Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower
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Autore: Philly123    20/11/2014    1 recensioni
Londra.
Jamie vive da solo nel suo appartamento in centro, da qualche tempo si sente vuoto e anche i suoi amici non si fanno vivi.
Dorotea è una ragazza londinese con la passione per la pittura e il disegno.
Si incontreranno, più volte.
Qualcosa si nasconde nel passato di lei.
Jamie Campbell Bower sarà troppo assorbito dalla mondanità per prestare attenzione a una ragazza comune?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jamie Campbell Bower, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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L’autunno di Londra è un’esplosione di colori. I parchi si tingono di tutte le sfumature di rosso, giallo e marrone. Perfino in strada si raccolgono dei mucchietti di foglie, che cascano da alberi posizionati in file rigorose lungo i marciapiedi.
Holborn non faceva eccezione. L’intera zona sembrava intonarsi con le facciate di mattoni, come in un quadro. Il Sole splendeva come nei giorni precedenti e l’azzurro chiaro del cielo era macchiato soltanto da alcune nuvolette, che passavano a gran velocità.
Quella mattina, un uomo sulla cinquantina stava grattando per terra con un grosso rastrello metallico, un rumore stridulo disturbava la quiete mentre impilava i residui della nottata ventosa in vere e proprie montagne. Fischiettava, guardando al di là della strada, al di là di tutto. Nonostante stesse lavorando dalle sei del mattino, nonostante fosse solo, sporco, e ci fossero in giro soltanto pochi turisti che vagavano ubriachi dalla sera prima, lui sembrava felice, sereno e in pace.
Avrei voluto prendere il suo posto per un solo momento.
Vidi una mano sottile appoggiarsi al vetro, accanto alla mia faccia. Le mani di Jamie erano incredibilmente grandi ma, allo stesso tempo, affusolate e delicate. Mi girai verso di lui, issandomi sul piano rivestito di legno, sotto la finestra, e sedendomi su di esso con le spalle attaccate al vetro gelido.
-Cosa guardi?- mi chiese mentre fissava un punto oltre la mia testa, fuori.
La luce che gli illuminava il volto faceva assumere ai suoi occhi una sfumatura ancora più azzurra e i capelli scompigliati e crespi formavano un’aureola dorata attorno al viso. Aveva un’espressione seria e assorta.
-Mi ero fermata a guardare quel tipo. Sembra così tranquillo.-
-Tu non lo sei?-
-Non sono mai stata così preoccupata in vita mia.-
Finalmente mi guardò negli occhi, prima con la sua aria grave che però si sciolse presto in un sorriso.
-Ti ho detto che ti sarò accanto, quindi non pensare a niente. Ora vai a sistemarti. Sbrigati.-
-Dici di sistemarmi quando hai indosso soltanto una maglietta sporca e dei boxer. Predichi bene e razzoli male!-
-È un modo di dire italiano? Comunque io ci sto un secondo a prepararmi, non come te. Ora vai.-
Nonostante avesse un’espressione truce e un tono brusco, poggiò le labbra sulle mie in un leggero bacio. Mi alzai facendogli una linguaccia e lui mi rispose con l’espressione più brutta che riuscisse a fare, che in ogni caso era sempre molto bella.
 
Al primo passo fuori casa, notai come la bella giornata fosse una fregatura. Il cielo era sì quasi totalmente libero dalle nuvole, ma l’aria era così fredda da farmi rabbrividire e battere i denti.
Ci dirigemmo verso il garage in cui era conservata l’auto di Jamie. Una decappottabile nera, accattivante e perfettamente lucida.
-Non ricordo di essere salita su questa macchina, l’ultima volta- constatai con aria stupita. Sembrava molto, molto costosa.
-Non ci sei salita. Ti presento la cosa più simile a una figlia che io abbia mai avuto, non le fare del male o sarò costretto a ucciderti.-
Mentre lo fissavo come per dire “Tu sei completamente pazzo”, notai gli interni in pelle rossa e i sedili imbottiti che sembravano incredibilmente comodi.
 
-Perché hai voluto prendere la macchina?!- chiesi, mentre l’aria gelata mi faceva lacrimare.
-COOME?- urlò, allungando il collo verso di me. La camicia chiara che si era messo era ampiamente sbottonata sul davanti e svolazzava. Portava anche degli occhiali scuri. Io, intanto, mi stringevo nel cappotto felpato.
-Quale pazzo prenderebbe la macchina per un viaggio di quattro ore, in Inghilterra?!- gli gridai proprio dentro l’orecchio, forse un po’ troppo forte.
-Che c’è di male?-
-Avremmo potuto prendere il treno, Jamie!-
-E va bene, volevo far fare un giro a lei- esclamò, dando un colpetto sul volante –Non esce da tanto tempo.-
-Sembra che tu stia parlando di un animale domestico. Promettimi che appena sarai stanco lascerai guidare me, va bene?-
-Agli ordini!- Mimò un saluto militare.
Tenendo una mano davanti agli occhi, scrutai la strada al mio fianco, la M40.
Sentivo il cuore in gola, il battito accelerato e una strana sensazione di ansia e nausea ogni volta che mi fermavo a pensare, quindi preferii concentrarmi sul panorama. Subito dopo il bordo della strada si estendeva una distesa interminabile di steli giallognoli che ballavano a causa del vento. Una volta ogni tanto si scorgeva il profilo di qualche stabilimento, con alte canne fumarie che sembravano toccare il cielo. Ancora più in là si scorgevano i profili dei boschi, di cui si riconosceva soltanto il verde intenso. L’aria era completamente diversa da quella londinese, sembrava pulirti i polmoni a ogni respiro.
-Mi piaci quando scruti l’orizzonte. Fa tanto immagine poetica. Se ora ti facessi una foto e la mettessi su Twitter piacerebbe a un sacco di ragazze.-
-Non la metteresti mai, la mia faccia su Twitter- affermai, ridendo sommessamente.
-Perché no?- Lasciando il volante con la mano sinistra, si mise a frugare nel vano del cruscotto, in cui aveva lasciato il cellulare.
-Jamie, io direi che dovresti occuparti della strada, visto che andiamo a centocinquanta!-
-Tranquilla, ho tutto sotto controllo. Ora fai finta di niente, continua a guardare fuori.-
Feci come diceva solo perché pensavo che, discutendo, l’agonia sarebbe durata di più. Uscivo con lui da poche settimane ma credevo già di conoscerlo bene. Effettivamente, mise il cellulare a posto dopo aver scattato alcune fotografie.
Scoprii che la M40 era una lunga, interminabile distesa di nulla: campi, alberi, colline, poi di nuovo campi e così via, fino a perdita d’occhio. Solamente un pazzo come Jamie avrebbe preferito percorrerla in auto per tutte quelle miglia.
A un certo punto notai un cartellone della WelcomeBreak, un luogo di sosta per viaggiatori. Prima che potessi chiedere di fermarci, Jamie azionò la freccia e si immise nella corsia di sinistra. Il parcheggio in cui arrivammo era pieno zeppo di automobili, camper, scuolabus e qualsiasi tipo di mezzo di trasporto che possa andare su strada. La gente camminava lentamente, fumava, o era raccolta in gruppi a parlare. Altri erano chiusi in macchina a dormire.
Appena tornai dal bagno, sorpresi Jamie seduto con i piedi fuori dal finestrino e il cellulare tra le mani.
-Ehi- dissi semplicemente, ma lui fece un balzo sul sedile e quasi gli cadde il telefono.
-Oh cavolo, Dorotea!- esclamò, quasi arrabbiato.
-Cosa ho fatto?-
-Niente, mi hai spaventato. Mi hanno già chiesto delle foto, credevo fossi un’altra di quelle ragazze.- Indicò un gruppo di studentesse accanto a un pullman. –Guarda- affermò poi, porgendomi il suo cellulare.
La pagina Twitter di Jamie era aperta. Aveva appena pubblicato la mia foto, che effettivamente era molto poetica, con una didascalia che recitava “Travelling with girlfriend. Best landscape EVER. X”. Diventai rossa, ma per fortuna lui non lo vide, dato che era il suo turno per il bagno. Mentre lo aspettavo lessi i numerosi commenti, alcuni dolci, altri arrabbiati. Appena tornò, cominciai a guidare suo al posto.
 
Per quanto il panorama fosse incredibilmente bello, non riuscii a godermi nemmeno un secondo di quella vista. Continuavo a pensare, e la musica che Jamie aveva messo di sottofondo non serviva a distrarmi.
A mezzo giorno entrammo a Manchester. Una parte di me era contenta per aver concluso quel viaggio interminabile, ma l’altra si era augurata che non finisse mai.
Era tutto come lo ricordavo: le persone, le case, perfino l’atmosfera. Gli edifici erano bassi, rossi e con i tetti spioventi, tutti molto simili. Alcune persone percorrevano con passo cadenzato le strade silenziose del mio quartiere, girandosi verso l’auto sportiva.
Continuavo a muovere le mani sul volante, come se fosse bollente, e sentivo il sudore sulla fronte nonostante l’aria gelida.
-Non posso farlo.-
-Dori, ormai siamo arrivati. Ci siamo, e io so che ce la puoi fare.-
Sentivo che Jamie era molto vicino, ma la sua voce mi arrivava appena, come da una cappa di vetro.
Abbotsfield, il complesso di case che formava un piccolo quadrato, al cui interno c’era un parcheggio. Fermai l’auto accanto alle altre, che riconobbi una dopo l’altra. L’utilitaria di Ben, il pick-up da lavoro di Albert. Rividi me stessa che sbraitavo all’interno della stanza che si scorgeva nella finestra bianca, perfettamente lustrata. Tipico di mia madre pulire in modo maniacale. Notai la porta smaltata di bianco. Tutte le volte in cui avevo tentato di scappare e mi avevano chiuso le vie d’uscita.
Probabilmente Jamie continuava a parlare ma captavo poche parole che comunque non mi interessavano. Sentii la sua mano stringersi alla mia. A quel punto mi resi conto che avrei potuto farcela e che se le cose fossero andate troppo male, Jamie mi avrebbe protetto.
Feci un respiro profondo mentre mi avvicinavo alla porta e poi, cercando di non pensare, suonai il campanello dorato.
  
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