Harry
Un altro giorno perso, un altro giorno vuoto.
Trascinato, come quando ti alzi dal letto e ti porti dietro il piumone. Ora
capisco perché Lux fa i capricci senza la sua copertina grigia, comunque. Vuoi
mettere la promessa rassicurante di una certezza? Vuoi mettere avere sempre
appresso qualcosa che ti ricordi che sei ancora sveglia, ancora viva, che ti
faccia compagnia durante la notte, che vegli su di te e mandi via gli incubi?
Soprattutto se non ci sei tu.
Il maglione rosso che hai lasciato sulla sedia è la
mia ancora nei giorni in cui mi sembra di impazzire, mi ricorda che c’eri e
stavi con me. E’ brutto da morire da quando non ci sei, da quel “non capisci
mai un cazzo” e le porte sbattute. Sta con me sotto il cuscino e sul bracciolo
del divano, quando studio me lo metto addosso anche se mi sta cosi grande che
le maniche mi coprono la mani. Ma io faccio finta che siano le tue e mi tengo
al caldo, o mi tengo e basta. Cerco di trattenermi in questo maglione sformato
che mi pizzica la pelle e la arrossa e cerco di non pensare ai tuoi baci. Mi
trattengo anche se non è bello, non è facile e l’aria nel polmoni arriva sempre
troppo lentamente. Spaccata a metà e tu nel centro. Ho riattaccato con lo
scotch le foto che hai strappato e ogni giorno combatto con l’impulso di
bruciarle nel caminetto. Non riesco a capire come tu senta la necessità di
mettere tutti questi chilometri e tutti questi giorni tra di noi per un litigio da niente, come può
una singola parola mettere in crisi tutto e portarti via da me. Non me lo
spiego e ci perdo il sonno. E se invece parlassi con me e rimanessi potrei
imparare a non ferirti più. Potrei capire ed evitare di stare cosi. Harry,
farei qualsiasi cosa per non sentirmi mai più cosi. Mi chiedo se mi pensi mai e
se non hai voglia di tornare, se ti manco io che “sei ossigeno”. Stamattina ho
pensato di venire a prenderti, ho preso le chiavi della macchina e le scarpa da
ginnastica, ma tu dove sei? Dove devo venire? Dove stai andando? Dove siete tu
e questa maledetta incapacità al perdono e la tolleranza? Perché devi punirmi
in questo modo? E tu? Adesso ti senti meglio? Adesso che hai costruito il tuo
muro, per tenermi fuori?, per tenere te dentro?, cos’hai risolto?
Cosa fai li nascosto e chi sa se ogni tanto manca un po’ l’aria o forse manco
io.
Ho cercato di mettere ordine in casa, l’ho fatto per
te, per i tuoi spazi, i tuoi muri, le cose che non riesco a capire. Ho aperto
tutte le tende e il balcone della cucina, per fare chiarezza. E’ strano come
sia tutto a posto, tutto li dov’era ma manchi tu e sembra improvvisamente
vuoto, come se avessimo traslocato. Prendo il telefono e compongo il tuo
numero, mi strofino gli occhi sporcandomi le dita di trucco e sospiro. E’ un’altra
chiamata a vuoto a cui non risponderai.
“Sai cosa c’è, Harry?” stringo la cornetta con due
mani, incurante del fatto che dall’altra parte squilla ancora. “Mi hai
stancato. Tu e i tuoi cazzo di silenzi. E’ facile girarmi le spalle e dire che
non capisco, ma tu quante volte hai provato a mostrarmelo, a spiegarmi? Cosa
pretendi esattamente da me? Cosa vuoi che ancora non ti ho dato? Prenditelo,
Harry, maledizione, prenditi tutto. Mi hai esclusa, tagliata fuori. Sto elemosinando, e mi sento un’idiota, un po’ del tuo
tempo, della tua pazienza, puoi farlo? Puoi rispondere per favore e dirmi
quello che hai da dire? Puoi far finta solo per un attimo che non sia cosi
dannatamente stupida e parlare con me?”. Il mio respiro echeggia nel telefono,
sono le sette di sera e ho ancora voglia di piangere. “Ti prego, Harry”, sto davvero
pregando la tua segreteria? Ma le segreterie singhiozzano?
“Harry?”
Sento il tuo respiro affettato e ti immagino con le
spalle chine poggiato al muro di una stanza quasi vuota. “Harry, torna a casa. Per
favore. Mi senti?”
“Si”, tiri su col naso.
“Dove sei?”
“Non importa”
Ti supplico.
“Sto tornando”
“Mi manchi, Harry”.