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Autore: bibersell    20/11/2014    0 recensioni
On the road è la storia di due ragazzi destinati a non incontrarsi mai. Loro sono come due rette infinite e parallele, come due alberi piantati l'uno al fianco dell'altro: troppo lontani per toccarsi ma abbastanza vicini da sfiorarsi.
Le terre meridionali d'Italia fanno da sfondo al loro amore impossibile e destinato a finire che presto si tingerà di mistero e colpi di scena.
Personaggi con vizzi e virtù daranno vita alle pagine virtuali di questa storia che spero entrerà nel cuore di molti.
Un estratto del nono capitolo vi darà un breve assoggio della storia.
"Manuel si avvicinò ancora di piú e poggiò le mani sul muro, proprio ai lati della testa di Lisa. Puntò lo sguardo in quello di lei e quando incrociò i suoi occhi dentro ci lesse inconsapevolezza. Lei non aveva la piú pallida idea di quello che sarebbe successo, ma non aveva paura. Non di lui. E questo spinse Manuel ad andare oltre. -Sei scappata dalla tua vita come adesso vuoi scappare da me- il volto di Manuel si avvicinò maggiormente a quello della ragazza. -ma io non te lo lascerò fare-"
Questa storia è gia stata pubblicata e poi cancellata una volta.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo uno.
Prime fermate

 
Che significa Montecchi? Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la faccia, nè un'altra parte qualunque del corpo di un uomo. Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, sarebbe pur sempre lo stesso dolce profumo?
-Shakeaspeare



Lisa era sul treno diretta solo Dio sapeva dove.
Erano le sei del mattino e le prime luci filtravano attraverso la tendina che aveva abbassato ore prime. Era in viaggio da tre ore e da allora non aveva chiuso occhio ma non si era nemmeno permessa di riflettere sul quel che stava facendo. Ripeteva a se stessa che lasciarsi portar via da un treno in corsa era la cosa giusta.
Di fronte a lei era seduta una coppia di anziani intenti a risolvere un cruciverba di un vecchio giornale, mentre sul sediolino di fianco al suo c'era un ragazzo. Aveva il cappuccio calato sulla testa e dei fili bianchi uscivano dalla tasca dei pantaloni e sparivano nella felpa. Una lieve melodia rock aleggiava nell'aria.
Lisa portò lo sguardo alle sue mani e quello che vide fu scioccante.
La sua pelle era tanto giovane quanto screpolata e piena di calli alla base delle dita. Lisa sentì la pelle ruvida al tatto e pensò che quelle non erano di certo le mani di una giovane donna.
Lisa non era mai stata una ragazza che badava molto al suo aspetto e i lunghi capelli marroni e poco curati lo potevano dimostrare. Li portava sempre legati in una coda a causa del mosso indomabile; erano perennemente gonfi e crespi. Nemmeno il balsamo era riuscito a fare granché. Gli occhi scuri e grandi erano contornati da lunghe ciglia nere, ma la parte del suo viso che Lisa preferiva erano le labbra. Grandi e rosse. Sembrava che portasse il rossetto talmente che erano scure.
La fronte alta era messa ancora più in evidenza dai capelli sempre tirati all'indietro e le sopracciglia erano un po’ troppo grosse per una ragazza. Tutto sommato non si sarebbe potuta definire brutta, sarebbe potuta addirittura essere carina se solo avesse indossato abiti più aderenti e femminili, ma il suo armadio era fornito solo di vecchi jeans larghi, stracciati e scoloriti.
La maggior parte delle felpe erano di Leonardo e Davide che Maria le dava quando loro non le mettevano più. Ma Lisa preferiva usare maglie di alcune taglie in più alla sua visto che la natura le aveva dato un seno prosperoso e preferiva che fosse ben nascosto sotto strati e strati di abiti larghi e sformati.
La differenza tra lei e le altre ragazze era la corporatura. Massiccia.
Aveva sicuramente una corporatura massiccia. Ossa grandi. Mani grandi. Collo del piede alto. Polso doppio. Fianchi generosi e cosce abbondanti. Non era grassa, ma di certo non era come quelle ragazzine gracili da romanzetto rosa.
Non era bassa, non sarebbe scomparsa tra le braccia di un ragazzo e non sarebbe passata inosservata tra la gente. Il suo metro e settantadue non glielo permetteva.
Il treno si fermò e una voce metallica informò i passeggeri di essere arrivati a Firenze.
Quella non era la sua fermata. Era ancora troppo vicina.
Lisa soffocò il pensiero che le si era formato in testa: lei non sarebbe mai stata abbastanza lontana da casa.
Non aveva notato che la melodia rock che l'aveva accompagnata in quelle prime tre ore di viaggio era cessata e che il ragazzo, che fino a quel momento le era stato seduto a fianco, si stava alzando.

Cinque minuti dopo il treno era di nuovo in viaggio e il posto accanto al suo era vuoto.
Il ragazzo col cappuccio era già arrivato a destinazione. Lisa si chiese se fosse arrivato a casa o se anche lui, come lei, era lontano dal posto dove era cresciuto. Tutti i pensieri che aveva cercato di trattenere fino a quel momento le caddero addosso come un pesante macigno. Spesso si era ripetuta che lei una casa non ce l'aveva. Casa era mamma e papà e lei non li aveva. Non sapeva nemmeno i loro nomi o il cognome del padre.
A scuola, nell'appello, c'era scritto Lisa Gildio, ma lei non l'aveva mai sentito come il suo vero cognome. Era il nome che aveva preso dopo l'adozione, era il nome di Gianni, non il suo.
Ma cos'è il nome? É davvero così importante per una persona? Fa davvero la differenza? Conta davvero quando non si sa nemmeno che persona si é veramente?
Sono queste le domande che si poneva Lisa, ma solo a una voleva veramente dare una risposta: chi era? E sperava proprio di trovare quello in questo viaggio. Se stessa. La vera sè, che si chiamasse Lisa o meno.

I genitori adottivi la lasciavano fare quello che voleva e lei si era pure affezionata a loro e alle tre pesti dei suo fratelli adottivi, non se n'era andata di casa per scappare da loro, ma per trovare una risposta, per reclamare la vera sè che ogni singolo giorno gridava più del precedente per uscire da quella gabbia che si era costruita da sola. Non sapeva con precisione dove fosse diretta, sapeva solo che andava nel Sud Italia. Il più lontano possibile da Milano e da tutte le certezze che aveva avuto fino a quel momento.
Era pronta a mettere in discussione tutto.
Dei suoi genitori naturali, Lisa, non sapeva nulla e quelli adottivi le avevano detto solo che la madre era morta dandola alla luce e il padre l'aveva abbandonata sulle fredde scale di un istituto calabrese, dove loro l'avevano adottata. Ed era proprio lì che Lisa era diretta. In Calabria.
Anche se lei ancora non lo sapeva.

**
Le lancette dell'orologlio segnavano le tre del pomeriggio quando Lisa arrivò ad Albi, in provincia di Catanzaro.
Una mano di Lisa era poggiata sulla fronte a cercare di proteggerla dai caldi raggi del sole che battevano su quell'arida terra. Nonostante fosse Febbraio inoltrato, il sole era cocente e la ragazza lo percepiva sulla pelle caldo come non l’aveva mai avvertito. Per una volta sentì eccessivi i maglioni sotto il cappotto.
L'altra mano stringeva la presa sui bagagli mentre costringeva le sue gambe a camminare. Dopo dieci ore di viaggio era stremata e il corpo risentiva dell'eccessivo sforzo e della mancanza di sonno. Quando il treno, ormai vuoto, si era fermato, Lisa era scesa e si era ritrovata in mezzo al nulla.
Campi di grano la circondavano e lei stessa si era meravigliata dell'assenza di una vera e propria stazione. Era pur sempre nel ventiduesimo secolo, era inconcepibile non avere una vera stazione.
Dopo lo sbalordimento iniziale, Lisa notò che il cielo era di un azzurro chiaro come non l'aveva mai visto. Era limpido. Pulito. Non come quello grigio e perennemente nuvoloso a cui era abituata a vedere a Milano.
Quello era pulito. Senza smog. Era cielo nella sua essenza più elementare.
Si incamminò alla ricerca di un taxi, peccato non ne vedesse uno nel raggio di chilometri. Con se aveva i risparmi di una vita. Aveva conservato tutto i soldi che aveva ottenuto durante le festività o gli stipendi presi da McDonald's, aveva abbastanza per pagarsi una stanza d'albergo, poi si sarebbe cercata un lavore e magari preso in affitto un appartamento. Aveva rinunciato perfino ad un paio di orecchini d'oro che le avevano regalato alla comunione, ma non era riuscita a separarsi dal suo IPod. Quel piccolo aggeggio tecnologico conteneva il lato più segreto di lei, ogni singola canzone era un frammento di sè e della sua anima.
Lisa camminò per buoni venti minuti durante i quali fu tentata diverse volte di stendersi in quei campi che la circondano e di riposare la mente ed il corpo, ma non lo fece.
Quando vide una pompa di benzina e alle spalle un supermarket vi si fiondò all'interno e, una volta entrata,  la prima cosa che notò fu il frigo con le bottigliette d'acqua. Fino a quel momento non aveva sentito l'esigenza di bere, ma appena vide quelle bottiglie piene d'acqua sentì l'impellente bisogno d'idratazione.
Si avvicinò alla cassa con un'intera confezione d'acqua naturale, delle carote e un barattolo di carne essiccata.
Dopo aver pagato, Lisa aprì la bocca per parlare dopo più di dieci ore di silenzio e la voce le uscì rauca e tremante. Sembra il suono di un piano inutilizzato da anni.

-Mi sapreste dire dove posso chiamare un taxi?-. Cercò di essere il più gentile possibile.

Nonostante la giovane età, la cassiera le diede del voi rispondendole. -Guardi, a un paio di metri da qui ci dovrebbe essere una stazione di polizia, potrebbe provare lì- rispose cordialmente. La stazione di polizia non era un luogo in cui Lisa metteva facilmente piede. Non le piaceva, per non parlare del fattore 'orfana scappa di casa il giorno del suo diciottesimo compleanno'.
E già, era proprio il suo compleanno. Fino a mezzanotte sarà il suo primo giorno da maggiorenne. Il primo di tanti giorni di libertà.

-Non avete un telefono qui?- La voce di Lisa si abbassa di un tono nel pronunciare l'ultima parola.

-Se aspetti cinque minuti, te lo chiamo io un taxi-. E Lisa aspettò.

**
Si trovava al centro di Catanzaro. Sonia, la cassiera, le aveva dato uno strappo in città dopo la fine del suo turno. Avevano chiacchierato durante il viaggio in macchina e Lisa aveva scoperto che Sonia era coetanea di Leonardo e Davide, che frequentava l'università a Catanzaro e che per mantenersi lavorava in quel supermarket provinciale.
Lei, dal canto suo, le aveva detto che era venuta in Calabria per trovare il padre. Gli aveva detto che i suoi genitori erano separati e che viveva con la madre al Nord ed ogni tre mesi andava a trovare il padre. In pratica le aveva mentito.
Di Sonia, Lisa aveva capito anche un'altra cosa: non faceva domande.
Durante il resto del viaggio parlarono di futilità.

Ora era al centro di Catanzaro e aveva bisogno di trovare una sistemazione. Non aveva potuto chiedere a Sonia l'indirizzo di un motel ma poteva sempre entrare in un negozio e chiedere. E Lisa fece così.
Decise di entrare in un negozio d'abbigliamento, il primo che aveva visto e chiese ad una commessa l'indirizzo del Motel più vicino. Dopo che la dipendente, una signora sulla quarantina, le aveva detto che l’hotel più vicino dista una decina di metri da lì, il cuore di Lisa scoppiò di felicità. Finalmente poteva posare i bagagli, stendersi in un letto con lenzuola pulite. Poteva fare una doccia con l'acqua calda e cambiarsi gli abiti e magari la sera sarebbe potuta uscire per festeggiare il suo compleanno.

Lisa pensava ancora all'idea di una doccia calda e di un letto pulito quando arrivò all'ingresso del Motel. Era vecchio, visibilmente vecchio. La struttura decadente aveva l'insegna al neon rotta, lampeggiavano solo la prima e le ultime due lettere creando il nome Mel  invece di Motel. Il palazzo era alto e senza balconi. Lungo la strada Lisa aveva notato molti palazzi vecchi e con dei balconcini sporgenti. I classici balconi degli anni novanta, ma il motel sembrava più un grattacielo di New York mal riuscito che una casa in stile retrò. Lisa entrò nella struttura. Un odore di cemento e polvere le riempì le narici.
Il tavolino all'ingresso era ricoperto un doppio strato di polvere e le tende, che una volta dovevano essere bianche, erano di un grigio molto chiaro. Lisa si costrinse a fare qualche passo per avvicinarsi a quella che era la Hall, una scrivania con un giovane ragazzo seduto dietro di essa. Quando Lisa si avvicinò maggiormente potè constatare che il ragazzo aveva solo qualche anno in più a lei.
I piedi appoggiati sul tavolo e le dite impegnate a digitare qualche messaggio. Lisa si raschiò la gola e il giovane alzò le sopracciglia.

-Prendi una chiave alle mie spalle e lascia venti euro qui sopra- subito dopo un piede sbattè sulla scrivania. Non l'aveva nemmeno guardata mentre parlava, non aveva mai distolto lo sguardo da quello stupido aggeggio.

Lisa rimase scioccata da quel comportamento. Non che si aspettasse un trattamento degno di una Regina, sia chiaro, ma un minimo di considerazione la pretendeva.
-Scusami, ma non dovresti registrarmi o, non so, prendere i documenti o cose simili?- chiese allibita.

Finalmente il ragazzo distolse lo sguardo dal cellulare e le concede una breve occhiata. Poi si girò di spalle e prese una chiave, la sbattè sul tavolo e riportò lo sguardo al cellulare. -Non mi pagano abbastanza per fare tutto questo- blaterò.
-Lascia i soldi, prendi la chiave e vai a scocciare qualcun'altro-

Lisa, profondamente turbata, fece come le era stato detto e si incamminò lungo il piccolo corridoio fermandosi solo una volta di fronte all'ascensore sul quale trovò attaccato un foglio con la scritta 'Guasto' in nero. Di certo, non si poteva aspettare un ascensore funzionante in un posto del genere. Virò verso le scale e sale fino al quinto piano, dove trovò la sua camera.
Dopo cinque piani a piedi e aver controllato ogni piano nella speranza di trovare la sua camera, Lisa era ancora più stanca di prima e avverte maggiormente il bisogno di una bella doccia e di una dormita. Quei due desideri non furono smorzati nemmeno dalla vista del letto, sempre se quella rete arrugginita con quel materasso puzzolente si potessero definire tali, e della doccia che era fatta da un tubo in ferro dal quale usciva l'acqua e una tendina che faceva da porta. A Lisa, in quel momento, non importava. Si chinò davanti alla valigia poggiata sul pavimento e la aprì. Tirò fuori una cambiata pulita che consisteva in un jeans di una tonalità più scura di quello che indossava e una felpa di Leonardo. Era blu con una scritta azzurra. Lisa prese anche il cambio d'intimo e un asciugamano che le faceva da accappatoio. Corse in bagno, si spogliò, gettò i panni sporchi per terra e quelli puliti nel lavandino. Aprì l'acqua calda e si posizionò sotto il getto.
I suoi erano gesti automatici, gesti che compiva quotidianamente senza sentire il bisogno di riflettere. Aprì la bottiglia di bagnoschiuma e ne versò un po' sulle mani insaponandosi il corpo. Si lavava facendo attenzione a non bagnare i capelli.
Cinque minuti dopo era già avvolta nel suo asciugamano bianco e stava asciugando i piedi. Dopo che il corpo di Lisa fu asciutto e profumato, indossò i panni puliti e legò i capelli in una crocchia disordinata a storta.

Controllò l'ora sul cellulare. Il display segnava le sette.
Il suo primo giorno da diciottenne stava per finire e lei se ne stava in una squallida camera di un Motel a girarsi i pollici.
La doccia aveva portato via tutta la stanchezza che sentiva anche se gli occhi urlano ancora il bisogno di dormire. Lisa non aveva intenzione di disfare le valigie perché voleva andarsene il prima possibile da quel posto.
In un baleno si infilò le scarpette che aveva prima, afferrò la chiave della stanza insieme alla borsa ed uscì così come sta. Con la felpa larga di pile, senza giubbotto e coi capelli legati.

**
Lisa rimpiangeva il giubbino dimenticato in camera. Il primo giorno da maggiorenne era passato da un pezzo e ora era il suo secondo giorno di libertà.
Quando era uscita dal Motel, Lisa aveva girovagato per le vie calabresi per ore finché non si era imbattuta in un locale. Doveva ammettere di essersi divertita parecchio. Aveva ballato come non mai. E aveva bevuto. Non molto, solo qualche birra. La sua mente era ancora lucida, ma quelle birre avevano aiutato la sua lingua a sciogliersi. Parlava più di quanto normalmente non avrebbe fatto, ma a lei non dispiace affatto dire tutto quello che le passava per la testa.
Erano le quattro del mattino e doveva rientrare in albergo. Aveva davvero bisogno di una dormita, ma prima di vedere un letto doveva fare molta strada a piedi e lei non era nemmeno sicura di riuscire a trovare il Motel al primo tentativo.
In strada non c'era molta gente, quasi tutti ragazzi.
Un gruppo di motociclisti stava passando proprio in quel momento.
Sfrecciavano proprio davanti agli occhi di Lisa. Da quando era uscita dal locale aveva visto passare quello stesso gruppo una dozzina di volte. Facevano sempre lo stesso giro.
L'alcol prese il controllo sulla bocca e le parole di Lisa perché lei, in condizioni normali, non avrebbe mai detto quello che stava per urlare.
-Se proprio dovete consumare la benzina, accompagnatemi a casa-.

Tutte moto continuavano a camminare, tranne una che stava un po' più avanti. Il motociclista cambiò direzione puntando verso di lei. Quando la moto nera la raggiunse, Lisa scorse un ragazzo col casco e la visiera abbassata. Era buio e non riusciva a vedere i lineamenti del suo viso, ma dalla mano non munita di guanto si vede la pelle giovane e chiara.

-Allora dove abiti?- chiese. La voce era rude e massiccia, sembrava quella degli orchi cattivi dei film Disney.
Lisa rimase impietrita. Quella frase le aveva fatto smaltire di colpo tutto l'alcol ingerito. Pensò di essersi messa in un guaio. In strada non c'era nessuno e nessuno avrebbe impedito al motociclista che le stava d'avanti di farle del male.

-Adesso non parli più? Di la verità, non ti aspettavi che qualcuno si fermasse-. Rise, ma sembrava più un suono studiato che una vera risata; le labbra non erano nemmeno distese in un sorriso. Lisa storse il naso. Girò su se stessa e fece per andarsene quando il ragazzo parlò nuovamente.

-Ehi, non ho mica intenzione di stuprarti, volevo solo essere gentile- fece spallucce. -Se avessi voluto una ragazza con cui divertirmi sarei andato in uno streep club-

Lisa si sbagliava a pensare di aver digerito le birre. -Allora vacci, no?- disse voltandosi.

-Nah, quella di ieri sera mi é bastata. Devo ammettere che quella ragazza ci sapeva proprio fare- disse lo sconosciuto in tono fiero. Lisa si voltò disgustata.

-E pensare che stavo per saltare su quella moto- sibillò incamminandosi.

-Quella che ci perde sei tu, dolcezza- ribadì il motociclista alias Casanova Calabrese.

Lisa, punta nel vivo, si voltò per l'ennesima volta. -Punto primo, non chiamarmi così. Punto secondo: se sei davvero intenzionato a riportare una ragazza a casa non parlare delle puttanelle che frequenti. É disgustoso-

Il ragazzo si tolse il casco e lei potè vedere le sue labbra stendersi in un ghigno.
-E come dovrei chiamarti, ragazzina?- Lui alzò le folte sopracciglia e sulla fronte gli si formano delle rughe d'espressione.

Lisa sbuffò esausta. Doveva tornare in albergo, erano le quattro passate e lei non sapeva nemmeno come arrivare a quel dannato Motel. -Allora me lo dai o no questo passaggio?- Lisa non riuscì a credere alle sue parole.

Il Calabrese scuosse la testa rimettendo il casco dov'era prima.
-Sali-
E Lisa salì. Ma si sa, dell'orco cattivo non ci si fida mai.


Lisa salì sulla moto felice di aver indosso un paio di pantaloni. Disse velocemente al ragazzo il nome del viale in cui si trovava l'albergo e lui in tutta risposta fece cenno ai ragazzi che erano con lui e gli disse che si sarebbero visti tra dieci minuti al solito posto. Lisa si chiese come poteva accompagnarla al motel e raggiungere i suoi amici in dieci minuti. Lei aveva impiegato molto più tempo per arrivare fino a lì.
I suoi interrogativi non durarono a lungo, visto che il motociclista partì immediatamente dando gas. Lisa saltò all'indietro per lo spavento e per un millesimo di secondo credette di essere caduta dalla moto.

-Aggrappati, ragazzina- disse il calabrese senza voltarsi. Solo in quel momento Lisa si rese conto che, quando lei era saltata, lui le aveva afferrato la coscia sinistra. Non ci fu nemmeno bisogno che lei scostasse la gambe poiché lui fu più rapido nel togliere la mano. Lisa sapeva che doveva mantenersi altrimenti sarebbe caduta, ma non aveva intenzione di agganciare le braccia alla vita dello sconosciuto. Non aveva bevuto abbastanza birre per quello.
Decise pi portare le mani ai lati del sedile. Attorcigliò le dita attorno al ferro e sperò che il ragazzo rallentasse.
Sfrecciarono ad una velocità assurda e Lisa capì come avrebbe fatto a darle un passaggio in dieci minuti.
I capelli, che aveva legato in una coda, le arrivavano in bocca. Il vento le tagliava il volto in due parti perfette e le mani scoperte erano ormai congelate e totalmente intorpidite. Lisa non aveva nemmeno il tempo di guardarsi intorno e capire se la strada che stavano facendo era la stessa che lei aveva fatto ore prima, che sentì la moto fermarsi d'un colpo e il suo corpo venne scaraventato addosso a quello del motociclista.
Scese velocemente dalla moto borbottando un 'vorrei sapere chi da la patente a certe persone'. Ovviamente Lisa diede la colpa, anche di questo, all'alcol.

-In genere si dice 'grazie'. Nessuno ti ha insegnato le buone maniere, ragazzina?- Rispose lui levandosi il casco e appendendolo al manubrio. Sotto la luce artificiale dei lampioni, Lisa pottè vedere il volto del ragazzo.
Lunghe ciocche scure e unte di sudore gli ricadono sulla fronte. Le guance erano arrossate dal sudore e dal vento mentre la mascella squadrata e i severi lineamenti lo facevano sembrare più grande, ma dagli occhi chiari si intuiva la sua tenera età. Non avrà più di vent'anni, pensò Lisa.

-E a te non hanno insegnato a guidare? Sembravi un pazzo furioso- Lisa cercò di sistemarsi i capelli alla bell' e meglio portando le ciocche che erano sfuggite dalla coda dietro l'orecchio.

-Sembravo? E chi ti dice che non lo sono? Potrei portarti in un vicolo buio e farti tutto quello che voglio. Nessuno mi fermerebbe-. Il ragazzo di cui Lisa non sapeva nemmeno il nome si sporse un po’ più avanti. Lisa indietreggiò involontariamente pentendosi immediatamente del suo gesto: non voleva mostrarsi debole e impaurita.
Lui rise. Ma neanche quella fu una vera risata.

-Tranquilla ragazzina, non sei il mio tipo- disse prendendo il casco e infilandoselo.

-Quasi dimenticavo che preferisci le spogliarelliste- rispose Lisa in tono leggermente alterato. Non si era mai reputata una gran bellezza, ma aveva altro da offrire oltre al suo corpo e sentirsi inferiore ad una sciacquetta non era affatto bello. Era offensivo e poco galante.
Il motociclista Calabrese diede gas.
-Ci si vede-.
-Non penso proprio- rispose Lisa. E il ragazzo dagli occhi chiari invertì il senso di marcia e andò via.
Lisa riuscì a sentire la sua risata studiata coprire il rumore assordante della moto.



Note
Salve popolo!
Questo è il primo vero capitolo di questa storia. Spero che vi sia piaciuto e che lo troviate riflessivo. Ho cercato di rendere al meglio le emozioni di Lisa e di analizzare le sue paure e la sua voglia di fare e di scoprire. 
Entrano in scena ben tre personaggi che incontreremo più in là. La prima è Soria, la cassiera, il secondo e il ragazzo della Hall e infine lui, il motociclista. Cosa ne pensate a primo impatto? Cosa vi aspettate da loro? 
Beh, ditemi un pò che ne pensate e scrivetemi in tanti. Voglio sapere i vostri pareri. E se avete correzioni da fare o consigli da darmi, fatelo. Come ho già detto nelle note del prologo, ci tengo particolarmente a questa storia e vorrei che fosse letta da un bel numero di persone. 
Non sto qui a dilungarmi oltre, è meglio se vado a rivedere il secondo capitolo che si chiama Prime volte.
-Bibersell x

 
  
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