Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower
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Autore: Philly123    22/11/2014    2 recensioni
Londra.
Jamie vive da solo nel suo appartamento in centro, da qualche tempo si sente vuoto e anche i suoi amici non si fanno vivi.
Dorotea è una ragazza londinese con la passione per la pittura e il disegno.
Si incontreranno, più volte.
Qualcosa si nasconde nel passato di lei.
Jamie Campbell Bower sarà troppo assorbito dalla mondanità per prestare attenzione a una ragazza comune?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jamie Campbell Bower, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Sentii dei passi. Il cuore mi martellava in gola e continuavo a stringere la mano di Jamie con tutte le mie forze. Un’ombra si mosse dietro il vetro opaco della porta, che  si spalancò con uno scatto.
Mia madre era una donna minuta, dai capelli scuri e cortissimi. Il suo viso sembrava invecchiato e, nonostante il trucco minuziosamente curato, dei lunghi solchi si diramavano sulla pelle ambrata. Sembrava sul punto di piangere dalla gioia ma cercava di contenersi.
-Dorotea, finalmente! Non mi avevi detto che avresti portato qualcuno- disse con il suo forte accento italiano, mentre puntava gli occhi castani sul ragazzo al mio fianco.
Mia madre non gradiva le sorprese. Era un’ordinaria, comune donna che voleva occuparsi soltanto di cose ordinarie e comuni come il bucato e le pulizie. Aveva bisogno di programmare ogni giornata e qualunque imprevisto la faceva entrare in confusione.
-Lui è Jamie, è…- Cominciai a farfugliare, non sapendo come volesse essere presentato.
-Sono il ragazzo di Dori. Piacere, signora Crawford.- Staccò la mano dalla mia e afferrò quella di mia madre, in una stretta potente e decisa.
-Marianna.- Lei sorrise lievemente, forse un po’ in imbarazzo.
-Prego, entrate. Sediamoci in salotto mentre aspettiamo tuo padre. È a lavoro ma appena tornerà potremo parlare.-
Varcando la porta, l’odore di casa mi turbò per un attimo. Era un odore forte, di detersivi e deodoranti chimici ma anche di qualcos’altro che non avrei saputo descrivere, era odore di casa e non lo sentivo da due anni.
Percorremmo il lungo corridoio dai muri bianchi e la moquette bordeaux, alle pareti c’erano delle fotografie, ma nessuna mi rappresentava. Eppure, ripensandoci, l’ultima volta c’erano. Decisi di non dire niente, mentre ci accomodavamo nella stanza quadrata.
Io e Jamie ci sedemmo sul divano mentre mia madre, nonostante ci fosse ancora molto spazio, preferì una delle due poltrone a lato. I tre mobili erano bordeaux, in pelle molto scura, antica, e formavano un ferro di cavallo attorno al tavolino di cristallo su cui era posata una ciotola di cioccolatini, disposti ordinatamente. Dalla nostra sinistra entrava una luce fioca, poiché una tenda bianca nascondeva la finestra.
-Allora, raccontatemi qualcosa. Tu, Jamie, cosa fai nella vita?-
-Sono un attore, e suono in una band.-
-Jamie è abbastanza conosciuto, mamma.-
Mi madre strinse gli occhi sul viso del ragazzo, come se stesse analizzando una pietra preziosa molto piccola.
Un rumore ci scosse dalla nostra conversazione. La porta d’ingresso era stata aperta e dei passi pesanti si avvicinavano sempre di più. Proprio mentre pensavo di non essere pronta, vidi la gigante figura di mio padre varcare la soglia della porta.
Era come lo ricordavo. I capelli rossicci erano leggermente più grigi e radi, attorno agli occhi verdi, sulla pelle dalla carnagione lattea si diramava qualche ruga in più ma, nel complesso, sembrava invecchiato molto meno di mia madre.
Jamie si alzò immediatamente, non so se per rispetto o per farsi notare. Appena gli si avvicinò capii che doveva essere più basso di una decina di centimetri rispetto a Philip.
Dopo le dovute presentazioni, mio padre si sedette sull’ultima poltrona libera.
-Sono contento che tu abbia accettato di venire, Dorotea- declamò con tono solenne. La sua espressione era estremamente severa.
-Non avrei mai accettato senza Jamie, quindi ringraziate lui. Avete qualcosa da dirmi, in particolare?-
-Sì, tuo padre vorrebbe risolvere le questioni in sospeso. Ti vorremmo vedere più spesso, sei sempre nostra figlia.-
Quella frase mi fece rabbrividire e Jamie dovette capirlo, perché incontrò il mio sguardo.
-Grazie, Marianna, vorrei parlare io- intimò mio padre in tono perentorio anche se pacato. Non riuscivo a immaginare qualcuno di più maleducato e fastidioso. –Sai, Dorotea- continuò. –Ti abbiamo pensato molte volte e credo che dovresti tornare a vivere qua. Non mi sembra il caso che passi la tua intera vita a fare la cassiera a Londra.-
-Grazie, ma sto bene lì. Non ho bisogno di tornare.-
-Dorotea, non pensi mai al tuo futuro?- continuò lui, leggermente infastidito. Odiavo quel vizio che aveva di ripetere il mio nome a ogni frase, per intero.
-Sì, certo che ci penso. Sai come mi vedo? Immagino una donna che avrà fatto a modo suo per tutta la vita, sarà andata avanti unicamente con sua la forza e se avrà sbagliato potrà incolpare solo se stessa. Mi vedo libera.- Sentivo le unghie che mi si conficcavano nel palmo della mano, mentre stringevo i pugni.
-Dorotea! Non fare la bambina. Devi trovarti un lavoro, o fare l’università. Non raccontiamoci balle hippie con tutta questa storia della libertà e dei sentimenti.- Aveva cominciato ad alzare la voce.
-Phil, non fare così- sussurrò mia madre.
-Sta’ zitta! Io ci voglio parlare, con questa, ma non mi dà nessuna possibilità. È senza speranza!- sbraitò.
Sentii come un fuoco esplodermi dentro, a causa di quello che stava accadendi e perché aveva zittito mia madre. Sentivo riaccendersi i vecchi rancori.
-L’unico senza speranza qui sei tu. Sei rimasto la stessa persona di merda che eri prima, con le tue convinzioni inalterabili. Chi pensi di essere, Dio? Dovresti fare un esame di coscienza e cercare di diventare una persona migliore, anche se penso sia impossibile.- Mi resi conto di essermi alzata e di gridargli in faccia. Si alzò anche lui, con aria di sfida.
-Cerca di smetterla e di portare rispetto, ragazzina.- Il suo tono era pacato, troppo pacato. Era così alto che per guardarlo negli occhi dovevo piegare notevolmente il collo, ma fissandolo mi sentivo un leone. Poteva anche essere grande e grosso, ma io ero più intelligente, più sensibile, più arguta.
Fece un passo verso di me. Vidi come a rallentatore le sue mani che mi prendevano le spalle e spingevano all’indietro. Di lato, mia madre urlò il suo nome e Jamie entrò nel mio campo visivo, troppo tardi.
Un attimo dopo ero seduta a terra, dopo essere rovinata sul tavolino di cristallo, ora in mille pezzi. Quanti oggetti avevamo rotto, in quel modo.
Ero stordita ma non avevo paura, perché sapevo di essere protetta: c’era Jamie e capii che mio padre l’aveva fatta grossa, persino per mamma.
-Philip! Ti rendi conto? L’hai chiamata per vederla e hai finito per farle male- esplose lei, e improvvisamente il mondo tornò a girare a ritmo normale. Non avevo mai visto mia madre rispondergli, mai.
-Dori! Dori ascoltami, sono qui!- urlava Jamie intanto.
-Andate tutti a fanculo! E tu rovinati pure la vita, idiota- borbottò, rivolto a me, poi si avviò verso la porta.
-Dove pensi di andare?- chiese mia madre, gridando ancora.
-Mi faccio un giro, visto che sei così impegnata a difenderla. Non so quando torno.-
Nel primo momento in cui l’avevo visto mi sembrava che fosse invecchiato di poco ma ora dovetti ricredermi: non era cambiato di una virgola.
-…otea. Dorotea ascoltami!- Jamie era chino di fronte a me, non mi toccava. Focalizzai il suo viso e lui dovette capirlo, perché continuò. -Devi alzarti da lì, è pieno di vetro, è pericoloso. Dori, sei ferita.-
Mi guardai e notai un grosso taglio sulla mano destra, da cui sgorgava parecchio sangue. A fissarlo, mi girava  la testa in modo formidabile.
-Vieni, Dori, ti aiuto io.- La voce di mia madre era dolcissima. Mi resi conto che, sotto tutto l’astio che provavo per lei, c’era un profondo amore celato. Era pur sempre la mia mamma, era stata dolce ogni volta che aveva potuto, ma non era mai riuscita ad affrontare mio padre. Fu come una rivelazione, un’epifania.
Mi alzai, senza sapere dove poggiarmi. L’unica cosa che riuscii a fare fu buttarmi su di lei, abbracciarla più forte possibile e piangere.
 
-Grazie per avermi curato la ferita, mamma- le dissi, mentre Jamie mi aiutava a mettere il cappotto.
-Vai al pronto soccorso appena arrivate a Londra, potrebbero volerci dei punti.- Una macchia rossa si era allargata sotto le bende.
-Grazie, mamma, per tutto. Sei sicura che starai bene? Philip non si arrabbierà con te, appena tornerà?-
-Non mi ha mai fatto niente e non comincerà oggi, Dori. Ti voglio bene.-
-Ti voglio bene, mamma- sussurrai, mentre le lacrime mi pizzicavano gli occhi. Ora che avevo capito quanto tenessi a mia madre avevo paura di lasciarla lì, da sola con quell’uomo. Le diedi un ultimo abbraccio e mi incamminai verso la macchina, mentre lei salutava Jamie.
In fondo, quel viaggio era servito a qualcosa.
  
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