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Autore: Margo Malfoy    21/11/2014    1 recensioni
«Maggie, no!» gridò con la voce tremante.
Mi liberai dalla sua presa e continuai la mia corsa tra le mura strette. Ancora pochi passi, e avrei raggiunto i miei due amici. So che loro sarebbero stati fottutamente arrabbiati con me, ma non potevo abbandonarli. Un Velocista non l’avrebbe fatto, e io sapevo di voler diventare come loro.
«Fermati!» di nuovo Newt.
Le sue parole furono le ultime che sentii.
Poi le porte si chiusero alle mie spalle, segno che sarebbe iniziata la fine.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Thomas, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'She Belongs To Him'
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Giorno 755 ca.
Appena prima che le porte si chiudessero, assicurando a me e a Thomas un'altra nottata in compagnia dei Dolenti, vidi una figura entrare nel Labirinto, e poi le pareti chiudersi alle sue spalle.
Era Maggie.
Io e Thomas ci scambiammo un sguardo incerto, poi ci avviammo verso la ragazza. La gamba mi faceva male, ma io e Tommy accelerammo il passo per raggiungerla.
«Maggie?» chiese Thomas senza fiato.
«Hai idea di che cosa hai fatto?» le chiesi in tono severo.
«Volevo aiutarvi» disse dispiaciuta.
«E come?» le chiesi gridando. «Non sei una Velocista. Almeno non lo sei ancora. Ma direi che la tua postazione sarà rimandata a domani. Sempre che sopravviviamo»
«Volevate nominarmi Velocista?» chiese.
Io e Thomas annuimmo.
«Volevamo» disse Thomas «Ma adesso è tutto da rivedere»
Sul suo volto si dipinse una scia di tristezza, scacciata poi dalla rottura del silenzio.
«Maggie, è un casino. Io te lo dico» le dissi. La mia voce era smorzata dal dolore, la gamba faceva davvero male.
«Sopravvivere una notte è un miracolo. Ma due è impossibile» disse Thomas.
«Aspetta, siete già stati qua fuori una notte?» chiese Maggie indicando il suolo con l’indice.
«Sì. Tommy ha fatto lo stesso gesto eroico che hai fatto tu. Identico, dico davvero. Fatta eccezione che Thomas ha molta più resistenza di te» volevo farle pesare la sua scelta. Non volevo accusarla, volevo solo renderla consapevole di cosa stava facendo. O meglio, di cosa aveva fatto, perché nessuno di noi sarebbe uscito prima della mattina successiva.
«Quindi è possibile fuggire dai Dolenti» disse avvicinandosi.
Io e Thomas annuimmo, ma sia io che lui sapevamo che era stato un colpo di fortuna. Magari una sera in cui i Dolenti erano particolarmente deboli o qualcosa del genere. Ma era risaputo che sfuggire a quelle macchine da guerra era difficile. Quasi impossibile.
«Cosa ti è successo alla gamba?» disse chinandosi su di me.
«A dire la verità non lo so. Io e Thomas abbiamo visto un Dolente e siamo scappati via. Forse mi sono graffiato con un ramo o mi ha graffiato un con artiglio. Vaffancaspio, non lo so, ma fa male»
Lei mi guardò la ferita e scoprì un grosso sbrago, che andava dal ginocchio fino alla caviglia, accerchiando il polpaccio destro.
«Ci serve qualcosa con cui fasciarla» disse fissando Thomas, come a dirgli di portargli una benda.
Lui accolse il segnale e frugò nello zaino. Vi trovò una benda che i Medicali riponevano sempre negli zaini di noi Velocisti e gliela portò.
«Hai dell’aceto?» disse a Thomas.
«Aceto?» chiesi io terrorizzato all’idea.
«Sì» annuì Thomas porgendole una bottiglietta piena di un liquido violaceo.
«Come sai che funzionerà?» chiesi guardandola.
«I Medicali me l’hanno detto quando ho provato la postazione. Mi hanno detto che mettono bende  e bottiglie d’aceto negli zaini dei Velocisti per le emergenze. E infatti...» mi agitò davanti la bottiglietta e l’aprì appoggiando il tappo per terra.
«Brucerà» mi disse seria.
Non aggiunse nessuna parola rassicurante. Non disse che avrebbe bruciato poco, o che avrei sentito una piccola bruciatura. Disse soltanto che avrebbe bruciato. 
Lentamente si chinò sulla mia gamba e inclinò la bottiglietta verso la ferita. Iniziai a gridare dal dolore quando il liquido mi sgorgò tra il sangue fresco, tra la pelle. Gridai. Un suono terrorizzante che partiva dalla gola e mi usciva dalla bocca.
«Okay,» disse Maggie «adesso ti fascio. È finito»
Era un disastro come Medicale. Mi rifece la fasciatura almeno tra volte prima che tutta la ferita fosse coperta dalla benda e prima che tenesse. Ma alla fine il lavoro era decente e riuscivo a camminare piuttosto bene, nonostante desse fastidio.
«Grazie» le dissi con un piccolo sorriso.
«Vedi? Se non fossi venuta, voi due non ci avreste pensato, e tu saresti morto dissanguato» ironicamente cercò di risolvere il problema che aveva creato aggiungendosi a noi.
«Bella battuta» dissi io ironico.
«Scusate,» lei tornò seria «non volevo crearvi ulteriori problemi»
«L’importante adesso è rimanere vivi» disse Thomas avvicinandosi.
«Bene, allora come facciamo?» chiese lei reggendosi in piedi e restituendo a Thomas bende e bottiglia.
«Dobbiamo continuare a muoverci» dissi mettendomi in piedi appoggiandomi alla parete che avevo dietro. «Se ci muoviamo, sarà più difficile essere localizzati»
Sopra di noi il cielo cominciava a scurire. Il sole veniva ingoiato dalle nuvole rossastre che riempivano lo sfondo azzurro chiaro. E in poco tempo fu buio, con l’unica Luna che garantiva uno spiraglio di luce.
Iniziammo a muoverci, facendo attenzione a rimanere comunque nei pressi dell’entrata Occidentale. La mattina successiva, qualsiasi cosa fosse successa, almeno uno di noi doveva varcare quella soglia. E sapevamo, sia io che Thomas, che la nostra priorità era che fosse Maggie quel qualcuno.
Correndo quanto più velocemente mi consentiva la gamba, scorrevamo tra i corridoi come fosse casa nostra, come se fosse la cosa più naturale di quel caspio di mondo. Mi costava ammetterlo a me stesso, ma avevo paura. Dentro di me si rimescolavano le idee che potessero sbranarci vivi, che io potessi morire, che Thomas si perdesse... ma la cosa che più mi faceva stare male era avere nelle mani la vita di Maggie e sapere di non poter essere certo di salvarla: la cosa che mi faceva più paura era che tra noi tre morisse proprio Maggie. L’unica ragazza, la fagiolina, quello che vi pare. Un grande amica, di questo ero sicuro. Senza che me ne resi conto il mio battito iniziò ad accelerare come a seguire il ritmo di una canzone dannatamente veloce.
«Okay. Fermiamoci un attimo» dissi appoggiandomi al muro e stringendo gli occhi per il dolore alla gamba.
Notai che Maggie faceva ancora fatica a respirare. Quasi a leggermi nel pensiero Thomas intervenne.
«Tutto a posto?»
«Ah–ah» disse prendendo grandi boccate d’aria.
Non mi sembrava che stesse bene, ma non mi sembrava nemmeno il caso di farla parlare troppo. Era la seconda volta che avevo davvero paura da quando avevo memoria. L’altra fu un mese prima, quando rimasi solo con Tommy nel Labirinto, di notte. Come a ricordare quella serata terrificante, un rumore metallico richiamò tutti e tre all’ordine. Thomas saltò in piedi, abbandonando la posizione fetale che aveva assunto per riposarsi; Maggie salì in piedi lentamente, appoggiandosi al muro alle sue spalle e rivolgendo uno sguardo spaventato verso il luogo dal quale proveniva il rumore. Io girai con uno scatto la testa e mi scambiai uno sguardo con Thomas. Entrambi conoscevamo fin troppo bene quel rumore. L’unico rumore che bisognava veramente temere nel Labirinto.
Era un Dolente. E si stava avvicinando a noi.
   
 
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