“La
nostra difesa non reggerà ancora a lungo…Ma
moriremo con le armi in mano! Il mio unico rimpianto è di
avere così pochi
uomini da sacrificare per la gloria di Ares, nostro dio!”
Disse
il
polemarco Anassandro, comandante assoluto degli spartani sul campo,
preparandosi a combattere.
“Ares
non potrà punirci una volta che saremo
morti… Neppure Castore e Polluce avrebbero potuto vincere
contro un nemico così
numeroso."
Commentò
Anassidamo
con la spada tratta restando a guardare l’infuriare della
battaglia davanti a
se.
Il
comandante Tirteo, noto per fomentare gli animi nelle battaglie,
intonava il
suo ultimo canto di guerra sotto una pioggia di frecce che investiva il
suo
intero contingente.
A
centinaia
erano gli uomini caduti sotto le lance e le spade dei suoi spartani.
Ancora a
centinaia continuavano ad attaccare accumulando pile di cadaveri.
C’erano sei
messeni morti per ogni spartano caduto.
Una
contadina messena trafitta in grembo da un soldato spartano stava
strillando di
dolore. Un giovane
come lei la teneva
tra le braccia.
“Bissa,
sorella, non ti agitare…Alone ti curerà vedrai.
Andrà
tutto bene.”
“No
Eumelo…Sto
per morire. Ma prima, voglio scoprirlo…Voglio vedere
cosa si prova a volare.”
“Bissa,
tu… Ci eravamo promessi di farlo tutti
insieme, nella nostra casa, per fuggire lontani da questa
miseria.”
La
donna
carezzò il volto del fratello piangente.
“Ormai
è
troppo tardi. Prenditi cura dei nostri fratelli Meropi
e
Agrone.”
Detto
questo, la donna ritrasse la mano pervasa da tremiti. I suoi occhi si
rigirarono e cominciò a schiumare: stava per trasformarsi.
Il fratello
spaventato arretrò.
Le
braccia
della donna crebbero in lunghezza trasformandosi in ali e su tutto il
corpo
spuntarono piume bianche. Il volto mutò e al centro di esso
comparve un adunco
becco. I suoi piedi erano divenuti lunghe zampe di uccello. Era
divenuta una
donna gabbiano. A
differenza di
Dedalione, l’uomo falco, però, aveva dovuto
sacrificare le braccia in cambio
delle ali e le sue dimensioni non erano aumentate.
Il
nuovo
mostro guardò suo fratello con un ultimo barlume di affetto
e poi prese il
volo. Atterrò
sulla testa di uno degli spartani
e con i grossi artigli gli cavò entrambi gli occhi.
L’uomo con le orbite
sanguinanti crollò a terra esanime.
La
rapidità della
donna gabbiano era tale da non poter essere anticipata facilmente. Con
la
medesima facilità, saltò sulla testa di un
secondo guerriero e poi un terzo
mettendo in atto lo stesso meccanismo di morte.
Quando
colpì
anche il comandante Tirteo, l’abilità di
quest’ultimo gli permise di sferrarle
una veloce falciata al petto.
La
donna
mostruosa gli fece volare l’elmo dalla testa e
cominciò a sferrargli furiose
beccate al volto fino a farlo cadere a terra. Anche una volta che fosse
morto,
il volatile continuava a martoriare il suo cadavere per vendicare i
genitori e
tutti gli amici trucidati in battaglia.
Poi
una
lancia la trafisse da parte a parte, seguita da una seconda.
Bissa
stramazzò al suolo e nel riflesso dei suoi occhi
c’erano i suoi fratelli,
urlanti e disperati per il suo triste destino.
Morì felice per avere almeno vendicato i suoi
morti.
Da
un’altra
parte della battaglia il nerboruto Dafni aveva portato alla vittoria il
suo
schieramento e adesso teneva tra le mani la testa del comandante
spartano Emperamo,
strappata dal collo con la sola forza delle sue braccia.
Con
un urlo
più di bestiale compiacimento che di trionfo
lanciò la testa verso i suoi
uomini come ricompensa della battaglia. La folla, nel delirio della
vittoria
seguì il suo grido.
Intorno
a
lui i messeni, com’era presumibile dal loro numero, avevano
massacrato ogni
oplita fino all’ultimo. Nessuno tra i loro nemici, infatti,
aveva abbandonato
il campo di battaglia. Per gli eroici spartani non esisteva il
significato
della resa.
Quando
in una
determinata zona udì degli schianti terribili, il grosso
pastore Dafni vi si
diresse per capire da cosa fossero provocati.
Facendosi
strada in una fitta folla di iloti, vide davanti a sé il
prode signore della
guerra Aristomene ricoperto di sangue in mezzo ai cadaveri di creature
mostruose: un uomo rettile e quello che sembrava un falco.
Tutti
intonarono il nome del generale. Veniva epitetato come “Lo
sterminatore di
mostri”.
Lo
spartano
Leneo arricciò il naso.
“Pensavo
che la loro trasformazione fosse
migliore di così, non credevi Cisso?” Si
rivolse a
uno degli spartani alle sue spalle.
“Non
tutti hanno ricevuto il nostro stesso
privilegio, Leneo. Loro non erano altro che abomini, mentre noi
manteniamo le
nostre fattezze umane…”
Leneo
guardò
gli altri due.
“Non esitate allora! Anche voi: Marone,
Astraio.
Attaccate il Falcone e prendetelo vivo. Gli mostreremo
quanto è stato
stupido a esporsi in questo modo.”
I
tre
spartani avanzarono a passo deciso verso Aristomene. L’uomo
era fin troppo
stanco e provato per un altro scontro ma in palio c’era la
sua vita. Si mise in
guardia.
“Fermatevi!”
Fu
Dafni a
gridare frapponendosi tra loro e il suo comandante.
Leneo e i suoi uomini lo guardarono con
sufficienza.
“Colui
che state per attaccare non è il Falco!
Si è presentato a noi messeni come Aristomene, un araldo
degli dei, pronto a
guidare il nostro popolo alla salvezza. Ha strappato
quell’elmo dalla testa di
Sideris in persona, e ci condurrà da quello vero per
catturarlo e consegnarlo
all’Olimpo!”
Gli
interlocutori parvero sorpresi. Aristomene non aggiunge una parola.
Leneo alzò
lo sguardo verso l’uomo dallo scudo magico.
“Se
ciò che dice il tuo luogotenente è vero,
perché hai attaccato gli spartani?”
Il
capoguerra degli iloti si prese qualche istante prima di rispondere
pesando
bene ogni parola che avrebbe dovuto dire. Come nel caso della battaglia
precedente, un singolo errore nella formulazione avrebbe significato la
morte.
Camminò
verso quei quattro nemici.
“Spartani?... Messeni? Che significato ha la
politica di fronte all’annientamento?
Ho
indossato questo elmo per diventare il più
grande bersaglio di tutta la Grecia. Voglio che ogni esercito del mondo
giunga
innanzi alla mia armata per scontrarsi con essa. A ogni battaglia, solo
i più
forti sopravvivranno. Costoro faranno parte della razza eletta e con
loro
giungerò fino al vero Sideris! Egli sarà
catturato e tutti noi saremo salvi
dall’ira degli dei.”
Aristomene
pronunciò quelle parole con decisione. In contrasto con
l’inquietudine e la
paura che teneva dentro.
Cisso
guardò
gli altri due, e poi il suo leader. Sembrava che quelle parole li
avessero
convinti.
Leneo
si
leccò la bocca, segno che fosse realmente compiaciuto.
“Dunque, ci condurrai dal Falcone?”
Aristomene
annuì.
“Sai,
questa tua idea di far sopravvivere solo i
più forti per creare una razza eletta mi piace…
Mi piace davvero tanto.
Scommetto che tu ed io diverremo grandi amici…
E
in onore della nostra amicizia ho deciso di
risparmiarti…”
Tutti
gli
astanti restarono assorti nelle sue parole cercando di capire dove
volesse
andare a parare.
“Ma
per quanto riguarda tutti gli altri... Beh
ho i miei dubbi che
possano tutti far
parte di una razza eletta. Cisso tu che ne pensi?”
Il
lacchè sorrise,
sapeva che di lì a poco ci sarebbe stato da divertirsi:
“Penso che la mia lama sia stata asciutta per
troppo tempo.”
“E
allora perché non mettiamo alla prova questo
esercito? Vediamo chi merita di vivere e chi di morire!”
Il
volto del
generale messeno s’incupì. Aveva capito cosa stava
per succedere e non gli
piaceva affatto. Cercò di placare l’istinto
bestiale di quei mostri.
“Gli
uomini sono già stati sorteggiati durante
questa battaglia. È inutile spargere altro sangue.”
Ma
gli occhi
di Leneo s’erano già riempiti di un male fuori dal
mondo, e tutti i suoi
soldati avevano ascoltato il messaggio che traspariva da essi.
Marone
e
Astraio saltarono in direzioni diverse. Se un grillo avesse avuto
dimensioni
umane avrebbe compiuto lo stesso balzo fatto da loro, di una trentina
di metri.
Il
loro
corpo era rimasto tale e quale ma dalla loro testa erano fuoriuscite
grosse
corna da caprone e i loro occhi erano rossi come sanguigne gemme dalle
cave
degli inferi.
Le
loro
spade si muovevano con una velocità folle lambendo uomini,
donne e fanciulli
senza alcuna pietà. Tranciavano mani e piedi come se fossero
burro. Si
infilavano nei punti scoperti dall’armatura spartana per
scovare la vita nel
corpo degli uomini ed estirparla via di netto.
Uno
dei
guerrieri messeni fu facilmente atterrato con un calcio e la sua testa
spappolata sotto i piedi di Astraio.
“Anto!!
Nooo!” Gridò
uno degli uomini poco lontani e nella
foga cominciò a mutare.
“Acantide,
vuoi trasformarti adesso? Davanti a tutti?” Chiese una giovane che gli
si era affiancata
“Sì
Acanto…Ormai…
È l’unico modo…”
Urlò lui
rosso in volto.
“PER
SOPRAVVIVERE” La sua voce si fece stridula.
La
fanciulla
si rivolse a due ragazzini. “Erodio,
Scheneo facciamo quella cosa adesso”.
I
tre
incominciarono a seguire l’esempio del fratello maggiore,
Acanto. Dalle braccia
dei fanciulli si spiegarono delle ali piumate e il loro intero corpo
divenne,
come accaduto ad altri, quello di un uccello.
La
mutazione
della ragazza fu differente: su tutta la sua pelle fuoriuscirono delle
spine,
gli arti si allungarono a dismisura assumendo una pigmentazione verde,
tra i
suoi capelli sbocciarono fiori e le sue dimensioni triplicarono.
“Bene.
Sembra che voi siate già stati
prescelti! Sarete risparmiati.”
Sentenziò il cornuto
Astraio, procedendo verso altra carne da macellare.
In
un’altra
parte della piana, l’allevatore Atteone, assistente del
pentecotarco Cianippo
il quale poco prima di morire aveva ordinato la carica dei molossi,
stava
cercando disperatamente i pochi mastini che erano riusciti a scappare
dopo il
primo attacco. Era lui a dar da mangiare ai cani. L’uomo, i
cui lunghi capelli
neri gli arrivavano a toccare i fianchi, era un amante della natura e
si era
sempre opposto al trattamento spietato cui erano sottoposti i suoi
cuccioli.
E,
infatti,
i forastici molossi si dimostrarono subito mansueti sotto i riguardi di
quel
curioso individuo, che con somma benevolenza li aveva acquietati.
All’improvviso
alcuni cani cominciarono a ringhiare. Da quella direzione in mezzo a un
centinaio di cadaveri, completamente ricoperto di sangue, un essere
dagli occhi
rossi e le corna caprine lo stava fissando. Gli iloti terrorizzati
attorno a
lui stavano fuggendo sparsi. Il mostruoso spartano Marone stava per
incombere
su di lui.
“Anche tu sarai messo sotto esame!
Non
credere di salvarti solo perché sei di Sparta!” Disse,
correndo in quella
direzione con la velocità di un cavallo.
Appena
entrò
in quello che i cani ritenevano essere proprio territorio, fu azzannato
alle
gambe e al braccio con cui teneva la spada da tre di quelle belve.
Come
se il
bestione che lo aveva addentato non avesse peso, agitò il
braccio destro per mutilare
gli altri due con la lama, e con il sinistro agguantò la
bestia e la scaraventò
sul terreno con tanta foga da spaccargli il cranio.
A
quella
visione Atteone s’infuriò.
Il
suo urlo
di rabbia fu udito per tutto il vallo. La sua voce era bassa e
profonda. Sempre
di più.
Le
sue gambe
si riempirono di peluria e crebbero in dimensioni. I suoi piedi si
staccarono e
al loro posto emersero dei grossi zoccoli. L’espansione del
suo corpo fu tale
che la sua pelle si staccò e, da sotto di essa, ne emerse
un’altra più robusta
e resistente. La sua muscolatura si compattò mostrando un
corpo così solido e
possente da non poter essere umano. E dal capo dei suoi tre metri di
altezza,
emersero delle magistrali corna ramificate: grossi palchi ossei che
ricordavano
quelli di un cervo.
Davanti
a
quella vista Marone si bloccò.
“Ma
che sorpresa. Non sei un uomo come gli
altri. Vorrà dire che ti risparmierò la
vita.”
Ma
nel
momento in cui gli voltava le spalle, l’uomo cervo lo
incornò con una tale
potenza da farlo rotolare a terra per diversi metri.
“MA
IO NON RISPARMIERO’ LA TUA!”
Un
uomo
normale si sarebbe rotto tutte le ossa, ma Marone si rialzò
come niente.
“Sciocco!
Ti sei appena giocato l’unica
possibilità di sopravvivenza che avevi.”
Leneo
si
leccò la bocca.
“Questi
iloti sono troppi. I miei uomini, per
quanto potenti, nel giro di alcune ore possono ammazzarne appena
qualche
centinaio…Anche meno se si mettono a scappare in questa
maniera, ma non basta.
Dobbiamo ucciderne molti di più, tu non credi
Cisso?”
“Signore,
mi è venuta una fantastica idea.” Rispose
il
suo depravato sottoposto. “E se
proponeste
ai messeni di guadagnarsi la propria vita uccidendo i propri
compagni?”
Leneo
sghignazzò. “Oh, ma che
bel gioco! In
questo modo faranno da soli il lavoro sporco. Mi piace…Mi
piace moltissimo!
Quanti ne saranno rimasti? Centoventimila? Dovranno essere molti di
meno!”.
Guardò
le
migliaia di iloti che lo circondavano, alcuni anche a diverse leghe di
distanza.
Socchiuse gli occhi, raccolse l’aria nei polmoni e poi
gridò come nessun umano
sarebbe stato in grado di fare, per essere certo che tutti potessero
arrivare a
sentire le sue parole.
Aristomene
e
Dafni che si trovavano a pochi metri di distanza, dovettero tapparsi le
orecchie per attenuare quell’intensità sonora.
Cisso non si scompose.
“STATEMI
BENE A SENTIRE ILOTI, E ANCHE VOI
SPARTANI SOPRAVVISSUTI! VI OFFRO UNA CHIAVE PER ENTRARE A FAR PARTE DEL
NOSTRO
POPOLO ELETTO.
SE
VOLETE SOPRAVVIVERE, OGNUNO DI VOI DOVRA’
UCCIDERE TRE…NO, CINQUE, CINQUE PERSONE A CASO!
E
A TESTIMONIANZA DI CIO’, PORTARMI LE LORO
LINGUE!
CHI
RIESCE NELL’IMPRESA, CON ANCORA LA PROPRIA
LINGUA IN BOCCA, NON AVRA’ PIU’ NULLA DA TEMERE DA
ME O DAI MIEI UOMINI!”
“ma signore, però…E se
provassero a
ingannarci strappando le lingue di quelli che sono già
morti?”
“Per gli dei, hai ragione! …Beh lasciami
puntualizzare una cosa.” Leneo riprese di nuovo
fiato e poi gridò
nuovamente.
“SE
PROVATE A STRAPPARE LA LINGUA DA UN
CADAVERE, SIA ESSO QUELLO DI UN UOMO, DI UN CAVALLO O DI UN CANE, IO LO
SAPRO’
E VERRO’ A MANGIARVI IL CUORE!”
Cisso
era
confuso.
“Signore
ma…Avete la capacità divinatoria di
venirlo a sapere?”
“No”
Sorrise
Leneo. “Ma loro che ne sanno? Se
nonostante tutto vorranno disubbidirmi allora per il loro coraggio
è giusto che
siano risparmiati.”
Cisso
rise.
“Signore. Siete davvero
incredibile!”
“E
adesso non perdere tempo! Anche tu sei nel
gioco, vecchio mio. Vammi a prendere cinque lingue. Comincia da quel
grassone
laggiù. Ma ricorda che Aristomene non si tocca.”
Cisso
non se
lo fece ripetere e con un salto raggiunse Dafni, “il
grassone”. Le sue spade si
abbatterono sincrone su di lui, rapide come la folgore. I vestiti del
bersaglio
furono dilaniati, come la sua pelle. Ma oltre ad essa le lame trovarono
una
resistenza così solida che non si poteva trattare del corpo
di un semplice
umano.
Le
mani
villose di Dafni bloccarono quelle dell’aggressore. La sua
stretta era forte, e
lo diveniva sempre più. Il tratti del suo volto si fecero
sempre più curvi e
stilizzati e poi le lame stesse che erano entrate superficialmente
nella sua
carne si frantumarono.
I
vestiti si
strapparono, l’armatura esplose e l’uomo, massiccio
oltre l’incredibile, restò
nudo. Il colore del suo corpo era grigio e solcato lungo la muscolatura
in modo
così evidente che sembrava fatto di pietra. Effettivamente:
era diventato di
roccia.
Dafni
tirò
fuori la lingua.
“Ecco
la mia! Vienila a prendere.”
“Anche
tu dunque sei uno dei prescelti!”
Cisso
gli
saltò con le gambe al petto facendo leva per liberarsi da
quella stretta. Ma
non bastava. I suoi polsi erano bloccati all’interno di una
morsa strettissima.
Era come se fossero schiacciati sotto una tonnellata di pietra.
Allora
gli
si attorcigliò al collo con entrambe le gambe, ma quella
stretta non era
abbastanza salda da vincere la sfida della pietra.
Leneo
sorrise
nel vedere il subordinato in difficoltà. Cisso era forte, ma
finire in lotta
con quell’uomo di roccia rappresentava una grande sfida anche
per lui.
Tuttavia,
così come l’energumeno aveva sorpreso tutti nella
trasformazione, anche il suo
avversario avrebbe fatto lo stesso.
Sia
gli arti
che il collo di Cisso si allungarono in modo inquietante. Si stava
lentamente
attorcigliando attorno al gozzo del suo nemico aumentando la stretta
del suo
cappio.
I
polsi
schiacciatigli da Dafni non sembravano dolergli poi tanto. Era come
comprimere
una superficie elastica. Le sue dita si riarrotolarono sui polsi del
nemico,
avvinghiandoglisi addosso e andando a ribaltare la situazione.
Alla
fine
anche l’uomo di roccia dovette cedere a quella morsa
pazzesca. Lasciò andare la
presa, e crollò di schiena al suolo.
Un
uomo
normale sarebbe esploso, un mostro probabilmente sarebbe rimasto
strangolato.
Ma la consistenza del corpo di Dafni era così solida che gli
permise di
sopravvivere.
“Cisso!
Lascialo andare. Ha superato la prova,
nonostante tutto. Ci serviranno guerrieri come lui.” Decise Leneo.
Il
sottoposto eseguì.
Intanto,
ovunque sulla piana, gli iloti, in preda al terrore di quei mostri
letali,
avevano cominciato a mettersi l’uno contro l’altro.
Dapprima sfociando in
piccole risse. Poi qualcuno estrasse il coltello e fu vera
battaglia… O un
monumento al massacro.
Non
c’erano
regole, né gruppi, né certezze dietro quegli
attacchi. Solo la foga folle e
disperatissima di strappare le lingue ai propri fratelli, prima di
essere
ammazzati.
E
nel mezzo
di quegli scempi, l’abnorme uomo cervo Atteone incalzava
ferocemente su Marone
facendolo sbalzare da una parte all’altra. Le spade del
guerriero non ressero
contro le corna del mostro. Era rimasto a mani nude, come
d’altronde era il suo
avversario.
Marone
balzava da una parte all’altra evitando i molossi che gli
correvano dietro con
la bava alla bocca e, di tanto in tanto, prendendone qualcuno per una
zampa e
strapparlo a metà come se fosse stata solo una stoffa
lacera, facendo infuriare
maggiormente Atteone.
Le
traiettorie dei balzi di Marone erano divenute così
imprevedibili che neppure
il cervo riuscì a tenerlo sotto controllo.
Fino
a che
in un momento di distrazione, Atteone si trovò un braccio al
collo che lo
trascinò all’indietro facendolo cascare.
“Sei solo un aborto!” Disse Marone strangolando
la sua vittima.
“…Un
esperimento delle divinità, prima che
generassero NOI. I veri eletti!
Più
veloci, più forti, più resistenti senza
perdere la purezza di un essere umano!”
Una
freccia,
diretta da una certa distanza, colpì Marone al collo senza
però inculcarsi
troppo in profondità.
“Voglio prendere la tua di lingua, brutto
bastardo!” gridò il guerriero che aveva
serbato il tiro: Androclo,
luogotenente di Aristomene. Camminava senza paura verso lo spartano
mostruoso,
incoccando un’altra freccia al suo arco.
La
seconda
lo colpì in petto.
“Avete
creato il caos! Vi siete serviti della
paura per metterci uomo contro uomo!”
Marone
attese che l’uomo cervo nella sua stretta perdesse i sensi,
per alzarsi in
piedi e incombere verso il folle umano che lo stava arrogantemente
sfidando.
Una
terza
freccia lo colpì in petto, ma il mostro cornuto non temeva
nulla dalle armi di
fattura umana, e non perse nemmeno tempo a coprirsi.
Semplicemente:
camminava verso Androclo, come follemente stava facendo anche lui.
“…E voi un tempo vi definivate uomini
come
noi? Con che coraggio?!” Sferrò una
quarta freccia che lo colpì sul torace,
e adesso si trovava a pochi metri dall’essere cornuto.
Quest’ultimo
alzò il braccio pronto a strappargli il cuore dal petto, e
probabilmente
Androclo era pronto a morire in questo modo.
Marone
fu
spazzato via da una forza inarrestabile che non si riuscì a
definire.
Zanne
elefantine gli avevano passato il petto da parte a parte inculcandolo a
terra.
Grigi tentacoli fuoriuscenti da una bocca infernale, gli avevano
afferrato il
volto infilandovisi in ogni orifizio. E giganteschi artigli gli
sprofondarono
in profondità nella carne.
Un
mostro
sbucato dalle profondità degli inferi aveva ucciso Marone
sul colpo, e lo stava
divorando. Poi alcuni cani gli si avvicinarono scodinzolanti.
Atteone
riprendendo il fiato da quello scontro riconobbe il suo odore.
“Leone!
Sei
tu, bello?”
Il
mostruoso
quadrupede si girò tirando fuori un’invereconda
lingua venosa che sembrava più
un grosso verme viola, dal quale vi uscì un serpente munito
di denti affilati.
Emise un verso sibilante che sembrava compiacimento.
-------------------------------------
Battaglia
di Deres:
Messeni
(iloti):
[numero
combattenti:
200 000]
[perdite:
80
000]
Comandante
supremo: Aristomene
Comandanti
di fanteria: Androclo,
Alone, Dafni (mutante:
uomo di roccia)
Comandanti
di cavalleria: Alettore, Ischi
Altri:
Anto
Mutanti:
Bissa
(gabbiano), Eumelo (corvo) , Meropi (civetta) , Agrone (piviere)
Acantide,
Erodio,
Scheneo (cardellini), Acanto (Acanthus –pianta spinosa-)
Spartani
(+elidi)
[numero
combattenti: 13 000]
[perdite:
11
000]
Comandanti
supremi spartani(Polemarchi): Anassandro, Anassidamo
Capitani
spartani: Leneo, Emperamo, Tirteo
Pentecotarchi:
Cianippo [addestratore
di cani]
Comandante
supremo degli elidi: Re Enomao
Altri:
Mirtilo
(auriga di Enomao)
Mutanti:
Abante
(lucertola) , Dedalione (falco)
Super
uomini:
Cisso
(edera), Marone, Astraio
Atteone
(cervo)
Leone
(cane mostruoso)
Parentesi
anacronistiche 9:
Armamentario
6: Lo scudo di Aristomene
Lo
scudo è in grado
di generare un potente campo elettromagnetico. Impiega gli impulsi
dell’energia
elettrica per creare uno scudo esterno e invisibile in grado di
resistere agli
attacchi più devastanti.
Nell’armatura è
incorporato un dispositivo noto come supercapacitatore che trasforma il
pezzo
di armatura in cui è installato, in una batteria gigante.
Quando si percepisce
una minaccia, l’energia accumulata nel supercapacitatore
viene scaricata sulla
superficie metallica producendo il campo elettromagnetico. In quel
momento si
genera un campo di forza che non potrà essere attraversato
da nessun corpo
esterno. Il suo
limite però sta nel
fatto che il campo non
dura più di un
secondo.
Il
supercapacitatore impiega poi alcuni secondi per ricaricarsi, e in quel
momento
lo scudo risulta essere “indifeso”.
Nella
modalità
–ombrello- il
campo di forza copre
un’intera area di un diametro fino a venti volte quello dello
scudo (come
utilizzato da Aristomene contro la prima pioggia di frecce).
Oppure nella
modalità intensiva il campo di forza viene caricato in
termini di densità, e
quindi di spinta (come utilizzato da Aristomene per balzare in aria
raggiungendo
l’uomo falco).
A
seconda di quanto
viene caricato, il tempo di recupero può aumentare.
Oppure è possibile
concentrare il campo di forza in una sfera e spararla come fosse un
proiettile.
L’impatto è devastante ma la gittata è
scarsa.