Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Ricorda la storia  |      
Autore: Bloodlily    28/10/2008    0 recensioni
Mi volto per andarmene. Uno specchio. Mi avvicino ad esso, fino a toccarlo con la mia mano. Ma la mia mano non viene riflessa. // Prima fic originale che posto... Enjoy ^__^ Bloodlily
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ed ecco che posto uno dei miei racconti sui vampiri. Questo è un lavoro che ho scritto all’inizio di questa estate, di cui vado molto orgogliosa. Credo che sia il racconto che finora mi è venuto meglio.

Vi presento Isabella.

Ogni mio vampiro ha un nome.

Questo è il suo.

Buona lettura.





Sull’Orlo Della Morte





Quanto è bella la neve… Cade silenziosa dal cielo, ricoprendo tutto con il suo manto soffice e bianco, ma altrettanto gelido.

E quanto è bello il gioco di luci che viene a crearsi, quando il sole si rifrange su questo fragile tappeto. Colori sgargianti si liberano in ogni direzione, trasformando un umile prato innevato in una distesa di diamanti.

Ma tutto questo è solo il lontano e vago ricordo di quando ero ancora umana. Adesso mi devo accontentare di uno scenario lunare, che restituisce solo un’infinitesima parte dello spettacolo di cui godevo un tempo.

La luna… solamente un debole riflesso della luce del sole, una pallida ombra di qualcosa di più grande, splendente e divino.

La sua luce non scalda.

So che la luce del sole, invece, è calda, anche se oramai non rimembro più la sensazione dei suoi raggi sulla mia pelle. Anche questa, una lontana reminescenza del passato.

Forse il sole e il suo calore sono le uniche cose che davvero mi mancano in questa mia non-vita.

Il resto, non ha più importanza. Gli affetti, le persone importanti e a me care, le ricchezze, i luoghi, gli oggetti, la vita… tutto è destinato a logorarsi, a morire, a decomporsi… tutto è privo di valore e di significato, di fronte all’infinita immortalità.

Tutto tranne il sole.

Il sole è destinato a splendere in eterno, come io sono condannata a vivere per sempre.

Spesso ho la tentazione di sottrarmi a questo mio destino, di morire una seconda volta e porre fine ai miei tormenti. Allora salgo in superficie, quando s’appresta l’alba, guardando l’orizzonte schiarirsi, anelando a contemplare il sole un’ultima volta, prima di venire divorata dalle fiamme purificatrici.

L’oggetto della mia venerazione è lo stesso della mia rovina.

Ma ogni volta mi manca il coraggio.

Per quanto io desideri porre fine alla mia non-esistenza, l’istinto di conservazione mi costringe a tornare nel mio rifugio sotterraneo, ora come settecento anni fa.

Qui, nella mia dimora scavata nel ventre della terra, dormo. Un sonno costellato di incubi, un sonno che non mi dà pace.

Qui, innumerevoli scaffali di libri occupano saloni immensi, altrettante opere d’arte popolano le pareti e gli angoli vuoti. Cd di musica sparpagliati per tutto il rifugio.

Essa è il mio unico sollievo, l’Arte, che anche se solo per qualche istante riesce a distrarmi dalla noia e dal tedio.

Grazie alla tecnologia di questi tempi moderni, possiedo anche la televisione e Internet, che mi permettono di tenermi anonimamente in contatto con il mondo esterno, di seguire rappresentazioni teatrali e di guardare film.

Non esco spesso dalla mia dimora, se non per nutrirmi.

Raramente esco per diletto.

Questa notte la mia ombra si staglia contro i muri dei vicoli, senza che nessuno se ne accorga. Solo i gatti avvertono la mia presenza, e fuggono terrorizzati soffiandomi contro e rizzando il pelo.

Scorgo la mia preda.

È una donna, una prostituta, quella che oggi è considerato un rifiuto della società, portatrice di malattie, veicolo di contagio.

Ma che sia ammalata o meno, per me non fa differenza. Le malattie non possono uccidere un corpo morto.

Le seguo per un po’. È tardi, probabilmente sta tornando a casa.

Aspetto che raggiunga la sua dimora.

La donna chiude la porta a chiave, e si infila sotto la doccia, per lavarsi via il sudiciume che mille uomini hanno riversato su di lei e dentro di lei.

Muto in nebbia, per entrare dentro la stanza. Uso i miei poteri per oscurare la finestra, in modo che i mortali che vi posano lo sguardo sopra non possano scorgere quello che  fra poco accadrà in questa stanza.

La donna esce dal bagno, e vedendomi inizia ad urlare. Non mi affanno a chiuderle la bocca, l’oscurità tangibile che ho creato neutralizza qualsiasi suono.

Mi dirigo calma verso di lei, non sento emozioni pulsare nel mio cuore atrofizzato.

Rendendosi conto che nessuno la verrà ad aiutare, la donna si rannicchia in un angolo, piangendo. Mi chino per alzarle il viso, e con una mano le asciugo le lacrime.

Nonostante questo, la paura nei suoi occhi non si è dileguata.

Le reclino dolcemente il collo all’indietro, la bacio per qualche attimo, per poi affondare i miei canini nella sua giugulare. La sento sussultare al mio morso, per poi rilassarsi e abbandonarsi al piacere che esso procura.

Il suo sangue è caldo… mi ricorda la luce del sole…

Ma sono consapevole che non sarà mai la stessa cosa.

Mi stacco dal suo collo. Lei è ancora viva, anche se svenuta. Lecco velocemente i fori nella sua candida pelle, in modo che si richiudano.

Sollevo il suo corpo inerte, e lo appoggio delicatamente sul letto. Domani, quando si sveglierà, crederà di aver sognato. La osservo per parecchi istanti, guardo il suo respiro regolare, ascolto il battito del suo cuore, scruto il suo corpo vivo.

Mi volto per andarmene.

Uno specchio.

Mi avvicino ad esso, fino a toccarlo con la mia mano.

Ma la mia mano non viene riflessa. Come nemmeno il resto del mio corpo.

Guardando dentro lo specchio, vedo solo l’immagine riflessa della donna che dorme alle mie spalle…

Da quanto tempo è che non vedo la mia immagine?

Riesco anche ad eludere telecamere, macchine fotografiche, raggi infrarossi… tutto.

Di che colore sono i miei occhi? Io non lo rammento più…

Posso solo vagamente capire i lineamenti del mio viso, attraverso il tocco delle mani… ma io non ricordo più le fattezze del mio volto.

Torno alla mia dimora.

Non c’è più ragione che io stia qui.

Annullo gli incantesimi.

Ma resto in forma di nebbia.

Estinguere il mio fisico mi fa sentire meglio, sapere di non avere una forma precisa mi convince che non è importate ricordarsi il proprio aspetto.

La luna piena è alta nel cielo, stanotte.

La neve è caduta ieri, ed ora balugina pallida sotto di me.

Riprendo la mia forma umanoide, posandomi con garbo a terra. I miei piedi affondano lievemente nella neve. Mi allungo per raccogliere un po’ di quella polvere di diamante. Sulle mie mani, i fiocchi di neve rimangono intatti, dove una volta si fondevano. Resto in silenzio.

Un’altra cosa di me stessa non serbo più memoria: il suono della mia voce. È da almeno un secolo che non parlo con qualcuno, vivo o non-morto che sia.

Un ululato in lontananza.

Non è prudente restare ancora in aperta campagna in una notte di luna piena. L’istinto mi allerta e amplifica i sensi, inducendomi a guadagnare in fretta il mio rifugio.

Un Licantropo potrebbe uccidermi qui fuori, e se devo morire una seconda volta, preferirei morire bruciata dal sole.

Riprendo la forma di nebbia, ma prima di lasciare il luogo, cancello le mie tracce. Quei Licantropi non sono così stupidi come cani rognosi, e hanno imparato bene a seguire le tracce e seguirci nei nostri nascondigli per darci la caccia.

Peccato per loro, noi Vampiri siamo una razza superiore.

Una razza che conosce il profondo tormento della solitudine, una razza temprata nell’oscurità, una razza a cui non è concessa la vita e nemmeno la morte, una razza il cui unico nutrimento concesso è il Sangue.

Invece a loro è concesso continuare a vivere alla luce del sole, procreare senza trasmettere ai figli il loro morbo, mangiare quello che più gli aggrada, condurre una vita quasi normale.

Loro non conoscono le difficoltà di sopravvivere.

È per questo che siamo e saremo sempre più potenti di loro.

Sono di nuovo a casa.

Mi avvicino alla parete sinistra, e la percorro in tutta la sua lunghezza. Arrivata quasi in fondo, incido un segno nella roccia con le mie dita.

Un’altra notte passata.

Una delle tante.

Osservo meglio la parete, contando velocemente i segni.

Oggi è il giorno del mio compleanno.

Il giorno della mia seconda nascita, avvenuta 710 anni fa.

Non mi sento in alcun modo.

Del resto come mi dovrei sentire, sono ben 728 anni che cammino su questa terra.

All’inizio era divertente: scoprire e imparare a controllare i miei nuovi poteri, esplorare le capacità della mia nuova mente, viaggiare alla ricerca della conoscenza…

Tutte illusioni.

Tutte mere illusioni.

Già la vita è priva di significato, perché per la non-vita sarebbe dovuto essere differente? Solo ora mi rendo conto di quanto sia stata sciocca ed ingenua. Di quanta superficialità sono riuscita a dimostrare, a dare la mia vita, la mia anima e il mio sangue per diventare la Regina delle Tenebre del mio Sire.

Ma qual è il motivo di così tanti ricordi, questa notte?

Solo ora mi rendo conto che sto ancora indugiando sulla parete di ingresso.

Scrollo le spalle, devo scrollarmi di dosso questi pensieri, tanto è inutile rimuginare sul passato. Quello che è stato, è stato, e quello che è fatto, è fatto. Non si può tornare indietro.

Anche se non ho più un’anima, pensare al passato mi fa ancora provare fitte di dolore al petto, e il mio cuore si stringe come se fossi ancora una comune mortale.

Mi sento stanca.

Non ho più la forza di lottare.

Eppure… eppure…

Non ho nemmeno la forza di morire.

Ho già toccato il fondo della mia oscurità, ma ora sto scavando.

Alla disperazione non c’è mai fine.

Come non c’è fine alla sofferenza.

Devo trovare uno scopo… uno scopo alla mia esistenza.

Sento che l’alba è vicina. Lo sento, come i gatti sentono che si appresta un temporale. Lo avverte anche il mio corpo, il passaggio dall’oscurità alla luce, appesantendosi, intorpidendosi, tornando ad essere il corpo rigido di un cadavere.

In fondo io sono solo questo. Un cadavere.

Il portone di pietra alle mie spalle è sigillato. Anche se lo volessi, non avrei la forza necessaria per tornare fuori a rimirare l’alba.

Mi dileguo nell’antro più scuro della mia tomba, lì dove c’è la mia bara.

La mia bara di onice, rivestita di velluto rosso all’interno. Sotto il velluto, la terra del posto in cui divenni vampira.

Mi ci adagio dentro senza nemmeno cambiarmi, ormai ho perso anche questa usanza mortale.

Appena chiuso il coperchio, le palpebre si abbassano.

Il corpo si irrigidisce, nella stretta della morte.

E cado, ancora una volta, dal buio della notte all’oscurità dei miei incubi.

Fantasmi del passato.

Luci evanescenti.

Voci sussurranti che confondono…

Spalanco gli occhi.

Incubi, incubi e altri incubi, incubi che tormentano il mio sonno… incubi che ogni giorno mi tengono compagnia…

Lentamente sento il sangue che prende a scorrere nelle mie vene. Lo riesco a percepire molto chiaramente, il mio corpo risponde alla chiamata, esce dal suo torpore.

Scosto il coperchio della mia bara.

Una nuova notte è cominciata.

____________________________________________________________________

Ringrazio tutti quelli che hanno avuto la pazienza di leggere.

Un grazie di cuore anche a chi lascerà un commento.



Bloodlily

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Bloodlily