boccale di birra.

«Vacci piano, lo sai che non reggi l’alcool tu!», disse sbraitando Gilbert, che ormai sembrava piuttosto esaltato anche lui.

Ma ormai Antonio non lo ascoltava più, continuava a guardare solo la coppia nella pista, Anri che stringeva Romano e adesso aveva iniziato a sfiorargli delicatamente i capelli. Chissà cosa provava, pensò. Toccare i capelli di Romano, il suo ricciolo ribelle, il suo viso, le sue labbra, la sua pelle, le sue mani, sentire il suo calore, stringerlo a sé, cosa avrebbe provato? E un bacio, un solo bacio… cosa non avrebbe fatto per sfiorare con le sue le labbra di Romano; un contatto anche di un solo, misero, fugace secondo gli sarebbe bastato tutta la vita.

«Antonio?». Francis lo guardava sottecchi, aveva notato lo strano sguardo che aveva assunto nell’osservare i due ragazzi, e le birre che stavano diventando troppe per lui.«Antonio, cosa c’è che non va?»

«Niente», negò lui, «davvero, non c’è niente. Tutto è esattamente come dovrebbe essere». Svuotò l’ultimo bicchiere d’un sorso. «Fammene portare un’altra…»

IV

Era ormai l’una di notte passata quando, per le strade di Trieste, si intravidero tre figure emergere da lontano barcollando; in realtà a barcollare era solo una, le altre due tentavano alla bene e meglio di sorreggerla o di trattenerla, a seconda dei casi.

«Tu, bastardo ubriacone senza ritegno!», imprecava a denti stretti una.

«Toni, mon ami, te lo avevo detto di non esagerare…», cercava di dire l’altra. «Gilbert ha accompagnato Anri, visto che abita vicino a casa sua, mi serviva qualcuno per portare a letto questo incosciente; grazie, petit Romano!»

«Lasciamo perdere guarda, lo sapevo che non era serata…»

«Su, non abita lontano»

Ad un tratto Antonio si divincolò, prendendo a cantare a squarciagola per strada: «Vamos, España! Vamos, España! Izo la Rojigualda!! (2)»

«Che cazzo canta ora, questo idiota?!», inorridì Romano.

«Non ti preoccupare, è nella norma! Fa sempre così quando si ubriaca… è la prima fase!»

« Protegeré todo lo que me importa ¿Me dejas que te anime? ¿Me dejas? ¿Eh, me dejas? (3) », continuava a intonare, rivolto a Romano, sempre con lo sguardo annacquato e offuscato dall’alcool.

«E quale sarebbe la seconda fase?». Antonio si zittì un attimo, per poi riversarsi in un angolo a vomitare.

«Questa»

Riuscirono in qualche modo a riportarlo a casa; Francis sembrava ormai avvezzo, notò Romano. Lo stese sul letto e lo fece mandar fuori tutto, reggendogli delicatamente la testa. «Dai, Toni, da bravo, butta giù tutto…».

Romano si sentì quasi fuori posto, non era abituato a quel genere di emergenze. «Che posso fare?»

«Cerca dei limoni e facci una spremuta. Credo che almeno limoni ne abbia in questa casa!». Romano eseguì docilmente gli ordini; tutto sommato, per quanto il francese gli stesse antipatico, doveva ammettere che sembrava effettivamente un buon amico per Antonio; per tutto il tempo lo assistette senza lamentarsi e in modo molto fraterno e dolce. Pensò che doveva essere così che si comportano gli amici.

«Come sta?», chiese, portandogli la limonata.

«Tranquillo, è solo una sbornia, ne ho viste di peggio!», rise Francis, «si è liberato; ora dormirà come un masso fino a domani e si sveglierà con un grosso mal di testa, dopodiché sarà di nuovo il nostro solito Antonio!».

Si lavò le mani e prese una sigaretta. «Chissà se ha un fiammifero da qualche parte…»

«Sì, sono qui…»

«Grazie», si accese a sigaretta e si sedette vicino al letto, guardandosi intorno, «sai, sono anni che lo conosco, e non ho mai capito cosa gli sia venuto in mente a venire ad abitare in questa topaia! Fra poco gli cadrà il soffitto in testa!»

«Non se ne è mai lamentato, ma credo che se potesse la cambierebbe…», disse Romano; non voleva entrare in merito a cose che non lo interessavano.

«Se potesse! Potrebbe eccome! Se solo non si fosse messo in testa di mettersi a fare il fruttivendolo, con tutti i soldi che ha!»

Romano rimase sbigottito e per un attimo credette di non aver capito: soldi, Antonio? «In che senso, scusa?», non potè fermarsi dal chiedere.

«Ma sì, se solo non fosse così testardo e orgoglioso da non chiedere soldi al padre in Spagna, potrebbe vivere come si conviene a uno come lui»

«Come lui? A me ha detto solo che i suoi avevano dei terreni in Spagna, ho creduto fossero dei contadini»

Francis lo fissò sgomento e divertito. «Contadini? i genitori di Antonio…contadini?!». Scoppiò a ridere, tossicchiando per il fumo della sigaretta. «Ma allora non ti ha detto proprio niente, non sai che è Antonio?»

Romano scosse la testa. «Antonio è il figlio Juan Armando Fernandez Carriedo… il più grande e ricco latifondista di tutta Madrid!»

V

Antonio iniziò a dare segni di vita qualche ora dopo, quando Romano era già andato via. Francis, che era rimasto seduto vicino a lui, si riscosse e si avvicinò all’amico. «Mmh…Romano…», mormorò lo spagnolo, ancora in una dormiveglia agitata.

Francis sorrise fra sè e sé, ma di un sorriso amaro. «Sciocco amico mio», mormorò scostandogli delicatamente i capelli dalla fronte imperlata di sudore, «ti sei innamorato di quel ragazzino. E pur di stargli vicino saresti disposto a guardarlo da lontano per sempre e ingoiare veleno per tutta la vita, senza fargli capire mai nulla...e lo hai pure buttato fra le braccia di Anri! Sei davvero la persona più stupida che abbia mai conosciuto».

Antonio si rigirò ancora sul letto, lamentandosi sommessamente. Francis gli sfiorò le labbra con le sue. «Se avessi mai guardato me come guardi lui non avresti avuto questo genere di problemi, sai?».

Andò via solo quando il respiro di Antonio ritornò ad essere sereno.

Note:

  1. Si tratta di Belgio naturalmente! Anri è uno degli eventuali nomi che Himaruya ha suggerito per lei.

  2. Andiamo Spagna! Andiamo Spagna! Alzo la Rojigualda! (il nome della bandiera spagnola). È un verso di “La pasion no se detiene”, character song di Spagna. Anche i versi successivi sono della stessa canzone.

  3. Proteggerò ciò che mi è caro. Lascia che ti rallegri! Giusto? ehy, giusto?

   
 
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