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Autore: GretaCrazyWriter    19/11/2014    2 recensioni
Mia prima storia Malec. Parla di Magnus e Alec, le stesse persone che conosciamo, ma l'universo non è più quello creato dalla Clare.
E' una Malec!Sherlock (e intendo la serie tv), con Magnus come Sherlock ed Alec come John.
In pratica, è la rivisitazione della serie tv in versione Malec (con qualche piccolo - o grande - accorgimento per adattarlo alla Malec).
Può essere letta da chiunque, ovviamente.
Spero che vi piaccia.
Genere: Angst, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Uno studio in rosa

Capitolo 7
 
 
 
 
 
Will incrociò le braccia, fissandolo. «Allora lavoriamo assieme.» disse semplicemente. «E devi sapere che ho trovato Rachel.»
 
A quelle parole Magnus sentì l’adrenalina e l’eccitazione invaderlo, e le domande si accavallarono senza controllo nella sua mente. «Chi è?» chiese.
«L’unica figlia di Jennifer Wilson.» rispose Will.
«Sua figlia?» Magnus aggrottò la fronte. «Perché avrebbe dovuto ascrivere il nome di sua figlia?»
«Chi se ne frega!» sbottò Anderson, sbucando dalla cucina. «Abbiamo trovato la valigia! A detta di qualcuno l’assassino ha la valigia, e l’abbiamo trovata nelle mani del nostro psicopatico preferito.» E qui sparò un’occhiata acida a Magnus.
L’interpellato sbuffò. «Non sono psicopatico, Anderson.» fece con tono annoiato. «Sono un sociopatico iperattivo. Impara.» Tornò a rivolgersi a Will. «Devi convocare Rachel ed interrogarla.» disse perentorio.
L’ispettore scosse la testa. «E’ morta.»
«Ottimo!» fece l’altro. «Come, quando, perché?» Gesticolò in direzione di Will. «C’è un collegamento? Deve esserci!»
«Ne dubito.» lo interruppe lui. «Dato che è morta quattordici anni fa. Tecnicamente, non è mai esistita. Rachel è la figlia nata morta di Jennifer Wilson.»
Magnus scosse la testa, confuso. «No, è…» Si interruppe. «Perché lo avrebbe fatto? Perché?»
«Perché mai pensare a sua figlia nei suoi ultimi istanti?» sbuffò Anderson. «Già, sociopatico… ora capisco.»
Magnus si voltò di scatto verso di lui, irritato. «Non ha pensato a sua figlia!» sbottò. «Ha inciso il suo nome sul pavimento usando le unghie! Stava morendo, si sarà sforzata, deve essere stato doloroso!» Riprese a camminare avanti ed indietro, passandosi ripetutamente le mani tra i capelli, riflettendo alta voce.
«Lei ha detto che le vittime hanno preso loro stesse il veleno.» disse Alec, e per poco Magnus non sobbalzò. Si era quasi dimenticato che fosse lì. «Che le costringe a prenderlo. Beh…» Esitò, come per paura di dire qualcosa di sbagliato, e Magnus gli fece cenno di parlare, senza mai smettere di camminare. «Magari lui… non so… gli parla. Forse ha usato la morte di sua figlia in qualche modo.»
«E’ stato secoli fa.» disse Magnus, esasperato. «Perché avrebbe dovuto starci ancora male tanto da essere convinta a suicidarsi?» Scosse la testa. «Se tu stessi morendo… se venissi ammazzato, nei tuoi ultimi secondi cosa diresti? Jennifer Wilson» continuò, senza aspettare risposta. «con tutti quegli amanti, era furba. Sta cercando di dirci qualcosa!»
In quel momento comparve Tessa sulla porta. «Il tuo taxi è qui, Magnus.» disse.
«Non ho chiamato un taxi. Lo faccia andare via!» rispose brusco lui.
«Oh Dio,» disse la padrona di casa, guardandosi intorno ed accorgendosi della confusione. «Cos’è tutto questo casino? Cosa stanno cercando?»
Magnus sentì distrattamente Alec spiegarle: «E’ una retata antidroga.» e gli agenti di polizia parlare in sottofondo, e alla fine esplose: «State tutti zitti!» quasi urlò. «Zitti! Non muovetevi, non parlate, non respirate! Cerco di pensare!» Fece un cenno deciso verso la cucina. «Anderson, girati dall’altra parte. Mi sconcentri!»
«Come?» fece l’altro, sbalordito. «La mia faccia ti…»
«Tutti zitti e fermi.» lo interruppe Magnus.
Will scosse la testa. Era l’unico che fosse anche solo minimamente abituato agli scatti dell’investigatore. «Anderson, girati.» disse, pacato.
«Ma…»
«Girati adesso, grazie!» Il tono quasi furioso di Magnus parve sortire l’effetto desiderato.
«E’ il tuo taxi.» intervenne Tessa.
«Tessa!» sbottò l’altro.
Anche lei parve recepire il messaggio e si diresse a passo veloce verso le scale, non senza avergli risparmiato un’occhiata indignata.
Finalmente lui si rilassò e continuò a spiegare, ignorando gli occhi spalancati di Alec che lo osservavano come se fosse impazzito. «Era furbissima, sì. È più furba…» Riprese camminare per la stanza.
«di tutti voi messi insieme. Ed è morta. Vedete, capite? Non ha perso il telefono, non l’ha mai perso! L’ha piazzato su di lui! Quando è uscita dall’auto, sapeva che sarebbe andata incontro alla sua morte. Ha lasciato lì il telefono per condurci al suo assassino!»
«Ma come?» chiese Will.
«Cosa significa, come?» fece Magnus, irritato. Non era ovvio? «Rachel! Non capite? Rachel!» Tutti lo fissavano allibiti. «Ma guardatevi, siete così assenti…» disse. «E’ bello non essere me, vero? Deve essere così rilassante. Rachel non è un nome!»
«E allora cos’è?» disse Anderson, sarcastico.
«Alec, sulla valigia c’è una targhetta, un indirizzo e-Mail. Leggilo.» Si sedette alla scrivania, aprendo il portatile ed andando su internet.
«jennie.pink@mephone.org.uk.» lesse Alec, e Magnus digitò l’indirizzo, dopo essere entrato nell’e-Mail.
«Sono stato lento.» disse intanto. «Non aveva un portatile, il che significa che lavorava con il cellulare. Quindi è uno smartphone, accede alle e-Mail. Quindi c’è un sito per il suo account. E ovviamente la password è “Rachel”.»
«Bene.» disse Anderson. «Possiamo leggere le sue e-Mail, e allora?»
«Anderson, sta zitto.» disse tranquillamente Magnus, senza scollare gli occhi dallo schermo. «Abbassi il quoziente intellettivo di tutto il quartiere. Possiamo fare molto più che leggere e-Mail.» spiegò poi. « È uno smartphone, ha il GPS. Se lo perdi, puoi localizzarlo online. Ci sta conducendo direttamente all’assassino.»
«Se non se n’è liberato.» obiettò Anderson, ignorando l’ordine di Magnus.
«Sappiamo che non l’ha fatto.» ribatté Alec. Era appoggiato allo schienale della sedia di Magnus e si sporgeva per vedere lo schermo.
Intanto il GPS doveva ancora localizzare il cellulare. «Avanti,» mormorò Magnus, impaziente. «Avanti, più veloce…»
In quel momento Tessa tornò. «Magnus, questo tassista…» iniziò, ma lui la interruppe, alzandosi in piedi e dirigendosi verso di lei. «Tessa, non è ora del tuo the serale?» Si rivolse a Will, mentre Alec prendeva il suo posto alla scrivania. «Prendi un’auto, prendi un elicottero, dobbiamo essere veloci.»
«La batteria non durerà per sempre.» osservò Donovan.
«Abbiamo un punto sulla mappa, non un nome!» aggiunse Will.
«E’ un inizio!» li zittì Magnus.
«Magnus…» mormorò Alec, ancora al computer, ed il suo tono sembrava quasi sconvolto.
«Sono un po’ meno di tutta Londra.» continuò questi, ignorandolo. «E’ la prima vera traccia che abbiamo!»
«Magnus.» Alec alzò la voce, e finalmente il suo coinquilino si voltò verso di lui. «Dov’è? Veloce, dov’è?»
Gli occhi di Alec erano spalancati, ed un attimo dopo Magnus capì il perché. «Qui.» disse piano. «E’… al 221B di Baker Street.»
Magnus dischiuse le labbra, voltandosi lentamente verso il resto della stanza. «Come può essere qui? Come
«Beh, forse era nella valigia quando l’hai portata qui ed… è caduto da qualche parte.» tentò Will, con il tono di chi però dubita delle proprie stesse parole.
«Ed io non l’ho notato? Io? E comunque,» riprese. «Gli abbiamo scritto e lui ha richiamato.»
Mentre l’ispettore ordinava di cercare un cellulare lì intorno – cosa che, secondo Magnus, era abbastanza inutile – nella mente dell’investigatore riaffiorarono le proprie stesse parole.
Di chi ci fidiamo anche se non lo conosciamo?
Posò gli occhi su Tessa, e poi sulla figura che stava dietro di lei. L’aveva appena notata, doveva essere il tassista di cui parlava.
Chi passa inosservato ovunque vada?
La targhetta appesa al collo del tassista… non gli era nuova.
Ovviamente. Era la targa del suo taxi, e il taxi era lo stesso che lui e Alec avevano inseguito.
Chi caccia nel bel mezzo della folla?
L’uomo tirò fuori un oggetto dalla tasca. Un cellulare, uno smartphone dalla cover rosa shocking.
Digitò qualcosa, e un attimo dopo il telefono di Magnus squillò.
Era un messaggio da un numero sconosciuto. Diceva solo tre semplici parole:
 
VIENI CON ME
 
Alzò lo sguardo, ed osservò il tassista girarsi ed andarsene, lentamente, come se volesse lasciargli il tempo di fermarlo.
«Magnus?» chiese Alec, fissandolo confuso.
«Stai bene?» aggiunse Tessa.
«Sì, sì… sto bene.» rispose distrattamente.
«Allora, come fa il cellulare ad essere qui?» chiese Will.
«Non lo so.» disse Magnus, senza prestare la minima attenzione.
«Ci riprovo.» Alec tornò al computer.
«Meglio.» assentì Will.
«A meno che l’assassino non sia proprio qui.» aggiunse allusivamente Anderson.
Senza ascoltarli, Magnus si diresse verso la porta, ed uscì in corridoio.
Alec parve l’unico ad accorgersene. «Dove vai?»
«A prendere un po’ d’aria. Vado fuori solo un momento.» rispose. «Non starò via molto.»
L’altro aggrottò le sopracciglia. «Sicuro che vada tutto bene?»
Magnus non rispose, ed iniziò a scendere le scale. Dapprima lentamente, poi, quando fu certo di non essere visto, correndo.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Quando uscì all’esterno trovò ad aspettarlo un taxi parcheggiato esattamente di fronte all’appartamento e, appoggiato alla portiera anteriore, un uomo di mezza età con radi capelli bianchi ed un soprabito beige, che lo osservava indecifrabile.
«Taxi per Magnus Bane.» disse con tono beffardo.
Non era ciò che Magnus si sarebbe aspettato, ma in ogni caso decise di stare al gioco. «Non ho chiamato un taxi.» disse.
L’uomo inclinò il capo. «Non significa che non ne abbia bisogno.»
L’altro fece un passo avanti. «Lei è il tassista.» fece, scrutandolo. «Quello che si è fermato a Northumberland Street. Era lei. Non il passeggero.»
Lui fece un sorriso grottesco. «Vede? Nessuno pensa mai ai tassisti. È come essere invisibili. Solo una nuca. Un bel vantaggio per un serial killer.»
Magnus gli si avvicinò ancora di più, le mani nelle tasche del giubbotto nero. «E’ una confessione?» chiese, ben sapendo la risposta.
«Sì.» Lo fissò con occhi quasi vacui. «Le dirò di più. Se chiama i poliziotti adesso, non scapperò. Me ne starò tranquillo e potranno portarmi via, lo prometto.»
L’investigatore aggrottò la fronte. «Perché?»
Il tassista gli fece di nuovo quel suo sorriso di chi sa di averla vinta. «Perché non lo farà.»
«Ah, no?»
«Non ho ucciso quelle quattro persone, signor Bane.» disse. «Ho parlato con loro… e loro si sono suicidate. E se ora chiama i poliziotti le prometto una cosa.» Si sporse, sempre appoggiato alla macchina. «Non le dirò mai che cosa ho detto loro.» Si scollò dalla portiera e fece il giro dell’auto, verso il posto di guida.
«Comunque,» lo bloccò Magnus. «Nessun’altro morirebbe, e questo sarebbe un bel traguardo.»
«E lei non capirebbe mai come sono morte quelle persone.» disse l’assassino. «Quale tipo di traguardo le interessa?» E salì al posto di guida del taxi.
Magnus si morse il labbro, guardando verso la finestra da cui provenivano voci concitate. Si chiese cosa stessero facendo e se si fossero accorti che lui mancava da ormai troppo tempo. Forse, forse, Alec l’avrebbe fatto… Appena quel pensiero gli si formò in mente, lo scacciò con stizza. Non aveva tempo per pensare a certe cose. Si chinò all’altezza del finestrino del guidatore, che era abbassato, probabilmente non per caso.
«Se volessi sapere,» disse lentamente. «che cosa dovrei fare?»
L’uomo davanti a lui alzò le sopracciglia ingrigite, come se fosse ovvio. «Venga con me.»
«Così può uccidere anche me?» fece Magnus sarcastico.
«Non voglio ucciderla, signor Bane.» disse l’altro con calma. «Io le parlerò… e poi lei si suiciderà.»
Magnus si raddrizzò. La sua mente lavorava frenetica. Avrebbe dovuto chiamare Will e gli altri, questa era la scelta giusta da fare. Ma non sarebbe stato quello che lui avrebbe voluto fare. Non gli ci volle più di un paio di minuti a decidersi.
Sbuffò, afferrò la maniglia della portiera e, spalancandola, dopo un attimo di esitazione, entrò nel taxi, che subito si mise in moto.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Alec attraversò a passo pesante la stanza, sotto lo sguardo attento di Will. Aveva il telefono all’orecchio. Stava tentando di chiamare il numero del cellulare di Jennifer Wilson, senza però molti risultati. Si affacciò alla finestra, dando un’occhiata di sfuggita sulla strada sottostante... giusto in tempo per vedere la figura longilinea di Magnus salire su un taxi che se ne andò, sfrecciando tra la folla.
«E’ appena salito su un taxi…» disse con incredulità. Abbassò il cellulare, voltandosi verso gli altri. «E’… Magnus. Se n’è appena andato in taxi.»
«Gliel’ho detto che fa così.» Donovan scosse la testa, rivolgendosi a Will. «Se n’è andato, di nuovo.» Sbuffò. «Stiamo perdendo tempo!»
«Sto chiamando il cellulare…» disse Alec a Will, che pareva l’unico che lo calcolasse minimamente al momento. «Non risponde, squilla a vuoto…»
«E se sta squillando, non è qui.» osservò Will.
«Ha importanza?» sbottò Donovan. «Qualcosa qui ce l’ha?» Si rivolse ad Alec: « È solo un pazzo e ti delude sempre! E tu stai perdendo tempo. Tutti lo stiamo perdendo.» Alec si sforzò di ignorarla, afferrando il portatile e riprovando a far partire il GPS.
Intanto, Donovan e Will si stavano fissando con aria di sfida ed ora anche gli altri agenti nella stanza li osservavano, come aspettando una qualsiasi reazione di uno dei due.
Alla fine Will sospirò. «Okay, gente…» disse rassegnato. «Abbiamo finito, qui.»
 
 
 
 
***
 
 
 
 
«Come ha fatto a trovarmi?» Magnus fu il primo a rompere il silenzio che da quasi dieci minuti era piombato nel piccolo abitacolo del taxi.
«L’ho riconosciuta.» rispose il tassista, osservandolo attraverso lo specchietto retrovisore. «Appena ho visto che inseguiva il mio taxi… Magnus Bane. Mi avevano avvisato. Sono anche stato sul suo sito web. Delle cose geniali! Le ho adorate.»
Magnus deglutì. «Chi è che l’ha avvisata?»
L’altro fece impercettibilmente spallucce. «Solo qualcuno là fuori che l’ha notata.»
L’investigatore si protese in avanti. «Chi?» Con la coda dell’occhio iniziò a registrare vari dettagli del guidatore che prima non aveva visto. «Chi mi avrebbe notato?»
«E’ troppo modesto, signor Bane.» Il tono era canzonatorio, ma anche ammirato.
«Non lo sono affatto.» dissentì lui.
Dopo una pausa, il tassista disse: «Un suo ammiratore.»
«Mi dica di più.» lo esortò Magnus.
L’altro ghignò. «Questo è tutto quello che saprà.» Una pausa. «In questa vita.»
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Il salotto era vuoto, tutti se ne erano andati, compresa Tessa, rimanevano solo Will ed Alec, intenti in un animata discussione.
«Perché se n’è andato?» sbottò l’ispettore accigliato, mentre si infilava la giacca. «Perché ha dovuto andarsene.»
Alec si strinse nelle spalle. «Lei lo conosce meglio di me.»
Will si abbottonò il giubbotto scuotendo la testa. «Lo conosco da cinque anni, e no, non è vero.»
«Allora perché lo viene a cercare?»
Will gli rivolse uno sguardo esausto. «Perché sono disperato, ecco perché.» Si diresse verso la porta ma, prima, si voltò di nuovo verso di lui. «E perché Magnus Bane è un uomo fantastico e credo che un giorno, se saremo molto fortunati, potrebbe anche diventare un brav’uomo.» Fece una pausa e disse poche parole, parole che Alec non avrebbe mai scordato. Mai. «Io credo in Magnus Bane. E lei?»
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Il taxi si fermò in un angolo buio del parcheggio di una scuola nei sobborghi di Londra, quando era ormai mezzanotte passata.
Quando il tassista scese, Magnus non si mosse, aspettando che fosse lui ad aprirgli la portiera.
«Dove siamo?» chiese quando furono faccia a faccia, senza accennare ad alzarsi.
«Lei conosce ogni strada di Londra.» ribatté l’altro. «Sa esattamente dove siamo.»
Senza esitare, lui disse: «Istituto parauniversitario Roland-Kerr. Perché qui?»
L’uomo fece un cenno vago con il capo. «E’ aperto. Ci sono gli inservienti.» spiegò. « Quando si è tassisti si conosce sempre un bel posticino tranquillo per un omicidio. Sono sorpreso che molti di noi non lo facciano.»
«E porta semplicemente dentro le sue vittime?» chiese Magnus incuriosito. «Come?»
L’assassino alzò il braccio, puntandogli contro la pistola che aveva finora tenuto nella tasca, l’indice già posizionato sul grilletto.
Magnus sbuffò, annoiato. «Che sciocchezza.» disse con una mezza risatina. «Non si preoccupi. Migliorerà.» Scosse la testa. «Non può costringere le persone a suicidarsi con una pistola puntata contro.»
«Non lo faccio. E’ molto meglio.» rispose il tassista. «Non mi serve questa con lei.» Abbassò il braccio. «Perché lei mi seguirà.» E se ne andò, percorrendo un vialetto che conduceva ad un’entrata laterale.
Dopo un istante, Magnus lo seguì.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Alec rientrò in salotto dopo aver accompagnato Will alla porta. La stanza era ancora come gli agenti l’avevano lasciata: in completo disordine.
Il computer era acceso, appoggiato sul tavolino da caffè. Fu proprio quello ad attirare l’attenzione di Alec, dando un lungo segnale acuto. Il ragazzo, che stava per uscire in strada con l’intento di trovare Magnus, si bloccò.
Si voltò verso l’apparecchio e si chinò ad osservarne lo schermo.
La posizione del cellulare (e quindi, presumibilmente, dell’assassino) era cambiata. Si trovava nei pressi di una strada dei sobborghi.
Trattenne il fiato. Un’idea gli era balzata in mente, tanto impossibile quanto plausibile.
Infondo, era sempre così quando si aveva a che fare con Magnus, ormai l’aveva capito.
Senza nemmeno spegnere il computer o chiudere la porta, afferrò il giubbotto e corse giù per le scale, addentrandosi nella notte.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Entrarono in un aula conferenze, percorsa da tre lunghi tavoli in legno laccato circondati da comode sedie in pelle nera. La debole luce proveniente dai lampioni e dal chiarore della luna non era sufficiente per permettere a Magnus di vedere tutto ciò che vi si trovava dentro, ma tanto bastava. In ogni caso, non era importante.
Come indovinando quei pensieri, il tassista accese le luci. «Beh,» disse. «Cosa ne pensa?» Quando Magnus si voltò a guardarlo, aggrottando la fronte, spiegò: «Sta a lei. È lei che morirà qui.»
L’investigatore strinse la mascella. «No, non è vero.»
L’altro rise. «E’ quello che dicono tutti.» Si avvicinò ad un tavolo, tirando indietro una sedia. «Possiamo parlare?»
Magnus lo osservò a lungo, prima di sedersi dall’altra parte del banco, di fronte a lui. D'altronde, aveva forse scelta?
Si appoggiò con nonchalance allo schienale, attento però ad ogni minimo movimento dell’altro. «E’ stato un po’ rischioso, no?» esordì. «Portarmi via sotto gli occhi di una mezza dozzina di poliziotti… non sono così stupidi. E Tessa si ricorderà di lei.»
L’uomo davanti a lui scosse il capo. «Quello lo chiama rischio? No…» Mise una mano nella tasca della divisa da tassista, e ne estrasse qualcosa di cilindrico, che appoggiò sul tavolo. «Questo è rischio.» Era una boccetta di vetro contenente una singola pillola bianca. «Mi piace questa parte.» disse l’assassino. «Perché ancora non capisce, vero? Ma ci è vicino… Devo solo fare questo.» Estrasse un’altra boccetta uguale identica alla prima, sia per aspetto sia per contenuto, e la poggiò a fianco all’altra. «Non se lo aspettava, vero?» ridacchiò. «Lo adorerà.»
«Adorerò cosa?»
«Magnus Bane.» disse l’uomo. «Ma si guardi. Qui, in carne e ossa. Me ne ha parlato il suo ammiratore, di quel suo sito.»
«Il mio ammiratore?» Chi diavolo era quest’uomo che sembrava così importante per ciò che stava succedendo?
«Lei è intelligente.» fece con una vocina petulante. «Lei è un vero genio. La Scienza della Deduzione. Ora, quello sì che è pensare. Che resti tra noi, perché le persone non riescono a pensare? Non la fa arrabbiare? Perché le persone non riescono a pensare e basta?»
Ci fu un lungo istante di silenzio, poi Magnus parlò. «Capisco.» disse ironico. «Così anche lei è un vero genio.»
«Non sembra, eh?» domandò retorico l’altro. «Un omino buffo che guida un taxi. Ma lei ne saprà di più tra qualche minuto. Probabilmente sarà l’ultima cosa che saprà.»
«Okay.» disse Magnus, cercando di ostentare indifferenza. «Due bottiglie. E allora?»
«C’è una bottiglia buona e una cattiva. Se prenderà la pillola della bottiglia buona, vivrà. Se la prenderà dalla bottiglia cattiva, morirà.»
Magnus lo osservò con le palpebre socchiuse. «Ovviamente le bottiglie sono identiche.»
«In tutto.»
«E lei sa quale è quale.»
«Ovviamente.»
Inclinò il capo. «Ma io no.»
«Non sarebbe un gioco se lo sapesse. È lei che sceglie.» spiegò il tassista.
«Perché dovrei? Non ho niente in ballo.» Si sporse sopra il tavolo. «Cosa ci guadagno?»
«Non le ho ancora detto la parte migliore.» lo fermò l’altro. «Qualsiasi bottiglia lei prenderà, io prenderò la pillola dell’altra. E poi insieme prenderemo la nostra medicina. Io non barerò. Sta a lei scegliere. Prenderò qualsiasi pillola lei rifiuterà. Non se lo aspettava, vero, signor Bane?»
«E’ questo che ha fatto agli altri?» chiese Magnus. «Ha dato loro una scelta?»
«Ed ora la do a lei. Ci pensi bene. Rifletta. Voglio il suo gioco migliore.»
Magnus scosse la testa. «Non è un gioco. È il caso.»
«Ho giocato quattro volte. Sono vivo.» Ora il suo tono aveva assunto una nota maniacale. «Non è il caso, signor Bane. Sono gli scacchi. È un gioco di scacchi, con una sola mossa… e un solo sopravvissuto. E questa… questa… è la mossa.» Spinse verso Magnus le due boccette. «Può scegliere la bottiglia che vuole.»
 
 
 
 
***
 
 
 
 
«No, no, ispettore Herondale. Devo parlargli. È un emergenza!» Alec, nel taxi che lo avrebbe portato a dove si trovava l’assassino, e, molto probabilmente, Magnus, cercava di convincere la segretaria dell’ufficio di polizia a farlo parlare con Will. Senza risultato.
E, Dio, perché ci mettevano così tanto ad arrivare?
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«E’ pronto a giocare, signor Bane? Ha scelto?»
Magnus lo fissò. «Giocare a cosa? Ho il cinquanta percento delle possibilità di sopravvivere.»
L’altro scosse nuovamente la testa. «Non gioca con i numeri. Gioca con me. Le ho appena offerto la pillola buona o quella cattiva?»
«E’ solo il caso.» ribatté il moro.
Il tassista lo guardò con impazienza. «Quattro persone? Di fila? Non è il caso.»
«Fortuna.»
«E’ genialità.» lo corresse lui. «So come la gente pensa.» disse. «So come la gente pensa che io pensi. Lo vedo come una mappa nella testa. Sono tutti così stupidi, anche lei. O forse Dio mi ama e basta.»
Magnus intrecciò le mani al di sopra del tavolo. «In entrambi i casi, lei è sprecato come tassista.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
E… sì, sono ancora viva, sì, mi odio perché sono in super ritardo e vi chiedo tremilaventordici volte scusa, sì, arrivo con un capitolo che ha un finale che vi farà venir voglia di uccidermi, no, non potete uccidermi perché devo ancora scrivere taaaaante storie ed uccidere tanti personaggi.
Comunque, davvero, chiedo scusa per il ritardo, ma tra compiti, un po’ di febbre, impegni vari e droghe (*coff* OUAT *coff*) e una fanfiction Klaine che mi sta facendo venire varie crisi psicoisteriche… beh, non sono riuscita ad aggiornare prima.
Spero che il capitolo vi piaccia e ringrazio al solito tutti quelli che seguono la storia e che trovano il tempo di recensire.
A sabato.
 
 
 
 
 
Greta

PS Dovrebbe mancare solo un paio di capitoli alla fine di "Uno studio in rosa"
  
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