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Autore: peetarms    18/11/2014    6 recensioni
Elizabeth Jensen non sopporta il suo nome intero, si fa chiamare Effy. Non sopporta neanche il suo passato, la morte di suo fratello gli ha fatto prendere decisioni sbagliate.
Suo padre Jeremy Jensen è un attore di fama mondiale molto legato ad Effy, sua madre Amanda Cortese invece è una delle modelle più famose a New York.
Per far ricominciare una nuova vita ad Effy decidono di trasferirsi nella città natale di suo padre, Union in Kentucky. Ma quando tutto sembrava andare per il verso giusto, il passato di Effy ritorna.
Josh Hutcherson è tornato a Union in Kentucky dopo le ultime première di Mockingjay pt.2 per prendersi un paio di mesi di pausa. Quando il suo agente lo chiama informandolo che agli inizi di Aprile ci saranno le audizioni per il film dell'attore Jeremy Jensen – attore che Josh ammira da sempre – Così Josh decide di provare ad entrar a far parte del cast.
Film che Jeremy ha scritto ispirandosi al passato di Effy.
[OFFICIAL TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=FOPTZkdyxyk]
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*






 05.




30 Aprile 2016 ore 4.43pm.


Blocco l'iphone dopo aver cambiato canzone. Mi distendo sul divano del salotto mentre le note di In Bloom dei Nirvana mi estraniano dalla realtà. Chiudo gli occhi tenendo il tempo della canzone con le mani. Una sensazione di pace – seppure piccola – si insidia dentro di me e non ne potrei essere più contenta. 
Sensazione di equilibrio che viene interrotta da mio papà. Il quale alza le mie esili gambe ricoperte da jeans scuri strappati sul ginocchio destro sedendosi di fianco a me.
Allunga le braccia per tirarmi su vicino a lui, e una volta fatto prende la mia cuffietta e la porta al suo orecchio.
«Ho sempre detto che hai buon gusto per la musica» mi sorride mentre allungo le gambe nel tavolino da caffè.
«Ho preso da qualcuno» rispondo divertita. Sin da quando sono piccola mi ha fatto ascoltare la musica dei Nirvana, e me ne sono perdutamente innamorata.
«Appena conoscerò quel qualcuno lo ringrazierò» passa un braccio dietro la schiena tirandomi a sè dove mi lascia un bacio tra i capelli.
«Mamma?» chiedo cambiando discorso dopo aver stoppato la musica alla fine della canzone.
«Quando ero al telefono con Josh era in palestra» Josh. Non lo doveva nominare.
Non rispondo, mi libero dalla sua presa e quando sto per alzarmi mi ritira giù.
«Non vai da nessuna parte Effy, non fin quando non abbiamo finito di parlare» la sua voce è seria. E so perfettamente che quando usa quel tono non c'è via di scampo. Bisogna stare a sentirlo.



[...] Mi reggo a malapena sui tacchi alti che ho ai piedi. Mi trascino barcollando su per gli scalini di casa. Un senso di nausea mi tiene stretto a lei e il mal di testa è diventato il mio miglior compagno di viaggio. 
Il vestito succinto che ho indosso – nero, di pizzo – è un misto di fumo, alcool e sesso – si alza ad ogni scalino percorso.  A metà scala un conato di vomito mi coglie all'improvviso, mi chino in avanti per vomitare tutto l'alcool all'interno del mio stomaco vuoto, privo di cibo da non so quanto tempo. Ora anche i capelli sono sporchi e non odorano più solo di fumo. Mi appoggio alla parete e mi lascio scivolare piano piano a terra mentre passo le dita sugli occhi rossi e irritati. Chiudo gli occhi, sono stremata, vuota. Vuota come il mio stomaco, vuota come il mio cuore e qualsiasi sentimento dentro di me si è spento da tempo ormai. Tengo ancora gli occhi chiusi e mi lascio scivolare in un sonno privo di sogni. Un sonno che non sarà mai rigenerante. Un sonno dal quale mi riprenderò ancora più stanca di quando mi sono addormentata. Un sonno al freddo e con dolori in tutto il corpo.

Mi sveglio quando vengo sollevata da mio padre. Appoggio la testa sulla sua spalla cercando di reprimere il dolore martellante dentro alla mia testa. Mugugno qualcosa di insensato mentre mio padre mi appoggia sul divano dell'enorme salotto bianco. Mi copre con una coperta nera pesante dopo avermi tolto i tacchi. Dopo di che non ricordo nient'altro perché vengo inghiottita di nuovo dal nero.

Quando riapro gli occhi è tutto buio. Rimango sotto la coperta beneficiandomi del calore che emana. Pochi minuti dopo però mi alzo e mi segue il mio solito capogiro. Cammino trascinando i miei piedi scalzi verso l'interruttore della luce e lo premo. Il mio sguardo va diretto all'orologio sopra al camino che segna le 5.12pm. Spengo di nuovo la luce e mi dirigo in cucina per bere un bicchiere d'acqua. Ho la gola secca e asciutta.
Dopo aver preso un bicchiere dalla credenza della cucina apro il frigorifero per prendere la bottiglia di acqua fresca e ne bevo un'abbondante sorsata dalla bottiglia, dopo di che riempo il bicchiere e la ripongo al suo posto. Mi siedo sullo sgabello dopo aver fatto qualche smorfia di dolore per lo sforzo, il mio corpo è debole e dipendente dalla droga e dall'alcool che ormai non ho più in circolo visto che ho dormito per quasi dodici ore. Solo ora mi accorgo di un post-it giallo attaccato sul piano. Riconosco la scrittura di mio papà.
“Appena torno a casa questa sera dobbiamo parlare. Torna anche tua madre quindi faremo una riunione di famiglia. In frigorifero c'è la cena, devi solo riscaldarla. Ti voglio bene, papà.”
Appallottolo il post-it e lo butto dall'altra parte della cucina. Tracanno avidamente l'acqua dal bicchiere che ripongo nel lavabo. Apro il frigorifero per prendere il contenitore dove mio padre ha lasciato la cena. 
Mi dirigo lentamente verso il bagno del piano di sotto, rovescio il contenuto nel water e tiro lo sciacquone. 
Apro il cassetto popolato dalle mie cose, estraggo una lametta e una bustina bianca dal beauty case. Dispongo la cocaina in strisce, prendo anche una banconota arrotolata. L'appoggio sopra alla polvere e inspiro le tre strisce predisposte da me poco prima. 
Ripongo la bustina dentro al beauty case, nascondendola bene sotto i trucchi. Mi prendo un attimo – mentre la cocaina agisce dentro di me – per osservarmi allo specchio. 
Matita e mascara colati, rossetto rosso accesso sbavato. Vestito che non lascia all'immaginazione. Sfilo il vestito nero di pizzo da sopra la testa con una lentezza disarmante, rimango in intimo, anch'esso nero. Le mie braccia sono segnate da tagli rossi ancora freschi, che bruciano quando ci penso. Prendo tra le dita la lametta che viene appoggiata sul braccio sinistro e premuta profondamente. Il sangue sgorga immediatamente. Una lacrima scende dal mio occhio sinistro. Un altro taglio, poco più sopra: più lungo e più profondo.
Quando oramai il bruciore è diventato insopportabile ripongo la lametta al suo posto e entro in doccia ancora vestita con l'intimo. Mi siedo a terra dopo aver regolato la temperatura dell'acqua e rimango così, a non pensare a nulla per non so quanto tempo, fino a quando il sangue non smette di uscire dai tagli. 
Chiudo l'acqua e mi lavo accuratamente i capelli e il corpo dopo essermi tolta gli indumenti ancora indosso.
Una ventina di minuti dopo sono fuori dal bagno con indosso l'accappatoio e i capelli neri lunghi asciutti, morbidi e profumati. Il viso struccato ma con la cocaina in circolo nel mio esile corpo, corpo che ha perso all'incirca una decina di chili negli ultimi sei mesi.
Salgo le scale che portano al secondo piano, piano dove ci sono le camere da letto e due bagni. Entro nella mia camera e la prima cosa che noto è il disordine, alzo le spalle mentre apro le ante dell'armadio dove tiro fuori un paio di leggins e una canottiera scollata sul davanti bianca, e una giacca rossa. Indosso tutto con cura, e finisco con uno spruzzo di profumo. Cerco la borsa che trovo sotto al letto, mi accerto di avere all'interno le sigarette e l'accendino. Esco dalla camera e scendo le scale. Appoggio la borsa sul divano dopo aver preso dalla pochette il portafoglio, mi dirigo in bagno dove mi dedico al make up. Metto un sottile strato di fondotinta e nascondo le occhiaie con il correttore. Metto la matita all'interno dei miei occhi e l'eyeliner. Per finire il rossetto rosso. Mi guardo allo specchio dopo aver pettinato nuovamente i miei capelli. Spengo la luce e ritorno in salotto dove prendo la borsa, il cellulare e le chiavi della macchina. Apro la porta ma la figura di mio padre mi ostacola il passaggio. Guardo l'orologio nel cellulare. Segna le 8.43pm.
«Vai da qualche parte Effy?» la voce di mio papà è stanca e affaticata. Le borse sotto agli occhi gli danno qualche anno in più, anni che invece gli hanno sempre tolto. La morte di Freddie ha distrutto anche lui.
«Stavo andando da Rachel» mento. Non la vedo e non la sento da settimane.
«Chiamala e digli che per questa sera non vi vedrete, abbiamo in programma una riunione familiare» anche la figura stanca di mia mamma compare sulle scale. Rientro in casa appoggiando il telefono e il resto sulla mensola e mi avvio verso il salotto dove mi stendo sul divano.
«Hai cenato tesoro?» mia mamma mi si avvicina e mi scocca un bacio sulla fronte
Annuisco distratta, il mio sguardo è posato su mio padre.
«Come mai questa riunione di famiglia?» gli chiedo piatta.
«Dobbiamo parlare seriamente di te Effy» il suo tono di voce è serio, non ammette repliche.
«Di cosa? Io sto benissimo papà»  mi siedo a gambe incrociate cercando di mantenere una voce indifferente
«Non stai bene tesoro» mia mamma, la sua voce è ancora più stanca di quanto non avessi mai sentito ed è preoccupata. Mio padre si siede nella poltrona di fronte al divano dove siamo sedute io e mia mamma.
«Effy parla con noi. Siamo i tuoi genitori, gli unici a cui puoi dire tutto» questa volta è mio padre a parlare, con un tono meno serio perché la serietà viene sostituita con una preoccupazione che non gli ho mai visto manifestare così apertamente.
Non rispondo per non so quanto tempo, poi le parole escono da sole, come se fossero stanche di essere represse ogni giorno sempre più in fondo dentro di me. «Ho paura. Paura perché non mi riconosco più. Non so chi sono, ne dov'è finita la vecchia me. Parlo come una sconosciuta, reagisco come non avrei mai fatto, e non mi importa più di nulla. Sono distante. Distante da tutto e tutti. Dai sentimenti, dalle parole e dalle persone. Non provo niente. Ogni tanto il dolore viene a bussare alla porta, ma dopo un paio di minuti lo mando via con una sigaretta, con qualche tipo di droga ogni giorno diversa e con un bicchiere di qualche superalcolico. Non piango più dal dolore, no. Non piango più in generale. Piango raramente. Solo di notte però e solamente per paura. Quando mi guardo allo specchio, quando penso a quello che faccio, quello che non mi sarei mai aspettata di fare. Allora lì sprofondo e una lacrima scende involontariamente. Continuo a guardare l'immagine riflessa allo specchio che appartiene ad una sconosciuta, non sono io quella ma non so come liberarmene, perché io sto diventando lei. Non so più chi sono. No, davvero, non lo so. Ma ora so che è vero: il dolore ti cambia dentro.» scoppio in un pianto isterico. Tutte le emozioni represse vengono fuori come un'improvviso temporale in piena estate. Il mio corpo è percorso da tremiti, la testa pulsa ancora di più e la vista si fa sempre più annebbiata fino a che diventa piano piano tutto nero. Le ultime parole che riesco a captare provengono da mio padre: «Dobbiamo aiutarla Amanda, ha bisogno di un centro di recupero. Ha bisogno di aiuto serio.»
«Solo un taglio. Solo un graffio. “Cos'è quel segno”. “È solo il gatto”. Solo una scusa. Solo un'altra bugia. “Cosa sono tutti quei braccialetti?”. “Solo moda, perché?”. Solo una lacrima. Solo un urlo. “Perché piangevi?”. “Solo un brutto ricordo”.  Ma non era solo un taglio, o una lacrima o una bugia. È sempre stato “un altro solo” fino alla massima distruzione.» 
Canticchio mentre mi faccio risucchiare dal nero.




«Effy. Effy» mio padre mi scossa per riportarmi alla realtà.
«Papà» sbatto più volte le palpebre mentre cerco di calmarmi. Il battito cardiaco è aumentato.
«Stai bene tesoro?» mi guarda visibilmente preoccupato
«Sì – annuisco – Ho avuto un flashback»
«Anche io ne ho avuto uno mentre ti ho visto in trance in questi dieci minuti» sospira appoggiandosi allo schienale
«Quale?» chiedo titubante per la risposta che arriverà successivamente
«Entrai nell'ospedale e camminai lungo il corridoio per arrivare alla tua stanza. Ti vidi distesa lì, dormendo pacificamente, sembravi felice. Ma poi notai i tuoi polsi e come le bende fossero macchiate di rosso. Mi sedetti affianco a te, osservai tutte le cicatrici che coprivano le tue braccia e capii quante volte avevi avuto bisogno di qualcuno, e quante volte, io non ero lì.» per un momento penso che stia leggendo da qualche parte visto che sembra una frase scritta, ma quando mi volto verso di lui noto che non sta leggendo. Quella scena è talmente impressa nella sua mente che niente e nessuno potrà mai togliergliela. Una morsa allo stomaco mi toglie il fiato. Una lacrima, un'altra e un'altra ancora scendono dai miei occhi. Lui mi stringe forte a sé, cullandomi come quando ero bambina ed avevo fatto un brutto sogno. E così mi addormento tra le sue braccia mentre lui mi sussurra che andrà tutto bene.














 


Buonasera Hutchers, devo ammettere che ci ho messo tempo ad aggiornare. Però con tre storie in corso e la scuola di mezzo non è facile.
IO AMO QUESTO CAPITOLO, GIURO LO AMO. 
Forse è uno dei più bei capitoli che abbia mai scritto ahah.
Bene, ora sapete un po' di più sul passato di Effy.. Ora voglio sapere i vostri commenti e quello che pensate sul capitolo. Quindi mie care recensite perchè sono davvero curiosa.
Un bacio, spero a presto.
-peetarms.



 

   
 
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