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Autore: _Mikan_    19/11/2014    1 recensioni
Capelli neri come la pece ed occhi azzurri come il ghiaccio. Questo caratterizza Margaret, oltre ad una passione smisurata per la natura. Ed è proprio in mezzo al verde che questa drammatica storia si apre, ricordando i bei momenti passati col padre defunto, accanto al proprio cane Calzino.
*Dal testo*
Mamma si avvicinò alla scura scrivania "da lavoro" o così la definivo io.
Era ancora in disordine con mille fogli sparsi un po' dappertutto.
Delicatamente sfiorò dei disegni con le dita.
Si soffermò su uno in particolare: raffigurava una donna seduta su una grande pietra.
Lo sfondo era un meraviglioso giardino con rose di ogni tipo. C'era perfino una fontana.
Ma le vere protagoniste erano delle ali bianche con piume candide e morbide.
Mamma prese il foglio e lo avvicinò per osservarlo meglio.
Ciò che più la ammutolì furono dei bellissimi capelli lunghi, lisci come la seta e di un nero come il carbone.
Si portò la mano alla bocca.
"Non è possibile."-Disse perplessa-"Non può averlo scoperto."
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentii delle voci. Aprii gli occhi ma vidi solo il buio. L'aria era pesante e respiravo a fatica. Cercai una via d'uscita, un fascio di luce, ma trovai
solo del tessuto ruvido, probabilmente un sacco.

"Allora? Cosa ci facciamo?"-Parlò una voce maschile, piuttosto bassa.
"Cosa facciamo?! Ancora non l'hai capito, stupido?!"-Tuonò un'altra voce anonima, questa volta più acuta-"E' la dea! Vale una fortuna!"

Avevo sentito bene? Cercavano la dea? No ... credevano che io fossi la dea!
"In che senso?"-Chiese la voce bassa. 
Da quei pochi minuti di discussione capii che aveva veramente poco sale in zucca. 
"Ma devo sempre spiegarti tutto?!"-Urlò il secondo-"L'abbiamo rapita, facciamo aspettare un po' di tempo e la riconsegniamo!"
"E questo dovrebbe portarci soldi?"
Sentii un rumore. Sicuramente era un pugno.
"Sua altezza ci ripagherà!"-Spiegò il più "intelligente". 

L'aria si faceva sempre più pesante e si moriva di caldo. Mi dimenai e non poco per cercare di uscire. I due se ne accorsero e velocemente mi aprirono.
Penso che volessero una "dea" viva. Purtroppo si sbagliarono, io non ero la dea e mai lo sarei stata. Era impossibile e inconcepibile da pensare.
Non sapevo nemmeno cantare! L'unica cosa che mi riusciva bene era il disegno e non ero nemmeno molto soddisfatta da esso. 
Poveretti, presero un granchio bello grosso!

Uscita dal sacco potevo guardarli dritto negli occhi, coloro che son capaci di rapire una ragazza per i loro scopi.
Uno era alto e muscoloso, capelli rasati quasi a zero ed espressione da falso cattivo. In pratica era lo stupido di turno che si faceva comandare
a bacchetta dall'amico e non sapeva nemmeno fare una faccia maligna. Stupido e buono. Capii che il vocione basso proveniva da lui. Era a petto nudo,
per far notare il suo armadio muscoloso (in qualche modo doveva ricompensare il cervello), ma portava dei pantaloni di tela lisa stretti alla vita con un laccio blu. 

L'altro era anch'esso alto, striminzito e poco nutrito, i capelli biondi chiari, alternati a quelli grigi, si raccoglievano in una specie di coda sopra le spalle.
Portava una lunga tunica blu e nera. 

"Se stai buona non ti faremo del male!"-Mi disse lo stecchino-"Ora noi andiamo a risolvere qualche problemino. Tu fai la brava, ok?"
Il suo tono di voce era simile a quello usato con i bambini, ma notavo una nota di ironia.
Tutti e due uscirono e chiusero la porta a chiave e il rumore dei loro passi nel legno scricchiolante poco a poco scomparì.
Non mi avevano legata ad una sedia o messo un fazzoletto in bocca: ero semplicemente chiusa a chiave. Che stupidi.
Mi guardai intorno. La stanza era un po' come tutte le altre: ormai ero abituata al lusso del castello. Non c'erano finestre. 
Sospirai: "Fa niente, proverò in un altro modo."
Mi alzai e con calma pulii il mio vestito dalla polvere. Inquadrai un tavolino di legno bello duro; contai fino a tre, lo caricai sulla spalla e mi scagliai
con forza verso la porta che cedette dopo due tentativi, cadendo rumorosamente a terra. "Ecco fatto."-Dissi e soddisfatta posai il tavolino dove l'avevo trovato.

"Ed ora?"-Mi chiesi perplessa. Mi voltai: il corridoio e le camere sembravano non finire mai. "Da che parte andare?"-Pensai sospirando. 
Staccai il braccialetto dal polso: aveva una perlina metà arancione e metà blu. La lanciai come si fa con le monete. "Se esce arancione vado a sud, se esce blu
a nord." Il braccialetto volò velocemente in aria e dopo qualche piroetta cadde mostrando una bella perlina blu. E mi incamminai verso nord. 
Mi sentivo un po' come se fossi sperduta in un bosco, con la differenza che al posto degli alberi c'erano pareti e porte luccicanti. E inoltre in una selva me la
sarei cavata anche meglio. Ridacchiai da sola e pensai: "Viva i boschi."




Era da circa mezzora che camminavo senza sosta. Il castello non finiva mai? Forse avevo sbagliato direzione. Il mio intento principale, oltre a trovare Luv per 
raccontarle dei due malviventi che mi avevano rapita, era quello di trovare la mia stanza.

Incontrai una cameriera molto giovane. "Ehm, scusa! Sai dirmi dov'è la mia camera?"-Le chiesi.
"Mi scusi signorina, ma se non l'ha notato da sola ci sono molte stanze. Sarei lieta di aiutarla, ma mi dia un indizio.-Rispose.
Mi mise totalmente in difficoltà. Cominciai a pensare profondamente, tanto che le mie rughe fecero un festino. 
"Ah, già! La parete davanti alla porta era pitturata. Se non sbaglio raffigurava ... degli angeli."-Dissi. 
L'espressione della ragazza cambiò: anche lei era in difficoltà.
"Questo castello è pieno di decorazioni del genere."
Sospirai tristemente.
"Però"-Riprese la domestica-"So di per certo che le pareti pitturate sono nella direzione opposta."
"Grazie mille braccialetto."-Pensai. 
"Va bene."-Mi rivolsi a lei-"E' già qualcosa. Te ne sono grata!"
"Prego."-Rispose. 
La guardai l'ultima volta e con un gesto di saluto me la lasciai alle spalle. 

Superai la porta dove precedentemente mi imprigionarono. Avanzai per la stessa direzione per alcuni minuti quando all'improvviso la luce del sole mi abbagliò ed
istintivamente mi portai la mano agli occhi per proteggerli. Dopo un po' la spostai lentamente e rimasi incantata. La parete si interrompeva per lasciar spazio
ad un magnifico peristilio di colonne di marmo che delimitavano un giardino meraviglioso. Al centro di esso, per la meraviglia dei miei occhi, vi era una fontana con
in mezzo una statua di pietra raffigurante un angioletto. I roveti con le rose bianche e rosse circondavano con prepotenza il giardino e le api passavo 
da fiore in fiore in cerca di cibo come dei rabdomanti.
L'edera si contorceva fra i pali di un portico di legno a destra del giardino. A sinistra invece, un piccolo stagno faceva il suo ingresso con tanti insetti 
pattinatori sopra di esso. Lasciai il pavimento fatto di graniglia del palazzo e mi inoltrai nell'erba tagliata. 

C'era tutto: i raggi del sole che picchiavano sulla testa e nel collo scoperto, il vento che rendeva sopportabile il calore e scombinava i capelli,
l'odore di erba tagliata e di polline e il ronzio degli insetti, grandi lavoratori instancabili. Mi sentivo a casa. 
Mi lasciai trasportare dalle emozioni: salii su una grossa pietra e lentamente portai le braccia alla posizione del volo. Chiusi gli occhi.

"If I may avoid
a heart to break
I shall not live in vain
If I can ease the pain of a lifetime
or one penalty
or help one bird
to find the nest
I shall not live in vain."


Le labbra si muovevano da sole e la voce che fino a quel momento rompeva le campane, ora portava pace e tranquillità. Ero così felice che non trattenni le lacrime. 
Ancora, ancora e ancora. Volevo cantare ancora. Sentii una stretta al cuore e una forte fitta che mi martellava lo stomaco. La testa mi girava, ma mantenni la stessa posizione.
La melodia si conficcò in testa e iniziò a girare per tutto il corpo. Le lacrime, silenziose, arrossavano la mia pelle chiara. "Io amo la musica! Io amo cantare!"-Urlai e il vento trasportò via queste mie parole. Piansi penosamente, come una bambina. Le parole cantate si mescolavano alle gocce salate che purificavano il mio animo e ogni minima ansia.

"Sai papà?"-Dissi con la voce tremolante e il collo bagnato-"Ho trovato qualcosa di soddisfacente. Ho trovato la strada da seguire, ho scoperto il mio destino."
"Questo però"-Continuai asciugandomi il viso-"Non lo deve sapere nessuno. Sarà un segreto fra me e te, va bene babbo? Come hai vecchi tempi."
"Perché papà ... io non voglio una responsabilità così grande. Dovresti saperlo, no? Io sono una semplice."
Ricominciai a piangere. "E tu mi vuoi bene anche così, non è vero? Anche se rifiuto di essere una dea, giusto papà?"
Osservai con gli occhi appannati l'orizzonte che ormai era diventato color ocra.

Mi odiai profondamente. Giurai di aiutare Luv a portare il masso che abitava nel cuore, ma evidentemente ero troppo egoista per farlo. Non potevo e non volevo accettare tutta quella responsabilità. Non volevo morire tra un paio di ali d'angelo e tra melodie magiche.
Però avevo trovato finalmente qualcosa che colmava le mie parti mancanti e mi completava. 
Cosa dovevo fare? Questo, in cuor mio, lo chiesi più di una volta a papà. Se fosse stato ancora vivo, mi avrebbe risposto sicuramente con un sorriso.

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Continua ...         
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