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Autore: antigone7    18/11/2014    3 recensioni
Ci sono incontri che, per quanto casuali e assurdi, un po’ la vita te la cambiano.
Zoe è una ragazza tutto sommato pragmatica: non crede nel Fato, nel Destino, nella Predestinazione, e tutto il resto. Pensa che le cose che le succedono siano perlopiù volute da lei, ma che la restante parte ce la metta la casualità pura e semplice. Nessuna volontà divina.
Per questo, quando una mattina sul treno incontra Giacomo, ragazzo spigliato nonché cantante di un gruppo poco famoso, Zoe decide che è troppo complicato, che... no, non è interessata a lui. Ma c’è una cosa che non ha calcolato: le sue scelte possono non coincidere con quelle delle altre persone e, in questo caso, chi l’avrà vinta?
Una storia che parla d’amicizia, d’affetto, d’amore, ma anche di errori, di silenzi e di scelte sbagliate. Perché a volte bisogna sbattere ripetutamente contro un muro, prima di capire da che parte andare.
"E la verità è che sono stata una codarda."
"Ma non avevi tutti i torti. Non sappiamo come potrebbe andare. Siamo diversi."
"L'unica vera differenza che vedo ora tra me e te è che tu almeno sei riuscito ad accettare di essere innamorato di me."
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo XX




Zoe attraversò l’uscita degli arrivi con il cuore che le batteva a mille. Camminava un po’ storta, trascinandosi dietro una valigia abbastanza pesante e il bagaglio a mano; finì quasi addosso a un signore in completo scuro che aveva visto all’ultimo. In verità era tanto distratta da non riuscire a vedere quello che le succedeva a un palmo dal naso: avanzava con lo sguardo puntato oltre la massa di passeggeri del suo volo, cercando, al di là delle barriere, l’unica faccia che volesse veramente vedere, quella di Giacomo.
Si fermò di colpo, onde evitare di investire un bambino che l’aveva superata per correre incontro al padre, così facendo si trovò a frenare troppo in fretta e la valigia le sbatté sulla caviglia, traditrice. Imprecò a mezza voce e riprese a camminare, leggermente zoppicante a causa della botta, maledicendosi per la propria goffaggine. Sbuffò e si guardò il piede, e quei tre secondi in cui si era distratta a causa del bimbo fecero sì che il suo cuore saltasse ancora più in alto per la sorpresa quando, alzando lo sguardo con un’aria rassegnata, incontrò senza preavviso quello castano e sorridente di Giacomo, qualche metro più avanti. Castano, sorridente e un po’ agitato – notò bloccandosi – o almeno così sembrava, ma poteva pure essere una sua impressione dettata dal fatto che lei, sì, era decisamente agitata. Si rese conto di essere di nuovo ferma in mezzo alla gente che si muoveva in ogni direzione, quindi, col cuore che le ballava la rumba più o meno all’altezza della gola, si mosse in avanti.
Quello di cui Zoe non si accorse fu che, nonostante l’emozione e l’agitazione evidenti, appena aveva visto Giacomo anche a lei si era formato un sorriso spontaneo sulle labbra, sorriso che, seppur fioco e timido, non si spense neppure quando raggiunse il ragazzo e si fermò di fronte a lui, indecisa sul da farsi.
“Ciao,” gli disse allora, restando immobile a guardarlo, con la mano che ancora impugnava saldamente il trolley.
“Ciao ragazzina. Bentornata,” rispose lui, sempre con quel mezzo sorriso appiccicato addosso.
Dopodiché, passati i primi attimi di incertezza, le si avvicinò cautamente e le lasciò un bacio leggero sulla guancia. Infine le prese la valigia più grande, che lei aveva abbandonato al proprio fianco, e si incamminò verso l’uscita.
Zoe lo seguì, confusa e leggera, frastornata anche solo dal fatto di aver finalmente visto Giacomo e dal suo innocuo bacio sulla guancia. Non sapeva cosa dire e non sapeva nemmeno se dire qualcosa; alla fine si decise ad aprire bocca, sentendosi assolutamente stupida nella sua incertezza.
“Sei venuto davvero,” fece, affiancandosi al ragazzo.
“Già. Ottimo spirito d’osservazione.”
Zoe sbuffò. “Non ne ero così certa.”
“Quasi quasi speravi che non mi presentassi, di’ la verità.”
Lei si limitò a scuotere la testa, ridacchiando.
Giacomo allora sorrise saputo. “In realtà non vedevi l’ora di vedermi.”
“Sempre il solito: insicuro e modesto.”
Lui la guardò, continuando a camminare. “No, è che per me era esattamente così,” rispose sinceramente, lasciandola spiazzata. Poi, vedendo che lei non sapeva come rispondere, continuò. “Non vedevo l’ora di venire a prenderti, negli ultimi giorni ero insopportabile. A detta di Niccolò, almeno,” aggiunse infine, alzando le spalle e ridendo.
Zoe scosse nuovamente la testa, senza parole, come solo Giacomo riusciva spesso a lasciarla. Lo seguì alla macchina e vi salì, continuando a chiacchierare del più e del meno. Verso la fine del viaggio, Giacomo cominciò a fare domande un po’ più specifiche sulla sua permanenza a Milano.
“Perciò, quanto puoi fermarti?”
“Un paio di giorni al massimo. Domani o dopodomani devo già ripartire, disfare e rifare le valigie e andare in Liguria. Pensavo di partire martedì, viene anche Aurora per qualche giorno.”
“Di chi è la casa?” si informò lui, parcheggiando vicino al proprio appartamento.
“Marta, un’amica di Viola.” Zoe tentennò, prima di porgli la domanda successiva. “Hai voglia di venire anche tu? Da quello che ho capito, lo spazio non manca.”
Giacomo, che stava scaricando i bagagli dal baule dell’auto, chiuse il portellone e si fermò a guardarla, sorridendole in modo disarmante. “Mi farebbe davvero piacere, ragazzina, ma ho pochi giorni di pausa e pensavo di tornare a Lecce, alla mia famiglia piacerebbe vedermi ogni tanto. Almeno credo.”
“Capisco,” fece lei, cercando di mascherare il briciolo di delusione non richiesta che le aveva stretto lo stomaco alla risposta dell’amico. “Anche Niccolò torna in Salento questa settimana?”
Giacomo era davanti a lei che trascinava la valigia sul pianerottolo, perciò la ragazza non riuscì a vederne l’espressione mentre rispondeva. “Conte è già a Lecce. È partito ieri mattina.”
“Quindi in casa non c’è nessuno?” realizzò, continuando a osservargli la schiena mentre lui estraeva le chiavi e apriva la porta dell’appartamento.
“Esatto,” annuì lui, e stavolta Zoe poté leggere un sorriso nascosto nella sua voce. “La cosa ti disturba in qualche modo?”
La ragazza registrò a malapena la domanda evidentemente provocatoria, concentrandosi invece su ciò che l’essere soli implicava – a parte l’ovvio. “Giacomo… Ma sei rimasto a Milano solo per me? Potresti già essere a casa a quest’ora.”
Lui abbandonò la valigia in entrata e finalmente si voltò a guardarla, le sopracciglia alzate e un’espressione che diceva già tutto.
Zoe parlò di nuovo. “Ma non dovevi! Cioè, io potevo organizzarmi in altro modo.”
“Lo so.”
“Sapendo che eri a Lecce mi sarei fatta venire a prendere da qualcun altro, o sarei andata in treno.”
“Lo so.”
“Mi spiace averti fatto saltare dei giorni di riposo, se l’avessi saputo ti avrei detto di…”
Giacomo la interruppe. “Zoe, lo so. La smetti di dire fesserie? Sono rimasto perché mi andava.”
Lei rimase interdetta per qualche secondo, dopodiché abbassò la testa. “Ok.”
Il salentino si  limitò a sventolare la mano, come per cacciare l’imbarazzo, prese i bagagli e li portò in camera, spiegandole come sistemarsi, infine le disse che dovevano decidere cosa fare quella sera.
“Immagino tu sia stanca, se vuoi possiamo stare a casa. Non abbiamo fatto molta spesa ultimamente, ma gli ingredienti per una pastasciutta posso raccattarli anche senza uscire, credo.”
Zoe alzò le spalle. “Ho dormito un po’ in aereo, mi va bene uscire, per una sera che sto qui.”
“Ma tu non eri quella che si stancava tantissimo a viaggiare in aereo? O andare in Canada ti ha fatto diventare una donna di mondo?” la prese in giro lui.
“Scemo. Sono stanca sì, ma qui sono le sei e il mio cervello invece è ancora tarato sul fuso canadese. È tipo mezzogiorno per me, quando comincerà a fare buio sarà traumatico.”
Giacomo ridacchiò. “Non ci avevo pensato. Beh dai, allora va’ a farti una doccia, ti porto fuori per l’happy hour milanese.”
“Quale onore, Pioggia.”

Zoe si stupì di quanto fosse facile riprendere da dove avevano lasciato, con Giacomo. Era talmente preoccupata di rivederlo e di trovarlo pieno di aspettative romantiche che si era praticamente dimenticata della semplicità del loro rapporto, prima di tutto quel casino. Con il ragazzo salentino le riusciva automatico ridere, scherzare, divertirsi, ma anche parlare di cose serie, confrontarsi, ascoltare e sdrammatizzare l’uno i problemi dell’altro. Ne era già a conoscenza, aveva sempre saputo che il suo rapporto con Giacomo era semplice e bello, se n’era solo dimenticata per il tempo del viaggio, in cui non aveva fatto altro che domandarsi cos’avrebbe detto quando l’avrebbe visto, come si sarebbero comportati, e cose del genere.
In realtà non c’era niente da domandarsi. Appena si furono rinfrescati entrambi, uscirono di casa e presero la metropolitana per raggiungere un posto dove poter mangiare qualcosa a poco prezzo. Parlarono a lungo sia durante il tragitto sia a cena, raccontandosi a vicenda la propria estate, scherzando e capendosi con una naturalezza che sembrava quasi strana, dopo tutto quel tempo. O forse no, dal momento che con Giacomo era da sempre stato così: spontaneo, facile, bellissimo.
Andarono a mangiare in una pizzeria, perché a Zoe mancava immensamente la pizza italiana, quella vera, non adattata agli assurdi gusti nordamericani. Dopo cena, Giacomo le propose di andare in un locale poco distante, una specie di pub dove c’era anche la possibilità di cimentarsi al karaoke.
“Karaoke?” fece Zoe, scherzosa. “Hai voglia di cantare, Pioggia? Non ti basta farlo per mestiere? Cioè, quello che è.”
Giacomo rise. “No, no, io non canto stasera. Ma il posto è carino.” Le aprì la porta del locale, lasciandola entrare per poi seguirla. “E poi chissà, magari sei tu che canterai qualcosa.”
“Questo puoi scordartelo,” affermò lei, decisa.

Un’ora e un paio di birre più tardi, Zoe si stava lamentando di quasi tutti i provetti cantanti che si dilettavano sul piccolo palco del bar.
“Hai avuto tu la brillante idea di venire al karaoke, vero? Ricordami di ringraziarti come si deve, dopo.”
Giacomo ammiccò guardandola negli occhi. “Oh, non mancherò, stai tranquilla.”
Era l’ennesima battutina della serata: a quanto pareva il ragazzo si divertiva fin troppo a cercare di metterla in difficoltà, prendendola in giro o scovando doppi sensi in quasi ogni frase da lei pronunciata.
Zoe avvampò, di nuovo, e alzò gli occhi al cielo sperando di nascondere l’imbarazzo. “E finiscila! Senti questo che canta i Queen piuttosto, è un oltraggio. Dovremmo chiamare la polizia.”
Lui rise. “Ma dai, non erano tutti così pessimi!”
“Ti riferisci a quel tipo depresso che gorgheggiava Baglioni o alle due ragazzine che duettavano sulle note di Yellow Submarine? O forse era All You Need Is Love… Non saprei. Credo che non lo sapessero neanche loro, eh.”
“Sei malvagia. La ragazza che cantava Spaccacuore era brava.”
“Chi? Morticia?” rabbrividì Zoe, fingendosi disgustata. “Ti prego, era convinta che la versione originale fosse quella di Laura Pausini.”
“C’è una cover della Pausini.”
“Quella canzone non si può cantare così,” ribadì lei, definitiva. “E poi lei era zoccola.”
“La Pausini?”
“Macché. Morticia. Versione zoccola.”
“Per me era carina.”
“Zoccola.”
Giacomo rise di nuovo, scuotendo la testa. “Mi mancava questa tua misantropia acuta.”
Lei spalancò gli occhi, fintamente stupita. “Tu sai cosa significa misantropia? Hai allargato il vocabolario negli ultimi mesi, Pioggia.”
Il ragazzo allungò il braccio per prendere una mano di Zoe tra le proprie. “Dico davvero, Zò. Mi mancavi,” le disse serio, carezzandole la mano.
Lei si fermò a fissare la propria mano tra quelle di lui, poi guardò Giacomo negli occhi, sperando di non arrossire troppo vistosamente, e abbozzò un sorriso. “Devi smetterla di tentare di imbarazzarmi, Pioggia.”
“Mai,” rispose lui abbandonandole la mano per lasciarle un buffetto sulla guancia. “È troppo divertente.”
Zoe s’imbronciò. “Ah, ecco cosa ti mancava di me.” Si alzò dalla sedia. “Vado in bagno.”
Giacomo la guardò allontanarsi, sorridendo leggermente. Sapeva che fare il filo a Zoe non sarebbe stata cosa facile: d’altronde ci provava da mesi e lei non gli aveva nemmeno mai permesso di iniziare, figurarsi. Ma nell’ultimo periodo qualcosa era evidentemente cambiato, già da prima che lei partisse, e quella sera anche la ragazza sembrava essere più bendisposta. Oh, era ancora confusa, indecisa, quello sì, sennò non sarebbe stata la Zoe che conosceva; ma Giacomo sentiva che le cose che si erano detti prima dell’estate valevano tuttora per entrambi. Avevano solo bisogno di riavvicinarsi un po’.
Perso nei propri pensieri, Giacomo non si accorse delle due ragazze che si erano accostate al tavolo, una delle quali gli toccò la spalla per attirare la sua attenzione.
“Ciao!”
Lui sobbalzò leggermente, alzando la testa per guardarle. Non gli pareva di conoscerle, ma con il suo lavoro non si sapeva mai. “Ehi, ciao,” rispose cortesemente.
“Tu sei Giacomo dei Jam Session, vero?” gli chiese una delle due, mora e piccolina, stropicciandosi le mani.
Lui annuì sorridendo. Aveva immaginato bene: fan dei Jam. Erano pochi, ma ce n’erano un po’ dappertutto dopo l’uscita dell’album.
“Uau! Ti avevo detto che era lui!” esclamò l’altra ragazza, alzando la voce di qualche tono di troppo. Alcune persone nei tavoli vicini si girarono a guardare brevemente la scena, per poi tornare alle proprie occupazioni dopo aver verificato di non conoscere il ragazzo seduto.
“Sei qui per cantare, stasera?” continuò lei, sedendosi al tavolo come se fosse stata invitata. L’altra tentennò un po’, poi si decise a sedersi anche lei, titubante, sull’angolo di una sedia.
Quando Zoe tornò dal bagno, per un attimo pensò di aver confuso la posizione del tavolo dov’era seduta, poi vide Giacomo. Con due ragazze. Sospirò: se non riusciva a evitare di flirtare con altre anche quand’era al bar con lei, poteva solo immaginare cos’avesse combinato quell’estate. Con la sua benedizione, peraltro.
Giacomo percepì l’espressione perplessa di Zoe ancora prima di vederla. Alzò gli occhi su di lei e le sorrise, ignorando la sua fronte corrugata.
“Posso sedermi?” chiese lei, guardando l’unica sedia vuota rimasta al tavolo.
“Ehi Zò,” la salutò, anche se era stata via sì e no tre minuti. “Le ragazze mi hanno riconosciuto, è una cosa rara. Seguono i Jam. Mi stavo facendo dare qualche parere sul disco.”
Non aveva intenzione di giustificarsi ma, ascoltandosi, si rese conto che lo stava facendo, tanto che anche le due ragazze probabilmente si sentirono di troppo e si alzarono in contemporanea.
Zoe, che invece si stava sedendo, intervenne. “Oh no, tranquille, voi potete stare,” fece con un tono che sembrava, pur non intenzionalmente, dire tutt’altro.
“No, figurati, pensavamo fosse solo,” rispose intimorita la ragazzina mora.
La sua amica fu subito molto più diretta. “Ma siete insieme voi due?”
“In che senso?” chiese Giacomo che, non ancora del tutto abituato all’invadenza di alcuni fan, era rimasto spiazzato dalla domanda.
Ci pensò Zoe a rispondere, veloce e precisa. “Oh no, non proprio.” Fece una pausa, guardando Giacomo con una scintilla negli occhi che a lui sembrò un po’ divertita e un po’ vendicativa. “Ci frequentiamo,” concluse poi, sorridendo alla ragazza, che si beveva ogni sua parola con avidità.
“Ah,” commentò questa, “non lo sapevo! Allora puoi convincere Giacomo a cantare una canzone, visto che siamo in un karaoke e lui non ha intenzione di salire sul palco.”
“Giusto, Pioggia, perché non vai a cantarci qualcosa?” la assecondò Zoe con un sorriso maligno.
Lui rise. “Ok, stai facendo la stronza adesso, eh?” borbottò divertito, rivolgendosi all’amica. Dopodiché si voltò verso le altre due, ancora lì in piedi ad attendere una risposta. “Grazie ragazze, ma no, stasera non canto. È stato un piacere conoscervi, ci vediamo al prossimo concerto.”
Le due si allontanarono deluse e Giacomo tornò a fissare Zoe con aria interessata. “Visto che ti diverti tanto, tra poco anch’io ho una sorpresa per te.”
“A me sembrava che tu ti stessi divertendo.”
“Ooooh, sei gelosa per caso?” ammiccò lui. “Dal momento che ci frequentiamo…”
Non fece in tempo a godersi appieno l’ennesima espressione imbarazzata ed esasperata dell’amica, perché entrambi furono distratti da una voce e si girarono quindi verso il palco.
“E ora tocca a… Zoe!” stava infatti esclamando l’uomo che si improvvisava presentatore, mentre con gli occhi cercava la poveretta che avrebbe dovuto cantare di lì a poco.
Giacomo alzò una mano, indicandola. “Qui! Siamo qui!”
“Ma cosa…?” Zoe era a dir poco basita, ma immaginava a chi fosse da imputarsi quella messinscena. Si voltò verso Giacomo con sguardo assassino, fulminandolo. “Sei stato tu?”
“Quando sono andato a ordinare le birre,” confermò il ragazzo con un sorriso angelico.
“Maledetto viscido traditore…”
Zoe avrebbe anche continuato con gli insulti, ma Renzo, così si chiamava il presentatore, era già arrivato al loro tavolo e la esortava a dirigersi verso il palco. “Forza, bella ragazza, vieni pure.”
“Oh no, io non canto, c’è stato un…”
“Su su, non essere timida,” esclamò il tipo, trascinandola fin sopra il piccolo palcoscenico e piazzandole un microfono in mano. “Vediamo che canzone avevi prenotato… Oh sì, ecco.”
Zoe era indecisa se ridere o andare definitivamente nel panico; tentò senza successo di svignarsela spiegando la situazione con un: “In verità io non ho prenotato proprio niente…”
Ma il presentatore in erba, dopo aver letto il titolo del pezzo che stava per cantare, andò su di giri e cominciò a farle i complimenti. “Quindi ci canti Every Breath You Take! Bellissimo brano, adoro i Police! L’hai scelto per un motivo? C’è qualcuno in particolare a cui vuoi dedicarlo?” domandò facendosi d’un tratto sornione, neanche si trovasse sul palco di Sanremo in compagnia della più famosa cantante del momento.
A Zoe scappò da ridere. Oltre alla situazione che era ridicola già di per sé – con quel tizio invasato che aspettava tutto serio una sua risposta – sapeva perché Giacomo aveva scelto proprio quel pezzo: si ricordava di quando gli aveva detto che secondo lei quella era la canzone più fraintesa della storia.
“Parla palesemente di stalking, non d’amore,” gli aveva detto convinta, seduta in macchina con lui, quando era andata a trovarlo a Lecce, con la voce di Sting che usciva dalla radio.
Giacomo aveva riso. “Ma che dici, a me piace!”
“Anche a me, la so tutta a memoria, c’è stato un periodo della mia vita in cui la ascoltavo continuamente. Ma è inquietante, quando la capisci.”
Ora, Zoe poteva anche tenere il broncio al salentino perché l’aveva messa in quella situazione, ma in realtà la cosa la faceva ridere già adesso, sul palco con quel microfono e quel presentatore esaltato che la fissava come se fosse pazza perché ridacchiava da sola, senza un apparente motivo. Quindi lanciò a Giacomo un’occhiata divertita e stressata, poi si portò con convinzione il microfono vicino alla bocca e parlò direttamente con Renzo.
“Diciamo che mi ricorda un periodo della mia vita in cui non facevo molto caso ai testi delle canzoni che ascoltavo,” rispose ignorando l’espressione confusa del suo interlocutore. “Ti va di cantarla con me, dato che ti piace tanto?”
Renzo si illuminò improvvisamente, forse onorato dal fatto che qualcuno gli avesse chiesto di duettare. “Se proprio insisti…”
Fece un gesto con la mano al ragazzo dietro la consolle, che pigiò qualche tasto per far partire la base modificata della canzone, poi appoggiò una mano sulla spalla di Zoe e cominciò a ondeggiare a tempo di musica.
Zoe cantò tutto il pezzo con poca convinzione, imbarazzata: sapeva di essere abbastanza intonata, ma non aveva proprio la stoffa per stare sul palcoscenico. D’altra parte si era salvata domandando a quel Renzo di duettare con lei; infatti lui si era preso tutto il palco e cantava convinto, gesticolando ampiamente con la mano sinistra e tentando anche, senza successo, di coinvolgere la ragazza.
Verso la fine della canzone, Zoe smise di spostare lo sguardo dal pavimento allo schermo con su scritto il testo, e alzò la testa per vedere le persone del bar. Alcuni ridacchiavano divertiti dall’esibizione accorata di Renzo, altri si facevano palesemente i fatti propri, infischiandosene del karaoke. Una delle ragazze che prima si erano avvicinate al tavolo alternava lo sguardo tra lei e Giacomo, convinta probabilmente che gli stesse facendo una serenata. Mentre Giacomo, tranquillo e soddisfatto della sua malefatta, si limitava a fissarla sorridendo, con uno sguardo intenso e perforante, tanto che per un attimo, ma solo un attimo, a Zoe sembrò che fosse lui a cantarle quelle parole così assurde, così belle e così spaventose.

Every move you make
Every vow you break
Every smile you fake
Every claim you stake
I'll be watching you

Giacomo era lì, la guardava sereno, e Zoe sentiva che non c’era motivo di avere paura, che tutte le paranoie che si era fatta negli ultimi mesi erano, per l’esattezza, solo paranoie, e che se c’era qualcuno in tutto l’universo di cui poteva fidarsi ciecamente, senza ripensamenti, quel qualcuno era proprio il suo amico salentino. Che forse, a ben vedere, non era esattamente solo un suo amico, ma ancora non riusciva a immaginare un’altra parola per definirlo.
Zoe ricambiò il suo sorriso, continuando a guardarlo. Lasciò che Renzo cantasse da solo l’ultima parte, prendendosi l’applauso delle persone che ascoltavano divertite.
“Per gli autografi ci trovate qui fuori a fine serata,” disse alla fine, con esplicita ironia, prima di lasciare il microfono e andare di corsa da Giacomo, che si era alzato per applaudire.
Mentre lo raggiungeva vide che le due ragazze di prima si stavano avvicinando, forse intenzionate ad attaccare di nuovo bottone. Senza perdere tempo prese Giacomo per un braccio e lo trascinò fuori dal locale, continuando a camminare con passo da maratoneta anche quando ormai si erano allontanati di un bel po’, quasi volesse scappare da qualcosa. Giacomo la seguiva divertito, finché non si azzardò a farle una domanda, continuando a starle dietro.
“Sai per caso dove stai andando?”
“Assolutamente no.”
“E così ci frequentiamo?” chiese allora, fermandosi e tirando lei per la mano, così da avvicinarla terribilmente a sé.
Zoe rise imbarazzata. “Ma dai, sai perché l’ho detto.”
Lo guardava dal basso, costretta a piegare il collo indietro per la differenza di altezza tra loro, gli occhi sorridenti almeno quanto il resto del viso, in penombra ma così vicino che poteva vederne ogni particolare.
Giacomo tornò serio. “Temo di no,” disse, e un attimo dopo la baciò.
Credeva davvero che Zoe si sarebbe ritratta, ma non accadde. Al contrario, gli appoggiò una mano sulla nuca e l’altra sulla spalla, mettendosi in punta di piedi per stringersi di più a lui. Rispose al suo bacio con la stessa intensità di tre mesi prima, quando però erano entrambi ubriachi e spensierati e privi di inibizioni. Come se fosse la cosa giusta da fare, come se avesse semplicemente bisogno di lui. Fu proprio Zoe infatti, sentendo che il loro abbraccio si stava facendo troppo intimo e troppo poco attento al mondo circostante, a staccarsi di qualche centimetro.
“Andiamo a casa?” gli chiese timidamente, gli occhi nei suoi, come a volersi dimostrare convinta di quello che stava dicendo.
“Ok,” rispose solo lui, baciandola di nuovo per non dimenticarsi il suo sapore e la consistenza delle sue labbra nel tragitto fino all’appartamento.
Non l’avrebbe dimenticato comunque, perché, che stessero camminando o che fossero seduti in metro, appena poteva le si avvicinava per strapparle un bacio. Sulle labbra, sulla fronte, sul naso, non gli importava dove, voleva solo essere certo di non essersi immaginato tutto, o assicurarsi che Zoe non avesse cambiato idea in uno dei suoi momenti di crisi.
Fu in metropolitana che, giocherellando con la mano di lei tra le proprie, si ricordò una cosa che non le aveva ancora detto.
“Ti ho scritto una canzone, sai?”
“Hai scritto… cosa?” fece lei, stupita.
“Una canzone su di noi, quest’estate, mentre eri via,” rispose Giacomo.
“Davvero?”
“Sì, beh… Perché dovrei inventarmi una cosa del genere?” ridacchiò lui, guardando l’espressione di Zoe addolcirsi, passare dalla sorpresa a una malcelata felicità.
Lei sbuffò, con fare ovvio. “Per fare colpo su di me, mi pare evidente.”
“Mi sembra di esserci già riuscito…” disse Giacomo, facendo lo sbruffone per qualche istante, prima di vedere la faccia scettica e divertita di lei e correggere il tiro, “…un po’,” aggiunse in fretta. “Cioè, mi sembra un pochino, appena appena eh, tanto così, mi sembra di aver fatto un po’ colpo. Su di te, dico. Ma poco poco, eh. Magari è solo un’impressione, ecco.”
Zoe scoppiò a ridere. “Che cosa dolce,” commentò poi, arrossendo appena.
“Che?”
“Mi hai scritto una canzone.”
“Ah già. Beh, mi è venuta, non è che sono andato a cercarla,” sminuì lui, alzando le spalle.
Quando rialzò gli occhi su Zoe, lei sorrideva ancora, e Giacomo ne approfittò per avvicinarsi e stamparle un altro bacio sulle labbra.
Scesero dalla metro ridendo perché per poco non avevano mancato la fermata giusta, e fecero il resto della strada in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, lanciandosi solo qualche occhiata ogni tanto.
A Zoe pareva di camminare su una nuvola, evitava di farsi troppe domande ma aveva quasi paura che se avesse fatto troppo rumore, o cambiato andatura, o se si fosse mossa in modo appena più brusco, tutto sarebbe cambiato. In quella mezz’ora abbondante che ci misero a tornare a casa, visse semplicemente dei sorrisi di Giacomo, delle sue occhiate allusive, delle espressioni che poteva cogliere sul suo volto quelle poche volte che lui non stava ricambiando lo sguardo di lei. E gli era grata per quelle occhiate, per quelle espressioni, per quei baci, per quelle piccole attenzioni che lei riusciva a scorgere così chiaramente, gli era grata per la sincerità che leggeva in lui, per averle scritto una canzone, e per un mucchio di altre cose che non avevano nulla a che fare con la paura, sebbene non potesse affermare che quella paura fosse svanita, tutt’altro. Ma al momento non le interessava, aveva solo voglia, bisogno di lui, e basta.
Quando arrivarono davanti all’entrata dell’appartamento erano entrambi in silenzio da diversi minuti. Giacomo le lanciò un’occhiata appoggiando una mano al pomello, come per assicurarsi che fosse ancora lì con lui, dopodiché girò la chiave, tenne aperta la porta aspettando che Zoe entrasse, e la seguì, chiudendosi l’uscio alle spalle.
Una volta dentro tutta la spavalderia e il coraggio che avevano contraddistinto l’inizio del viaggio dal bar a casa sparirono completamente; i due si guardarono imbarazzati, senza sapere cosa dire o come muoversi.
Giacomo tossì. “Vuoi… bere qualcosa? O mangiare? Non so, magari un dolce o… non so.”
Mentre parlava si passò più volte una mano sulla nuca, come faceva sempre quand’era in difficoltà, e Zoe, vedendo quel gesto e riconoscendolo, sentì qualcosa di caldo, liquido e familiare scorrerle nel petto, e sorrise.
“No,” rispose, avvicinandosi a lui. “No, non serve, vieni qui.”
Alzò la testa e lo baciò, lasciandosi abbracciare. Si baciarono a lungo nella penombra dell’entrata, quasi a lasciarsi il tempo di cambiare idea o, meglio, di non cambiarla. L’ultima reticenza, in effetti, era una spia accesa nel cervello di Zoe da parecchio tempo, un pensiero che la tormentava, anche se sapeva che non avrebbe dovuto. Ma in quel momento, aggrappata a Giacomo e intenzionata a non lasciarlo andare, quel particolare le tornò in mente, e lei si sentì in dovere di fargli una domanda prima di continuare, prima di lasciarsi andare del tutto.
“Sei stato…?”
Giacomo prese a baciarle la linea della mandibola, rendendole difficile formulare la domanda, perciò lo staccò delicatamente, continuando però a stare nel suo abbraccio caldo.
Lui la guardò imbronciato, con un velo di preoccupazione nello sguardo. “Che c’è?” bisbigliò.
“Sei stato con altre quest’estate?”
Si sentì subito stupida ad averlo chiesto e non gli lasciò nemmeno il tempo di rispondere, continuò a parlare lei stessa, meno di un secondo dopo, per cercare di correggere il tiro.
“Cioè, so che non è un mio diritto chiederlo, e vorrei che tu sapessi che la risposta non cambierà niente stasera. È che… non posso fare a meno di chiedermelo, e di chiedertelo. Ho solo bisogno di sapere che c’è chiarezza tra noi.”
Il viso di Giacomo, ancora vicino al suo, si distese in un sorriso.
“Tranquilla, respira, è ok,” le sussurrò, rassicurante. “Non sono stata con altre. Anche volendo, non avrei potuto, credo. E prima che tu dica qualsiasi altra cosa, ti devo dire che a me invece non è assolutamente necessaria la tua sincerità, ora: non voglio in nessun modo sapere di quel tizio canadese né degli altri bonzi che ti sono ronzati intorno. Mi basta averti qui, adesso.”
Zoe sorrise, più tranquilla. “Va bene, ma non…”
Lui la interruppe. “Non mi importa, ok? Sto meglio così, davvero.”
“Scusa,” fece lei, abbassando la testa.
“E di cosa?”
“Di avertelo chiesto. Non avrei dovuto, lo so…”
“Ahn, Molinari, smettila di farti problemi per tutto. Hai fatto bene.”
Zoe aveva ancora gli occhi puntati a terra, quando Giacomo le alzò delicatamente il mento con un dito.
“Vieni qui,” bisbigliò sulle sue labbra, prima di baciarla di nuovo.
A quel punto non c’era più niente a cui pensare, e Zoe non pensò più. Lo seguì fino alla camera, sbatté il gomito contro lo stipite della porta, imprecò staccandosi dalle labbra di Giacomo, che la fissò preoccupato, controllando lo stato del suo braccio, finché non la sentì ridere, ancora abbracciata a lui.
Infine, senza che nemmeno loro capissero bene come, riuscirono a chiudere fuori da quella stanza tutti i condizionamenti, l’imbarazzo, le domande, i problemi, e ad essere solo loro stessi, in quel cercarsi, fisico e non solo, che in fondo era ciò che entrambi volevano da molto più tempo di quanto fossero disposti ad ammettere.
Quello che stupì Zoe, ma solo per un attimo, fu la naturalezza con cui riuscirono a spogliarsi, a baciarsi, a stringersi, a fare l’amore, nonostante i mesi di amicizia puramente platonica che credeva di aver condiviso con Giacomo. Ciò che invece l’avrebbe stupita in futuro, col passare del tempo, sarebbe stata la quantità enorme di dettagli che, di quella prima volta, le sarebbero rimasti addosso, appiccicati alla memoria con delle tonalità così vivide da risultare quasi forzate. Della prima volta con Alessio ricordava a malapena un paio di sorrisi imbarazzati, il proprio pudore e, stupidamente, il colore delle lenzuola su cui aveva perso la verginità: a quadri blu e bianchi.
Di quella prima volta con Giacomo, invece, Zoe non poteva ancora saperlo, ma avrebbe ricordato praticamente tutto. Forse solo perché provava qualcosa di nuovo e di molto forte per lui, e fino ad allora non le era sfortunatamente mai capitato di andare a letto con qualcuno di cui era innamorata. O forse perché il suo cervello era, lo sapeva, abituato a immagazzinare le informazioni e i ricordi un po’ a random, fissandosi di solito su particolari inutili come, appunto, le lenzuola del letto di Alessio. E stavolta aveva migliaia di dettagli a cui interessarsi, cose che non voleva perdersi, sensazioni a cui aggrapparsi. Giacomo che le toglieva la maglietta e poi faceva un passo indietro inciampando sul letto; il solletico che la sua barba sfatta le faceva solo quando la baciava in un punto preciso dietro l’orecchio; la sua mano che le spostava una ciocca di capelli dalla fronte; quelle stesse dita che cercavano il gancetto del reggiseno sulla sua schiena, per poi ridere insieme, accorgendosi che l’aveva aperto lei qualche istante prima; l’estrema facilità con cui lui riusciva a leggere ogni sua muta richiesta, ogni suo minimo desiderio; Giacomo che, mentre si sporgeva per prendere il preservativo da un cassetto, tentava inutilmente di reggersi su un braccio solo, finendo poi per cadere del tutto su di lei, ridere, baciarla, prenderla di peso e spostarla per avvicinarsi entrambi al comodino senza doversi staccare per troppo tempo.
Tutte queste cose e molte altre ancora, che lei lo volesse oppure no, le sarebbero rimaste addosso in maniera indelebile per sempre.

“Ho una cosa per te.”
“Cosa?”
Zoe fece per spostarsi dall’abbraccio di Giacomo, ma lui la trattenne.
“Non andare via,” le disse con un broncio adorabile a colorargli il viso.
“Pioggia, è il tuo regalo di compleanno. Se non mi lasci non posso andare a prenderlo di là, nella valigia.
“Ah, allora ok,” fece frettolosamente lui. “Vai!” le intimò dandole un colpetto su un fianco.
“Però! Ora che sai che è un regalo non vedi l’ora di spingermi fuori, eh?”
Giacomo le rispose con un sorriso angelico.
“Materialista,” borbottò Zoe alzandosi.
“E tu sei stupenda,” ribatté lui, sincero, mentre la ragazza usciva dalla stanza.
Giacomo ributtò la testa sul cuscino, sospirando. Non poteva essere più felice di così; probabilmente, a ben pensarci, non sarebbe mai stato più felice di così. Stare lì a letto con Zoe, poterla abbracciare, baciare, non doversi trattenere con lei, era una delle cose migliori che gli erano successe negli ultimi mesi – e di recente gli erano capitate diverse cose belle.
Era stato fantastico tornare in camera dopo aver fatto una doccia e trovare Zoe accoccolata sul suo letto, intenta a guardare col pc alcuni video delle esibizioni dei Jam Session negli ultimi concerti.
“Ma cos’è quel gesto con la mano che fai qui? Me lo insegni?” lo aveva preso in giro la ragazza quando lui si era steso accanto a lei.
Poi gli aveva confessato che aveva aperto spesso quei video, in Canada, quando sentiva più forte la sua mancanza e, quindi, non poteva fare altro che seguire la sua vita artistica, invidiando le ragazze che avevano la possibilità di vederlo dal vivo, di stringergli una mano, di sentire la sua voce. A Giacomo era sembrato davvero assurdo sentire Zoe che diceva certe cose, proprio lei, sempre così riservata, schiva. Ma in quel momento era sembrato tutto naturale, anche quell’inconsueto aprirsi, sussurrare quelle parole sincere e un po’ melense. Sentiva che lei era imbarazzata, questo sì, ed era impossibile che non fosse così, ma appunto per questo Giacomo stava cercando di comportarsi nel modo più normale possibile, come aveva sempre fatto, prendendola in giro per vedere le sue reazioni. E anche l’imbarazzo di Zoe stava, pian piano, svanendo, o almeno a lui sembrava così.
Zoe tornò con un pacchetto un po’ accartocciato tra le mani, e si ributtò sul letto porgendoglielo.
“Si dev’essere rovinato in valigia, scusa.”
Giacomo batté le mani. “Adoro i regali!”
“Lo so,” rispose lei sorridendo. “Ricordami chi è il bambino tra noi due, scusa?” chiese poi ridacchiando, visto l’evidente entusiasmo di lui.
“Sono un bambino bravo, però.”

Zoe si alzò dal letto quando il respiro di Giacomo cominciò a farsi regolare, annunciando che almeno lui aveva preso sonno. Lei invece non riusciva ad addormentarsi, e non era solo a causa del leggero russare di Giacomo, che comunque non la infastidiva più di tanto. Semplicemente, non aveva sonno. In parte era perché in aereo aveva dormito, infatti il suo fuso orario era ancora collegato a quello canadese, e probabilmente si sarebbe abituata al cambiamento solo con il passare di un paio di giorni: lì a Milano era tardi, quasi le tre di notte, ma a Toronto era appena ora di cena.
Uno dei motivi principali però era la sua testa che continuava a lavorare a velocità avanzata. Dopo essere stata così bene con Giacomo, ovviamente, erano iniziati i primi dubbi. E Zoe, purtroppo, non aveva mai saputo come scacciarli.
Prese un bicchiere d’acqua e si sedette sul divano, sfogliando una rivista e sperando che il sonno arrivasse da un momento all’altro. Ma, anche così, si ritrovò a non riuscire a fare a meno di rimuginare.
Con Giacomo quella sera era stato tutto stupendo, e fin lì non c’era alcun dubbio. Ma lui rimaneva una delle persone a cui voleva più bene al mondo, teneva a lui, alla sua amicizia. Amicizia che, volendolo o meno, sarebbe cambiata del tutto a causa di ciò che era successo quella sera: Giacomo non poteva più essere la prima persona che chiamava quando aveva un problema sentimentale da risolvere, perché con ogni probabilità sarebbe stato proprio lui il suo prossimo problema sentimentale.
Questo la terrorizzava. Non era mai stata una persona molto propensa ai cambiamenti, tutt’altro, soprattutto in campo affettivo. Non poteva negare che qualcosa era già cambiato da tempo, anche prima di quella sera, anche prima che andassero a letto insieme – cosa che avevano fatto entrambi molto consapevolmente, tra l’altro. Ma non poteva nemmeno controllare la propria paura, i pensieri più scuri che continuavano a emergere nella confusione della sua testa, le ansie che, purtroppo, cominciavano ad attanagliarla proprio ora che avrebbe dovuto solo rilassarsi e buttarsi a capofitto in ciò che le stava succedendo.
Si ritrovò a vagare per la casa senza uno scopo preciso, solo per evitare di stare immobile sul divano. Passando in entrata, notò il “muro delle cose da ricordare”, così ribattezzato da Niccolò: non era altro che una bacheca su cui i coinquilini appendevano bigliettini con annotazioni per la spesa, impegni vari, o amorevoli frasi piene di insulti che si scambiavano l’un l’altro. Si avvicinò, sperando di distrarsi per qualche minuto.
Lesse con poca attenzione qualche bigliettino, di cui uno divertentissimo in cui Niccolò aveva scritto in rima la lista della spesa. Stava ancora ridacchiando quando, alla fine, tra un disegno di loro tre fatto da Giorgio e un appunto con degli accordi per una nuova canzone, vide qualcosa che la lasciò di stucco. E che, probabilmente, avrebbe preferito non vedere.

“Giacomo?”
“Mh?”
“Pioggia, sono quasi le dieci. Ho preparato il caffè. Io l’ho già bevuto, è in cucina.”
Giacomo aprì un occhio e lo richiuse subito, accecato da un raggio di luce che entrava dalla finestra e lo colpiva giusto in faccia. Si spostò di qualche centimetro e ritentò. Zoe era davanti a lui, quindi probabilmente avevano passato davvero la notte insieme e non si era immaginato tutto.
“Vieni qui…” biascicò tentando di prenderla, ma riuscendo solo ad aggrapparsi alla sua maglietta.
Lei cedette, sospirò e si sedette sul bordo del letto, restando però troppo distante per i suoi gusti.
“Tutto ok?” domandò Giacomo mettendosi anch’egli seduto e stropicciandosi gli occhi con le mani.
“Sì, senti… Mi spiace, ma devo chiederti un favore.”
“Dimmi tutto.”
“Ieri hai detto che potevi accompagnarmi con la macchina a prendere il treno, no?”
Lui annuì. “Sì, hai decisamente troppi bagagli per muoverti agevolmente coi mezzi pubblici.” Si bloccò, capendo quello che lei gli stava chiedendo. “Vuoi già andare?”
“Mi sa che devo.”
“Pensavo partissi stasera o domani.”
Zoe sospirò di nuovo, senza guardarlo. “Ho sentito Aurora, abbiamo deciso di partire per il mare domani mattina. Se non vado a casa col primo treno non mi rimane il tempo per fare nulla.”
“Ah,” fece lui, cercando inutilmente di mascherare la propria delusione.
“Mi spiace. Senti… Io vado a farmi una doccia, tu intanto puoi fare colazione, ok? Ho controllato e c’è un treno tra un’ora e un altro mezz’ora dopo, e poi c’è una bella pausa. Mi conviene fare in fretta.”
Giacomo sentì qualcosa di strano nella voce di lei, nel suo modo di parlare così sicuro, quasi impersonale, ma era ancora troppo assonnato per farci troppo caso. “Certo. Sei sicura che sia tutto ok?”
“Sì, sì. È che non volevo scocciarti così…”
“Non mi scocci, Zò, mi dispiace che non possiamo passare un altro po’ di tempo assieme.”
Zoe sorrise incerta e si alzò dal letto. “Lo so. Grazie.”
Giacomo si tirò su rapidamente e riuscì a superarla entrando in bagno prima di lei.
“Devo solo fare pipì!” si giustificò vedendo l’occhiataccia che la ragazza gli stava lanciando.
Quando uscì, pochi istanti dopo, le passò di fianco lasciandole un bacio sulla guancia per vederla sussultare appena, poi si diresse in cucina. Trovò il caffè che era già quasi freddo e si chiese con un angolo del cervello da quanto tempo fosse in piedi Zoe.
Appena sveglio non ingranava troppo facilmente, ma lavarsi il viso e fare colazione di solito erano i due modi più facili per cominciare a ragionare in modo sensato, e ora che stava mettendo qualcosa nello stomaco si rese conto che il comportamento di Zoe, quella mattina, non era del tutto normale. Probabilmente era solo un po’ di imbarazzo dovuto a ciò che era successo tra di loro la sera precedente, ma, conoscendo la persona, non era da escludere l’ipotesi che fosse andata nel panico e che anche per questo stesse cercando di svignarsela. Gli pareva strano, perché la sera prima Zoe gli era sembrata molto sincera e molto consapevole; ma, se doveva essere onesto con se stesso, era più strana una Zoe sincera e consapevole rispetto a una Zoe imbarazzata e spaventata. Perciò, forse, l’anomalia per lei era stata la notte passata insieme. E magari adesso voleva ritrattare tutto. E scappare. Non poteva permetterglielo, non proprio ora che…
Giacomo fece un bel respiro. “Ok, scemo, stai andando nel panico pure tu ora,” si disse da solo, parlando a bassa voce. “Hai solo bisogno di parlarle, vedrai che è tutto apposto.”
Zoe uscì in quel momento dal bagno. “Parli da solo, Pioggia?” gli urlò dal corridoio.
Lui si sporse per guardarla e notò che entrava in camera con addosso solo l’asciugamano con cui era uscita dalla doccia. Dovette trattenersi per evitare di seguirla seduta stante.
“Prima parliamo, Giacomo, stai buono ora,” disse, di nuovo, bisbigliando a se stesso.
Finì velocemente di fare colazione, si fece una doccia e si vestì, il tutto con l’impressione sempre più evidente che Zoe cercasse di evitarlo: ogni volta che lui entrava in una stanza la ragazza trovava quasi subito qualcosa da fare da un’altra parte.
Giacomo aspettò pazientemente di arrivare in macchina, dove ovviamente lei non aveva più la possibilità di scappare. Appena saliti, ancora prima di accendere il motore, le si avvicinò e le stampò un altro bacio sulla guancia, cosa che lei gli lasciò fare senza problemi.
“Allora,” esordì Giacomo dopo un paio di minuti di silenzio. “Ora che sei in trappola, mi dici cosa c’è che non va.”
Zoe rispose un po’ troppo velocemente per essere credibile. “Niente.”
“Quindi tutto apposto con… quello che è successo ieri sera, insomma?”
Con la coda dell’occhio la vide scrollare le spalle. “Sì, cioè… Eravamo entrambi lì.”
Di norma Giacomo sarebbe stato cauto con Zoe in una situazione del genere, ma sapeva che avrebbe dovuto salutarla da lì a mezz’ora e, purtroppo, immaginava che se non l’avesse pressata sarebbero rimaste troppe cose irrisolte tra di loro. Era probabile che succedesse anche pressandola, ma non trovava altre soluzioni.
“Perché ti comporti in modo così strano, allora?”
“Non sono strana!” esclamò lei, presa alla sprovvista.
“Sì, lo sei, e lo sei anche normalmente,” rispose lui per smorzare l’atmosfera, ma continuando a rimanere serio. “Ma oggi ti comporti come se io fossi un appestato.”
“No, non è vero, io…”
“Ok, allora se è tutto apposto, direi che… Beh, insomma, dopo quello che è successo possiamo provare a darci una possibilità, no? Stare insieme?” propose lui, provocatorio.
Zoe per poco non si soffocò con la sua stessa saliva, tossì un paio di volte e poi lo guardò con gli occhi sbarrati. “Non esagerare adesso!”
“È quello che voglio,” confessò Giacomo, stavolta con sincerità.
Lei cedette. “Ok, sono spaventata, ma è normale! E poi non è solo questo, abbiamo bisogno di parlare, Giaco, e adesso non ce n’è il tempo…”
“Perché tu hai deciso di andare via prima,” puntualizzò lui, ma Zoe continuò senza fare una piega.
“…e non credo di essere ancora pronta a parlarne. Devo metabolizzare il tutto.”
Giacomo rimase in silenzio per qualche minuto. Attese di accostare la macchina nei pressi della stazione, poi si girò verso lei: poteva vedere che era in difficoltà ma non riusciva a capire per cosa, e gli sembrava improbabile che potesse scucirglielo in quei pochi minuti rimasti loro.
“Quanto tempo pensi di metterci per metabolizzare?” le domandò guardandola negli occhi.
“Non lo so. Spero poco,” rispose lei abbassando lo sguardo.
Il ragazzo sospirò, attese qualche secondo, poi ritentò. “Fatto?”
“Cosa?”
“Hai metabolizzato? È passato un po’.”
A Zoe finalmente scappò un sorriso sincero, e lui si sentì già più sollevato. Quando alzò di nuovo su di lui due occhi decisamente titubanti, Giacomo capì che c’era qualcosa che lei non gli aveva detto, e che forse non voleva dirgli in quel momento. Aspettò comunque che fosse lei a parlare.
 “Abbiamo delle cose da dirci, e troppo poco tempo per farlo. Tu non sai cosa mi è successo quest’estate e io non so cos’è successo a te.”
“È per questo?”
Zoe chiuse gli occhi, stremata. “Non lo so. Sono confusa, delusa…”
“Delusa da cosa?”
“…e spaventata,” concluse lei, senza ascoltarlo. “E in ritardo, quindi devo andare.”
“Zò, non escludermi così, adesso. Prenditi del tempo, se vuoi, ma non buttarmi fuori. Non è giusto.”
“Hai ragione, e non voglio farlo. Lasciami solo qualche giorno.”
Giacomo annuì, poi le si avvicinò piano, le spostò dei capelli dal viso con delicatezza, lasciandole il tempo di scegliere se spostarsi o meno. Lei non lo fece, perciò, con il tuffo al cuore che sentiva sempre in questi casi, la baciò lentamente, assaporando quel contatto e cercando di rassicurarla così, prima di lasciarla andare via di nuovo.















Ciao a tutti! Inizio dicendo che è stata davvero dura scrivere questo capitolo, e non pensavo. Sapevo che l’avrei pubblicato perché, come ho già detto altrove, ho deciso di finire la storia; eppure mi sedevo al pc, mi obbligavo ad aprire il file e non riuscivo a scrivere nulla. Poi mi è arrivata l’ispirazione e il pc è dovuto andare dal dottore. E infine sono riuscita a scrivere solo a momenti, per cause di forza maggiore.
Perciò mi scuso. Non per il ritardo – ormai dopo una pausa di tre anni non esiste più la parola ritardo! :P – ma per un capitolo che, temo, potrà risultare forzato e spezzettato e scritto male.
Non sono capace a scrivere scene di sesso, insomma, questo è evidente, ed è anche per questo che la storia ha mantenuto un rating basso (anche se di recente l’ho cambiato da verde a giallo, ma solo per sicurezza). Non è che non apprezzi storie con scene di sesso rappresentate graficamente, anzi, è bravo chi riesce a descriverle senza risultare pesante e ridicolo, come invece capiterebbe a me. -.- Faccio fatica anche a scrivere scene smielate, baci, ecc, mi sembra di ripetere sempre le stesse quattro parole. Spero non sia così, in caso fatemelo sapere che vedo di ritirarmi… :)

So che ci sono delle cose che ho lasciato in sospeso nel capitolo, ma ovviamente conto di chiudere tutto nel prossimo (più un eventuale capitolo breve di chiusura, ma non ne sono per niente sicura e, anzi, anche se era previsto è probabile che non ci sarà).
Zoe è una rompi coglioni, sì, ma ha qualche ragione per comportarsi in questo modo. Se notate, infatti, l'ultima parte è tutta dal punto di vita di Giacomo, quindi non capiamo cosa pensi veramente lei: può sembrare strano, ma qualcosa lo sta pensando! E comunque il tempo, finora, è stato piuttosto cattivo con i due protagonisti, che non sono mai riusciti a stare insieme per bene, senza combinare disastri.
Questo capitolo fatto di Zoe e Giacomo, questo capitolo in cui finalmente riescono a prendersi un po’ di tempo per chiudere il resto del mondo fuori dalla porta, questo capitolo lo dedico a voi, a tutte le splendide lettrici che seguono questa storia nonostante tutto (e chi la segue dall’inizio sa cosa intendo).
Non sono sicura che questi due, nella vita reale, potrebbero stare davvero insieme. Probabilmente no, forse lei è troppo angosciata e paranoica, e lui è troppo impegnato e troppo poco perspicace. Ma quel poco che ho imparato io è che a volte capitano le cose più assurde, quelle che non ti aspetti. Zoe incontra Davide e pensa sia l’uomo perfetto, e in realtà è con ogni probabilità già innamorata di Giacomo.

Per il resto, mi sembra giusto mettere i credit per le canzoni citate nella scena del karaoke, anche se credo che siano tutte abbastanza famose.
Yellow Submarine e All you need is love sono ovviamente dei Beatles. Non penso ci sia altro da aggiungere.
Spaccacuore è una canzone di Samuele Bersani di cui, come ho scritto sopra, Laura Pausini ha fatto una cover. Premettendo che io non ho niente contro la Pausini, preferisco, come Zoe, la versione originale.
Every breath you take è un pezzo dei Police del 1983. Non è la mia canzone preferita, ma ho avuto un periodo adolescenziale in cui la ascoltavo spesso…e anch’io come Zoe ero propensa all’interpretazione dello stalker! XD E poi mi sembrava un buon compromesso per un karaoke!

Buono, ho finito qui. Vi ringrazio ancora tutti di cuore e vi do appuntamento al prossimo capitolo, e alla fine di questa saga infinita. :) Au revoir!

  
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